Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Negli Stati Uniti sono 161 milioni gli internauti che ad agosto hanno guardato video online, il più alto numero mai registrato. Lo dice l'ultimo rapporto di comScore. Secondo la società specializzata in misurazioni e rilevazioni su Internet, i video visti su Internet sono stati complessivamente più di 25 miliardi, oltre 10 miliardi dei quali su siti del gruppo Google, pari al 40% del totale. Spopola Youtube, che ha totalizzato il 99% delle 'visitè per la visione dei video di Google. Al secondo posto si piazzano i siti di Microsoft con un totale di 547 milioni di 'accessi videò (2,2%), seguiti da Viacom Digital con 539 milioni di video visti (2,1 %) e Hulu, con 488 milioni (1,9%). Secondo i dati, in media nel solo mese di agosto ogni cittadino statunitense ha visto 157 video. I più gettonati rimangono i siti a marchio Google con oltre 121,4 milioni di utenti unici, Microsoft ne totalizza 54,9 milioni e i siti di Yahoo! chiudono la classifica con 51,6 milioni di visitatori.
Via ILSOLE24ORE.COM
Apple festeggia un nuovo invidiabile traguardo, il download di applicazioni dal suo sito ha superato i 2 miliardi di contatti in un anno o poco più. App Store dunque può ben definirsi il più grande rivenditore di applicazioni su scala globale, con la sua offerta di 85.000 programmi per un panorama di 50 milioni di utenti. E i download sono destinati ad aumentare, poiché lo stesso Steve Jobs, Ceo del colosso di Cupertino, assicura che nell’ultimo trimestre ne sono già stati registrati oltre un miliardo
Via Quo Media
E’ innegabile che ormai nell’immaginario collettivo i siti e gli strumenti del web 2.0 sono diventati dei media a tutti gli effetti e per tale ragione sono sempre più corteggiati dai marketing manager.
I dati che vengono dalle ricerche che riguardano gli USA sono significativi: secondo l'indagine "Social Media: Embracing the Opportunities, Averting the Risks" (di Russell Herder e Ethos Business Law, sondaggio realizzato a luglio di quest’anno) 8 su 10 degli uomini di marketing attribuiscono ai social network un ruolo importante per il potenziamento del brand, oltre che per il recruiting e il customer care.
Anche gli investimenti in advertising si muovono di conseguenza e, secondo uno studio di comScore, i siti di social media hanno rappresentato il 21,1% della distribuzione di inserzioni nel web Usa a luglio (anche se la raccolta è molto concentrata su MySpace e Facebook, con oltre l'80% del mercato).
D’altronde l'ultima indagine semestrale Nielsen (oltre 25.000 consumatori di 50 Paesi del mondo), evidenzia che il 90% dei consumatori internet si fida dei consigli di persone che conoscono e il 70% crede alle opinioni dei consumatori pubblicate online.
Tutto bene dunque? Sì ma con dei distinguo.
Il primo aspetto riguarda l’effettiva fiducia che i consumatori hanno nei brand attivi nei social media: nello studio "Women & Brands Online: 'The Digital Disconnect" il 52% delle 1.000 donne intervistate diventa amica o almeno fan di un brand nei social network, l'83% comunque si sente "neutrale" o "negativa" al rispetto al marchio. Il 75% poi dice di non essere influenzata da canali di social networking per l'acquisto di prodotti e servizi.
Inoltre io sono sempre scettico nella pubblicità in quanto tale sui social media, alla quale preferisco un linguaggio e degli strumenti più di stampo dialogico.
Infine non dimentichiamo che gli iscritti ai social media non sono registrati al nostro sito e non diventano lead per il nostro database, per cui di fatto contribuiamo alla crescita altrui.
Dal mio punto di vista dunque i social media sono un’estensione importante del brand e permettono di contattare nuovi prospect per iniziare un dialogo con loro ma alla fine devono riportare sulle pagine di proprietà dell’azienda. Non ha senso creare infatti un social network proprio o un nuovo Twitter brandizzato se si può sfruttare l’enorme bacino di questi siti ma le rendini le si deve tenere in azienda con una corretta impostazione strategica e servendosi dei social media (non servendo loro).
E voi che ne dite?
Gianluigi Zarantonello
via http://webspecialist.wordpress.com
Gli analisti prevedono una crescita esponenziale nell’utilizzo dei social media in ambito Marketing: secondo uno studio Unisfair, 3/4 degli investitori sta pianificando un maggiore sfruttamento dei social media per il 2010.
Grandi prospettive per l’utilizzo dei social media a livello business per il 2010: secondo un recente studio di Unisfair 3 investitori su 4 stanno pianificando un maggiore sfruttamento dei canali social per il prossimo anno, mentre il 50% prevede investimenti mirati nell’Email Marketing o negli eventi virtuali.
Secondo il sondaggio USA, LinkedIn sarebbe il social network più efficace (26%), seguito da Facebook (23%) e Twitter (17%).
Stando ai dati Anderson Analytics, rispetto alle altre reti LinkedIn sarebbe caratterizzato da utenti più benestanti, istruiti, impiegati a tempo pieno e più propensi ad effettuare acquisti online in tutte le categorie di prodotto.
Un terreno fertile dunque. Ma allora, quali sono oggi i maggiori freni al Marketing virtuale? Soprattutto il timore di un’elevata complessità di gestione.
Ad ogni modo, la fiducia è tanta: dallo stesso studio è emerso che per il 60% degli investitori la priorità 2010 sarà l’acquisizione di nuovi clienti, mentre il 48% si concentrerà sul mantenimento dei clienti attuali.
di Noemi Ricci
Procter & Gamble ha deciso che l'e-commerce dovrà diventare un canale distributivo di importanza pari ai drugstore, in termini di fatturato (anche attraverso le vendite su Amazon e Walmart online). Un obiettivo di 4 miliardi di dollari. Lo sappiamo tutti, quelli di P&G in genere quando si muovono lo fanno avendoci pensato bene e ci vanno giù molto seri.
L'obiettivo è sicuramente ambizioso, significando moltiplicare per otto i fatturati attuali,.Per riferimento, i fatturati complessivi sono sui 79 miliardi di dollari.
Via: Adage.com, leggete l'articolo per approfondimenti
Facebook strizza l'occhio agli inserzionisti e si accorda con la società di ricerca Nielsen per interrogare gli utenti in merito ad messaggi pubblicitari. Ad esempio, gli internauti iscritti al popolare social-network saranno chiamati a rispondere in merito ai banner che promuovono l'uscita di un film. In questo modo Facebook, che ha di recente toccato quota 300 milioni di utenti registrati in tutto il mondo, punta a rassicurare le aziende e i marchi sul valore dell'acquisto di spazi pubblicitari sul portale, consegnando loro dati non fatti in casa, ma elaborati e confezionati da un istituto di ricerca esterno.
Via Quo Media
Cattive nuove per l’editoria d’informazione d’Oltremanica. Secondo una ricerca condotta da Harris Interactive, solo il 5% dei lettori britannici sarebbe disposto a pagare per le news online. Il 74% degli utenti abituali dei più popolari quotidiani web, qualora questi divenissero a pagamento, fuggirebbero verso altri lidi digitali, dove le notizie si trovano gratis. L’8% si limiterebbe alla lettura dei titoli, che rimarrebbero ad accesso libero. Il 12% degli interpellati si dice incerto sul da farsi, ma c’è da credere che opterebbe più facilmente per siti d’informazione free. “Fino a che esisterà l’alternativa gratuita, i consumatori si orienteranno su di essa per le loro informazioni quotidiane” ha detto Andrew Freeman, consulente per la ricerca. I risultati dello studio sono stati resi noti pochi giorni dopo l’annuncio di News Corp., che dal 24 ottobre renderà a pagamento il sito del Wall Street Journal, mentre altre importanti testate (Liberation, per esempio) preparano la medesima svolta.
Via Quo Media
Si sente parlare sempre più spesso di Enterprise 2.0, ossia quello che Wikipedia definisce un insieme di approcci organizzativi e tecnologici orientati all’abilitazione di nuovi modelli organizzativi basati sul coinvolgimento diffuso, la collaborazione emergente, la condivisione della conoscenza e lo sviluppo e valorizzazione di reti sociali interne ed esterne all’organizzazione.
Una modalità di lavorare e progettare che nasce dall’esperienza del web 2.0 e che si avvale di molte delle tecnologie nate in quest’ambito, come blog, wiki, rss, tagging. Anche le infrastrutture di rete basate su SOA e BPM sono ormai mature e si stanno diffondendo in ambito aziendale e si stanno affermando molti software collaborativi pensati per le più varie esigenze d’impresa (per una panoramica visitate l’ottimo http://www.softwaresociale.com).
Le tecnologie dunque ci sono e hanno costi sempre più bassi, dal mio punto di vista però c’è un tema che non va sottovalutato: le persone sono pronte a collaborare? E fino a che punto?
E’ un’altra faccia della medaglia dell’approccio strategico ai social media: bisogna capire prima chi sono gli intercolocutori e quali obiettivi si vogliono raggiungere e solo poi si può approcciare una tecnologia.
L’enterprise 2.0 dunque è prima di tutto un approccio organizzativo, che passa per la corretta comprensione della valenza del lavoro collaborativo, dei principi della delega e della cultura di un approccio win-win per tutti gli enti e le persone coinvolte.
Le aziende ne sono consapevoli? E la mentalità lavorativa degli italiani è pronta con le dirigienze in grado di accompagnare il cambiamento?
Vedremo, certo la tecnologia senza le persone non serve a nulla…
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com
In soli cinque mesi il social network Creato da Mark Zuckemberg ha aggiunto 100 milioni di nuovi utenti raggiungendo la ragguardevole cifra di 300 milioni. Un risultato per certi versi sorprendente, che testimonia il successo di una formula "servizio-passatempo-utilità" che sta incontrando l'interesse delle persone di ogni generazione. Ma la cosa più interessante è che è possibile un'ulteriore crescita. Per fare qualche esempio, in Italia dove si è registrata una forte crescita nell'arco degli ultimi 12 mesi, si è giunti, ad oggi, a quasi 11milioni e cinquecentomila utenti attivi. Il numero rappresenta poco più di un terzo dei navigatori italiani, ma anche poco più della metà degli utenti Facebook inglesi.
Inoltre, esistono delle nazioni ancora potenzialmente vergini, quali la Germania o la Spagna, ferme rispettivamente a 4 e poco meno di 7 milioni. Facebook nel frattempo si sta anche strutturando a livello di "azienda di servizi", andando a fornire soluzioni marketing attraverso le "fans page", le applicazioni o, addirittura, diventando la piattaforma pubblicitaria "mirata" più semplice e alla portata di tutti in circolazione. Ha acquisito nel corso del tempo una serie di società che operano sul web con il fine di dimostrarsi più resistente nei confronti di possibili concorrenti, soprattutto verso il tanto citato Twitter. Ma il brand Facebook oggi è così forte che altri servizi, come per esempio l'affermatissimo Youtube per la condivisione dei filmati sul web, cercano di sfruttare il veicolo Facebook per aumentare la propria market share ed essere consacrati leader indiscussi nei propri segmenti.
Zuckemberg stesso, in un post sul proprio blog, spiega che nel corso del 2010 l'azienda dovrebbe finalmente raggiungere un cash flow positivo, affermandosi come servizio indipendente per investimenti a lungo termine. Ma non sono tutte rose e fiori. Facebook ogni tanto "cancella" qualche utente che i sistemi automatici tracciano come troppo attivi e quindi possibili generatori di "spamming", piuttosto che lentezze e disservizi che che ormai sono all'ordine del giorno. Nonostante tutto, la "famiglia Facebook" sta crescendo moltissimo. Per esempio, oggi è un'incredibile mezzo per creare una "memoria collettiva" grazie agli album fotografici, è un formidabile mezzo di intrattenimento attraverso i filmati pubblicati dalle persone e la miriade di applicazioni, dal "biscotto delle fortuna" ai giochi online, ma anche un sistema di informazione privilegiato, in cui le notizie si mischiano con le considerazioni personali.
Non è solo una moda e probabilmente molto è lì da esplorare. Facebook sta cambiando pelle e probabilmente sono gli utenti stessi che guidano il cambiamento, ma è anche uno strumento maturo per il marketing, un canale globale che inizia ad avere una massa critica che spaventa ma al tempo stesso attrae marchi, prodotti e servizi.
di Gigi Beltrame su ILSOLE24ORE.COM
Mi chiedo però se questa frammentazione di sistemi operativi, applicazioni, sviluppatori sia di reale giovamento per lo sviluppo di servizi evoluti e di larga diffusione, da fruire via web mobile, soprattutto in vista delle ulteriori potenzialità prospettate con l’arrivo dello standard LTE.
Negli ultimi due anni infatti la palla dell’evoluzione del web mobile (e dell’uso evoluto della telefonia) è passata dagli operatori telefonici ai produttori di device, fermo restando, almeno in Italia, una stretta ‘collaborazione’ che sta all’origine, ad esempio, del costo dell’iPhone.
Da un lato questa forte concorrenza, trainata dall’arrivo di Apple come ipotizzato qualche tempo fa, sta consentendo uno sviluppo vivace e ricco di novità, dall’altro però il modello di business basato sull’ecosistema chiuso (molto redditizio) è una barriera per lo sviluppo di strumenti trasversali ai vari tipi di sistemi operativi.
Chi conosce un po’ questo mondo infatti sa che già oggi, con pochi player davvero importanti (essenzialmente Symbian, Windows, iPhone, Rim e Android), lo sviluppo di applicazioni per il mobile richiede una miriade di varianti, con costi e tempi che lievitano.
In comune resta solo la rete su cui ci si appoggia per navigare (costi degli operatori permettendo) ma già il fatto che esistano siti fatti solo per iPhone mi sembra un indizio che anche il web mobile possa diventare non realmente cross platform.
Senza nulla togliere ai leciti profitti degli apps store temo dunque che alla lunga si possano creare delle barriere tra i vari os tali da impedire lo sviluppo di strumenti di larga diffusione, specie per quanto riguarda la pubblica utilità.
La soluzione? Potrebbe essere un protocollo analogo a quello che sta sotto il web e l’html, derivante dalla collaborazione di più player, in grado di bypassare le differenze, non solo nei siti (dove il linguaggio è ancora comune) quanto negli strumenti.
In alternativa i produttori potrebbero competere per rendere uno standard di fatto una loro applicazione o suite, per tutti i vari sistemi esistenti.
Utopia? Fine della festa per i produttori e per gli apps store?
Non è detto, e prova ne è il recente accordo Office Mobile e Symbian, con il quale Nokia guadagna un prezioso strumento di lavoro e Microsoft espande esponenzialmente l’ecosistema della sua suite di programmi.
I profitti degli sviluppi dei software nati in un certo ecosistema, per le applicazioni di un certo interesse, potrebbero aumentare grazie alla diffusione mentre gli apps store avranno sempre senso e mercato per applicativi molto specifici, come possono essere ad esempio quelli legati al multitouch dell’iPhone.
Sia come sia, credo che la competizione giovi molto al settore, mentre la frammentazione in ambienti chiusi no.
Voi che ne dite?
Gianluigi Zarantonello
via http://webspecialist.wordpress.com
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