Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il 2013 e’ stato per molti un anno di conferme. Poche sono state le realtà che hanno veramente sconvolto il mondo del digital, mentre le molte acquisizioni da parte dei giganti del web ci hanno fatto immaginare che il 2013 fosse anche un anno di tanti nuovi inizi e trend che troveranno poi conferma nel 2014. Per quanto mi riguarda, ho passato gli ultimi mesi del 2013 ad analizzare i trend digitali per TechEconomy e vorrei ora tirare le somme di quello che è stato l’anno appena concluso per gli italiani online in quanto utenti, ma anche consumatori. Per farlo guarderò ai dati paragonando gli ultimi quarti del 2012 e del 2013 per evitare di includere fenomeni dovuti alla stagionalità.
Siamo invecchiati un po’! E’ vero che la popolazione italiana fa fatica a ringiovanirsi in generale ma, soprattutto online, sembra che ci sia stata un’emorragia tra i più giovani che pare abbiano perso l’interesse per la rete. Il segmento di popolazione tra i 16-24 anni è calato notevolmente in percentuale relativa rispetto allo scorso anno, passando dal 23% al 19%. Per la prima volta, il quarto trimestre del 2013 ha visto un calo piuttosto consistente anche nel numero assoluto di giovani online, mentre sono in deciso aumento degli utenti compresi nella fascia di età 35-44. Sembra, quindi, esserci un maggiore interessamento nella rete da parte di coloro che inizialmente l’avevano trascurata, come anche da parte degli utenti over 50. Inoltre l’avvento del mobile/tablet ha reso ancora più intuitivo e flessibile l’utilizzo dei device di accesso, chiudendo gradualmente quel divide che si frapponeva tra chi sapeva maneggiare gli strumenti di accesso e chi no. Inoltre Internet è diventato sempre più uno strumento in mano ai professionisti di ogni ambito lavorativo riuscendo a penetrare anche tra quegli ambienti che erano inizialmente restii alla sua adozione.
Age breakdown1
Siamo un po’ meno social! Puoò sembrare sorprendente, me ne rendo conto. Vediamo gente ad ogni angolo della strada e di tutte le età ormai aggiornare i propri status su Facebook, o Twittare o Instagrammare etc. Ma il trend non cresce piu come prima. Sono ora il 67% degli utenti internet in Italia, quelli che affermano di aver aggiornato i loro profili Social almeno una volta nell’ultimo mese, nonostante sia ben il 92% degli utenti ad avere un account su almeno una piattaforma social. Sembra quindi che siamo arrivati a un punto di fondamentale saturazione. Facebook ha visto il numero di utenti attivi crollare rispetto all’anno scorso (GlobalWebIndex – Sondaggi svolti su popolazione Internet italiana 16-64), rispecchiando quel trend che ha investito quasi tutti gli early adopter nel mondo. Sicuramente un segnale significativo ma anche fisiologico, dato il proliferare di piattaforme concorrenti. Alcuni ricercatori hanno anche individuato negli andamenti dei trend di Facebook, dei pattern molto simili a quelli di una malattia infettiva prevedendone l’estinzione a breve. Conclusione sicuramente avventata, Facebook non si estinguerà a breve, ma ha semplicemente subito un calo che provocherà non pochi grattacapi, ma che, ripeto, è da considerarsi assolutamente fisiologico. Anche Twitter e Google Plus e non sembrano passarsela benissimo e, al momento, non sembra esserci una nuova piattaforma capace di trainare più persone di quelle che ci siano nel fantastico mondo dei social. Certo che se riuscissimo a colmare il digital divide con gli altri paesi europei (attualmente l’Italia è 50esima nel mondo, dietro le Barbados), forse le cose cambierebbero, ma non ne sono così convinto. I trend in tutto il mondo occidentale dimostrano che i social media hanno già raggiunto un picco che difficilmente verrà superato negli anni. Il mobile certo è in crescita, ma all’aumentare della penetrazione di dispositivi mobili, le percentuali di utenti che postano sui social non e’ aumentata significativamente. Come a dire che chi utilizza compulsivamente i social da mobile è probabilmente la stessa persona che lo faceva prima dal pc. Solo che ora può farlo ovunque e in qualsiasi momento.
Social media active user
Siamo più “mobile” E di molto, anche! Siamo passati dal 45% degli utenti totali al 59%, per quanto riguarda gli smartphone, e dal 16% al 29% per i tablet. Rispettivamente da 9.66 a 12.69 milioni e da 3.52 a 5.82 milioni dall’ultimo trimestre del 2012 all’ultimo del 2013, mentre calano gli utenti che prediligono il PC per accedere alla rete. Un dato su tutti dovrebbe farci capire la portata del fenomeno: il 74% dei ragazzi tra i 16 e i 24 anni ora accede alla rete tramite smartphone. Se e’ vero quindi che sono meno i giovani che utilizzano la rete rispetto ad un anno fa, sono invece aumentati moltissimo quelli che lo fanno tramite mobile. Come dire che chi non ha uno smartphone, tra i giovanissimi, utilizza meno la rete rispetto a chi invece ha un punto di accesso piu diretto e personale.
La rivoluzione mobile è iniziata da tempo in Italia, ma mai come nel 2013 questo fenomeno ha preso piede. E siamo ancora lontani dai livelli di saturazione. Come a dire che toccherà proprio ai nuovi dispositivi colmare quel digital divide di cui parlavo sopra. Dispositivi che utilizziamo soprattutto per guardare video e caricare foto, ma che rispetto al 2012 usiamo di più per l’internet banking e per acquistare prodotti online (vedi mio precedente articolo sull’andamento dell’e-commerce in Italia), ma meno….per telefonare e mandare sms.
In generale il 2013 ha visto la rete giocare ancora di più una parte fondamentale nella vita di oltre 17 milioni di italiani che la utilizzano attivamente, sia per socializzare che per divertimento, ma sempre di più anche per fare affari. Sebbene i social media abbiano raggiunto quasi la saturazione, il calo e’ stato in parte bilanciato dalla forte e costante crescita del mobile. Ad esempio utilizziamo molto di piu gli smarthpone e i tablet in congiunzione con la televisione come second screen, limitando gli effetti di isolamento di cui il mezzo televisivo è sempre stato accusato. Sono i dispositivi mobile che assumono sempre di piu il ruolo di Personal Computer, inteso come strumento di accesso prediletto alla rete e quindi personale, non condiviso. Il ruolo del vecchio PC fisso o laptop sta gradualmente tornando ad essere quello di strumento di lavoro mentre per l’intrattenimento, le attività social e l’utilizzo domestico, ci affidiamo al nostro vero strumento personale, lo smartphone, ponendoci di fronte alla necessita’ di ridefinire gli argomenti della discussione.
Non c’è dubbio, quindi, che il web abbia sconvolto la maniera in cui viviamo la vita di tutti i giorni e che il 2013 sia stato la conferma dei trend che avevamo visto l’anno precedente, con la sola eccezione del fatto che nessuno si sarebbe aspettato la saturazione dei social media già dopo soli 7 anni dal boom di Facebook in Italia.
Le previsioni per il 2014 sono un po’ ovunque, a voi scegliere la più interessante ed accurata. Dal canto mio spero, piuttosto, che in Italia riusciremo a fare un utilizzo più maturo della rete arrivando finalmente a comprenderne le potenzialità sia per l’intrattenimento (canali streaming), che per il business (e-commerce / m-commerce), che per l’informazione (pluralismo / filtro delle informazioni). Se la politica deciderà di intervenire, come è previsto, per attuare le modifiche normative necessarie ad un evoluzione del sistema allora il 2014 potrà davvero essere l’anno della maturità.
Via Tech Economy
Ci sono diversi tipi di strumenti e di tecnologie che hanno cambiato il modo di lavorare e di vivere:Internet prima di tutto, poi i social media, gli smartphone, la cloud e molto altro. In tutti questi casi parliamo, giustamente, di rivoluzioni digitali perché il loro effetto è stato dirompente.
Fonte Brian Solis
Spesso però i dati sono contraddittori e le attese (soprattutto delle aziende) sono deluse: i social media sono visti in modo altalenante, sono svariati anni che si attende “l’anno del mobile“, le logiche collaborative corporate sono piuttosto all’inizio e le stesse professioni digital sono da alcuni esaltate e da altri viste come fuffa di passaggio.
In realtà, secondo me, i fatti sono un po’ più complessi: in tutte le rivoluzioni, come ricorda ancheGianni Riotta nel suo recente libro su Internet, il cambiamento è più lento e in parte imprevedibile nei suoi esiti e chi cerca di vedere solo fenomeni eclatanti o di seguire l’ultima grande moda rischia la delusione.
Prendiamo il mobile: in molti si affannano a realizzare applicazioni da valore aggiunto limitato e ci si focalizza spesso su tecnologie “wow” ma ancora poco facili da usare, come la realtà aumentata. Nella maggior parte dei casi i ritorni sono modesti e la verità è che invece la navigazione su Internet su cellulare è accessibile da anni ma solo progressivamente la gente ha cominciato a usarla, premiando chi ha lavorato sui siti mobile ready, ossia alla prosecuzione naturale del servizio offerto già in precedenza con le pagine web su desktop, o chi ha pensato applicazioni che davvero danno un beneficio a chi le usa.
Lo stesso discorso vale per la penetrazione dei social network, che come ho scritto in passato parte da lontano e da una serie di fattori che solo ad un certo punto diventano così chiari da creare l’hype mediatico. Anche qui però gli utilizzi da parte delle aziende sono poco efficaci perché agiscono sulla parte più spettacolare e visibile del processo, e non sul misurare quelle correnti profondedove però sta il valore.
Ed è proprio al valore che occorre guardare in un’epoca che Brian Solis definisce ”digital Darwinism, a time when technology and society are evolving faster than the ability of many organizations to adapt. It is for this reason (along with a myriad of other problems of course) that in fact killed Borders, Blockbuster, Polaroid and the like.”
Fonte Brian Solis via Flickr
Per questo ogni progetto di marketing (che ormai è per forza digital) deve oggi guardare più in profondità, leggere nelle pieghe dei numeri, capire davvero i clienti e non essere solo cosmetico. Ciò richiede un’attenta capacità di ascolto e, alla fine, si deve tornare a guardare a quelli che sono ibisogni che le persone soddisfano con ciò che ogni azienda offre.
In questo il digital è una leva fondamentale ma non basta da solo se non si parte dalla prima domanda:perché stiamo facendo questo e quale è il significato profondo del nostro proporre prodotti e servizi al mercato?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Facebook ha avviato la sperimentazione del suo nuovo sistema di raccolta pubblicitaria, ispirato ad AdSense di Google, vero e proprio dominatore dell’ad online. Il servizio, come quello del motore di ricerca, legherà inserzionisti-partner alle app mobili, dando informazioni a tutto tondo sui like, così da migliorare la qualità del messaggio pubblicitario.
L’idea di Menlo Park è quella di rafforzare il rapporto con gli inserzionisti, rendendo Facebook ancora più appetibile, grazie all’interrelazione più stretta con i dispositivi mobili e i milioni di utenti che quotidianamente ne fanno uso (e hanno un account sul social network).
Il sistema coinvolge infatti gli investitori, ma anche gli sviluppatori delle applicazioni per iOs, Android e Windows Phone, nel tentativo di costruire un circolo virtuoso in cui ai pubblicitari verranno date informazioni sempre più precise, complete e live riguardanti gli utenti e le loro attività, stimolando così gli investimenti adv, che arricchiranno Facebook (in gran parte) e chi programma le app. L’implementazione degli annunci sarà automatica e agirà sul sito quanto sulle applicazioni mobili di terzi.
La piattaforma, una volta lanciata in maniera ufficiale, andrà a infastidire quella di Google sul sistema operativo Android: Facebook può infatti contare su decine di inserzionisti pronti a popolare di spot le app più celebri che agiscono in simbiosi con il social network (come Candy Crush), insidiando lo strapotere del motore di ricerca sui suoi stessi prodotti. L’evoluzione del social parte dal (vecchio) mantra pubblicitario.
Via Quo Media
A dispetto delle funeste previsioni di due studiosi della University in America che la danno “morente” entro tre anni, Facebook gode di ottima salute. A rivelarlo è il Social Summary diffuso da GlobalWebIndex sui dati di adozione e uso dei social media in più di 30 mercati globali.
Stando ai numeri rilevati da GWI, Facebook è ancora ampiamente dominante senza ovviamente ignorare il fatto che anche altre reti sono in aumento. Il social di Zuckerberg rimane il numero uno in cima alla lista per numero di account (83 %), per uso attivo (49%) e per frequenza delle visite, con il 56 % degli utenti che accede sulla piattaforma più di una volta al giorno. Certo è che il sito continua a registrare diminuzioni nei livelli di uso attivo, ma è una diminuzione, spiegano da GWI, che nella seconda metà del 2013 (-3 %) è stata notevolmente esagerata in alcuni rapporti, visto che è ancora molto popolare tra tutti i gruppi demografici e ci sono in effetti stati aumenti nelle dimensioni del pubblico grazie alla sua app.
Alcuni degli altri principali attori registrati piccolo un modesto incremento tra il Q2 e Q4 – tra cui Google+ (+6 %) , LinkedIn (+9 %) e Twitter ( +2 % ) – ma i più grandi aumenti nel numero di utenti attivi sono avvenuti in reti più recenti o meno consolidate di Facebook. Ne sono esempio Instagram (+23 %) e Reddit (+13 %).
Via Tech Economy
Autunno interminabile per il mercato pubblicitario nazionale. Secondo i dati raccolti da Nielsen, il settore ha perso il 7,2% (su base annua) durante lo scorso mese di novembre, con proiezioni arrivate al -12,5% per il 2013. Il capitale complessivo disperso, rispetto al 2012, è stato di 870 milioni di euro.
A soffrire maggiormente è stata la carta stampata, che ha registrato un -20% degli investimenti sui quotidiani e un -24,2% sui periodici. Male anche tv (-11%) e radio (-9,5%). Inciampa anche internet, che ha perso per strada il 2,3% della raccolta pubblicitaria a novembre.
In questo panorama desolante, la notizia positiva è la riduzione del decremento rispetto al mese di ottobre, che già aveva diminuito l’emorragia rispetto a settembre. “Si va delineando una chiusura dell’anno vicino a quel -12,5% previsto da più parti nei mesi scorsi, migliorando il -14,3% con cui si era chiuso il 2012”, dice Alberto Dal Sasso, advertising information services business director di Nielsen.
Il lento ricovero del mercato pubblicitario continua: la ripresa è fiaccata dal perdurare della crisi internazionale, anche se il 2014, con l’avvicinarsi di Expo, i Mondiali di calcio e le Olimpiadi invernali, potrebbe fornire spunti per un futuro rilancio.
Via Quo Media
In un futuro forse non troppo lontano Amazon sarà in grado di spedire i pacchi con gli ordini dei clienti ancora prima che questi abbiamo effettuato l’acquisto. E’ questo l’oggetto di un nuovo brevetto rilasciato al colosso dell’e-commerce secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, un brevetto che consente il cosiddetto “anticipatory shipping”: Amazon sarà in grado di prevedere i prodotti che probabilmente saranno acquistati da determinati clienti, e “sposterà” tali prodotti verso i centri di spedizioni loro più vicini. Con grande vantaggio, ovviamente, per i tempi di spedizione e consegna che sarebbero ulteriormente ridotti.
Ma come Amazon riuscirà a farlo? Secondo il Wsj, Amazon studierà l’imponente di mole di dati sui suoi utenti per poi utilizzarli in modo predittivo. Ordini passati, ricerche su Internet, il contenuto dei carrelli, la tipologia di merce restituita e, forse, anche il tempo che il cursore del mouse trascorre su determinati articoli, a dimostrazione dell’interesse verso quel particolare oggetto, saranno scandagliati e verificati al fine di estrarne modelli di comportamento d’acquisto.
Secondo quanto scritto nel brevetto, Amazon potrà persino compilare parzialmente indirizzi stradali o codici di avviamento postale, nella marcia di avvicinamento al cliente, e poi completare l’ etichetta in transito. Amazon sostiene che il metodo di trasporto predittivo potrebbe funzionare particolarmente bene per un libro popolare o altri oggetti che i clienti vogliono il giorno in cui vengono rilasciati. Ma è anche plausibile che Amazon potrebbe suggerire prodotti già in transito verso i clienti per assicurare che essi siano consegnati effettivamente.
La consegna preventiva va ad aggiungersi ad altre iniziative con cui Jeff Bezos sta attirando l’attenzione di mezzo mondo. A dicembre ha annunciato il testing di Amazon Prime Air, un servizio di consegna pacchi con droni, che aveva subito suscitato reazioni contrastanti.
Via Tech Economy
I consumatori sono disposti a condividere i propri dati personali con i rivenditori, soprattutto se ricevono qualcosa in cambio. A rivelarlo un nuovo studio di IBM, condotto su oltre 30.000 consumatori a livello mondiale e pubblicato in occasione dell’edizione 2014 della National Retail Federation.
La percentuale di consumatori disposti a condividere la loro posizione con i rivenditori via GPS, ad esempio, è quasi raddoppiata anno su anno, toccando il 36%. Il 32% dei consumatori condividerebbe i propri dati “social” con i rivenditori e il 22% fornirebbe il proprio numero di cellulare allo scopo di ricevere sms. Questo perchè “Il consumatore è abituato ormai in molti settori – dall’assistenza sanitaria ai viaggi – a ricevere interazioni personalizzate attraverso diversi canali”, spiega Jill Puleri, IBM Retail Global Industry Leader. “Lo studio IBM dimostra che i consumatori sono disposti a condividere i dati che li riguardano, in particolare se ricevono in cambio un’esperienza personalizzata. È indispensabile che i rivenditori mettano in atto una strategia Big Data e l’analytics in grado di assicurare un saggio utilizzo delle informazioni dei consumatori, che consenta di conquistane la fiducia ed in cambio permetta di fornire loro dei vantaggi”.
showroomingIbm spiega che anche se le vendite omnicanale, ovvero la prassi di fornire ai consumatori un’esperienza connessa e personalizzata attraverso i canali online, il mobile commerce e il negozio tradizionale, sono l’obiettivo dichiarato di quasi ogni rivenditore, i consumatori non le richiedono in sé e per sé. Si aspettano semplicemente la possibilità di utilizzare la tecnologia in tutti gli aspetti della loro vita, incluso il modo di fare shopping. Lo studio, infatti, ha riscontrato che le cinque funzionalità più importanti per i consumatori sono: la coerenza dei prezzi tra i vari canali di shopping, la possibilità di ricevere direttamente a casa propria gli articoli esauriti in negozio, la possibilità di monitorare lo stato di un ordine, l’assortimento di prodotti coerente tra i vari canali e, infine, la possibilità di restituire gli acquisti online in negozio.
Lo studio IBM ha rilevato che i consumatori rientrano in quattro gruppi diversi, che si distinguono per il loro interesse e utilizzo delle tecnologie social, di localizzazione e mobile durante lo shopping. Il 19% dei consumatori intervistati resta indietro rispetto alla maggioranza della popolazione quando si tratta di utilizzare la tecnologia per fare acquisti. Un altro 40% di acquirenti si serve delle tecnologie social, di localizzazione e mobile per raccogliere le informazioni, ma tende a non utilizzarle per l’acquisto dei prodotti. Il 29% utilizza le tecnologie social, di localizzazione e mobile molto più diffusamente, dalla ricerca dei prodotti all’ordinazione delle merci. Il 12% dei consumatori intervistati rientra nella categoria degli “apripista”, ossia coloro che usano queste tecnologie tra vari canali e scelgono il rivenditore che offre questa possibilità.
E i dati di vendita confermano la tendenza crescente verso gli acquisti online. Nel 2013 l’84% degli acquirenti intervistati da IBM aveva scelto il negozio per il suo più recente acquisto, se si esclude la comune spesa alimentare. Quest’anno, la cifra è scesa al 72%. In altre parole lo “showrooming”, ossia l’abitudine di vedere e provare gli articoli in negozio ma di acquistarli poi via web, non è alla base di questa crescita delle vendite online. Anche se un maggior numero di intervistati ha fatto “showrooming” quest’anno (l’8% rispetto al 6% dello scorso anno), solo il 30% di tutti gli acquisti online è stato effettivamente frutto di tale pratica – con un calo di quasi il 50% rispetto allo scorso anno. Il 70% degli acquisti online è stato effettuato da persone che si sono rivolte direttamente al web.
Via Tech Economy
L’utilizzo dei social media da parte dei giornalisti, come fonte e mezzo per il loro lavoro, è ormai pratica diffusa e quotidiana. Secondo Il Network internazionale dei giornalisti, le applicazioni 2.0 più sfruttate dai reporter di tutto il mondo sono cinque.
Innanzitutto, RebelMouse, un aggregatore di social network che, attraverso l’inserimento di parole chiave, permette di fare ricerche incrociate su Twitter, Facebook, Instagram, YouTube, Google+, LinkedIn e Tumblr. Testate celebri come The Guardian e Al Jazeera hanno dedicato un angolo dei loro siti web ai risultati più interessanti dati dall’utilizzo di RebelMouse. Ottimi riscontri anche per Storyful Multisearch, che offre funzionalità simili e permette di ricevere una scheda diversa per ogni contenuto ricercato, a seconda dei diversi social da cui proviene (Facebook però non è supportato).
Geofeedia si concentra invece sui commenti in diretta, ovvero a evento in corso e a notizia calda, raccogliendo i post su Fb, i tweet, i video volanti di YouTube e le foto apparse su Flickr, localizzando l’origine del materiale (grazie a servizi come Foursquare). Si chiude con Topsy, che permette di setacciare tutti, ma proprio tutti, i messaggi postati su Twitter dalla sua fondazione a oggi, classificandoli secondo contenuto, numero di re-tweet e altro ancora.
Oltre a modificare sensibilmente la distribuzione dei contenuti giornalistici, i social media hanno così radicalmente cambiato le tecniche di una professione che non può fare a meno dell’interattività e della compartecipazione del web.
Via Quo Media
Si chiama Jelly ed è il primo social network del 2014. L'ha creato il co-fondatore di Twitter, Biz Stone insieme a Ben Finkel e si pone l'obiettivo di rendere più efficaci e divertenti le ricerche in rete: basta scattare una fotografia di qualcosa che ci incuriosisce, scrivere una domanda al posto della didascalia e attendere la risposta dalla nostra cerchia di amici o dai loro contatti.
L'applicazione è disponibile sia su Google Play che sull'App Store. Dopo un anno di rodaggio, ne ha dato notizia lo stesso Stone, amministratore delegato della startup, in un post sul blog di Jelly. L'app ha l'ambizione di porsi come un'alternativa più umana al motore di ricerca di Google, perché al posto del freddo algoritmo di Mountain View sfrutta la conoscenza diretta delle persone tramite Twitter e Facebook. Come ricorda l'amministratore delegato nel post di presentazione, “non è importate cosa conosci, ma chi conosci”. Così il nuovo social network prova ad unire la logica di successo delle Yahoo! Answers alla forma del popolarissimo Instagram.
Ad un primo sguardo il funzionamento dell'app non sembra molto diverso dal chiedere informazioni con un'immagine attraverso Facebook o Twitter. I followers possono già rispondere alle nostre curiosità. La novità riguarda la possibilità di disegnare sulle fotografie scattate dallo smartphone: una funzione che rende facile evidenziare il particolare dell'immagine sul quale vogliamo più informazioni. Inoltre, se si riceve una domanda alla quale non sappiamo rispondere, si ha la possibilità di girarla alla nostra cerchia di amici, aumentando la possibilità di ottenere una risposta rapida.
A differenza di Facebook o Twitter, le domande non verranno pubblicate sui profili di tutti i nostri contatti. Nonostante le ricerche possano apparire più umane, è comunque un'algoritmo, il Finkelrank (dal nome del co-fondatore), a scegliere chi può rispondere. Dopo aver dato il permesso all'app di collegarsi agli account dei nostri social network, Jelly scandaglia i followers e gli amici di volta in volta per capire quali persone possono essere le più adeguate a rispondere al singolo dubbio. “Non spariamo domande a tutti - ha spiegato Stone in un'intervista al New York Times - e speriamo di rendere l'algoritmo sempre più sofisticato”.
Se Jelly avrà un successo paragonabile a quello di Twitter è tutto da vedere. Di fatto non aggiunge una funzione inedita a quello che è già possibile fare con gli altri social network, ma rende più semplice, e grazie alla centralità delle fotografie anche più divertente, formulare una domanda ai contatti di Facebook e Twitter. Si tratterà di capire, come spiega Stuart Dredge sul Guardian, se gli utenti avranno voglia di aprire un'altra applicazione con la frequenza con la quale già usano Facebook e Twitter. E se le persone alle quali verranno rivolte le domande si sentiranno altruiste al punto da darci una risposta in breve tempo.
Via Sky TG24
La televisione ha dominato anche nel 2013, e il merito pare sia da attribuirsi alla svolta digitale, grazie alla quale la tv ha recuperato parte del suo pubblico moltiplicando l’offerta dei canali. Un’indagine condotta dal Sole 24 Ore illustra le preferenze degli ascoltatori: Rai 1 si conferma la rete più vista, seguita da Canale 5 e Rai 3.
Il 2013 è stato il primo anno interamente digitale della televisione italiana che ha compiuto il suo processo di trasferimento dall’analogico al digitale nel luglio del 2012. La digitalizzazione e moltiplicazione dei canali segmentati ha riportato davanti a un televisore acceso quanti se ne erano allontanati per insoddisfazione e distanza culturale dalla programmazione generalista. Nella media di tutti i giorni dell’intero anno si sono accomodate a consumare televisione 10,5 milioni di italiane ed italiani. Nelle due ore della classica prima serata le persone attente a quanto programmato in tv sono 26,1 milioni. La rete preferita dalla popolazione nel suo complesso è ancora una volta il primo canale della tv di Stato, lo è ininterrottamente dal 1995 e, da che esiste la rilevazione Auditel, non lo è stata soltanto negli anni 1992,1993 e 1994.
Tra i nativi digitali è Real Time il successo dell’anno, con una quota d’ascolto dell’1,5% nel giorno medio migliora la propria perfomance del 2012. Un altro alloro per il successo ottenuto va a Rai Yo Yo, che pur essendo un canale segmentato sul target bambini, target meno numeroso di altri, occupa la seconda posizione, e con una quota d’ascolto dell’1,3% sorpassa Rai 4, Rai Premium, Rai Movie, Boing e Iris, quest’ultimo supera Rai 4 e Rai Premium, si piazza sul terzo gradino del podio dei nativi digitali nel giorno medio e conquista il primato in prima serata. I canali nativi digitali sin qui citati sono editi da Rai o da Mediaset con la sola eccezione di Real Time e sono Rai e Mediaset a produrre l’ascolto più elevato tra gli editori di canali nativi digitali.
Via Quo Media
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