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  mymarketing.it: l'isola nell'oceano del marketing... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Altri Autori (del 30/09/2013 @ 07:48:20, in Aziende, linkato 4451 volte)

È stato l’argomento del giorno: ne hanno parlato tutti, perfino la stampa estera. Le dichiarazioni del presidente di Barilla circa le coppie omosessuali hanno scatenato un’ondata di proteste sul Web che ha valicato le Alpi e attraversato l’oceano, finendo un po’ dappertutto.

Quello che è successo lo si può leggere praticamente ovunque ma, per completezza, lo si può riassumere così. Mercoledì 25 settembre Guido Barilla viene intervistato da La Zanzara, programma radiofonico di Radio 24. Si parla di rappresentazione del ruolo femminile nella pubblicità, un tema sollevato il giorno prima dal presidente della Camera Laura Boldrini, che già aveva dato vita a un certo dibattito. Tra una parola e l’altra, Barilla dichiara che la sua azienda, che si identifica con i valori incarnati dalla “famiglia tradizionale”, non firmerebbe mai uno spot pubblicitario con protagonista una coppia omosessuale. «Se non gli piace quello che diciamo [gli omosessuali], faranno a meno di mangiarla [la pasta Barilla] e ne mangiano un’altra – ha detto Barilla – Ma uno non può piacere sempre a tutti». Le parole di Barilla non sono andate giù né a parte dell’opinione pubblica né tanto meno alle associazioni per i diritti civili e omosessuali. Ma la reazione del Web è andata oltre ogni previsione: come una fiammata l’hashtag #boicottabarilla è diventato virale e quello che è successo poi, lo sappiamo tutti.

La questione ha scatenato un gran polverone, ma al di là delle polemiche e dei giudizi sul concetto di famiglia, sulle parole di Guido Barilla e sulla reazione del Web, la faccenda di Barilla si presta bene a una riflessione su quello che è successo – o meglio, che non è successo – sui profili social di Barilla, Facebook in particolare. Due precisazioni: la prima è che, in linea con lo scopo di questa rubrica, si parlerà esclusivamente di come la questione abbia impattato sulla comunicazione del brand sulle proprie pagine Facebook. La seconda è che questa analisi prende in oggetto quanto successo nella giornata di giovedì 26 settembre, più o meno dalle undici di mattina fino alle sei di sera.

Dunque, ricostruiamo la dinamica. L’intervista di Barilla per Radio 24 va in onda mercoledì sera. Subito dopo, sulla pagina Facebook dell’emittente radiofonica, cominciano ad apparire i primi commenti di coloro che non hanno gradito. Già a questo punto, il brand manager dell’azienda emiliana avrebbe dovuto mettersi in pre-allarme e pensare a una strategia comunicativa per correre ai ripari. Sulla pagina ufficiale di Barilla, però, è una tranquilla serata come tante. L’indomani, giovedì mattina, Radio 24 rilancia l’intervista della sera prima e scoppia la bomba: non è più sera, quando tutti sono impegnati a fare altro, adesso tutti sono davanti al computer, sono all’erta. La faccenda diventa virale, nasce l’hashtag #boicottabarilla e la conversazione, letteralmente, esplode.

E sulla pagina Facebook di Barilla che succede? Niente. O meglio, niente che porti la firma di Barilla, visto che la pagina rimane inchiodata al giorno precedente. In compenso, però, gli utenti si stanno dando un gran daffare, lasciando commenti di fuoco su qualsiasi post capiti loro a tiro.
Sono più o meno le undici di mattina. E, ancora per moltissime ore, sulla pagina ufficiale di Barilla ci sarebbe stato una specie di deserto, popolato soltanto dalle sonore proteste degli utenti.

Questo non perché i social media manager di Barilla fossero scappati in un bunker anti-atomico con tre scatole di razioni K in attesa di tempi migliori: molto probabilmente i responsabili della comunicazione sui social media di Barilla hanno ricevuto precise indicazioni dall’alto o, anche, è possibile che di indicazioni non ne abbiano ricevute affatto. Il tema è delicato, e in casi come questi si aspettano – e ci si deve aspettare – le direttive dai vertici su come affrontare la crisi, su cosa comunicare e come comunicarlo. Personalmente immagino una catena decisionale diventata improvvisamente lunghissima, che ha rallentato tutte le mosse. Questa è solo una mia supposizione: potrebbe anche essere Barilla abbia “strategicamente” scelto di temporeggiare.

Nel frattempo, però, sul web si scatenava il finimondo: mentre la polemica prendeva forza e #boicottabarilla diventava sempre più virale, altre aziende hanno colto la palla al balzo, volgendo abilmente il “crollo” di Barilla a proprio favore.
Una trovata geniale dal punto di vista del marketing, che ha preso il payoff più famoso di Barilla, lo ha accostato all’oggetto del contendere e ha risolto la crisi mettendoci il proprio brand. Una strategia comunicativa che, di certo, non è stata solo un’iniziativa dei social media manager di Althea: l’idea, a chiunque sia venuta, sarà stata certamente presentata e approvata dai vertici dell’azienda, decidendo di “prendere posizione” sposando questa linea comunicativa. Merito, forse, di una catena decisionale più corta e snella, che ha permesso a dirigenti, creativi, grafici e social media manager di agire con un tempismo perfetto?

Certo, va detto che Althea non è Barilla: Barilla è una multinazionale, un colosso del settore alimentare e per questo agisce con tempi e modi diversi. Ma una crisi, quando arriva, non rispetta le gerarchie né i piani di comunicazione, e forse si sarebbe dovuto prevedere un protocollo d’azione diverso, visto che su Facebook, intanto, continuava la presa della Bastiglia degli utenti.

[Sempre per restare in tema di instant marketing, anche Pasta Garofalo e Misura hanno colto la palla al balzo. Quindi non si può dire che Althea si è potuta permettere di agire in fretta perché è un “ecosistema” più piccolo. Più verosimilmente, le strategie comunicative interne ed esterne delle tre aziende sono diverse. E, in questo caso, sono state più efficienti ed efficaci].

 Guido Barilla rompe il silenzio poco dopo le 14 di giovedì pomeriggio, con un comunicato stampa in cui porge le proprie scuse per il fraintendimento e  perle polemiche generate dalle sue parole, rinnovando il rispetto per gli omosessuali e la liberà di espressione di chiunque. Questo comunicato non comparirà sulla pagina Facebook di Barilla che poco prima delle 16.30. Perché tanto ritardo? L’idea che passa è che l’azienda si sia dimenticata di essere e di comunicare sui social media, quegli stessi social media che, da ore, stavano attaccando il brand in tutti i modi possibili.
Si tratta di una comunicazione molto fredda, distaccata, un comunicato stampa incollato in uno status che quasi stona in mezzo a tutti gli altri post della pagina che, invece, puntano sulle immagini, sul calore, sul coinvolgimento degli utenti. Non si tratta di una comunicazione sobria per mettere fine a una crisi, si tratta di una comunicazione arrivata ben oltre il tempo utile e che, purtroppo per Barilla, è servita a poco.

Non solo. In capo a quelle poche ore, giovedì, il boicottaggio contro Barilla è andato ben oltre i confini italiani: stiamo parlando di un brand italiano conosciutissimo all’estero, spesso associato con l’idea stessa della cucina italiana. Ne hanno parlato in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti, in Germania. Dalla Francia è addirittura partita una petizione. Gli utenti arrabbiati si sono riversati in massa sulle relative pagine locali, che Barilla ha sempre gestito con grande profitto. E anche qui, purtroppo, Barilla ha taciuto.
A questo punto verrebbe da manifestare tutta la propria solidarietà ai social media manager di Barilla che, probabilmente, hanno assistito per un giorno intero a gran parte del proprio lavoro che finiva in fumo. Barilla ha sempre avuto una forte presenza sui social, lavorando sul coinvolgimento dei fan, raccontando il brand e i suoi prodotti. Insomma, un gran lavoro di corporate storytelling che ha sempre avuto successo fin dai tempi della pubblicità col gattino, e che ha saputo trasporre con grande maestria anche sui social media.

Purtroppo però, questa crisi ha evidenziato tutte le falle della strategia di Barilla che, non agendo in modo tempestivo, ha minato i risultati di mesi, di lavoro, compromettendo la fiducia di quegli utenti – di ambo le “fazioni” – che si aspettavano una risposta o quantomeno una reazione di qualsiasi tipo, dalla classica “marcia indietro” alla riaffermazione dei propri valori. Ma restare in silenzio davanti a quelli che ti accusano – o che ti sostengono – è un rischio: la conversazione su di te continuerà senza di te e ognuno si farà la sua idea senza che tu possa farci niente.

Risposte che, ovviamente, non potevano venire dalla semplice iniziativa dei social media manager, costretti a “restare a guardare”, e ad aspettare che arrivasse qualcuno a dar loro le direttive necessarie per affrontare la débâcle. Mentre i loro competitor, professionisti come loro, agivano con precisione quasi chirurgica semplicemente perché messi nelle condizioni di farlo.

E se questo purtroppo è successo sulla pagina Facebook italiana, figuriamoci su quelle per l’estero, dove oltre al tempo fisiologico di reazione per capire cosa diavolo fosse successo, c’erano di mezzo anche i fusi orari e una certa dose di disorientamento.

Quello che gli utenti hanno percepito, per tutta la giornata di giovedi, è stato quasi come un abbandono della nave da parte del brand, che ha lasciato i propri profili – la propria identità sul web così faticosamente costruita – in balia degli eventi.

Lesson Learned: Azienda, sul web tutto accade molto più velocemente di quanto tu possa pensare. Dòtati di un protocollo anti-crisi che faccia da ombrello ovunque tu sia presente e, soprattutto, fai in modo che i tuoi social media manager possano agire con quella rapidità necessaria per stare al passo con le conversazioni sui social media.

Via Tech Economy

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Di Altri Autori (del 26/09/2013 @ 08:22:30, in Social Networks, linkato 1744 volte)

Debutta online Twigis.it: è un social network dedicato ai bambini con un'età fra 6 e 12 anni dove possono incontrarsi e sviluppare la creatività. Rivela un territorio con opportunità ancora da esplorare che vive accanto al web accessibile invece a tutti i navigatori online.

È un luogo protetto e dedicato ai più piccoli per conversare tra loro. Le attività su Twigis I bambini sono in grado di costruire fumetti animati e condividerli. Oppure frequentano mondi virtuali dove scrivono attraverso chat. Hanno una posta elettronica personale che adoperano per scambiarsi messaggi soltanto all'interno della loro community e senza contatti con l'esterno. Partecipano anche su blog e hanno a disposizione giochi. Ogni utente ha un suo profilo: può aggiungere un'immagine e disporre di monete digitali. Twigis.it ha una bacheca dove commentare i primi giorni di scuola.

Il social network all'estero si chiama Tweegee.com e finora è arrivato in Argentina, Brasile, Egitto, Giordania, Israele, Russia, Turchia. Ha 4 milioni di iscritti nel mondo. Riservatezza online Twigis.it assicura un solido livello di privacy. I commenti pubblici condivisi nella piattaforma sono esaminati da moderatori adulti prima di essere visibili sul web: controllano i contenuti ed eventuali tentativi di acquisire dati dall'esterno. Ha policy elevate nella gestione delle informazioni personali in modo da tutelare i minori. Ad esempio non distribuisce i "cookies" impiegati per riconoscere gli iscritti quando si connettono a un sito web. Inoltre monitora eventuali anomalie nell'attività degli utenti: può sospendere i profili interni e ha una collaborazione con la Polizia Postale.

La trasformazione digitale Per quanto riguarda lo scenario socio-antropologico, come ha spiegato Giuliano Noci, professore ordinario di marketing al Politecnico di Milano, il mutamento in corso alimentato dalla diffusione dell'information technology rivela in profondità – osserva Noci - "un cambiamento sociale abilitato dalle tecnologie digitali" che plasma le modalità di apprendimento e di formazione.

Via IlSole24Ore.com

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Di Altri Autori (del 24/09/2013 @ 07:44:03, in Internet, linkato 1760 volte)

Il mondo web è sempre più ricco e potente, tanto che molti personaggi della rete sono considerati tra i più influenti al mondo. A ulteriore dimostrazione di ciò, la classifica degli under40 più potenti stilata da Fortune: il podio è tutto appannaggio dell’hi-tech digitale.

In testa alla graduatoria si trova Marissa Meyer, classe 1975, che in un anno è riuscita nella non facile impresa di resuscitare il fascino (e soprattutto i conti) di un colosso come Yahoo!, con 22 acquisizioni e innovazioni sparse. Prima di lei, la compagnia aveva vissuto un quinquennio di oblio, dopo i fasti degli albori della net economy

Alle sue spalle, il duo dei social network: Jack Dorsey, nato nel 1976 e ceo di Twitter, e Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook e decisamente il più giovane del lotto, con i suoi 29 anni. Il primo prepara l’arrivo a Wall Street della sua creatura, che conta sempre più utenti e ha rivoluzionato l’informazione online, il secondo si gode la sua creatura, ormai diffusa ovunque e usata da chiunque. I tre prodigi dell’informatica e della tecnica guidano una realtà sempre più web dipendente: il potere, oggi, è internet.

Via Quo Media

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Di Gianluigi Zarantonello (del 23/09/2013 @ 09:00:00, in Internet, linkato 1796 volte)

Ormai sono passati diversi giorni dalla fine delle vacanze e, visto che quest’anno non ho scritto nulla per congedarmi prima della pausa, torno ora con una riflessione che parte dal personale per poi andare di nuovo alla strategia e al contesto.

Non posso dire di non essermi riposato, ho passato un bel periodo al mare in piu località mentre tanta gente non è andata magari nemmeno un giorno in ferie.
Mi ha fatto molto bene, ne avevo bisogno, e ho anche osservato un po’ che cosa succedeva intorno, in senso fisico e virtuale.

20130903-225712.jpgimmagine tratta da MyTech Panorama

Quel che ho notato, da persona abituata da almeno 7-8 anni ad avere sempre al seguito dei dispositivi per connessione mobile, che quest’anno tante persone erano collegate per motivi di svago ma inevitabilmente anche di lavoro, tanto che a ogni out of office automatico seguiva quasi subito una risposta personale.
Quasi tutti i giorni del mio periodo di ferie, compresi weekend, un sintomo che è sempre più difficile staccare.

Ho però notato anche che grazie all’essere sempre connessi ho scovato posti interessanti nei dintorni dove mangiare, ho trovato velocemente servizi che mi potevano servire in loco, insomma potenziato la mia esperienza di vita in quei contesti, senza dimenticare la maggiore costanza dei contatti con amici e persone care anche dall’estero. Tutto questo più che altri anni grazie al migliorare di certi strumenti e alla loro maggiore diffusione.

20130903-223015.jpgimmagine tratta da http://blog.tagliaerbe.com

Questi due concetti, l’incapacità (impossibilità mi pare ancora troppo) di staccare e insiemel’opportunità di migliorare l’esperienza contestuale durante la vacanza mi hanno dunque fatto riflettere sul rapporto che noi abbiamo con la tecnologia che ci tiene connessi, che alla fine è unostrumento che può essere riempito da ciò che noi vogliamo metterci.
I Social media ad esempio non sono altro che un contesto vuoto dove la gente mette del proprio, ma anche il pioniere dell’interfaccia grafica e del mouse Douglas Engelbart quando creò le basi per quella rivoluzione pensava che la gente avrebbe preferito usare la potenza di elaborazione dei computer per…farci ciò che voleva, al di là delle righe di comando testuali.
Il problema certo è che oggi siamo esposti a una quantità di stimoli interattivi che cresce in modo spaventoso e ci segue dovunque, vanificando talvolta l’opportunità di sganciarci solo perché “non c’è rete internet e non mi porto il computer”.

E qui allora entra in gioco il tema strategico e aziendale: essere rilevanti.

Lo ha scritto, per l’ennesima volta, pochi giorni fa Brian Solis, dicendo che non bisogna cadere nella trappola della tecnologia in quanto tale (un mezzo) perdendo di vista il modo in cui possiamo essere davvero interessanti, utili, diversi dagli altri.

20130903-223710.jpgimmagine tratta da http://bordiniuc.com/

Perché nel pieno delle mie conversazioni con gli amici dovrei dare ascolto a quanto scrive un brand su di un social?
Perché nella selva delle mie app sullo smartphone devo aprire proprio la tua?
E soprattutto, se domani il social su cui passo le mie ore passa di moda, tu, brand, hai investito per tenermi con te di là del mero singolo strumento utilizzato? Quanto sai davvero di me? Quanto sai interagire nel contesto in cui mi trovo, ossia il famoso so.lo.mo.
I momenti vuoti in cui l’attenzione e le energie cognitive sono libere scarseggiano sempre di più, tanto che c’è chi guardando la gente alle fermate dei mezzi pubblici intente a smanettare ciascuno sul suo smartphone parla dell’avvento di un mondo di introversi.

Per tutti questi motivi, occorre una comprensione sempre più profonda dei mezzi tecnologici e una capacità insieme di pensarli in una chiave che permetta di generare, se non benessere, almeno utilità e coinvolgimento al nostro famoso “target” (ne abbiamo davvero uno solo?) che li usa.
È una questione di rispetto, una grande opportunità, una sfida difficile (anche sul piano organizzativo).

Voi che ne pensate?

Gianluigi Zarantonello via InternetManagerBlog

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Di Altri Autori (del 23/09/2013 @ 07:53:38, in Social Networks, linkato 1822 volte)

L’Italia è più social degli USA. Lo rivela una ricerca che LiveXtension ha effettuato intersecando i dati offerti dal report Pew Research 2013 (aprile-maggio) a quelli del rapporto

Audiweb del giugno 2013. Il 75% della popolazione italiana connessa fa uso delle reti sociali contro il 72% di quella americana; tutto ciò non deve stupire più di tanto: che gli italiani fossero primi al mondo per frequentazioni di social network è ormai risaputo, Nielsen lo ha già evidenziato alla fine del 2011.

La parte interessante del rapporto LiveXtension riguarda gli utenti di età compresa tra i 50 e i 64 anni di età i quali, in Italia, sono avvezzi all’uso del social networking in ragione del 75% contro il 60% degli americani. Differenza di tutto rispetto che, benché con diversa ratio, si applica anche agli “over 64”: in questo spettro di età gli italiani attivi sono il 60% contro il 43% dei coetanei statunitensi.

I dati sono interessanti ma non giustificano entusiasmi: offrono la conferma che i social network sono ormai un fenomeno di massa anche alle nostre latitudini ma non hanno nulla a che vedere con il diffondersi della cultura digitale la quale, al netto delle difficoltà oggettive quali il digital divide, in Italia resta ancora al palo.

Come a dire che possiamo estrarre la bottiglia dal frigorifero ma che è ancora presto per stapparla.

Via IlSole24Ore.com

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Di Altri Autori (del 23/09/2013 @ 07:01:16, in Internet, linkato 1866 volte)

Ecosistema è assolutamente la parola chiave del business presente e futuro, e non solo dal punto di vista tecnologico ma anche strategico.

La fusione Nokia e Microsoft è un emblema di questi nuovi paradigmi, un matrimonio tra chi (Nokia) non ha capito che il software oggi vale quanto l’hardware e chi (Microsoft) è leader nel software ma non ha capito per tempo l’importanza di portarlo sui dispositivi mobili.

App-Store

L’ecosistema per eccellenza: l’app store (foto tratta da http://www.ispazio.net/)

Ecosistema vuol dire anche migrare il proprio business di venditori di contenuti su di un device proprio (Amazon con Kindle Fire), creare un unico accesso a infiniti servizi (per la maggior partegratis) attraverso ogni dispositivo (Google) o creare un mondo chiuso di hardware/software/contenuti (Apple). Fino a far gridare alla “morte del web“.

Ma che cosa dovrebbe significare tutto questo per chi non nasce come azienda ad alta tecnologia? Significa, a mio avviso, capire dove si genera valore per il cliente e cercare di portare tale patrimonio dovunque sia necessario in termini tecnologici e strategici, senza rimanere agganciati ai propri schemi, anche quando si è leader. L’esempio perfetto? Blockbuster nei confronti di Netflix, ossia come scambiare il core business (vendere intrattenimento) con il modo in cui farlo (negozi fisici e videocassette). E perdere tutta la leadership in pochissimo tempo.

Un altro campione dell'ecosistema: Google (foto http://3.bp.blogspot.com/)

Un altro campione dell’ecosistema: Google (foto http://3.bp.blogspot.com/)

Quale può essere dunque la ricetta perfetta? Difficile a dirsi in poche parole ed in modo valido per tutti, ma di sicuro si deve:

1) capire se ciò che i nostri clienti vogliono (davvero) è sempre valido e se non ci sono concorrenti di tutt’altro settore che potrebbero entrare in questo business, senza sentirsi inattaccabili solo perché oggi leader.
Le forze di Porter sono cambiate alla voce barriere all’ingresso, anche perché qualche volta non serve nemmeno entrare quanto creare invece un nuovo mercato.

2) capire quale/quali tecnologie possono essere la nuova frontierascegliendo quelle giuste e non quelle “alla moda”

3) usare le tecnologie in modo da non essere troppo dipendenti da alcuna di esse, domani potrebbero tramontare in modo repentino e dobbiamo essere attrezzati a portare il nostro valore e la nostra rilevanza su nuove situazioni senza essere schiavi di niente e nessuno

4) costruire i propri contenuti e gestire i propri dati (compresi quelli dei clienti) in prima persona e in modo quanto più liquido possibile, ossia in grado di poter essere adattati entrambi alle nuove sfide e tecnologie che arriveranno

5) vedere online e offline, digitale e fisico come pezzi di un unico puzzle, non come due mondi rigidamente separati, e agire di conseguenza anche sul piano organizzativo e della cultura aziendale.

Io trovo impressionante come negli ultimi due anni questi temi, che in realtà sono validi da molto più tempo, siano diventati urgenti, critici e allo stesso tempo ancora poco chiari alle aziende di ogni ordine e dimensione.
L’opportunità che hanno i manager è enorme, tanto quanto è pesante la responsabilità di cogliere o meno il cambiamento, che può essere fatale in caso negativo, anche per il più forte player, di qualsiasi settore.

Voi che cosa ne pensate?

Gianluigi Zarantonello via InternetManagerBlog

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Di Altri Autori (del 18/09/2013 @ 07:44:26, in Internet, linkato 2249 volte)

Sette consumatori online su dieci ( 71 % ), in 24 diversi paesi nel mondo, hanno riferito che nel mese scorso hanno condiviso contenuti su piattaforme di social media, mentre tre su dieci (29%) ha indicato di non aver condiviso nulla. I dati sono il risultato di una nuova indagine su 18.150 intervistati condotta da Ipsos OTX.

I contenuti maggiormente condivisi sono le foto: 4 utenti su 10 (43%), infatti, hanno indicato di aver postato e condiviso foto sui propri profili o su quelli di altri. I contenuti che seguono sono: “proprie opinioni” nel 26% dei casi, “aggiornamenti di stato” (26%), “link ad articoli” (26%), “raccomandazioni su prodotti” come film, servizi, libri (26%), “notizie” (22%), “link ad altri siti” (21%), “risposte ai post di altre persone” (21%), “video” (17%).

Tra i consumatori online, quelli dalla Turchia (93 %) sono quelli che hanno indicato una maggiore propensione alla condivisione di contenuti su piattaforme social durante lo scorso mese, seguiti da: Messico (89 %), Brasile (88 %), India (88 %), Indonesia (88 %), Argentina (86 %), Sud Africa (86 %) e la Cina (85 %). L’Italia si posiziona in alto, facendo registrare un tasso di condivisione social pari al 71%, addirittura più alto di quello registrato negli Stati Uniti che si attesta al 60%.

Per quanto riguarda i dati demografici, le medie globali hanno indicato che quelli sotto i 35 anni (81 %) hanno più probabilità di condividere qualsiasi tipo di contenuto su siti di social media , in particolare se confrontati con quelli di età 35-49 (69 %) e quelli dai 50 ai 64 anni (55 %). Le donne (74 %) sembrano più propense degli uomini (69 %) nel condividere contenuti, mentre quelli con un elevato livello di istruzione (74 %) condividono maggiormente rispetto a chi ha un livello scolastico medio-basso (70 %).

Via Tech Economy

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Di Altri Autori (del 17/09/2013 @ 07:06:36, in Internet, linkato 2079 volte)

Il 98% di chi acquista prodotti di lusso in Italia accede quotidianamente a internet e utilizza più di tre dispositivi, ad esempio computer desktop o portatili, smartphone e tablet. Il 74% consulta invece una fonte sul web prima di decidere l’acquisto di un bene, mentre il 65% si affida ai motori di ricerca.

Sono questi alcuni dei dati che emergono da una ricerca condotta da Google in collaborazione con Ipsos. Dal rapporto L’acquisto di beni di lusso in Italia emerge chiaramente la fiducia riposta nella rete: ci si affida a siti e sistemi per la comparazione dei prezzi ancor prima che mettere le mani su un determinato prodotto in negozio. Il campione analizzato è composto da circa 400 persone proveniente da diversi ogni paese, con un’età compresa tra i 25 e i 65 anni. Due soltanto i parametri di cui si è tenuto conto nella scelta di chi intervistare: un reddito familiare superiore ai 100mila dollari e un acquisto recente con un valore di almeno 2.500 dollari.

In Italia comprano beni di lusso sia uomini che donne, soprattutto nella fascia 30-50 anni, con una situazione finanziaria realizzata autonomamente e una forte propensione per il digitale. Il 75% di questo campione possiede uno smartphone, il 61% un tablet e quasi il 100% un computer, fisso o portatile. Il totale è dunque di 3,4 dispositivi a testa, contro una media nazionale che di due device a persona. Abbigliamento e accessori sono la categoria più ricercata e desiderata preferiti a orologi e gioielli.

Via Quo Media

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Di Altri Autori (del 12/09/2013 @ 07:00:39, in Internet, linkato 1689 volte)

Sono stati ben 27 milioni, secondo Audiweb, gli utenti che a luglio 2013 si sono connessi online da pc. Stando ai dati rilevati nel giorno medio si sono connessi circa 12,8 milioni di utenti per una durata media online di circa 1h e 17minuti.
Se si guarda all’aspetto anagrafico poi, si nota come le fasce più giovani continuino ad essere le meno rappresentate. In particolare, rispetto al giorno medio, i giovani compresi nella fascia di età che va dai 18 ai 24 anni rappresentano soltanto il 10% degli utenti online; invece, quelli nella fascia tra i 25 ed i 34 anni rappresentano il 19% degli utenti connessi nel giorno medio.

C’è da dire però, che i giovani hanno tempi di permanenza in rete (e livelli di consumo) più alti rispetto ai più adulti: nel giorno medio i giovani nella fascia 18-24 anni navigano da pc per circa 1h e 32minuti, consultando 143 pagine a persona. Nella fascia 25-34, invece, passano 1h e 26minuti online con 135 pagine viste.
Se si guarda alla fruizione di contenuti video, si rilevano nel mese di luglio 5,4 milioni di utenti che hanno visualizzato almeno un contenuto video online. Le stream views totali sono state 52,2 milioni, ciò comporta un tempo speso a persona nella fruizione di contenuti video pari a 32minuti e 41secondi. Nel giorno medio, hanno visualizzato un video online 655mila utenti: si sono raggiunti gli 1,7 milioni di stream views totali, e ciascun utente nel giorno medio ha fruito contenuti video per 8minuti e 39secondi.

Se si guarda poi ai dati di genere, si nota che la percentuale di uomini connessi da pc è stata superiore a quella delle donne, ma entrambi i generi presentano leggeri tassi di presenza online superiori nelle fasce più giovani.
Infatti, dei 12,8 milioni di utenti connessi nel giorno medio, gli uomini sono stati circa 7milioni mentre le donne 5,7milioni.Tra i 7milioni di uomini, il 36,7% è di età compresa tra i 25 ed i 34 anni, mentre il 35,6% rientra nella fascia tra i 35 ed i 54 anni. Sono simili le percentuali anche per le donne, dove la fascia di età 25-34 rappresenta il 32,4% delle donne online, mentre la fascia di età 35-54 rappresenta il 32%.

Via Tech Economy

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Di Altri Autori (del 11/09/2013 @ 07:15:22, in Aziende, linkato 1626 volte)

Twitter ha acquisito MoPub, compagnia specializzata nella pubblicità su dispositivi mobili, per 350 milioni di euro. Si tratta dell’affare più costoso mai portato a termine dal micro-blog, che ora punta a sviluppare un sistema adv che permetta di raggiungere i clienti in tempo reale.

Il passo successivo sarà, con ogni probabilità, la creazione di un servizio di e-commerce ‘live’ che permetta agli utenti di acquistare prodotti riguardanti un evento o trending topic commentato via Twitter, direttamente cliccando sull’annuncio.

L’acquisizione di MoPub è utile anche a rafforzare la piattaforma di vendite di Twitter, in attesa della quotazione in Borsa che dovrebbe avvenire entro la prima metà del 2014.

Via Quo Media

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