Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Microsoft e Google potrebbero avere un blog
dedicato, visto che ormai non passa quasi giorno nel quale non ci siano rumors
su qualche loro futura mossa. Questa anticipazione pubblicata da "La Stampa" è però clamorosa, perché segnerebbe la fine di un
matrimonio che all’epoca aveva fatto scalpore...
Cinque anni fa sembrava la fusione che avrebbe
dominato la scena mondiale delle comunicazioni: adesso la Time Warner sta
pensando di sbarazzarsi di America Online. La soluzione preferita sarebbe quella
di venderla alla Microsoft, ma non si esclude una cessione a Yahoo o Google.
(...)
La favola era cominciata nel 2000, quando proprio il
topolino aveva inghiottito l'elefante. America online non era esattamente
un'azienda minuscola, perché era il principale servizio per l'acceso ad internet
via telefono. Aveva oltre 26 milioni di clienti, che pagavano non solo per
accedere alla rete, ma anche per ricevere il suo contenuto esclusivo. Sembrava
la strada da seguire per le comunicazioni del futuro e il suo capo, Steve Case,
passava per il ragazzo prodigio della rivoluzione
digitale.
La Time Warner invece era un colosso dei contenuti,
con giornali tipo il settimanale Time, una delle più famose case
cinematografiche e discografiche al mondo, e in seguito anche la televisione di
notizie Cnn. Era l'azienda più grande e antica delle due, ma formalmente era
stata fagocitata da Aol perché il futuro si era preso in carica il
passato.
Sembrava un matrimonio voluto in cielo, come dicono
gli americani, perché avrebbe unito i contenuti al nuovo mezzo mediatico per
distribuirli. I film, gli articoli, le trasmissioni televisive della Time Warner
sarebbero arrivate in tutto il mondo, attraverso il collegamento ad internet
garantito da America online.
La tecnologia, però, fa brutti scherzi: proprio
quando pensi di averle messo il sale sulla coda, lei scappa via. Dal punto di
vista culturale, la fusione tra la nuova generazione di Aol e la vecchia di Time
Warner non aveva mai funzionato sul serio. Poco alla volta, però, aveva perso
anche la sua attrattiva economica. Il colosso dei contenuti, infatti, aveva
conservato tutta la sua forza, restando un punto di riferimento nel settore e
allargandosi anche alla fornitura dell'accesso ad internet con la banda
larga.
Il topolino della nuova tecnologia cibernetica,
invece, aveva progressivamente perso colpi, proprio perché il suo modello si era
inceppato. La gente si era stancata delle lunghe attese nei collegamenti
«dial-up», e i contenuti esclusivi di America online non erano più sufficienti a
trattenerla dalla corsa verso la banda larga e la libertà sconfinata di
internet.
La fusione aveva finito per bruciare circa 200 miliardi di dollari in
termini di valore delle azioni, cioè grosso modo il costo dei danni fatti
dall'uragano Katrina in Louisiana e Mississippi, tanto per capirsi. La testa di
Case era saltata e i dinosauri di Time Warener avevano ripreso il controllo
della sua compagnia. Adesso, però, stanno considerano l'ipotesi di sbarazzarsene
del tutto, come un corpo estraneo che non vedono l'ora di espellere.
(...)
La prima ipotesi sarebbe quella di cedere il 50%
delle azioni alla Microsoft, che poi gestirebbe l'impresa a metà con la Time
Warner, collegandola ai propri servizi.
La seconda, però, non esclude di passare la
mano integralmente alla concorrenza, girando tutta la proprietà a Yahoo oppure a
Google, che proprio in questi giorni sta rastrellando altri soldi sul mercato.
Comunque vada a finire, la bella favola di Aol sembra arrivata all'ultimo
capitolo.
A proposito di
product placement su Affari e Finanza si è parlato proprio di
questo.
Punta al target dei giovanissimi,
sempre molto difficile da raggiungere, un concorso di Cartoon Network. Da oggi,
e per cinque settimane sul sito della rete (visibile in tv nel bouquet Sky), è
possibile partecipare ad un gioco a premi per bambini legato al nuovo film La
fabbrica di cioccolato in uscita nelle sale interpretato da Johnny Depp. Un
lancio promozionale da record quello organizzato dalla major Universal Pictures
per ¨King Kong¨ protagonisti Naomi Watts e Adrien Brody. Su 150 milioni di
dollari di produzione, l´apporto degli sponsor è di circa 100 milioni con
presenze sotto forma di product placement di multinazionali come Nestlé,
Volkwagen, JP Morgan Chase, Toshiba, Burger King. Gli sceneggiatori hanno
faticato non poco per non snaturare, con l´eccesso di marche, un classico del
cinema. Piano di marketing senza precedenti per l´esordio commerciale della
Grande Punto. L´investimento media per la Fiat è di 17 milioni di euro, che
stanno generando un forte impatto sul pubblico. La regia dello spot è
dell´ungherese Laszlo Kadar, l´agenzia è la STV fondata da Silvio Saffirio, un
manager che segue Fiat da oltre 20 anni, il jingle è ¨Senza parole¨ di Vasco
Rossi. Saffirio-Tortelli-Vigoriti, la sigla che segue il lancio della nuova
vettura, ha vinto una gara creativa contro la Leo Burnett. Armando Testa si
occuperà, invece, del mercato estero. Parallelamente, Lapo Elkan lavora al
rilancio di un´altra vettura nata, come la Punto, dalla mano di Giorgetto
Giugiaro: la Panda 4X4, ¨protagonista¨ del prossimo James Bond.
In molti blog
Google viene citato almeno tre volte al giorno. Questo libro potrà fornire nuovi
e inaspettati spunti?
Anche Google protagonista di un
libro,Autore il co-fondatore della rivista
Wired
Si intitola “The Search: How Google
and Its Rivals Rewrote the Rules of Business and Transformed Our Culture” ed è
interamente dedicato al motore di ricerca più famoso della Rete. È il libro
appena pubblicato dal giornalista hi-tech John Battelle – tra le altre cose
co-fondatore della rivista Wired - che in 288 pagine racconta l’intera storia
dell’incredibile successo di Google, passo dopo passo, dalla sua nascita (nel
1998) a oggi.
L’entertainment marketing ha come obiettivo quello di pubblicizzare un
determinato prodotto o marchio in maniera non convenzionale, offrendo al
consumatore un’esperienza dinamica di intrattenimento, tramite il ricorso a
strumenti quali video, film, clip, sitcom e carta stampata.
Il suo affermarsi negli ultimi anni deriva dall’efficacia di questo tipo
di comunicazione, che risulta più interessante e coinvolgente rispetto alle
forme di advertising tradizionale: si tratta un nuovo canale per comunicare con
il pubblico in maniera privilegiata, creando non solo interesse, ma una vera e
propria emozione, destinata come tale a rimanere maggiormente
impressa.
Questa inaspettata alleanza tra prodotto e intrattenimento nasce per fare
colpo su un determinato segmento, ma proprio per questo l’abbinamento deve
essere vincente: non solo il pubblico destinatario di entrambi deve coincidere,
ma è necessario che il marchio possa integrarsi efficacemente nel tessuto
narrativo proposto.
Un esempio tipico di entertainment marketing è il product placement, che
consiste nel collocare un prodotto con un forte brand all’interno di un film,
telefilm o videoclip in virtù di un accordo commerciale stipulato con la
produzione (da questo aspetto possono derivare anche le eventuali operazioni di
merchandising e licensing del prodotto in questione).
L’utilizzo di questo strumento consente, a fronte di investimenti
irelativamente limitati, di ottenere un livello di visibilità che sarebbe molto
più costoso raggiungere attraverso l’utilizzo dei media tradizionali
Questa tecnica promozionale nasce negli USA mediante un contratto che può
all’occorrenza essere reso pubblico, in modo da garantire la massima
trasparenza, e si distingue nettamente dalla famigerata “pubblicità occulta” che
periodicamente tiene banco in Italia.
L’utilizzo di brand celebri all’interno di importanti produzioni inoltre
è di reciproco beneficio.
- Le case di produzione si avvantaggiano grazie al contributo economico
dello sponsor, nello stesso tempo i prodotti in questione tendono a conferire un
aspetto più “realistico” e quotidiano alle ambientazioni proposte. La fornitura
gratuita di materiali inoltre può consentire grossi risparmi economici in certe
scene (basti pensare a tutte le BMW distrutte da Pierce Brosnan nei suoi recenti
007).
- Lo sponsor trae vantaggio dalla presentazione dei propri prodotti in
momenti di intensa partecipazione emotiva del pubblico, usufruendo di
prestigiosi testimonial che possono essere utilizzati “una tantum” e quindi non
vincolano in termini di durata del contratto.
Uno dei più costosi product placement degli ultimi tempi è stata la
sponsorizzazione di Minority Report , per il quale le aziende interessate avrebbero sborsato
complessivamente più di 21 milioni di euro. Il film tra l’altro è anche un
esempio ben riuscito di questa tecnica, in quanto gli oggetti in promozione sono
utilizzati dinamicamente all’interno della vicenda e sono congruenti con
l’ambientazione della storia (basti pensare ai cartelloni parlanti e ai commessi
virtuali che salutano puntualmente per nome il Cliente, ricordando
istantaneamente i suoi precedenti acquisti e i gusti: insomma il commesso ideale
di ogni negozio).
L’integrazione del prodotto nella trama è di gran
lunga la tecnica più efficace, oltre che più costosa ma può dare i suoi frutti.
Lo sanno bene tra i tanti i signori di Equisearch.com che, dopo la
breve apparizione ne “L'uomo che sussurrava ai cavalli” hanno visto
quadruplicare il numero di visitatori del loro
sito.
Questi potete trovare alcuni illustri esempi di Product Placement.
A Product-Placement Hall Of Fame
La biblioteca dei "prodotti piazzati"
Anche in Italia alcune aziende
cominciamo a muovere i primi passi in questo senso. Non sarà però contento
l'agente segreto più famoso del mondo, che dopo aver guitato per anni auto come
Aston Martin e BMW si troverà al volante di una Fiat Panda 4x4 nera.
Capisco che competer con Google sia ogni giorno più difficile, ma questa notizia mi ha lasciato alquanto perplesso…
Yahoo, tutte le guerre del mondo
Yahoo mostrera' su Internet tutte le guerre del mondo. La compagnia ha creato a Santa Monica, California, un dipartimento che produrra' servizi multimedia su tutti i conflitti del nostro pianeta da presentare su un sito Web che sara' inaugurato il 26 settembre.
Kraft in
collaborazione con la Apple ha messo a disposizione dei possessori di iPod oltre
100 ricette estive, che possono essere scaricate dal proprio sito e visualizzate
la funzione "Note" dell'iPod.
Il menù comprende svariate pietanze, che possono
essere facilmente realizzate utilizzando gli ingredienti Kraft. L'utente,
tramite la scroll wheel dell'iPod può visualizzare in ogni momento gli ingredienti
necessari, anche mentre fa la spesa.
Se l'esperimento si rivelasse un successo la Kraft è
pronta con un nuovo giro di ricette.
Tra i tanti utilizzi prevedibili dell'iPod questo non
compare sicuramente in testa alla classifica. Per la Kraft legare i propri
prodotti a un prodotto di successo come l'iPod presenta indubbi vantaggi, ed è
anche un modo sia per fidelizzare (ricette gratuite) che per promuovere sito e
prodotti (che sono alla base delle ricette
pubblicate).
La Apple d'altro canto, fedele alla propria fama si
sperimentatrice, potrà vantare anche questo inaspettato utilizzo per un prodotto
che ha oltrepassato da tempo ogni previsione di
vendita.
Di Eli (del 13/09/2005 @ 09:15:53, in Prodotti, linkato 1880 volte)
A quanto pare Matteo aveva
ragione. Il nuovo
cellulare targato Motorola e Apple ha deluso più di un'aspettativa. Considerando
che entrambe ultimamente si sono mosse molto bene sul mercato la cosa è ancora
più sorprendente...
Nano esalta, Rokr delude (http://webnews.html.it/focus/518.htm)
(…) Le novità annunciate sono state
sostanzialmente due: il nuovo iPod Nano e il cosiddetto Mactorola. Se era il
secondo a dover convogliare tutte le attenzioni della stampa, è stato invece il
primo a calamitare il maggior numero di flash e commenti. Qualcosa non ha
evidentemente funzionato nel progetto Rokr: nonostante le promesse, nonostante
le attese, nonostante il fatto che il Rokr sembrava essere stato progettato dal
destino, il prodotto non sembra in realtà destinato a sconvolgere il mercato del
settore e semmai, nella migliore delle ipotesi, può costituire una sorta di
prototipo. Sensazioni, solo sensazioni, che il mercato potrà liberamente
ribaltare.
iPod Nano Il nuovo
iPod ha stupito, eccome. Dimensioni minimali e stile inconfondibile, il nuovo
iPod ha tutte le carte in regola per sostituire nell'immaginario collettivo le
versioni precedenti e candidarsi a vero oggetto "cool" dell’inverno: il primo
suggerimento per il prossimo regalo di Natale è già pronto. (…)
Mactorola
Rokr Completamente diversi i commenti piovuti sul Rokr. «Più marketing
che rivoluzione hi-tech» per Week.it; «il Nano è uno strumento incredibile […]
ma non si può dire lo stesso per il Rokr» secondo Macworld; «tutto qui?» per
Portel. Molte le critiche mosse all’oggetto e, se alcune sono dettate dalla
delusione del trovarsi di fronte ad una finta evoluzione dopo tanti annunci ed
una lunga attesa, soprattutto sono pochi i veri elogi mossi verso il nuovo
prodotto. Lo stile, innanzitutto, non è di quelli che lasceranno un segno nella
storia del design: riciclato un vecchio modello Motorola (E398), un solo tasto
aggiuntivo simboleggia il fatto che il Rokr abbia in più la funzione musicale.
Delude, inoltre, lo schermo: la definizione VGA è lontana da quella degli iPod
ed i due strumenti non sono dunque paragonabili sotto questo punto di vista.
Altra delusione giunge dal fatto che il Mactorola sia in grado di tenere in
memoria appena 100 canzoni, una quantità assolutamente bassa per permettere
all’utente quella vastità di scelta che ci si aspetta da nuove simili
tecnologie.
La più acida delle delusioni, soprattutto, è
l’assenza della possibilità di connessione al music store iTunes e la
contemporanea presenza di un farraginoso sistema di gestione dei file in
connessione al proprio Mac/PC. Quasi clamorosa, inoltre, una ennesima mancanza:
in seguito alle prime prove pare che il Rokr non possa neppure sfruttare i file
scaricati come suoneria del cellulare, aspetto che i più avrebbero potuto dare
quasi per scontato (sorge il sospetto di una qualche complicazione a livello di
diritto d’autore, unica possibile attenuante).
Mancanza di stile. Mancanza di una connessione al
music store iTunes. Mancanza di funzioni ottimizzate per la gestione dei file
musicali. Memoria limitata. Definizione d’immagine scarsa. A ben guardare tutti
questi aspetti non riguardano tanto il servizio iTunes (ovvero quella parte del
prodotto addebitabile ad Apple), quanto più la progettazione Motorola. Se il
telefono non risponde alle esigenze del lettore MP3, insomma, la cosa non è
addebitabile direttamente a Cupertino se non in riferimento all’opportunità di
lanciare sul mercato un ibrido tanto carente. La scelta di Apple, però, può
essere decifrata alla luce del rapporto di non-esclusività in vigore tra
Motorola e l’azienda di Jobs. Apple potrebbe dunque aver semplicemente ceduto
alle lusinghe di una prima casa produttrice propostasi, ma nulla vieta che entro
breve non compaia un simil-Rokr firmato Nokia (nonostante precedenti accordi con
Microsoft), firmato Siemens (azienda già in collaborazione con Apple in ambito
telefonico), firmato Sony (i cui rapporti con Apple sembrano andare verso il
disgelo), o firmato comunque da qualunque azienda decisa a sfruttare il traino
iTunes per guadagnare posizioni di mercato. (…)
In questo primo
mese di vita del nostro blog sono già stati postati molti interventi
interessanti da parte dei nostri autori (
Matteo, Jacopo,
Alessandro ed
Elisabetta, per ora), ai quali va il mio personale ringraziamento.
Una domanda che
mi è stata fatta spesso quando parlavo di questo progetto (e sarebbe tuttora in
cima ad una ipotetica hit-parade) è questa: "Ma perché qualcuno dovrebbe
scrivere all'interno del blog di un sito ideato da te quanto può facilmente
crearsene gratis uno personale?".
Ho una sola
risposta: perché siamo tutti a corto di
tempo. In un mondo "ideale" con le giornate di 48 ore sarebbe
facile per tutti lavorare, andare in palestra, scrivere per il proprio sito e
vedere gli amici. Nella realtà quotidiana le cose stanno molto diversamente,
spesso si riesce a fare solo la metà delle cose che si vorrebbero, ed è
difficile organizzarsi anche dandosi una scala di priorità.
Un sito che abbia
come obiettivo quello di occuparsi di marketing (con o senza blog) deve
necessariamente essere tempestivamente aggiornato, offrire anticipazioni,
suscitare l'interesse dei visitatori e il loro feedback tramite
l'interazione.
Anche lavorandoci
a tempo pieno (cioè dedicandosi al 100% al sito) è praticamente impossibile fare
tutto da soli, e si corre il rischio di aggiornare raramente le pagine, scrivere
articoli poco interessanti, non destare destando l'interesse del
visitatore.
Da questa premessa nasce
mymarketing.it: un sito all'interno del quale rispettando le regole, sia
possibile per tutti confrontarsi su
tematiche di marketing a 360° (e non solo di web marketing come in altri),
scrivendo nel blog ma anche partecipando come autori nelle altre
sezioni.
Il poco tempo che
molte persone possono trovare, infatti, può rendere un progetto interessante,
con spazio di crescita e di confronto per tutti.
Perchè
partecipare come autori a questo progetto:
·
Un elevato numero di visitatori garantisce
quotidianamente visibiltà e possibilità di confronto
·
Il sito è dedicato esclusivamente a tematiche di marketing
, e vanta la partecipazione di validi
professionisti
·
Abbiamo un dominio facilmente identificabile e memorizzabile
, azzeccato in riferimento agli argomenti che si
trattano
·
Non ci sono sponsor, adwords, dialer, pop up
e altri strumenti che rendono faticosa e noiosa la
navigazione
·
Proprio per rendere il
sito sempre più dinamico e orientato ad essere la prima marketing community
italiana offriamo accesso come autore a chi lo desideri e abbia le carte per
farlo
(quindi senza
richiedere suppliche, raccomandazioni o quant'altro).
Vuoi maggiori
informazioni? Contattami
Questo articolo nasce dalla necessità di trattare, sotto una luce diversa, uno tra i temi più conosciuti: lo spam, o meglio ciò che l’utente può percepire come tale, ogni qualvolta viene mal guidato.
Partiamo da un concetto di base: quando l’utente naviga in internet è a caccia dei suoi contenuti, riflesso dei suoi desideri. La bravura dei marketer sta nel riuscire a soddisfare quel desiderio in quello specifico momento, offrendo al consumatore ciò che egli cerca, sia che egli sia arrivato a noi attraverso un link o tramite uno dei tanti motori di ricerca a disposizione, sia che abbia digitato il nostro indirizzo nella barra delle Url. Il concetto non cambia.
Forse molti di voi ignorano alcuni servizi che i big del contextual advertising hanno pensato per far guadagnare i Registrar di siti internet (eh già proprio quelli cui vi rivolgete voi) che hanno a disposizione una notevole quantità di domini parcheggiati. Cosa sono? Beh i c.d. parked domains sono in sostanza tutti quei domini che vengono acquistati da un utente (pagando) e che in attesa di essere utilizzati al meglio dal legittimo proprietario, vengono sfruttati economicamente dal registrar-publisher, che in breve si arricchisce sulla vostra inerzia. Come? Semplicemente aderendo ad uno dei vari servizi disponibili in rete come ad esempio: Google AdSense for domains.
Approfondiamo un attimo il concetto di contextual advertising che trova la sua applicazione pratica quando determinati tipi di pubblicità vengono mostrati all’utente dinamicamente ed in modo automatico, basandosi sul content di una pagina, ossia sull’argomento che quella pagina tratta. Per fare un esempio pratico: se voi navigatori vi trovate su una pagina che parla di viaggi, il tipo di advertising che verrà visualizzato seguirà il content e quindi vedrete con tutta probabilità pubblicità relativa a vacanze, offerte last minute su voli aerei o su pacchetti turistici. Questo perché il software che gestisce il funzionamento degli ads riconosce piu’ o meno correttamente il contenuto trattato.
Il problema nasce qui, ossia nel momento in cui per portare pubblicità mirata sui gusti dell’utente viene a mancare la base di sostegno, ossia il content.
In questo caso, pur di bombardare il navigatore e sperare in un suo click su uno sponsored listing (che fa guadagnare il registrar-publisher grazie al vostro dominio), il software che gestisce la pubblicità ha solo un elemento su cui basarsi per targettizzare l’advertising: l’url del sito. Mi pare un pò pochino!
Considerazioni personali a parte, in questo particolare caso il software si basa su elementi semantici (e non lessicali, come di solito avviene con Adsense, Adwords et similia), vale a dire su elementi che valutano il significato delle parole contenute nel nome del dominio.
Il grosso limite di questo sistema semantico (che siamo ben lontani dal realizzare) sta proprio nel fatto che dovrebbe proporre un risultato profilato sulla necessità dell’utente, sulla base di un unico parametro, peraltro assolutamente variabile, con il rischio più reale che virtuale di danneggiare l’utente forzando la mano con sistemi che mal funzionano, almeno per ora.
Immaginate ad esempio che il nome di dominio non abbia alcun significato. Cosa si troverebbe a visualizzare l’utente? Come si comporterebbe a questo punto il sistema di advertising semantico? E poi perché dovrebbe essere il Registrar a guadagnarci in tutto questo, nonostante il dominio sia registrato e quindi di proprietà di un altro soggetto?
Con tutta probabilità mostrerebbe qualche sponsored listing che non ha nessuna attinenza con ciò che il navigatore internet sta cercando. Le conseguenze?
Di tutto rilievo, in quanto il navigatore internet si trova di fronte a ciò che non cerca, a ciò che non vuole, vedendo inoltre fortemente deluse le sue aspettative, per non parlare poi del danno che ricevono più o meno direttamente tutti quegli advertiser che pagano per utilizzare gli annunci sponsorizzati, legati come sono ad un meccanismo di impression/cpc/performance ed inseriti in un circuito semantico che non può funzionare tecnicamente in un discorso di dinamiche forzate.
Il rischio che si viene a presentare con questo tipo di advertising semantico su larga scala (attualmente Google da solo gestisce più di 3 milioni di parked domains) è la percezione che gli utenti ne hanno. Si è ormai talmente insofferenti allo spam che anche le newsletter sottoscritte volontariamente sono percepite come indesiderate se anche appena non combaciano con gli interessi degli utenti. Di questo passo, tutto diventa spam. Un pericolo molto grave, la cui soluzione a mio avviso è ben lontana dall’essere ritrovata nel semantic advertising, ma un buon punto di partenza può essere individuato partendo dal massimo rispetto degli utenti.
Sono infinite le discussioni che questo motore di ricerca sta generando, da tutti i punti di vista, rendendoci spesso inobiettivi e googleofili per il solo gusto di esserlo. Ormai che tu legga un giornale, accenda la TV, o vada su internet, Google è sempre lì. Non solo. Google è diventato un verbo, “to google” (almeno nello slang americano) sinonimo di ricerca e di motore di ricerca (il più grande del mondo) citato e definito da vocabolari ed enciclopedie di tutto rispetto, e questo basta a spiegare quanto penetrante sia la sua presenza nelle nostre vite.
Credo che la ragione, il comune denominatore di tutto ciò, sia che Sergey Brin e Larry Page, due ragazzi ora poco più che trentenni, stanno rivoluzionando (se già non lo hanno fatto) l’informazione su scala mondiale ed il modo in cui questa vada concepita. E non accennano a fermarsi, in fondo perché dovrebbero farlo? Hanno iniziato in due con un “piccolo” motore di ricerca all’università di Stanford, arrivando ad avere oggi circa 4.200 dipendenti in tutto il mondo, oltre 100.000 server per gestire praticamente tutte le pagine web esistenti sul pianeta (per la cronaca abbiamo superato quota 8 miliardi di pagine), oltre al fatto che l’80% delle ricerche fatte online vengono fatte attraverso i suoi 100 ed oltre domini nazionali.
Partiamo dalla google mission (http://www.google.it/intl/it/privacy.html), oserei dire il loro manifesto programmatico:
“La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili”.
Affascinante senza dubbio, d'altronde un obiettivo di tale ambizione e portata non poteva che provenire da una nazione che ritiene che tutto sia possibile, e che qualunque problema possa e debba essere superato, non importa a quale costo. Ma che vuol dire nello specifico ve lo chiedete mai? E a quale prezzo questo potrebbe avvenire? E la nostra privacy? Basta pensare che Google, sia attraverso la sua interfaccia di ricerca che attraverso la sua toolbar, acquisisce informazioni sul nostro utilizzo del web (fonte http://www.google.it/intl/it/privacy.html: Google non raccoglie informazioni che permettano di identificare l'utente (come il nome e l'indirizzo di posta elettronica) a meno che non sia l'utente a fornirle esplicitamente. Google acquisisce e salva informazioni quali l'ora del giorno, il tipo di browser, la lingua utilizzata dal browser e l'indirizzo IP per ciascuna richiesta ricevuta. Tali informazioni vengono confrontate con i record a disposizione di Google e servono a fornire servizi più mirati agli utenti. Ad esempio, Google può utilizzare l'indirizzo IP o la lingua del browser per stabilire quale lingua utilizzare per la visualizzazione dei risultati delle ricerche e degli annunci pubblicitari).
Inoltre come molti sanno, è diventato anche un Registrar, anche se non consente la registrazione di domini, almeno per ora. Ciò vale a dire che, comunque sia, ha accesso a tutte le informazioni che riguardano la vita dei siti web su scala mondiale (fatevi due conti), e grazie anche a queste informazioni (almeno a detta sua) può rendere migliore e più affidabile per il navigatore l’esperienza online, in modo da poter combattere più efficacemente lo spam, terribile piaga del mondo virtuale. A tal proposito, leggevo ieri una curiosa statistica secondo cui almeno la metà dei blog ospitati da Blogger (società acquistata di recente da Google) sarebbe in mano agli spammer.
Tornando al loro manifesto programmatico, sembrerebbe un concetto talmente democratico da non poter destare timori o sospetti. Eppure non è così. La missione del Googleplex non ha precedenti nella storia dell’uomo, e vale da sola a giustificare le paure che ne seguono, forse proprio per la mancanza di un “precedente”. Ci sono schiere di governi in tutto il mondo che stanno cominciando a tremare pensando al tanto folle quanto ambizioso servizio Google Print (http://print.google.com/), (altro che biblioteca di Alessandria) applicazione online di imperialismo culturale a matrice americana. Non sapete ancora che cos’è? Un americano ti risponderebbe: “Well, just google it”...
In breve il progetto, che coinvolge editori, biblioteche ed università prestigiose, consiste nella digitalizzazione e messa online di milioni di libri, per un totale di miliardi di pagine. Meno male che è intervenuto il copyright, giusto in tempo, a frenare un processo quantomeno frettoloso. Già il fatto che per accedere a tutta questa mole di informazioni ci sia bisogno di connessioni internet o di un cellulare limita e rende meno democratica la sua accezione di universalità. Qualche miliardo di persone ad oggi non ha acqua potabile, figuriamoci se puo’ accedere ad internet. Comunque sicuramente Google Print è un progetto interessante, e chi lo nega? Fa sorridere pensare che un progetto di questa natura sia stato promosso e dovrebbe essere gestito da un paese che, con tutto il dovuto rispetto, di cultura, intesa in senso ampio ne sa ben poco (forse è più corretto parlare di nozionismo).
Ma la ricerca continua anche tramite cellulare, ed ecco qui spuntare Google Mobile (http://mobile.google.com/), tramite cui puoi accedere a quasi qualunque informazione che il noto motore abbia da offrire. Interessante, sicuramente un servizio utile, che si andrà rafforzando anche grazie alla recente acquisizione di Android (società specializzata nella realizzazione di software per disposivi mobili, ma rispetto alla quale nulla di più è dato sapere) da parte del colosso californiano.
Tornando alla privacy, lettori tremate: Google può decidere di divulgare le informazioni personali degli utenti alle società che utilizzano Google a scopo pubblicitario, ai partner commerciali, agli sponsor ed altri. (fonte http://www.google.it/intl/it/privacy.html)
E poi ci sono le mappe, quasi dimenticavo. Consiglio a chiunque non lo abbia ancora fatto, di farsi un giro del pianeta visto dai satelliti. Il servizio online si chiama Google Maps (http://maps.google.com/) e permetterà gratuitamente di vedere in modo dettagliato praticamente qualunque città o luogo del globo. Analoga funzione svolge poi Google Earth (http://earth.google.com/), realizzato sulle impronte del software della Keyhole (ennesima società acquisita). Non parliamo poi dei problemi di sicurezza che taluni hanno sollevato in merito alla libera fruizione di un prodotto del genere e alle conseguenze che essa genera. Tralasciamo anche la mancanza di concorrenza che si respira nella Silicon Valley, (tra le altre acquisizioni vale la pena di segnalarvi anche quella della brasiliana Akwan Information Technologies, società specializzata nello sviluppo di sistemi di ricerca delle informazioni, e l’acquisto del 2% di Baidu, il primo motore di ricerca in Cina. Vi ricordo che i cinesi sono oltre 1 miliardo) dove le società che si trovano sulla rotta di interessi economici del Googleplex vengono direttamente acquisite, senza mezzi termini, e quelle che non riescono a stargli dietro (e chi ci riuscirebbe, considerando che anche Yahoo e Microsoft faticano nell’intento) chiudono direttamente bottega (beata concorrenza), altre ancora direttamente rinunciano ad aprire. Potrei continuare all’infinito, ma penso che sia palese che di imperialismo e monopolio incontrollabile dell’informazione si possa parlare quando questi due concetti vengono associati a quel numero seguito da cento zeri (http://it.wikipedia.org/wiki/Googol).
Siamo ancora tanto sicuri che sia giusto che un gruppo di ragazzi decida quello che dobbiamo sapere, oltre al come e al dove? In fondo ha ragione Sergey Brin, nel dire che se le cose vi stanno bene così tanto meglio, altrimenti un altro motore di ricerca è sempre a portata di click.
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