Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nella versione 8 di iOS Apple includerà HealtKit, applicazione nata per aggregare tutti i dati relativi al proprio stato fisico, raccolti anche tramite l'uso di applicazioni di terze parti. Secondo Forbes la risposta di Mountain View ha già un nome, Google Fit, e verrà presentata a margine dell'evento I/O 2014, la conferenza che riunisce a San Francisco gli sviluppatori (quest'anno il 25 e il 26 giugno).
I due framework hanno il compito di raccogliere dati, monitorare lo stato di salute di chi ne fa uso e aiutare gli sportivi a migliorare le proprie prestazioni. Lo scopo ultimo è quello di creare dispositivi indossabili sempre più evoluti, corsa nella quale si è inserita anche Samsung con la piattaforma Simbad, volutamente aperta affinché altri produttori possano contribuirvi allo sviluppo. I nostri smartphone collezioneranno e conserveranno nel cloud informazioni relative ai livelli di ossigeno e zuccheri nel sangue, alla pressione e al battito cardiaco. A corredo altri dati quali, ad esempio, attività fisica, ore dedicate al sonno, indice di massa corporea e via dicendo.
Un mercato da 50 miliardi (oppure molto meno) Secondo uno studio pubblicato a maggio 2014 da Credit Suisse, il mercato dei fitness tracker varrà 50miliardi nel 2018, cifra ritenuta esagerata da MarketsandMarkets che ha abbassato le stime a 8,4miliardi. La fiducia nel potenziale commerciale di tali dispositivi e applicazioni cala proporzionalmente all'aumento delle domande che sollevano. Il New York Times ha svolto dei test, utilizzando in contemporanea diverse fonti per la raccolta di dati ottenendo risultati assolutamente incompatibili tra loro.
Ne nasce quindi una questione di attendibilità che andrà affrontata e risolta anche perché, in assenza di un algoritmo certificato, è impensabile che i medici possano avvalersi dei dati forniti da applicazioni e dispositivi. Per creare dispositivi fitness tracker performanti, sicuri e affidabili (anche dal punto di vista tecnico e tecnologico) servono test a cui partecipano un elevato numero di persone e per un periodo di tempo prolungato: condizioni lungi dal verificarsi e in assenza delle quali i framework per la raccolta e la conservazione ordinata dei dati sono poco più di un vezzo.
Via IlSole24Ore.com
In Italia i pagamenti elettronici continuano ad essere poco utilizzati. Nel 2012 il valore del transato con carta rappresenta solo il 15% sul valore complessivo dei consumi degli italiani, mentre nel resto dell’Europa (EU17) raggiunge il 22%, fino ad arrivare al 31% per i “Big” (Francia, Germania, Spagna, UK) e al 46% per i top performer (Danimarca, Svezia e Finlandia). Solo un italiano su tre utilizza la propria carta per pagare online o presso gli esercizi fisici (stima Osservatorio Mobile Payment & Commerce su dati survey Doxa). I 20 milioni di italiani che utilizzano la carta per pagare transano con questo strumento mediamente il 45% dei loro consumi, in linea quindi con quanto avviene nella media dei top perfomer europei. Questi dati mostrano che gli italiani che si sono “fidati” ad utilizzare la propria carta per fare acquisti lo continuano a fare. Tuttavia il valore medio dello scontrino con carta è di 75 euro (rispetto ai 51 euro dello scontrino medio dell’Europa) a dimostrazione del fatto che la carta non viene utilizzata per gli acquisti quotidiani.
In alternativa alla carta di pagamento gli italiani prediligono i pagamenti in contanti: per ogni euro pagato in contanti, gli italiani spendono solo 0,35 euro con carta mentre i top performer europei arrivano a spendere 2,86 euro. Il contante ha un costo per il Sistema Paese, stimato dall’Osservatorio Mobile Payment & Commerce in collaborazione con Cartasi, di 9,4 miliardi di euro suddivisi tra banche, esercenti e consumatori, senza calcolare l’evasione fiscale che troppo spesso è associata ai pagamenti in contanti. Tali costi potrebbero essere notevolmente ridotti se gli italiani utilizzassero maggiormente strumenti alternativi al contante.
Questi dati mostrano chiaramente la necessità del Sistema Paese di rendere più efficienti i pagamenti, riducendo costi legati alla sicurezza, al trasporto, al conteggio, etc. Per una maggior diffusione dei pagamenti elettronici è necessario muoversi su due direzioni: da un lato abituare gli italiani a fidarsi ad utilizzare la carta per i loro pagamenti e spingere i 20 milioni di coloro che già lo fanno ad utilizzarla ancora più spesso; dall’altro abituare anche gli esercenti ad accettare questi strumenti. In questa direzione negli ultimi due anni si sono viste le prime iniziative del Governo (accettazione dei pagamenti elettronici da parte della PA e degli esercenti) anche se ancora molto rimane da fare per trasformare un “obbligo” in reale utilizzo, magari attraverso i giusti incentivi.
Oltre alle iniziative del Governo, che per loro natura richiedono tempi più lunghi di implementazione, si muovono le innovazioni che stanno caratterizzando il panorama dei pagamenti: contactless e Mobile Payment per abituare i consumatori e Mobile POS per allargare gli esercenti che accettano pagamenti elettronici.
Gli italiani da sempre sono degli utilizzatori di telefoni cellulari evoluti e forse proprio il telefono cellulare, così comodo e sempre a portata di mano, potrà aiutare gli italiani ad abituarsi ai pagamenti elettronici generando un circolo virtuoso che spingerà poi anche gli esercenti ad utilizzare questi sistemi. Se il pagamento fosse arricchito da una serie di funzionalità in grado di rendere più appeal il processo di acquisto, la fase di pagamento potrebbe essere vissuta con meno fastidio da parte dei consumatori. Il Mobile Wallet si muove proprio in questa direzione: trasformare il telefono cellulare nel portafoglio con coupon, carte fedeltà, carte d’identità, etc.
Via Agenda Digitale
C’è chi dice che il neologismo “Internet delle cose” sia nato in P&G e chi invece parla dell’Auto-ID Center presso il MIT ma sulla data c’è abbastanza accordo: 1999. Non proprio ieri quindi, e mi ricordo bene che di temi collegati, come il machine2machine, si discute e lavora anche in Italia da almeno 10 anni.
Come tutte le rivoluzioni tecnologiche però il viaggio inizia da lontano e prima che un argomento diventi caldo sui media e nella percezione collettiva serve del tempo e dei passi intermedi, tanto che alcuni osservatori già dicono che sarà un cambiamento grande ma non così tanto come si dice in certi ambienti (siamo già all’hype?) e nell’analisi delle ricadute ottimismo e dubbi si alternano.
Nonostante tutto questo oggi i tempi sembrano maturi per la diffusione di tutta una serie di soluzioni, dai pagamenti mobile, alla domotica, alle Smart Cities, che dovrebbero cambiarci la vita.
Che cosa manca allora fare l’ultimo salto? Prima di tutto l’ecosistema. Prendiamo la possibilità dei pagamenti contactless fatti con chip RFID dei cellulari: inizialmente c’erano pochi cellulari con questa tecnologia a bordo ma anche quando il loro numero è aumentato non altrettanto si è potuto dire delle realtà commerciali pronte a ricevere questo tipo di transazioni. Vedremo se questo sarà l’anno buono.
Il percorso dell’ecosistema è esattamente quello che ha portato al successo la navigazione mobile, partendo dal wap (dove non c’era offerta di siti) per passare al 3G che ha reso tutto più veloce (e in seguito anche economicamente accessibile) fino all’avvento delle app.
Proprio le app mi portano a un secondo punto: scarseggiano ancora le killer application che rendano diffuso e imprescindibile l’uso di questi strumenti per la larga fetta della popolazione.
Terzo, il rischio è l’incompatibilità tra sistemi chiusi e proprietari, che è un po’ la negazione stessa di internet ma che già si è iniziata a sentire proprio con i sistemi operativi mobili. Per questo tecnologicamente guardo con simpatia a tecnologie che comunque hanno un certo grado di neutralità, come iBeacon, ma anche in presenza di queste ci vuole un’offerta di contenuto o servizio rilevante e trasversale. Un’ultima considerazione riguarda le persone: io sono convinto che la tecnologia funziona quando quasi non ci si accorge di usarla tanto è naturale ed allo stesso tempo se ci migliora la vita realmente. Uno scenario dove tutto è connesso e ci avvolge minando la nostra privacy e forse anche la capacità di decidere da soli non mi piace ma confido che non sarà proprio così, anche se alcuni problemi dovranno essere affrontati. Semplicemente, gli standard e i servizi che daranno beneficio alle persone si diffonderanno realmente, mentre tante altre cose resteranno nicchie. Per questo chi sta disegnando questi mondi deve pensare alla customer experience ed ai bisogni delle persone. Voi che ne pensate?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Sembra quasi fatta per il lancio del servizio di musica in streaming (a pagamento) di YouTube. Il canale video di proprietà di Google sfiderà entro l'estate Spotify e Deezer, puntando sulla sua popolarità e sull’abitudine degli utenti a navigare tra i meandri della sua piattaforma, tra le più frequentate del web.
Resta da risolvere il problema del copyright sulle canzoni di alcuni artisti celebri, che potrebbero decidere di boicottare il servizio e non concedere a YouTube il diritto di trasmettere i propri album, rendendo meno certo il successo dell’iniziativa. Google ha siglato accordi con le principali etichette discografiche, ma le compagnie minori, che spesso gestiscono popstar di livello internazionale, non hanno ancora trovato l’intesa con il colosso della rete, lamentando un trattamento di secondo livello rispetto a quello riservato alle major. Così, band come Artic Monkeys o cantanti come Adele potrebbero sparire in toto da YouTube.
A Mountain View dormono sonni tranquilli, consci di poter contare sul 90-95% del repertorio dell’industria musicale e convinti che la minaccia dell’oscuramento dei videoclip dalla loro piattaforma sia insostenibile anche per nomi di primo piano del panorama musicale. Come rinunciare, del resto, a un pubblico potenziale di 1 miliardo di persone (per gli abbonamenti a pagamento) e di 3 miliardi per i normali passaggi video?
Band ed etichette indipendenti sono però sul piede di guerra e potrebbero appellarsi all’antitrust in Europa e Stati Uniti, convinti che Google stia facendo abuso di posizione dominante, falsando il mercato. YouTube, oltre a guardarsi dalla concorrenza di Spotify, Deezer e Beats, di recente acquistato da Apple, dovrà fare i conti con i musicisti bistrattati. Difficile cantrsela e suonarsela da soli, nell’economia internet di questi giorni.
Via Quo Media
Altra classica operazione di buzz, sempre in ambito ristorazione e sempre appoggiata sulla diffusione di foto sui propri social a favore della creazione di awareness per un produttore di cibi pronti (in modo comparabile al caso Dinnercam e al caso LIDL, con cui ha parecchio in comune)
In sostanza: Il produttore di surgelati Birds Eye ha lanciato un pop-up restaurant dove vengono serviti i propri prodotti della gamma premium.
Un modo per far provare i propri prodotti, in qualche maniera una forma molto alta di sampling (l'operazione, saggiamente, è integrata in un piano di comunicazione più ampio che prevede TV e forme più tradizionali di sampling).
La cena viene servita gratuitamente, in cambio del posting di proprie foto, sui social, con l'hashtag #BirdsEyeInspirations. Come beneficio aggiunto, agli ospiti viene anche offerto un mini corso di food photography. L'idea è di diffondere awareness e innescare conversazioni...
Se l'utente non va all'ecommerce, è l'ecommerce ad andare dall'utente. Possiamo riassumere così una tendenza che è internazionale ma che può fare la differenza soprattutto in Italia, storicamente in ritardo per lo sviluppo del commercio elettronico. Tutti gli attori di questo ecosistema si stanno impegnando infatti per venire incontro all'utente. Da una parte, stanno risolvendo le principali barriere all'acquisto online. Dall'altra, inventano modi innovativi aumentare le prerogative dei clienti e in generale migliorarne l'esperienza.
Andiamo insomma verso un'evoluzione, a tutto tondo, del commercio elettronico, come risulta dall'analisi europea condotta da Netcomm ed Ecommerce Europe, ancora inedita. Ha scovato i casi di ecommerce più innovativi in Europa e le soluzioni più comuni ai due classici problemi, riguardanti la logistica e il pagamento via carta di credito.
Tempi e modi della spedizione spesso non soddisfano le esigenze degli utenti. Alcuni inoltre non si sentono ancora a proprio agio con il digitare i dati della propria carta su un sito web. Possono sembrare problemi banali, ma la loro soluzione passa da uno sforzo collettivo di tutti gli attori coinvolti. Delle aziende che vendono online, certo; ma anche dei corrieri e delle banche. A questa schiera si aggiungono soggetti vari che si possono rivelare utili all'ecommerce grazie alla propria presenza nel mondo fisico (dove l'utente può pagare o ritirare la merce scelta online).
Si consideri per esempio la logistica. L'ecommerce deve fare i conti con costumi che cambiano: è ormai comune che le case siano disabitate fino a tarda sera. Gli individui sono sempre più mobili e irregolari negli spostamenti. "Le innovazioni della logistica, che stiamo vedendo in questo periodo in Italia e non solo, sono tra le più interessanti e importanti", nota Roberto Liscia, presidente di Netcomm (il consorzio del commercio elettronico italiano). Si moltiplicano i luoghi e gli strumenti fisici dove ritirare un pacco. Allo stesso tempo, diventano più vari e numerosi i modi per pagare senza carta di credito. Altre innovazioni ecommerce aumentano la libertà e il potere degli utenti: di scegliere, personalizzare, controllare la qualità finale dei prodotti. I negozi online smettono insomma di essere vantaggiosi solo per il prezzo e la rapidità d'acquisto. Adesso mirano a esserlo anche per la qualità dell'esperienza. Per certi aspetti si ispirano a quelle che erano prerogative dei negozi fisici (la possibilità di provare un prodotto, di avere la consulenza dei commessi…), per poi addirittura migliorarle. In Italia partecipano anche le regole del settore, a questo percorso virtuoso: dal 13 giugno, un decreto ha aumentato i diritti degli utenti che acquistano a distanza (tra l'altro il diritto di recesso sale a 14 giorni).
Sono tutti fattori cruciali per imprimere una svolta all'ecommerce italiano. Secondo Netcomm, il fatturato 2014 arriverà a 13,2 miliardi di euro, con una crescita del 17 per cento; gli italiani che hanno fatto acquisti in un arco di tre mesi sono stati 15,4 milioni, aumentando del 14,3 per cento. Ci dobbiamo confrontare con Francia, Germania e Regno Unito dove l'ecommerce è molto più popolare e quindi varrà nel 2014 rispettivamente il 6, l'8,5 e il 15 per cento delle vendite totali, contro il nostro 3,6 per cento (3 per cento nel 2013).
In fin dei conti, se c'è da essere ottimisti non è solo per via delle tante innovazioni o aggiustamenti che stanno arrivando sul commercio online. Ma è perché, anche in Italia, sta cambiando il modo stesso di concepire le vendite e il rapporto con i clienti. Una trasformazione culturale che investe tutto, non solo internet: "i negozi, anche quelli tradizionali, stanno capendo che il cliente deve essere servito dovunque, comunque e in qualsiasi momento; con la sua massima soddisfazione possibile", dice Liscia. È un fine così ambizioso da richiedere una fusione tra i due mondi. Da una parte, i negozi fisici si integrano con i propri canali online. Dall'altra, "si rivalutano come luogo di incontro, esperienza e relazione; mentre vengono lasciati a internet gli aspetti più pratici dell'acquisto", dice Liscia. Il futuro dell'ecommerce coincide in fondo con il futuro del commercio stesso.
Via IlSole24Ore.com
Credo che ogni tanto serva qualche titolo provocatorio per attirare l’attenzione su di un tema.
Lanciato il sasso, ecco però alcune precisazioni introduttive necessarie:
1) vecchio non vuol dire solo finito, vuol dire anche rodato, maturo, assodato. 2) non so quanti abbiano chiara la differenza fra Web, rete di pagine ipertestuali basate sul linguaggio HTML inventato da Tim Berners-Lee, e Internet, ossia l’insieme di protocolli di comunicazione (tra cui l’http delle pagine web) di derivazione militare e ben precedente al modo di navigare che noi oggi conosciamo. 3) non è un tema nuovo, si discute della “morte del web” dal 2010.
Se il web è morto…lo è da parecchio!
Perché allora questo post? In prima battuta perché come molti colleghi sono un po’ stanco di discutere di web marketing o anche di digital marketing come se fossero una disciplina a parte. Ormai il digitale è un substrato di business tanto quanto lo sono il computer, il telefono, la posta elettronica etc. Quindi è assodato, c’è, non se ne può fare a meno ma da solo non serve a molto senza idee e strategie vincenti.
Nuovi ruoli manageriali si affacciano sul mercato
In secondo luogo perché visto il contesto di cui sopra ormai nessuno si stupisce più di vedere un sito attraverso un telefonino o anche su di una tv (e presto su altri elettrodomestici) ma questo non ha semplificato le cose, le ha rese dannatamente complesse perché ogni device, browser e chissà che altro chiede una sua ottimizzazione, mentre ancora latita la cultura degli strumenti che erano disponibili già dieci anni fa. In altri termini, in molti si stanno avventurando in qualcosa di simile alla guida di astronave stellare senza aver fatto pratica sul triciclo, perché la penetrazione dei nuovi paradigmi è stata talmente veloce che le aziende in alcuni casi non hanno nemmeno fatto a tempo a iniziare che si sono trovate già indietro di anni.
Terzo, abbiamo appena cominciato, si discute di Internet of (every)thing (non di web of thing), e quindi la mentalità vincente è quella di conoscere gli strumenti ma di piegarli ai propri obiettivi,senza rimanere prigionieri, in modo da poter gestire serenamente tutti i cambi di paradigma perché alla base c’è un pensiero chiaro. Questo significa avere una conoscenza profonda sia del business sia dell’ecosistema che si va a creare nel tempo, e ne ho già parlato tante volte.
Considerato tutto questo, non trovate come me che il solo web non possa essere proprio considerato un concetto nuovo?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Google allarga la sua influenza nel campo delle tecnologie casalinghe. La compagnia californiana, dopo aver fatto suoi i termostati intelligenti di Nest Labs, ora può contare anche sui sistemi di videosroveglianza di Dropcam, acquisiti per 555 milioni di dollari.
La domatica pensata dagli ingegneri del motore di ricerca va via via componendosi e integrando le sue varie parti: la sorveglianza e la sicurezza garantiti da Dropcam si mescoleranno con le tecnologie Nest Labs. Tutto l’ecosistema diomestico firmato da Google dovrà comunque fare i conti con i problemi di privacy e raccolta dati che questi sistemi portano alla luce.
Il rischio di essere spiati dalla propria casa è dietro l’angolo e già da Mountain View provano a smorzare le polemiche: Dropcam “non condividerà dati con altre aziende, inclusa Google - dicono proprio da BigG -, almeno non senza il permesso degli utenti”. Il dubbio, però, è che il prossimo scenario porti alla pubblicità domotica.
Via Quo Media
Il mondo degli integratori nell’ultimo anno registra un fatturato pari a 2 miliardi di euro (143 milioni di confezioni vendute) con un trend positivo pari a +4,2% rispetto a quello dell’anno scorso. La crescita di questi prodotti è sostenuta soprattutto dal canale moderno (nel quale vengono canalizzate il 20% delle vendite di integratori), dove il fatturato cresce quasi dell’8% (rispetto a una crescita del 2,5% nelle farmacie).
Tra le principali categorie del comparto crescono sopra media gli integratori sportivi, gli integratori salini, i multivitaminici e i prodotti per la tosse, mentre i fermenti lattici sembrano arrestare la loro crescita. Restano stabili le vendite di lassativi e calmanti.
Negli ultimi anni, la crescita degli integratori è soprattutto trainata dallo sviluppo, in termini di referenziamento, di categorie minori, come i prodotti per il colesterolo, gli immunostimolanti e gli antireumatici, che hanno registrato delle crescite vicine al 10% rispetto al fatturato dell’anno scorso.
Si registrano circa il 15% di nuove referenze all’anno, soprattutto canalizzate all’interno della distribuzione moderna.
Analizzando separatamente il canale delle farmacie rispetto alla distribuzione moderna (super+iper) possiamo evidenziare:
114 milioni di confezioni vendite in farmacia con un trend positivo pari a 2,5% e 22 milioni di confezioni nei super+iper con un trend positivo pari a 7,8%. Fermenti lattici, multivitaminici e integratori salini sono i prodotti più venduti in farmacia, mentre integratori sportivi, dimagranti e multivitaminici quelli più venduti nel canale moderno. Al contrario degli integratori alimentari, nell’ultimo anno il mondo dell’healthy food (che include prodotti come yogurt probiotici per l’intestino e la difesa, yogurt e altri prodotti anticolesterolo, prodotti per le intolleranze alimentari, le diete, la reintegrazione energetica e di calcio) ha registrato trend negativi (-2,7%), con un fatturato pari a 1,3 miliardi di euro. Per questi prodotti il canale moderno è molto più importante rispetto agli integratori: qui è veicolato più dell’80% del fatturato. Questo mondo ha una visione che si basa sulla capacità di alcuni prodotti di aiutare il nostro organismo a migliorare specifiche funzionalità, come quella intestinale, il controllo del colesterolo, le difese immunitarie, la reintegrazione di calcio o energetica e le intolleranze alimentari. Proprio i prodotti per le intolleranze alimentari sono gli unici del mercato a registrare un trend positivo rispetto all’anno scorso sono.
All’interno del segmento delle intolleranze alimentari, troviamo il mercato dei prodotti aproteici senza glutine, che nell’ultimo anno (terminante ad aprile) vale 242 milioni di euro, con un trend stabile rispetto allo scorso anno (+0,4%). Le vendite (74 milioni di confezioni) sono aumentate del +2,8%. In questo segmento continuano a crescere le materie prime, come farina e le novità (altri prodotti), mentre si stabilizzano le vendite di segmenti storici, quali i Dolci, il Pane e la Pasta. La crescita di questi prodotti è riconducibile allo sviluppo all’interno del canale moderno al quale si rivolgono gli sforzi degli attori del mercato. Il canale mass market, infatti, ha un prezzo medio che è circa il 40% in meno rispetto al prezzo praticato in farmacia. Inoltre, confrontando i prezzi con quelli dei prodotti delle categorie di riferimento, si evidenzia come i prodotti senza glutine abbiano un costo che arriva anche a 5 volte quello dei prodotti con glutine.
Rispetto al recente passato, una peculiarità dello scenario competitivo dell’ultimo anno sono l’ingresso e la crescita. In questo segmento, emergono attori “non specialisti” che operano già nelle categorie, ma che solo ora iniziano a portare a scaffale referenze senza glutine. Questi “nuovi attori” per i prodotti senza glutine sono anche quelli che crescono a scapito degli attori storici del segmento, che vendono solo prodotti senza glutine.
Da ormai tre anni, il mondo dei prodotti Bio registra dei trend di crescita a due cifre sempre maggiore del 10% (quest anno +10,3%), con un fatturato pari a 674 milioni di euro. Le principali categorie vendute sono quelle relative ai prodotti di base frutta, verdura, prodotti da forno, latte, bevande, uova, pasta. Molte di queste categorie crescono con trend vicini al 20% (prodotti da forno, dolciario, pasta riso e farina).
È un mercato in cui le prime 10 categorie generano il 47% del fatturato del totale mercato con trend sempre maggiori rispetto a quelli delle categorie di riferimento (prodotti non biologici). Le categorie in cui il biologico ha un peso più alto sono soprattutto quelle relativi ai prodotti confezionati, come alimenti per l’infanzia, prodotti dolciari, dietetico naturali e pasta / riso, in cui le referenze biologiche coprono piu del 5% del fatturato della categoria. Anche per quanto riguarda lo scenario competitivo, i prodotti biologici rispecchiamo una competition molto concentrata con la marca privata, che pesa quasi il 45% delle vendite, salendo al 57% se si considerano i primi 3 brand.
Via Nielsen
Le aziende che vendono online stanno inventando modi per risolvere lo storico tallone d’Achille dell’ecommerce: la logistica. Tuttora, tempi e modalità di spedizione sono il principale ostacolo alla diffusione dell’e-commerce (anche – e, forse, soprattutto – in Italia). I rimedi inventati mirano quindi a rendere la consegna più a misura di cliente, in vari modi.
Un caso è Shutl, il servizio di consegna per vendite online che secondo uno studio dell’associazione eCommerce Europe, è il più veloce al mondo: 90 minuti dall’ordine. È possibile perché funziona solo per i venditori che hanno punti vendita fisici. Al momento dell’ordine il consumatore indica il proprio Cap e il sistema verifica e conferma in tempo reale se è possibile fare la spedizione in 90 minuti. Nel caso, il negozio fisico più vicino viene avvertito dal sito e prepara il pacco. Nel giro di pochi minuti arriva una moto o un auto di Shutl che prende il pacco e lo porta al cliente. Tra l’altro, essendo un servizio locale il costo è simile a quello di una spedizione standard.
Gli stessi grandi siti ecommerce americani – Amazon, Google, eBay – stanno facendo una gara per ridurre i tempi di consegna: adesso nello stesso giorno dell’ordine (“same day delivery”), in alcune città americane. Amazon consegna anche la domenica nelle principali metropoli Usa ed europee (non in Italia). La consegna domenicale è garantita anche dal corriere francese Hermes. Con la stessa filosofia, è nata di recente Uber Rush, un’app per la consegna pacchi a piedi o in bicicletta.
In Cina invece sono nati corrieri che, quando spediscono vestiti, aspettano dietro la porta che il cliente li provi. Così poi se li riprendono al volo, se non vanno bene.
Altre innovazioni rispondono a mutazioni sociali: è sempre più comune che la casa sia disabitata per tante ore al giorno. Chi non ha portineria e non può ricevere pacchi in ufficio, come può quindi comprare online? Dove li riceve i pacchi? Per esempio nei “lockers”, cioè armadietti digitali che sono arrivati anche in Italia. Adesso ce ne sono cento, per lo più presso centri commerciali del Nord Italia, ma diventeranno 400 entro tre mesi, secondo InPost, l’azienda polacca che li produce. Gli armadietti hanno tanti scomparti protetti da un codice. Il corriere deposita il pacco e il cliente lo prende quando gli è possibile, digitando il codice ricevuto al momento dell’acquisto. Al momento è un servizio offerto solo da Tnt Express ed è adottato solo da Banzai (su Saldi Privati ed ePrice). Sono l’evoluzione di un servizio che c’è già da anni: i pickup point del pacco in un negozio fisico.
Un’alternativa è la scatola creata da Parcelhome, una startup inglese: l’utente la mette nel proprio pianerottolo e la protegge con un codice digitale. È la versione evoluta (e più grande) di una cassetta delle lettere, insomma.
A volte non servono nemmeno innovazioni spinte per fare felice il cliente: bastano alcune attenzioni in più. Come la prassi di telefonare al cliente per mettersi d’accordo su un orario di consegna: sta diventando più comune tra i corrieri (fino a ieri recalcitranti), a quanto risulta ai ricercatori dell’Osservatorio eCommerce del Politecnico di Milano. Esselunga, grazie a una flotta di proprietà, garantire la consegna all’orario scelto dall’utente (in una finestra di due ore).
E se entro cinque anni ci saranno forse consegne tramite droni – a quanto annuncia Amazon – nel futuro prossimo dell’Europa ci sono cose più prosaiche ma probabilmente più utili. Cioè uno standard che agevoli le spedizioni “transfrontaliere”, quelle che avvengono tra diversi Paesi dell’eurozona.
Lo ha appena proposto eCommerce Europe alla Commissione Ue. Se i sistemi informativi dei diversi corrieri adotteranno standard, sarà possibile rendere più tracciabili e garantite le consegne transfrontarliere. L’obiettivo è anche ridurre i prezzi, che ora non sono orientati alla distanza percorsa ma al diverso livello di integrazione tra i sistemi dei diversi corrieri. Conseguenza, mandare un pacco in Germania costa due-tre volte la spedizione nazionale (a parità di chilometri) e persino più che negli Usa, secondo stime dell’associazione.
Via IlSole24Ore.com
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