Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
In Italia i pagamenti elettronici continuano ad essere poco utilizzati. Nel 2012 il valore del transato con carta rappresenta solo il 15% sul valore complessivo dei consumi degli italiani, mentre nel resto dell’Europa (EU17) raggiunge il 22%, fino ad arrivare al 31% per i “Big” (Francia, Germania, Spagna, UK) e al 46% per i top performer (Danimarca, Svezia e Finlandia). Solo un italiano su tre utilizza la propria carta per pagare online o presso gli esercizi fisici (stima Osservatorio Mobile Payment & Commerce su dati survey Doxa). I 20 milioni di italiani che utilizzano la carta per pagare transano con questo strumento mediamente il 45% dei loro consumi, in linea quindi con quanto avviene nella media dei top perfomer europei. Questi dati mostrano che gli italiani che si sono “fidati” ad utilizzare la propria carta per fare acquisti lo continuano a fare. Tuttavia il valore medio dello scontrino con carta è di 75 euro (rispetto ai 51 euro dello scontrino medio dell’Europa) a dimostrazione del fatto che la carta non viene utilizzata per gli acquisti quotidiani.
In alternativa alla carta di pagamento gli italiani prediligono i pagamenti in contanti: per ogni euro pagato in contanti, gli italiani spendono solo 0,35 euro con carta mentre i top performer europei arrivano a spendere 2,86 euro. Il contante ha un costo per il Sistema Paese, stimato dall’Osservatorio Mobile Payment & Commerce in collaborazione con Cartasi, di 9,4 miliardi di euro suddivisi tra banche, esercenti e consumatori, senza calcolare l’evasione fiscale che troppo spesso è associata ai pagamenti in contanti. Tali costi potrebbero essere notevolmente ridotti se gli italiani utilizzassero maggiormente strumenti alternativi al contante.
Questi dati mostrano chiaramente la necessità del Sistema Paese di rendere più efficienti i pagamenti, riducendo costi legati alla sicurezza, al trasporto, al conteggio, etc. Per una maggior diffusione dei pagamenti elettronici è necessario muoversi su due direzioni: da un lato abituare gli italiani a fidarsi ad utilizzare la carta per i loro pagamenti e spingere i 20 milioni di coloro che già lo fanno ad utilizzarla ancora più spesso; dall’altro abituare anche gli esercenti ad accettare questi strumenti. In questa direzione negli ultimi due anni si sono viste le prime iniziative del Governo (accettazione dei pagamenti elettronici da parte della PA e degli esercenti) anche se ancora molto rimane da fare per trasformare un “obbligo” in reale utilizzo, magari attraverso i giusti incentivi.
Oltre alle iniziative del Governo, che per loro natura richiedono tempi più lunghi di implementazione, si muovono le innovazioni che stanno caratterizzando il panorama dei pagamenti: contactless e Mobile Payment per abituare i consumatori e Mobile POS per allargare gli esercenti che accettano pagamenti elettronici.
Gli italiani da sempre sono degli utilizzatori di telefoni cellulari evoluti e forse proprio il telefono cellulare, così comodo e sempre a portata di mano, potrà aiutare gli italiani ad abituarsi ai pagamenti elettronici generando un circolo virtuoso che spingerà poi anche gli esercenti ad utilizzare questi sistemi. Se il pagamento fosse arricchito da una serie di funzionalità in grado di rendere più appeal il processo di acquisto, la fase di pagamento potrebbe essere vissuta con meno fastidio da parte dei consumatori. Il Mobile Wallet si muove proprio in questa direzione: trasformare il telefono cellulare nel portafoglio con coupon, carte fedeltà, carte d’identità, etc.
Via Agenda Digitale
Altra classica operazione di buzz, sempre in ambito ristorazione e sempre appoggiata sulla diffusione di foto sui propri social a favore della creazione di awareness per un produttore di cibi pronti (in modo comparabile al caso Dinnercam e al caso LIDL, con cui ha parecchio in comune)
In sostanza: Il produttore di surgelati Birds Eye ha lanciato un pop-up restaurant dove vengono serviti i propri prodotti della gamma premium.
Un modo per far provare i propri prodotti, in qualche maniera una forma molto alta di sampling (l'operazione, saggiamente, è integrata in un piano di comunicazione più ampio che prevede TV e forme più tradizionali di sampling).
La cena viene servita gratuitamente, in cambio del posting di proprie foto, sui social, con l'hashtag #BirdsEyeInspirations. Come beneficio aggiunto, agli ospiti viene anche offerto un mini corso di food photography. L'idea è di diffondere awareness e innescare conversazioni...
Saranno gli smartphone e i dispositivi mobili a gestire le nostre vite. Dal controllo della casa al cruscotto dell'auto, dalle applicazioni aziendali a quelle del fitness e della salute, dal piccolo schermo a quello da polso. La Google I/O Conference che si è conclusa venerdì a San Francisco è stata sì una dimostrazione muscolare delle potenzialità espansionistiche di Android ma anche e soprattutto una risposta diretta (e un filo maligna) al keynote di Tim Cook di un mese fa durante la World Developers Conference. I due giganti, con accenti e toni diversi, sembrano guardare entrambi nella stessa direzione. Meno rigidità sul codice, più attenzione agli sviluppatori, l'obiettivo è sempre di più allargare i confini dei loro sistemi operativi per entrare velocemente in nuovi mercati.
La Apple post-Jobs alla Wdc ha aperto il suo ecosistema alla salute e alla domotica, ha allineato la piattaforma mobile (iPhone) con quella fissa (Mac) ma più che altro ha dato la sensazione di essere una azienda più morbida verso le terze parti. Google ha presentato Android L, ha aperto all'auto, riorganizzato i contenuti video per il piccolo schermo, lanciato telefonini low cost, mostrato i primi device indossabili. Ha insomma ribadito la sua intenzione di voler arrivare ovunque. Se uniamo i puntini e mettiamo insieme termostati (Nest), videocamere (Dropcam), palloni aerostatici, auto ed elettronica di consumo il disegno che compare è impressionante.
Quelli a confronto sono due ecosistemi che crescono a ritmo altissimo, inglobando oggetti, mercati e nuovi consumatori. Un miliardo di persone in tutto il mondo utilizzano dispositivi Android che nei tablet ha raggiunto una quota di mercato nei tablet arrivata al 62%. Apple può contare su 800 milioni di apparecchi iOS in circolazione e 80 milioni di Mac. Prima o poi inizierà il censimento per auto, domotica e dispositivi indossabili. Strutturalmente quelli di Apple e Google sono nuvole informatiche che contengono numeri e informazioni digitali sulla nostra vita. Unire i puntini non basterà.
Via IlSole24Ore.com
Le prenotazioni via mobile sono destinate a crescere in modo esponenziale nel prossimo decennio. Non solo: il mobile influenzerà l’intera esperienza dei viaggiatori, ma modificherà anche il modo in cui i travel manager gestiscono i viaggi aziendali. Viaggiatori e travel manager, in particolare, si aspettano che le prenotazioni via mobile aumentino significativamente, raggiungendo il 25% delle transazioni effettuate online entro il 2017. E, nel prossimo biennio, si prevede un raddoppio delle prenotazioni effettuate con device mobili.
Lo rivela Tap into mobile: managed travel in the digital economy, il nuovo studio dedicato al ruolo del mobile nella gestione del travel appena presentato da Carlson Wagonlit Travel (CWT). La ricerca CWT mostra anche che ci sono voluti otto anni perché gli online booking tool raggiungessero il livello di attività che ci si attende venga raggiunto dagli strumenti mobile entro i prossimi tre anni. Lo studio mette quindi in luce le grandi aspettative che sia i viaggiatori sia i travel manager hanno riguardo ai servizi di viaggio disponibili via mobile e ai vantaggi che ne potranno derivare.
Né i viaggiatori né i travel manager pensano però che i servizi mobile possano condurre a una riduzione dei costi di viaggio; i principali vantaggi derivanti dal mobile, invece, risultano essere la maggiore facilità di fare business, la produttività e il benessere del viaggiatore. Come conseguenza, le applicazioni per il travel management stanno diventando sempre più sofisticate, e le aziende che si stanno attivando sin d’ora potranno ottenere i maggiori benefici, spingendo i viaggiatori verso app in linea con la propria travel policy.
Lo studio ha inoltre evidenziato che in media il 62% dei viaggiatori già possiede uno smartphone aziendale e il 56% delle aziende ha già, o intende avviare, la politica del Bring your own device (che consente ai dipendenti di utilizzare i propri dispositivi personali). A livello globale, i travel manager ritengono che l’impatto potenziale del mobile sul travel management sia elevato, attribuendo un punteggio pari a 6,8 su una scala da 1 a 10.
Via ItalianVenue
Facebook, infatti, è di gran lunga l’applicazione superiore, con 115,4 milioni di visitatori unici nel mese di giugno ma è Google nel complesso l’azienda che vanta il maggior numero di app nelle posizioni top della classifica: con YouTube, Google Play, Google Search, Google Maps e Gmail presenti nelle prime 10 posizioni della classifica. Bene anche Pandora (mentre la rivale Spotify non è nella top 25), al quinto posto, mentre Microsoft è rappresentata solo da Skype al numero 22.
Non ci sono giochi in top 25 ma non è un errore: secondo Andrew Lipsman di ComScore afferma che molti giochi hanno un grande pubblico, ma si “fermano” a 10 milioni di visitatori unici, probabilmente perché i giochi tendono ad avere un picco in popolarità e poi a decrescere mentre app come Facebook e Google tendono a restare stabili. Netflix è l’applicazione top tra quelle che richiedono un abbonamento.
La ricerca fa anche il punto sul mercato delle app in America verificando che il tempo totale trascorso in Usa sui media digitali è salito del 24% nell’ultimo anno, guidato da un aumento nell’uso delle app mobile, che è aumentato del 52%. Il desktop registra una minima crescita dell’1%. Le applicazioni guidano la stragrande maggioranza delle attività di consumo dei media su dispositivi mobili: gli smartphone registrano una leggera più alta percentuale di attività sulle app: 88% rispetto all’82% su tablet.
Per quanto riguarda le abitudini d’uso legate alle app, più di un terzo di tutti i possessori di smartphone scaricano almeno una app al mese. Gli americani dimostrano anche di avere difficoltà a staccarsi dai loro device con la stragrande maggioranza dei consumatori che usano applicazioni sul smartphone e tablet quasi ogni giorno. Più della metà (57 %) degli utenti di smartphone accede alle sue app ogni singolo giorno del mese, mentre solo il 26% degli utenti di tablet fa la stessa cosa. Il 79% degli utenti di smartphone accede alle app almeno 26 giorni al mese, contro il 52% dei possessori di tablet.
Sul fronte piattaforme Android si classifica come il sistema operativo top per smartphone con 83,8 milioni di utenti, circa 16,4 milioni di più dell’iOS di Apple ma, a causa dell’ecosistema frammentato di Android quanto a produttori di apparecchiature originali (OEM), è la casa di Cupertino a rimane il più grande produttore di apparecchiature originali (OEM). Da un punto di vista demografico il 43% degli utenti di iPhone sono di età compresa tra 18-34 rispetto al 39% degli utenti di telefoni Android. Inoltre, il 57% dei gli utenti iPad sono sotto di 45 anni rispetto al 53% degli utenti di tablet Android.
La maggioranza delle app consultate rientrano nella categoria dei social network, ai giochi e al mondo della musica che, insieme, coprono quasi la metà del tempo totale speso sulle app mobili. Tale “peso” evidenzia che i dispositivi mobili sono più pesantemente utilizzati per l’intrattenimento e la comunicazione delle loro controparti desktop. Una curiosità: gli utenti iPhone spendono una quota maggiore del loro tempo sul consumo dei media, con Notizie Generali, radio, foto, Social Networking e Meteo mentre gli utenti Android spendono una quota maggiore del loro tempo nella ricerca e-mail.
Via Tech Economy
Il 20% delle applicazioni vengono aperte solo una volta al mese ma le persone, in generale, sono sempre più interessate. Secondo i dati Localytics, la quantità di tempo che viene trascorsa in compagnia delle app è aumentato del 21% nel corso dell’ultimo anno tanto da oltrepassare il tempo passato a navigare da desktop.
La ricerca evidenzia che:
- Il tempo complessivo speso con le app è aumentato del 21%.
Gli utenti aprono un app in media 11,5 volte al mese, rispetto alle 9,4 di un anno fa (con un aumento del 22%), mentre la durata della sessione per singola app è rimasto costante a 5,7 minuti.
- Il tempo dedicato alle app di musica è aumentato del 79%.
Il tempo per le app del settore Health & Fitness e del Social Networking è aumentato rispettivamente del 51% e 49%.
Mentre la lunghezza delle sessioni individuali per singola applicazione è rimasta relativamente costante nel corso dell’anno a 5,7 minuti, i lanci di app sono aumentati da 9,4 volte al mese a 11,5.
Le applicazioni musicali sono state le grandi vincitrici tra le app, con un aumento del 79% del tempo trascorso e un conseguente aumento di 64 minuti al mese, rispetto al 2013. La componente social, nella maggior parte delle app, fa guadagnare un valore aggiunto per l’utenza, interessata il più delle volte a condividere con i propri contatti playlist e consigli musicali. La categoria Salute e Fitness occupa il secondo posto in classifica, con un aumento del tempo trascorso pari al 51%, per una media di 22 minuti in più al mese rispetto allo scorso anno. Il miglioramento delle specifiche hardware degli smartphone, infatti, ha aumentato il potenziale dei device in fatto di monitoraggio della salute. La tendenza, quindi, sarà quella di inserire app per la salute di serie negli smartphone, in analogia a quanto previsto con i nuovi iPhone 6 e iPhone 6 Plus.
Le app dedicate al social networking hanno, invece, il maggior numero di lanci ma una bassa durata delle sessioni. Anche le app su Sport, Musica e Notizie mostrano un elevato numero di lanci, probabilmente a causa della velocità di utilizzo di tali applicazioni, ma le sessioni d’uso più lunghe sono riservate alle app musicali.
Via Tech Economy
L’industria editoriale è nel pieno di un cambiamento strutturale che ne sta rivoluzionando completamente i modelli di business. Il driver di questo cambiamento è l’incredibile spinta che l’innovazione tecnologica sta portando nel settore dei media, rendendo disponibili nuovi prodotti, servizi e applicazioni ad un ritmo sempre più veloce e provocando delle radicali modifiche alle abitudini di lettura.
Il mercato dell’informazione è una delle vittime di quello che Jeremy Rifkin: nel suo ultimo libro ha definito il “fenomeno del costo marginale zero” ovvero l’azzeramento dei costi di produzione e di distribuzione di alcuni beni e servizi dovuto alla rivoluzione tecnologica che ha spinto i costi marginali vicino allo zero e sottratto all’economia di mercato un gran numero di beni e servizi resi abbondanti e virtualmente gratuiti. Un fenomeno che ha interessato in modo dirompente il mondo della musica già all’inizio degli anni duemila con i consumatori che si sono trasformati in produttori e distributori con un meccanismo che ha favorito la realizzazione, la riproduzione e la condivisione di musica e video attraverso servizi di file sharing o piattaforme di condivisione, mettendo in crisi l’industria discografica così come ora sta mettendo in crisi il mondo dell’informazione.
L’editoria è uno dei comparti più in ritardo nello sfruttamento dei processi di digitalizzazione in corso per la sua sostanziale incapacità di cogliere le opportunità offerte dallo sviluppo tecnologico in un settore dove impattano sia gli effetti negativi della crisi strutturale legata al declino del ciclo di vita del prodotto cartaceo per quanto riguarda le diffusioni che la congiuntura macro economica per quanto riguarda i ricavi da pubblicità.
Solo lo scorso anno l’editoria italiana, quotidiana e periodica, ha perso nel suo complesso quasi 700 milioni di euro di ricavi e sebbene la carta stampata sia ancora oggi la principale fonte di ricavi delle aziende editoriali, sia in termini di vendite che di pubblicità (il 90% del fatturato di quotidiani e periodici nel 2013 deriva da prodotto cartaceo ), i ricavi sono in calo anno dopo anno. Rimandare la soluzione del problema come, in larga parte, è stato fatto fino ad oggi, si è dimostrata una scelta miope perché altri – mi riferisco agli operatori web puri – hanno saputo approfittare di questo incredibile errore strategico di valutazione sottraendo audience, risorse e fatturato agli editori tradizionali.
Occorre quindi ripensare i modelli di business editoriale, ma per farlo occorre capire come agire. E’ necessario prima di tutto risolvere il crescente squilibrio tra costi e ricavi, affrontando il tema della distribuzione, del costo del lavoro e della produttività che va rilanciata con investimenti in innovazione, nuove tecnologie e con l’aggiornamento delle competenze professionali all’interno dell’ecosistema redazionale.
Ma occorre intervenire subito, focalizzando le proprie strategie di marketing su quelli che sono i trend che non possono essere ignorati e sui quali occorre concentrare l’attenzione:
- Mobile, perché già da oggi la maggior parte del tempo di connessione avviene in mobilità, così come la ricerca di news e informazioni.
- Social, perché le piattaforme social continueranno a crescere e ad essere al centro dell’utilizzo da parte dei navigatori (sopratutto da quelli connessi in mobilità) unitamente al superamento della distinzione tra produzione e fruizione dei contenuti, favorendo ulteriormente il fenomeno dello user generated content e della sua condivisione in Rete.
- Video, perché la convergenza verso il digitale dei mezzi di comunicazione, la disponibilità di piattaforme unitamente allo sviluppo della banda larga e dell’accesso ad Internet da mobile faranno crescere sempre di più il consumo di video e il contenuto visto sarà sempre più preferito rispetto al contenuto letto.
Via Tech Economy
Il 9 settembre 2014 TIM Cook ha annunciato il lancio di Apple Pay, il sistema di pagamento messo a punto da Apple, che sfrutta la tecnologia NFC ed il Secure Element dei nuovi iPhone e che sarà disponibile in Europa nel 2015.
Apple finalmente sdogana la tecnologia NFC per i mobile payment, spinta dagli operatori mobili e da alcune banche, tecnologia già adottata da alcuni big (vedi Google e i principali circuiti come Visa, Mastercard e American Express) e messa in dubbio da altri (vedi PayPal).
L’ingresso in campo di Apple, oltre a confermare le scelte fatte dagli operatori mobili e dalle banche, accende i riflettori sulle nuove relazioni che si verranno a stabilire nel mondo dei pagamenti.
Fino a pochi anni fa il business dei pagamenti elettronici era chiuso tra banche, circuiti e loro fornitori; con i mobile payment nuove figure entrano nella filiera, come gli operatori mobili, i fornitori di smartphone e SIM ed i tanto temuti operatori “Over The Top”, primi tra tutti Google ed Apple. Come questi sposteranno il business si capirà in un futuro prossimo.
I nuovi operatori hanno interessi diversi tra loro e, fatta eccezione di PayPal che opera direttamente sui pagamenti e da essi trae i propri ricavi, in molti casi i mobile payment saranno uno strumento a supporto del core business delle aziende coinvolte (es. raccolta dati e pubblicità per Google, vendita di terminali e rafforzamento della propria piattaforma per Apple, consolidamento della customer base e dell’ARPU per gli operatori mobili) oppure come trampolino di lancio per nuovi servizi. Sicuramente l’ingresso in campo dei nuovi operatori darà nuova spinta al settore, incrementando l’uso dei pagamenti elettronici. Questa ipotesi è supportata dall’attenzione mostrata loro dai circuiti di pagamento, con cui hanno stretto accordi strategici.
In paesi come l’Italia, dove il contante è ancora il principale strumento di pagamento e dove il telefonino è così diffuso e apprezzato, la disponibilità dei mobile payment potrebbe finalmente spostare i pagamenti dal contante alla moneta elettronica, con tutti i vantaggi che ne deriverebbero sul fronte della lotta all’evasione e su quello della sicurezza. Proprio la sicurezza è una delle principali preoccupazioni degli utenti quando pensano di utilizzare la carta di credito, a maggior ragione se la pensano “smaterializzata” nello smartphone. Ma un pagamento con carta di credito è molto più sicuro di uno in contanti, la perdita di un portafogli pieno di contanti è sicuramente più rischiosa della perdita di un telefonino abilitato ai mobile payment.
La sicurezza è infatti il driver principale nella definizione delle caratteristiche di un sistema di mobile payment; nei diversi modelli che si stanno affermando, elemento comune è la presenza di un Secure Element, uno spazio sicuro in cui conservare i dati che non devono finire in mani sbagliate. Gli operatori mobili hanno scelto la SIM come Secure Element, che oltre alla sicurezza permette di portare le informazioni da uno smartphone all’altro, Apple ha scelto un chip sul telefono, Google ha scelto la rete.
Risolto il dubbio della sicurezza, usare il telefonino per pagare porta con sé solo vantaggi: è sempre con me, è comodo, quando pago posso controllare lo stato del conto in tempo reale.
Telecom Italia si occupa di mobile payment da parecchi anni, lavorando attivamente in GSMA con altri operatori mobili e con i fornitori di smartphone e SIM per definire ed adottare degli standard comuni con il settore dei pagamenti elettronici (EMV e Global Platform sono solo alcuni dei riferimenti). Gli standard sono stati la base per costruire un’infrastruttura che è a disposizione delle banche. Esse ora possono virtualizzare le carte di pagamento sulle nuove SIM di TIM, permettendo ai clienti in possesso di uno smartphone NFC Android e presto Windows Mobile di pagare con il proprio telefonino presso gli oltre 200.000 POS NFC abilitati in Italia e milioni nel resto del mondo.
Le nuove SIM “NFC” sono disponibili per i clienti TIM da giugno 2014, insieme all’applicazione TIM Wallet che guida alla scelta, installazione e utilizzo della carta di pagamento sullo smartphone. A partire da ottobre 2014 TIM Wallet darà la possibilità ai clienti TIM di attivare la TIM SmartPAY, la carta prepagata sviluppata con Visa ed Intesa Sanpaolo che permetterà anche a chi non ha una carta di pagamento o un conto in banca di pagare con il proprio telefonino.
I mobile payment sono solo uno dei nuovi servizi che potremo attivare nei prossimi mesi con i nostri smartphone. La tecnologia NFC, le nuove SIM e applicazioni come TIM Wallet ci permetteranno presto di lasciare a casa il portafogli, mettendo tutto nel telefonino, dalla tessera trasporti alle carte fedeltà, il badge aziendale, le chiavi di casa, la chiavetta per i distributori automatici.
Il sogno si è finalmente avverato: il telefonino fa anche il caffè!
Via Agenda Digitale
Il mobile payment, i “digital wallet” e le applicazioni che consentono il pagamento di beni e servizi via smartphone si stanno diffondendo sempre di più: Starbucks è una delle prime aziende che si è mossa in questo senso diversi anni fa creando un’applicazione dedicata al mobile payment, inclusa e che a sua volte include, una serie di strategie di marketing orientate a sconti, benefits esclusivi e offerte per i clienti dell’app.
La novità è che ora Starbucks sta sperimentando un nuovo servizio che permette ai propri clienti di pagare prima di recarsi nello store: attraverso l’app e un sistema di mobile payment, i clienti potranno così evitare la fila (che spesso si crea all’interno dei punti vendita, in particolare negli orari del mattino prima del lavoro) pagando comodamente da qualsiasi luogo per poi scegliere il proprio Starbucks preferito in cui consumare il proprio caffè. Il sistema sarà in sperimentazione nei prossimi mesi a Portland, prima di estendersi in tutto il territorio statunitense entro il 2015.
Starbucks tiene così tanto all’utilizzo di questa app, e a buona ragione se è vero che si tratta dell’app di mobile payment che ha più successo in assoluto in America, che ha pensato di regalare casualmente ad alcuni utenti che ne usufruiscono, una fornitura per 30 anni di caffè e alimenti Starbucks. Sharon Rothstein, vice presidente esecutivo, ha dichiarato in un comunicato riportato da Usatoday: “questa è la prima volta che offriamo ai clienti qualcosa di questa portata.”
Via Techeconomy.it
L’e-Commerce B2c in Italia continua a macinare successi: +17% se consideriamo le vendite da siti italiani (verso consumatori italiani e stranieri), per un valore complessivo di 13,3 miliardi di euro, e +16% se consideriamo gli acquisti dei clienti italiani (da siti italiani e da siti stranieri), per un valore totale di 14,6 miliardi di euro. Sono questi i principali numeri presentati dall’Osservatorio eCommerce B2c promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm. Il valore dell’e-commerce passa così dal 2,6 al 3,5% del totale vendite retail e cresce significativamente la penetrazione in diversi settori merceologici: nell’Editoria dal 4 al 7%, nell’Informatica dal 7,5 al 10,5% e nell’Abbigliamento dal 2,9 a quasi il 4%. I device mobili sono sempre più protagonisti: le vendite via Smartphone registrano un incremento del 100% nel 2014 e superano gli 1,2 miliardi di euro, pari al 9% dell’eCommerce complessivo. Se si aggiungono quelle via Tablet, l’incidenza delle vendite da dispositivi mobili raggiunge il 20% del totale eCommerce.
A trainare la crescita del comparto e, soprattutto nei comparti di prodotto, le Dot Com che acquisiscono una posizione dominante rispetto ai retailer. Le Dot Com incluse nella lista dei primi 20 player dell’eCommerce italiano (ad esempio Amazon, eBay, Expedia) generano da sole più di metà dell’intera crescita, grazie ad un aumento del 22% rispetto al 2013 (superiore alla media del mercato) e arrivano così a pesare per il 54% delle vendite. Il restante 46%, appannaggio delle imprese tradizionali, è in realtà in gran parte costituito dal contributo delle imprese produttrici di servizi che da sole pesano per il 32% delle vendite da siti italiani. Il peso dei produttori (di prodotti) e dei retailer tradizionali è quindi ridotto al 14%. Ancora più pesante il dato se si va ad analizzare le sole vendite di prodotti: in questo caso il peso delle Dot Com supera il 70%, con produttori e retailer tradizionali che contribuiscono per meno di un terzo del valore totale. Non è tuttavia facile per le grandi Dot Com coniugare leadership di gamma, prezzo e servizio con marginalità positive: su dieci Dot Com analizzate, solo tre hanno registrato un utile sempre positivo negli ultimi tre esercizi.
Anche nel 2014 ben 30 importanti imprese tradizionali hanno attivato un sito di eCommerce. Molte nell’Abbigliamento e negli accessori, comparto in cui la sensibilità nei confronti dell’eCommerce è ormai particolarmente elevata. Nel 2014 la percentuale di insegne della grande distribuzione con un sito di eCommerce in ambito non food sale al 55% (era il 53% nel 2013) e in ambito food al 10% (8% nel 2013). Una quota importante (30% circa dei brand tradizionali – produttori e retailer – con un sito di eCommerce) si è rivolta ad un service provider completo, in grado di offrire lo sviluppo del sito, la gestione della comunicazione e i servizi logistici.
“L’eCommerce nel nostro Paese è sempre più appannaggio delle Dot Com” afferma Alessandro Perego, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2c di Politecnico di Milano e Netcomm. “Questa percentuale, non negativa di per sé, mette però in luce le debolezze degli operatori tradizionali (produttori e retailer), che ancora stentano a interpretare l’online come un reale canale alternativo e che per questo non riescono a giocare un ruolo da protagonisti come è invece avvenuto in molti mercati occidentali. Nonostante oltre 30 nuovi ingressi online tra gli operatori tradizionali nei diversi comparti merceologici, vediamo molto spesso un approccio poco convinto, volto più a enfatizzare i limiti dell’eCommerce rispetto al business tradizionale piuttosto che a coglierne pienamente le potenzialità.”
Sul fronte degli acquirenti, nell’ultimo anno, in Italia, hanno superato i 16 milioni. Gli acquirenti abituali – ossia quelli che effettuano almeno un acquisto al mese – sono circa 10 milioni e generano il 90% circa del valore dell’e-Commerce B2c, mentre quelli sporadici sono 6 milioni. In media spendono 1000 euro all’anno. Se confrontiamo i nostri 16 milioni di acquirenti con i web shopper dei principali mercati eCommerce europei non riscontriamo valori di spesa annua molto differenti: 1.100 euro/anno per quelli tedeschi, 1.000 euro/anno per i francesi e 700 euro/anno per gli spagnoli. Solo gli inglesi fanno registrare un valore degli acquisti annui decisamente superiore con quasi 2.000 euro all’anno. Resta ancora differente la numerosità: in UK i web shopper sono 39 milioni, in Germania 44 e in Francia 29, ossia rispettivamente il 78, il 74 e il 59% degli Internet User.
“Gli eShopper non solo stanno crescendo, ma si stanno evolvendo. Siamo di fronte alla nascita di un nuovo tipo di cliente: Il ‘Superconsumatore’” afferma Roberto Liscia, presidente di Netcomm. “Il Consumatore, infatti, è profondamente diverso dal passato: ha preso il pieno controllo del processo di acquisto per soddisfare i suoi bisogni. Non solo acquista online, ma utilizza il web per effettuare acquisti tradizionali consapevoli. Il suo comportamento multicanale da per scontato che, in qualsiasi momento della giornata, egli possa accedere alle informazioni a lui utili attraverso tutti i mezzi, dallo Smartphone ad una vetrina di un negozio in strada abilitata ad essere un touch screen e che, nel contempo, possa effettuare l’acquisto dagli stessi mezzi”. Aggiunge Roberto Liscia: “L’online influenza così in modo profondo circa un acquisto tradizionale ogni quattro, e quasi un acquisto su tre nel turismo”.
Per quanto riguarda le vendite, quelle da siti italiani – 13,3 miliardi di euro nel 2014 – hanno fatto registrare una crescita pari a circa 2 miliardi di euro, riconducibile per il 70% alla vendita di prodotti e per il 30% alla vendita di servizi. Tra i comparti di prodotto spiccano Abbigliamento e Informatica ed Elettronica di consumo, che contribuiscono alla crescita complessiva con circa 350 milioni di euro ciascuno. Tra i servizi emerge ancora il Turismo, a cui è riconducibile un quarto della crescita totale, mentre restano sostanzialmente stabili gli altri settori (Assicurazioni, Ricariche telefoniche, Biglietteria per eventi e i servizi venduti attraverso i siti di Couponing). Il risultato di queste dinamiche è nel 2014 un incremento del peso dei prodotti sul totale eCommerce dal 40 al 45%, un passo importante verso la parità con i servizi, attesa a questo punto per il 2015. Il paniere dell’eCommerce italiano si sta quindi lentamente conformando a quello rilevato nei principali mercati stranieri, dove i comparti di prodotto hanno un peso più elevato rispetto ai servizi: si va dal 65% di UK e USA, al 75% circa di Francia e Germania fino all’80% di Cina e Corea del Sud.
Il valore del mercato eCommerce italiano (acquisti dei consumatori italiani da siti italiani ed esteri) pari a 14,6 miliardi di euro e in crescita del 16% rispetto al 2013, porta la penetrazione dell’online a oltre il 3,5% del totale vendite retail. Cresce in modo considerevole il tasso di penetrazione dei comparti Informatica ed Elettronica di consumo (dal 7,5 al 10,5%), Editoria (dal 4 al 7%) e Abbigliamento (dal 2,9 a quasi il 4%), grazie ad una crescita delle vendite rispettivamente pari al 31, 34 e 25%. Nei servizi, la penetrazione media resta intorno all’8%, senza variazioni significative rispetto al 2013.
E nel 2014, spiega l’Osservatorio, inizia a essere rilevante anche il contributo di alcuni comparti, poco significativi in passato, ma con un potenziale online notevole. In primis segnaliamo il Food&Wine ‘gastronomico’, che nel 2014 vale oltre 200 milioni di euro, in crescita del 30%, c’è poi l’Arredamento, che vale oltre 130 milioni di euro, in crescita del 100%, infine segnaliamo la Profumeria e cosmetica che nel 2014 raggiunge 40 milioni di euro, in crescita del 25%.
Nel 2014 anche il Grocery (inteso come spesa da supermercato) fa qualche passo in avanti. Il valore complessivo del mercato cresce del 18% e raggiunge 160 milioni di euro, per un’incidenza sul totale vendite retail ancora trascurabile (0,1%).
Via Tech Economy
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