Second Life nell’ultimo anno e mezzo ha suscitato commenti di tutti tipi, nel bene e nel male, ma forse pochi hanno visto in questo ambiente virtuale un’espressione di quella che sarà sempre più una realtà centrale nel marketing e nell’ideazione del prodotto: i prosumer.
Citato per la prima volta da Alvin Toffler nel suo libro The Third Wave nel 1980, il termine prosumer indica la natura ibrida di queste figure, a metà fra il consumatore di un prodotto ed il creatore dello stesso, con un confine sempre più labile fra i due mondi.
Anche se Second Life non è un prodotto tangibile non si può fare a meno di osservare che il suo sviluppo è diverso da quello dei tradizionali giochi multiplayer online: qui infatti non c’è uno storyboard creato da pochi cui gli altri si devono adattare ma tutto nasce dal lavoro creativo dei suoi ‘abitanti’.
Certo si tratta di un esempio particolare ma, come viene ben illustrato nel libro Wikinomics di Tapscott e Williams, non è una situazione isolata né si può ricondurre alla semplice personalizzazione del prodotto che sta alla base dei vecchi approcci customer centric del marketing.
I prosumer infatti contribuiscono alla creazione del prodotto in maniera radicale, scoprendone nuovi usi e modificandolo anche profondamente, con o senza il consenso di chi lo produce.
Oggi questi fenomeni, noti già da tempo, assumono però una forza molto più dirompente grazie al web collaborativo che permette a grandi community di appassionati di scambiarsi esperienze e idee accelerando lo sviluppo delle varianti e delle novità.
C’è chi ha imparato presto a creare valore da questo fenomeno. La Lego ad esempio, dopo i primi tempi in cui diffidava le community dal continuare nella modifica del suo software della serie Mindstorm, ha capito quale poteva essere il valore di questo contributo ideativo (che per altro non accennava a fermarsi).
Oggi dunque gli utenti possono scaricare gratuitamente un kit di sviluppo software dal sito mindstorms.lego.com e poi possono ripubblicare le proprie creazioni con le relative specifiche, dando alla Lego suggerimenti e idee cui il suo team di R&S non avrebbe probabilmente mai pensato.
Va detto anche che il ‘prosumo’ non è privo di difficoltà per le aziende: c’è chi ad esempio ha costruito volutamente un sistema chiuso (Ad es. apple con l’Ipod) in cui il business si fonda anche sull’obbligo di usare le piattaforme proprietarie (ad es. Itunes) per usare il prodotto.
In questo tipo di architettura non è facile pensare di dare dei kit aperti agli utenti per favorire le modifiche del prodotto, d’altra parte i più esperti riescono comunque a fare delle modifiche e l’azienda di Steve Jobs fatica a scoraggiare apertamente gli utenti più appassionati dell’Ipod da questo utilizzo.
Dunque Apple per ora tace e studia il comportamento degli utenti per capire cosa fare in futuro.
Qui in effetti si colloca il ‘dilemma del prosumo’: aprirsi e rischiare di cannibalizzare il proprio business o chiudersi rovinando la propria reputazione e rallentando lo sviluppo dei propri prodotti?
E per quanto si potrà rimanere arroccati su posizioni difensive man mano che le nuove generazioni diventano sempre più esperte di tecnologia e hanno un ecosistema online sempre più grande dove parlarsi e confrontarsi?
Probabilmente dunque le aziende in un prossimo futuro dovranno confrontarsi sempre più spesso con questa situazione e per farlo in modo produttivo dovranno evolvere la propria cultura, accettando di perdere una parte del controllo sui propri prodotti piuttosto che far andare via i clienti, che invece dovranno poter accedere a kit di sviluppo per agire sui beni, volutamente modulari, in ambienti di lavoro e di collaborazione.
In questa ottica il cliente andrà trattato sempre più da pari in quanto una parte del valore sarà creato da lui e, anche se il vantaggio maggiore sarà per l’impresa che orchestra queste comunità, dovrà essere retribuito al di là della migliore esperienza di prodotto che sperimenterà (la Lego ha assunto per 11 mesi i migliori sviluppatori per contribuire alla creazione di alcune novità).
Non sono scelte facili ma i vantaggi che un approccio aperto possono portare allo sviluppo di un prodotto dovranno, prima o dopo, far riflettere tutti sull’opportunità di adottarle, prima che sia tardi.
Gianluigi Zarantonello