Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Confermando le voci di trattativa circolate nei giorni scorsi, Vodafone ha annunciato oggi di aver raggiunto un accordo definitivo per l'acquisizione, attraverso le controllate italiana e spagnola, di Tele2 in Italia e Spagna.
L'accordo è stato siglato con Tele 2 Svezia ha un valore complessivo di 775 milioni di euro.
L'operazione ha l'obiettivo di rafforzare l'offerta di Vodafone nell'area fisso-mobile. Con l'acquisizione, infatti, Vodafone "eredita" i 2,6 milioni di clienti Tele2 in Italia, 400 mila dei quali nella banda larga, e i 550 mila clienti spganoli, 240 mila dei quali nella banda larga.
Una volta completata l'acquisizione, Vodafone Italia disporrà di un ampio portafoglio di tecnologie che includeranno, oltre alla telefonia fissa via radio con Vodafone Casa, anche la rete fissa DSL, concretizzando l'offerta di servizi di comunicazione totale, per la clientela residenziale e per le imprese.
Sia in Italia sia in Spagna , Tele2 offre una copertura con accesso alla rete fissa locale in modalita' ULL (Unbundling local loop). Vodafone prevede un piano di investimenti per l'aumento dei nodi di accesso alla rete entro i prossimi 12 mesi e la conversione della rete alla tecnologia IP.
Via Smaunews.it
Per promuovere la terza stagione di Lost in Spagna, la Fox ha realizzato un simpatico evento di buzz marketing, posizionando il rottame del aereo del serial all'interno della stazione ferroviaria di Atocha a Madrid.
Si tratta di un esempio molto garbato di marketing alternativo - di quelli che non danno fastidio e che funzionano solo nella misura in cui una serie di media e di giornalisti (come il sottoscritto ) trovano interessante la cosa e ne amplificano la portata parlandone e portandola ad un pubblico più ampio.
Il classico modello del Guerilla, tanto per intenderci - se non ne parlano i mass media sono generalmente soldi buttati e/o costi contatto fuori da qualsiasi logica umana.
Dal punto di vista tecnico, la location è stata scelta (anche) per la presenza di palme all'interno della stazione, che evocano lo scenario dell'isola misteriosa. La coda dell'aeroplano è alta 6 metri e pesa circa 400 kg ed è visibile da tutta la stazione.
Alal fine della promozione, la coda vedrà concludere la propria carriera su eBay dove sarà venduta al miglior offerente (qualche fan hard core della serie)?
Google forse sperava di chiudere una volta per tutte la questione copyright legata al download di video da YouTube, ma pare che la soluzione presentata pochi giorni fa non piaccia alle media e internet company, che oggi hanno deciso di mettersi insieme proprio per la difesa del diritto d'autore. Il sistema di tutela del copyright messo a punto da YouTube si chiama "Video fingerprinting": un database che archivia riferimenti a file di contenuti video coperti da diritto di proprietà e li confronta con quelli che gli utenti di YouTube cercano di caricare. Se il file corrisponde all'"impronta digitale" già registrata, viene cancellato. Secondo il Financial Times Google ha condotto a luglio una sperimentazione con nove media company, tra cui Time Warner, che si è detta sostanzialmente soddisfatta. Oggi però un gruppo di media e internet company del calibro di Viacom, Walt Disney, Microsoft, Fox e MySpace di NewsCorp, e Nbc Universal hanno annunciato un accordo per la tutela del copyright. Colpisce il fatto che Google non faccia parte di questo nutrito gruppetto, e la scelta suona come una bocciatura della tecnologia appena lanciata da Mountain View.
Philippe Dauman, Ceo di Viacom, ha detto che si tratta di una soluzione non abbastanza convincente, per questo ha deciso di far parte di questa partnership con l'obiettivo di studiare delle serie linee guida per regolare l'accesso di contenuti protetti, in particolare video, da internet. Va ricordato che in marzo, Viacom ha intentato una delle numerose cause contro YouTube, chiedendo un miliardo di dollari di risarcimento danni. È comunque possibile che Google partecipi alle discussioni insieme alle media company.
Luca Salvioli su Il Sole 24 ORE
La pubblicità la devono fare solo i professionisti o siamo tutti creativi?
In una faticosa marcia (dagli incerti risultati) verso una possibile pubblicità 2.0, si inserisce anche un sito italiano - dammiunnome.com, che in questi giorni è entrato in beta pubblica.
Si tratta di un sito che intende mettere in contatto la domanda di creatività da parte delle aziende con l'offerta di creatività da parte del pubblico della Rete - con uno specifico focus sullo sviluppo di claim, slogan, titoli...
Iniziative come questa potrebbero configurarsi come un nuovo elemento nello scenario della comunicazione e della pubblicità, specialmente per le PMI che non hanno i budget delle major.
Ma non credete: Gillette, che e' stata da sempre cliente di ferro di BBDO, adesso che è stata comprata da Procter ha intrapreso una iniziativa molto disruptive:per il lancio di Fusion ha usato una piattaforma online (OpenAd) su cui creativi freelance e dilettanti hanno potuto esprimere le proprie idee e proposte. Hanno vinto uno studente sloveno, un fotografo inglese e un americano...
Attenzione però, per le aziende piccole che vogliono risparmiare: chiaro che si spende meno, il rischio è doversi filtrare migliaia di vaccate prodotte dagli inevitabili dilettanti allo sbaraglio... quindi bisogna mettere in conto meno soldi ma più lavoro.
Ed è altamente raccomandabile che ad usare questo tipo di coinvolgimento del pubblico siano aziende che hanno un know-how interno, in grado di giudicare professionalmente e strategicamente le proposte. Ed è auspicabile che queste piattaforme raccolgano il lavoro di freelance competenti (che, btw, a Ottobre vanno a congresso) e non solo di quelli che "c'ho avuto un'idea stanotte".
Le agenzie sono (dovrebbero essere) infatti consulenti, in grado di consigliare un cliente che non sa, su cosa sia la cosa giusta anche se è una cosa che magari al cliente non "piace" (sapeste quanti clienti mi hanno chiesto ai suoi tempi pubblicità con la gnocca, indipendentemente dal target, dal prodotto o dagli obiettivi; perchè qualcuno gli aveva detto che la suddetta vende sempre...).
Insomma: se qualcuno mi deve dare un consiglio su qualcosa che non conosco, preferisco sia più esperto di me. Se invece sono competente, ben vengano idee fresche ed economiche...
Fine della corsa, in realtà mai iniziata per Italia.it. Il triplice fischio è arrivato da Francesco Rutelli, vicepresidente del consiglio e ministro per i Beni culturali, che in un'audizione alla Camera ha dichiarato chiusa la tormentata vicenda del portale del turismo italiano. Le regioni però non sono d'accordo. Il coordinamento nazionale degli assessori al Turismo ha infatti deciso di dare mandato ai tecnici di elaborare un progetto per la realizzazione completa di un nuovo portale. Il coordinamento ha elaborato un ordine del giorno in cui si ribadisce "la volontà di dare seguito agli accordi a suo tempo stretti con il ministero dell'Innovazione tecnologica in merito alla realizzazione del portale Italia.it, con il quale si è sempre avuto un rapporto di leale collaborazione". Nel documento si sottolinea che "le Regioni di certo non rappresentano un problema ostativo alla realizzazione del portale, ma vogliono essere la soluzione in quanto pronte ad accollarsi la realizzazione tecnica e contenutistica dello strumento di promozione, previo accertamento delle condizioni tecniche in cui si trova attualmente il portale. In questo senso - prosegue l'ordine del giorno - le Regioni sono abituate a produrre fatti e per questo vogliono indicare la tempistica di realizzazione del portale per non rompere quella governance che finora è stata alla base della politica di promozione turistica". Nella riunione del coordinamento gli assessori hanno inoltre sottolineato la volontà di "mantenere gli impegni relativamente ai 21 milioni di euro assegnati nella finanziaria 2005", necessari per gli adempimenti tecnici e contenutistici in capo alle Regioni. La responsabile del portale per le Regioni, Margherita Bozzano, ha poi annunciato che dall'estate ad oggi tutte le regioni sono pervenute alla sottoscrizione della convenzione con il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie (Dit). Sulla base di queste convenzioni, sei regioni hanno già presentato al Dit i rispettivi progetti che hanno ottenuto la formale approvazione.
Via Smaunews.it
A guardare i numeri del commercio elettronico in Italia c'è da essere ottimisti: sono tutti a due cifre con tassi superiori al 30 per cento.
Se però si scava un po', ci si accorge che non è tutto oro quel che riluce. Si prenda il settore di turismo e viaggi che, come al solito (i dati sono di Netcomm e School of management del Politecnico di Milano) fa la parte del leone con una crescita che supera il 50%; ebbene, dicono i ricercatori, esso è chiaramente sottodimensionato rispetto alle potenzialità, e sottosviluppato alla grande se solo si fa il confronto con paesi come la Francia e la Germania.
Queste considerazioni si rincorrevano all'annuale eCommerce Summit, organizzato a Milano da Business International, dove, pur facendo i relatori professione di ottimismo, sono state sottolineate in modo chiaro le grandi difficoltà che presenta il mercato della spesa online in Italia. In questo senso, affidarsi alla lettura dei numeri è un'occupazione quasi schizofrenica, c'è il rischio continuo che uno contraddica l'altro.
Per esempio, da una parte cresce il valore medio dell'ordine, cosa che indica una fidelizzazione da parte dei navigatori che acquistano d'abitudine, ma, dall'altra parte, quasi l'80% mercato resta nelle mani di una ventina di operatori (di questi, 12 appartengono al settore turismo); un dato nemmeno lontanamente coerente con la struttura industriale del nostro paese. Oltretutto, il 53% è rappresentato da pure player, cosa che dimostra che un numero davvero esiguo di aziende ragiona in termini di multicanalità. Molte sono le remore lato domanda (paura di frodi, che invece sono praticamente inesistenti, scarsa cultura informatica, poca dimestichezza col direct marketing), ma anche lato offerta, con forti ritardi e scarsa internazionalizzazione; si pensi che su 900 milioni di giro d'affari annuo, solo il 17% arriva dall'estero.
Nessuna meraviglia allora se è più facile acquistare un capo d'abbigliamento marchiato made in Italy su un sito straniero..Cosa fare per superare l'impasse? Secondo Giuliano Noci, professore ordinario di marketing presso il Politecnico di Milano, bisogna superare la mancanza di coraggio da parte delle imprese nostrane (in Uk ci sono 180 mila imprese che vendono anche online, in Italia appena 13 mila), il problema della connettività che riguarda anche province ricche del nord, le solite resistenze culturali, e l'eterna paura che le imprese italiane hanno che il canale online concorra con quello offline.
Per Noci, il male sta nell'approccio iniziale:"Si è partiti dall'assunto che internet fosse un semplice generatore di risparmi, e che, per fare questo, contasse solo la tecnologia giusta". Ahinoi, non è così, perché l'approccio deve essere soprattutto di marketing, e, qui Noci ci va giù duro, "purtroppo, noi italiani non sappiamo fare marketing".
Le linee guida stanno nel progettare un'esperienza online relazionale, nel capire fino in fondo l'efficacia di una strategia multicanale, nel mettere al centro il "cost-to-serve e il value-to-weight", il tutto inserito all'interno di politiche di marketing chiare ed efficaci che sposino un nuovo concetto di shopping online rispetto al più tradizionale acquisto online. E le tecnologie? Per Noci, rappresentano un fattore abilitante; interessanti, in questa ottica, le tecnologie del web 2.0 (il social networking, per esempio), e gli ambienti virtuali tridimensionali.
Pino Fondati su Il Sole 24ORE.com
Second Life nell’ultimo anno e mezzo ha suscitato commenti di tutti tipi, nel bene e nel male, ma forse pochi hanno visto in questo ambiente virtuale un’espressione di quella che sarà sempre più una realtà centrale nel marketing e nell’ideazione del prodotto: i prosumer.
Citato per la prima volta da Alvin Toffler nel suo libro The Third Wave nel 1980, il termine prosumer indica la natura ibrida di queste figure, a metà fra il consumatore di un prodotto ed il creatore dello stesso, con un confine sempre più labile fra i due mondi.
Anche se Second Life non è un prodotto tangibile non si può fare a meno di osservare che il suo sviluppo è diverso da quello dei tradizionali giochi multiplayer online: qui infatti non c’è uno storyboard creato da pochi cui gli altri si devono adattare ma tutto nasce dal lavoro creativo dei suoi ‘abitanti’.
Certo si tratta di un esempio particolare ma, come viene ben illustrato nel libro Wikinomics di Tapscott e Williams, non è una situazione isolata né si può ricondurre alla semplice personalizzazione del prodotto che sta alla base dei vecchi approcci customer centric del marketing.
I prosumer infatti contribuiscono alla creazione del prodotto in maniera radicale, scoprendone nuovi usi e modificandolo anche profondamente, con o senza il consenso di chi lo produce.
Oggi questi fenomeni, noti già da tempo, assumono però una forza molto più dirompente grazie al web collaborativo che permette a grandi community di appassionati di scambiarsi esperienze e idee accelerando lo sviluppo delle varianti e delle novità.
C’è chi ha imparato presto a creare valore da questo fenomeno. La Lego ad esempio, dopo i primi tempi in cui diffidava le community dal continuare nella modifica del suo software della serie Mindstorm, ha capito quale poteva essere il valore di questo contributo ideativo (che per altro non accennava a fermarsi).
Oggi dunque gli utenti possono scaricare gratuitamente un kit di sviluppo software dal sito mindstorms.lego.com e poi possono ripubblicare le proprie creazioni con le relative specifiche, dando alla Lego suggerimenti e idee cui il suo team di R&S non avrebbe probabilmente mai pensato.
Va detto anche che il ‘prosumo’ non è privo di difficoltà per le aziende: c’è chi ad esempio ha costruito volutamente un sistema chiuso (Ad es. apple con l’Ipod) in cui il business si fonda anche sull’obbligo di usare le piattaforme proprietarie (ad es. Itunes) per usare il prodotto.
In questo tipo di architettura non è facile pensare di dare dei kit aperti agli utenti per favorire le modifiche del prodotto, d’altra parte i più esperti riescono comunque a fare delle modifiche e l’azienda di Steve Jobs fatica a scoraggiare apertamente gli utenti più appassionati dell’Ipod da questo utilizzo.
Dunque Apple per ora tace e studia il comportamento degli utenti per capire cosa fare in futuro.
Qui in effetti si colloca il ‘dilemma del prosumo’: aprirsi e rischiare di cannibalizzare il proprio business o chiudersi rovinando la propria reputazione e rallentando lo sviluppo dei propri prodotti?
E per quanto si potrà rimanere arroccati su posizioni difensive man mano che le nuove generazioni diventano sempre più esperte di tecnologia e hanno un ecosistema online sempre più grande dove parlarsi e confrontarsi?
Probabilmente dunque le aziende in un prossimo futuro dovranno confrontarsi sempre più spesso con questa situazione e per farlo in modo produttivo dovranno evolvere la propria cultura, accettando di perdere una parte del controllo sui propri prodotti piuttosto che far andare via i clienti, che invece dovranno poter accedere a kit di sviluppo per agire sui beni, volutamente modulari, in ambienti di lavoro e di collaborazione.
In questa ottica il cliente andrà trattato sempre più da pari in quanto una parte del valore sarà creato da lui e, anche se il vantaggio maggiore sarà per l’impresa che orchestra queste comunità, dovrà essere retribuito al di là della migliore esperienza di prodotto che sperimenterà (la Lego ha assunto per 11 mesi i migliori sviluppatori per contribuire alla creazione di alcune novità).
Non sono scelte facili ma i vantaggi che un approccio aperto possono portare allo sviluppo di un prodotto dovranno, prima o dopo, far riflettere tutti sull’opportunità di adottarle, prima che sia tardi.
Gianluigi Zarantonello
In Europa, alla fine del 2012, il valore di mercato dei servizi di marketing on line potrebbe raggiungere i 16 miliardi di euro. Lo dicono le previsioni elaborate dalla Forrester Research, che ha analizzato il fenomeno suddividendolo in tre aree chiave di spesa: e-mail, search e display advertising. L'Italia, nello scenario dipinto dalla società di ricerca, occupa un posto di rilievo, sulla base dei dati che seguono.
Nel Belpaese, al pari di Spagna e Olanda, gli investimenti delle aziende in soluzioni e servizi di marketing digitale (e-mail in testa, che su scala continentale passerà dai 1.5 miliardi di euro del 2007 ai previsti 2,3 miliardi fra cinque anni) raggiungeranno nel 2012 quota 500 milioni di euro. A trainare questa percorso di crescita, a detta degli analisti, saranno in particolare lo sviluppo ulteriore della popolazione on line e la maggiore esperienza nell'uso degli strumenti digitali, fattori che si combineranno al significativo incremento delle vendite via Web e all'aumento della penetrazione della banda larga. Stando alle stime della Forrester, la spesa per consumatore in Olanda sarà superiore a quella di Spagna e Italia, e questo confermerebbe come i mercati del Sud Europa siano ancora oggi in una fase di start up, con un potenziale di sviluppo sensibile anche dopo il 2012.
Alla voce "search marketing", il giro d'affari previsto per il mercato italiano raddoppierà entro i prossimi cinque anni per arrivare oltre 510 milioni di euro ma l'attuale limitata fiducia dei consumatori nostrani nei confronti dell'e-commerce e dei pagamenti on line lascerà di fatto immutato il livello di spesa medio per singolo utente a banda larga, che nel 2012 sarà infatti lo stesso di oggi. In tutta Europa, invce, si registrerà in questo comparto una lievitazione della domanda dell'80%, che porterà la spesa per questi servizi dai 4,5 miliardi di euro attuali agli oltre 8,1 miliardi del 2012.
Per l'Italia gli analisti prevedono in sostanza una curva di crescita bilanciata, senza particolari scossoni per ciò che concerne l'investimento per consumatore. Ma il fatto che il mercato del display advertising (banner e sponsorizzazioni varie) sia destinato a crescere dai 194 milioni del 2007 ai 429 del 2012 (su un totale di 5,6 miliardi a livello europeo) può essere visto come un buon segno.
Gianni Rusconi su Il Sole 24ORE.com
Ho letto un interessante articolo su TV Key, rivista su cui ogni tanto scrivo anch'io. Articolo di analisi dello scenario televisivo e delle audience, scritto da Viviana Mangoni.
Cito un pezzo delle conclusioni dell'articolo...
"La TV generalista non è malata, deve solo prendere qualche accorgimento per vivere più a lungo.
Innanzi tutto in Italia i 15-44enni sono il 42% della popolazione mentre gli over 44 sono il 47%.
A queste persone piace la "vecchia" televisione: la tanto criticata Raiuno ha scelto Mike Bongiorno e Loretta Goggi per la conduzione di Miss Italia, due icone "preistoriche" ma in linea con le caratteristiche dell'audience (...)
Il profilo di un canale non può mutare in qualche giorno stravolgendo un format che vive da più di sessant'anni.
Strategicamente è più coerente mantenere e soddisfare lo"zoccolo duro" formatosi nel tempo (...) Un ulteriore questione sollevata negli ultimi mesi è la diminuzione dei minuti dedicati al piccolo schermo... fenomeno più accentuato nelle fasce giovanili..."
Ergo, lo scenario che ci si presenta è di seguire a soddisfare il target più maturo e conservatore, del resto gli anziani sono destinati a crescere come numerosità...
alienando nel contempo i "giovani" che sono di meno - e che come si vede vanno sempre di più a fare altro nel tempo libero perchè spesso insodddidfatti dal palinsesto.
Problemino: poi i maturi muoiono e i giovani diventano maturi ma si sono disabituati alla TV e continuano a fare altro. E la TV muore.
Conclusione: se gli va di culo i nostri figli non sapranno nemmeno più cos'è la TV di prime time, perchè avrà sospeso le trasmissioni per assenza di audience ...o, più probabilmente, trasmetterà solo il calcio.
Anzi, dato che con il disabituarsi progressivo alla TV si genera una intolleranza ai format lunghi (io già ho difficltà a reggere una intera puntata di telefilm di fila), la UEFA taglierà drammaticamente la durata dei tempi regolamentari.
Le partite di pallone saranno ridotte a due tempi da 20 minuti l'uno, con intervallo di 25 minuti in cui va in onda il reality show nello spogliatoio fra i due tempi e seguiti da riprese a fine partita nelle docce (figuratevi il successone di audience che avrà allora il football femminile...)
iPhone sbarca in Europa con il lancio in Germania e Regno Unito. In questi due Paesi, il dispositivo di Apple potrà essere utilizzato esclusivamente con gli operatori telefonici T-Mobile e O2. Acune agenzie hanno già battuto notizie che riferiscono delle prime code di acquirenti formatesi di fronte ai negozi. Secondo quanto riferitoci, il debutto di iPhone in Francia dovrebbe avvenire a fine mese mentre i clienti italiani dovranno attendere, molto probabilmente, sino al prossimo anno.
Contemporaneamente al rilascio "europeo" dell'iPhone, Apple ha iniziato la distribuzione di una nuova versione del firmware per il prodotto.
La release 1.1.2, secondo quanto osservato da più esperti di sicurezza, correggerebbe la falla di sicurezza legata alla gestione dei file in formato TIFF, precedentemente sfruttata per sbloccare il dispositivo e consentire l'utilizzo di applicazioni sviluppate da terze parti.
Coloro che hanno già provveduto a prelevare e ad installare il firmware 1.1.2 hanno riferito la rinnovata impossibilità di eseguire applicazioni sviluppate da terzi e quindi non direttamente supportate da Apple.
In Rete comunque cominciano a rincorrersi le prime notizie di hacker che già avrebbero violato nuovamente l'ultima versione del firmware effettuando lo "sblocco" del telefono (permettendone l'utilizzo con altri operatori di telefonia mobile) ed il cosiddetto "jailbreaking" (installazione sul prodotto di software non ufficiale Apple).
Michele Nasi su Smaunews.it
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