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  mymarketing.it: perchè interagire è meglio!... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico : Marketing non convenzionale (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Roberto Venturini (del 16/10/2007 @ 07:53:40, in Marketing non convenzionale, linkato 3402 volte)

Per promuovere la terza stagione di Lost in Spagna, la Fox ha realizzato un simpatico evento di buzz marketing, posizionando il rottame del aereo del serial all'interno della stazione ferroviaria di Atocha a Madrid.

Si tratta di un esempio molto garbato di marketing alternativo - di quelli che non danno fastidio e che funzionano solo nella misura in cui una serie di media e di giornalisti (come il sottoscritto ; - )) trovano interessante la cosa e ne amplificano la portata parlandone e portandola ad un pubblico più ampio.

Il classico modello del Guerilla, tanto per intenderci - se non ne parlano i mass media sono generalmente soldi buttati e/o costi contatto fuori da qualsiasi logica umana.

Dal punto di vista tecnico, la location è stata scelta (anche) per la presenza di palme all'interno della stazione, che evocano lo scenario dell'isola misteriosa. La coda dell'aeroplano è alta 6 metri e pesa circa 400 kg ed è visibile da tutta la stazione.

Alal fine della promozione, la coda vedrà concludere la propria carriera su eBay dove sarà venduta al miglior offerente (qualche fan hard core della serie)?

 
Di Roberto Venturini (del 03/05/2007 @ 07:49:36, in Marketing non convenzionale, linkato 2696 volte)

In una mossa di marketing alternativo, misto fra il guerilla e il buzz, Nissan USA ha smarrito 20.000 mazzi di chiavi in locali pubblici statunitensi

Ogni mazzo di chiavi contiene una card che recita " I found please do not return. My Next Generation Nissan Altima has Intelligent Key with Push Button Ignition, and I no longer need these "(Se trovate queste chiavi, per favore, non le restituite. La mia Nissan Altima di Nuova Generazione possiede una chiave intelligente con avvio dell'auto premendo un bottone, quindi non ho più bisogno di queste chiavi).

Contiene anche un codice che, inserito all'interno del sito www.altimakeys.com, permette la vincita di premi, sconti sulla benzina etc.

La campagna ha come obiettivo raggiungere un pubblico giovane, sempre più difficile da raggiungere con i media tradizionali. Il budget annunciato è di 100.000 $

Il mio commento: se la meccanica è carina, il messaggio pubblicitario sulla card secondo me ammazza il brand e rovina il giochino. Non mi sembra il linguaggio più adatto per una operazione di engagement marketing rispetto ad un pubblico giovane.

Degno di nota che il messaggio nella card è composto da 18 parole, di cui 11 iniziano con la maiuscola...

 
Di Altri Autori (del 25/04/2007 @ 15:20:59, in Marketing non convenzionale, linkato 3043 volte)

La tematica sessuale all’interno del linguaggio commerciale fa sempre e comunque parlare, ma non sempre è coerente con il posizionamento della marca o con il prodotto.
In base al grado di coerenza del tema sessuale col brand, possiamo suddividere i casi in 3 categorie. Il sesso può essere:

Nel prodotto, per obbligo
Possono usufruire di questo tema mediatico i marchi di prodotti legati al mondo sessuale dal punto di vista della categoria d’appartenenza. Aziende di profilattici o sexy shop, sono obbligati, e ben felici di esserlo, a far sì che questo tema sia costantemente il pilastro portante della loro comunicazione. Di seguito due esempi recentissimi.
> Durex in Francia recluta 20000 persone disposte a testare i propri profilattici con delle affissioni rappresentanti i tipici annunci a frangia in formato gigante. Il linguaggio è chiaramente allusivo e ironico. “Pas de salaire, que du plaisir”.
> Il sexy shop milanese Erotika si promuove con una sex machine: un’automobile parcheggiata fuori dal proprio negozio sui cui finestrini sono applicati degli adesivi raffiguranti tre donne e tre uomini in atteggiamenti hard. “Toys you can’t wait to use”.

Nel posizionamento, per piacere
Altri marchi invece hanno il sesso insito nel loro posizionamento. Emblematico è Axe che con il payoff “Axe effect” continua a produrre in abbondanza e con velocità campagne ironiche utilizzando mezzi classici e non. Ad esempio: asciugamani che con effetto trompe l’oeil fanno sembrare in dolce compagnia, un’affissione all’entrata di una galleria rappresenta due gambe divaricate, un adesivo raffigurante un occhio che spia posto di fronte ai sanitari nei bagni degli uomini.

Puro attention getting, per far parlare
Molte volte però il tema sessuale viene scelto solamente per catturare l’attenzione, pur non avendo nessuna connessione con il marchio o il prodotto.
Di seguito tre casi eclatanti in cui il tema sessuale è trattato in modo esplicito.
> Il marchio d’abbigliamento spagnolo Desigual promuove l’apertura di un nuovo store invitando la gente ad arrivare nuda ed offrendo loro i vestiti che riescono ad indossare.
> Shai, brand di abbigliamento, si promuove con un catalogo piccante: 3 video pornografici, lei-lui, lei-lei e lui-lui.
> A Copenhagen il Danish Road Safety Council, per far rispettare il limite di velocità ponendo attenzione ai cartelli stradali, ha cercato di risolvere il problema con l’iniziativa “Speed Bandits”: ha posto delle belle ragazze in topless con in mano il cartello di limite di velocità (vedi il video in allegato).
> Per fare un raffronto con un’attività simile, ma giustificata nell’utilizzo del tema sessuale da parte del brand, in Belgio Sloggi, con la campagna “Smoggi” adottata per ridurre l’inquinamento per smog, ha posto delle ragazze con in mano il cartello di limite di velocità con indosso i completi del marchio di intimo.

Quando il prodotto o il posizionamento sono nell’area sessuale, c’è una buona ragione per approfittarne, ma comunque non abusarne.
La tematica sessuale può essere un motore che alimenta il passaparola e rende le campagne virali, ma se viene utilizzata gratuitamente non costruisce nulla per il brand e finisce solo con l’alimentare l’archivio delle campagne trash.

Via Lillo Perri

 

Assistiamo oggi ad una svolta nel mondo delle community, i luoghi virtuali in cui condividere i propri contenuti. L’utente ha sempre desiderato mostrare agli altri foto, video e musica autoprodotti, ha sempre agognato un luogo in cui avere la possibilità di diventare il protagonista, di acquisire fama seppur in un contesto virtuale. Lo user, soggetto alle regole del “wanna be a star”, ha così dato vita al fenomeno dello “user generated content”.
Nel luglio 2003 MySpace ha dato spazio per foto, musica e video; nel febbraio 2004 è stata la volta di Flickr con spazio per foto e nel febbraio 2005 YouTube con spazio per video. Da questa piccola digressione nella storia delle community più famose si nota che esse, seppur ottime piattaforme, non hanno organizzato in modo tematico e a seconda degli interessi i propri contenuti, e risultano quindi generaliste, motivo per cui nascono sempre più gruppi al loro interno. Inoltre le community sono talmente numerose da far nascere il bisogno di un aggregatore di identità digitali e di community tematiche, in modo che l’utente possa scegliere la community più adatta alle sue esigenze e passioni, in modo da vivere un’appagante esistenza virtuale.
Ed è così che hanno preso vita nuove community che spaziano dal porno al divino, come Pornotube e GodTube. Ma la community del futuro è Ning: una piattaforma che permette di creare community personali e personalizzabili a proprio piacimento, consentendo ad ognuno di avere la propria community, pubblica o privata, dove condividere foto, video e blog. Lo user è quindi libero di creare una community a suo piacimento, non solo dal punto di vista grafico, ma soprattutto dal punto di vista dei contenuti e dei partecipanti, divenendo esso stesso moderatore e scegliendo gli eletti che faranno parte della sua cerchia. Il tema della community sarà esso stesso un selezionatore che permetterà di raccogliere persone legate e accomunate dallo stesso interesse.
In questo modo si ha l’evoluzione da “user generated content”, un utente che condivide i propri contenuti in uno spazio pubblico e poco personalizzabile, a “user generated community”, un utente che crea una community, con temi specifici e spazio personalizzato.
Attualmente sono disponibili 30.000 Ning, ed i dati indicano 20 milioni di pagine viste al mese e 4.5 milioni di utenti unici solo in Gennaio, con un traffico per metà proveniente dagli USA.
Così, mentre il marketing trova nelle community una fonte inesauribile di dati e studia i profili degli utenti per indagare gusti e preferenze, le community create dagli user diventano il luogo di incubazione degli scenari futuri, perchè hanno al loro interno dei veri esperti in quel campo. Basterà seguirli per anticipare le tendenze?

Via Lillo Perri

 
Di Roberto Venturini (del 30/03/2007 @ 07:34:38, in Marketing non convenzionale, linkato 3852 volte)

Noto che spesso viene dato per scontato che il GM sia una iniziativa di Marketing necessariamente Low Cost. Anche se spesso è così, non è questa la base della tecnica.

L'idea dietro il Guerilla Marketing non è quella di spendere poco ma quella di amplificare il risultato. Sfruttare il potenziale dirompente dell'evento perchè i Mass Media lo riprendano e ne parlino al mondo – generando un potenzialedi comunicazione dal valore (monetario) estremamente elevato.

Infatti, se faccio un evento anche straordinario, ma colpisco solo 100 persone e nessuno riprende la notizia, non è che il mio business vada molto più lontano.

Potenzialmente anche i blog si prestano alla diffusione della notizia, ma è indubbio che vederlo al telegiornale in prime time, spesso il nostro GM fa tutto un altro effetto...

Un ottimo esempio, tratto dalla mia personale Hall of Fame: l'evento di Mini che ha piazzato le proprie automobili piantate sugli spalti come spettatori, all'interno dello stadio americano dove si giocava la partita del lunedì sera di Football, trasmessa in diretta dalla TV. Un evento di grande audience, un evento di grande budget, un colpo di mano spettacolare... ma non certo economico.

 
Di Altri Autori (del 20/03/2007 @ 07:49:47, in Marketing non convenzionale, linkato 5457 volte)

Di fronte alla crescente diffidenza dei consumatori nei confronti della classica pubblicità, aziende all’avanguardia hanno pensato che un giusto modo per promuoversi fosse intrattenere il consumatore facendolo divertire in modo tale che egli, trascorrendo piacevolmente il suo tempo con la marca, avesse di essa un’idea positiva.
Questo è ciò che noi chiamiamo Brand Entertainment. Recenti sono tre attività di notevole valore.


The Passenger, real advergame
“The Passenger” (
www.the-passenger.com) è un advergame, lanciato per promuovere il nuovo Nokia Multimedia Car Kit CK-20W, che non si limita a fare un semplice product placement del prodotto all’interno del gioco, ma che anzi, fa sì che questo oggetto diventi necessario per lo svolgimento della storia.
Ambientato in una Parigi notturna, una donna misteriosa, The Femme Fatale, deve recarsi in breve tempo presso tre indirizzi di Parigi, dove troverà The Mistery Man, e servirà talento nella guida per portarla a destinazione. L’utente che si accinge al gioco diventa co-protagonista della storia, e sarà The Driver, colui che dovrà guidare l’autovettura attraverso le strade parigine.
Durante il gioco si dovranno utilizzare le funzioni del Nokia Multimedia Car Kit CK-20W - comunicazione, navigazione e musica -, trovandosi nel giusto contesto, ossia all’interno dell’auto, ma divertendosi allo stesso momento. La sensazione di realtà è anche data dal fatto che tutte le scene sono composte da video reali, non solo i filmati che concludo ogni schema, ma anche il percorso guida.
Curiosità, all’interno di questo real advergame, è data dalla presenza evidente del marchio BMW Mini. Il cruscotto è sempre ben evidente durante il gioco e durante i video che inoltrano allo schema successivo si vede la carrozzeria. Risulta evidente che fosse necessaria la presenza di un’auto, ma sorge spontanea la domanda: double product placement o comarketing?


CDX, interactive-video adventure.
CDX (
www.cdx-thegame.com) è un advergame nato per promuovere la serie Ancient Rome: The Rise and Fall of an Empire. BBC ha realizzato un gioco che contiene enigmi che possono essere risolti solo vedendo la serie tv Ancient Rome, partecipando al gioco in UK.
Un pugnale sacrificale forgiato alla nascita dell’Impero Romano è la chiave di una cospirazione antica e sanguinaria che minaccia di scoppiare nel mondo attuale. Ambientato a Tunisi nel 21° secolo, vede come protagonista Adam Foster, un uomo che dopo un incidente che gli ha causato un’amnesia non ricorda nulla del suo passato. Lo scopo è trovare chi ha il pugnale e fermarlo.
 Interessante è il rapporto tra i mezzi che interagiscono in questo processo: la tv e il web. Una serie televisiva, Ancient Rome: The Rise and Fall of an Empire, cerca di intrattenere anche sul web creando un advergame, CDX, che rimanda a sua volta alla serie.


Hammer & Coop, viral series
“Hammer & Coop” (
www.hammerandcoop.com) è una miniserie di Mini USA composto da 6 episodi, viral video, visionabili e diffusi esclusivamente online. I protagonisti si ispirano al celebre telefilm “Supercar”: Jim Turtledove che lotta contro il megalomane Sven Hartjan e al suo fianco una Mini Cooper S parlante che riesce a trarlo in salvo dalle situazioni pericolose.
Diretti dal regista Todd Phillips (Old School, Starsky & Hutch), gli episodi sono dei piccoli telefilm che si distaccano dal linguaggio tipico della pubblicità ed entrano con diritto nel mondo dell’intrattenimento.
La campagna promette viralità: la propria presenza in Second Life, trailer e video su YouTube (
www.youtube.com/hammerandcoop), un profilo su MySpace e contenuti disponibili su podcasts e cellulari.


Nei primi due esempi è evidente l’interattività dell’utente che diventa protagonista, poichè agisce in prima persona nel gioco, con la simulazione di una corsa in auto e con la strategia nello scoprire indizi. Il brand dà la possibilità di giocare e diventa più “simpatico” per il pubblico, perchè offre un modo per divertirsi, inoltre ha la possibilità di mostare l’oggetto che vuole pubblicizzare senza annoiare.
Nell’ultimo esempio invece si è spettatori e si ha il puro brand entertainment: una vetrina che cerca di coinvolgere lo spettatore facendogli assaporare lo spirito del brand. E’ di certo la scelta più rischiosa, ma chi osa nel modo giusto, dando al pubblico una vera esperienza col mondo del marchio, viene premiato con una migliore percezione da parte dei consumatori.
Nei casi qui citati, la pubblicità non è all’interno di un contenitore, vuoi che sia un advergame o un telefilm, bensì è il contenitore stesso. In questo modo la pubblicità non interrompe disturbando il consumatore, anzi, diventa il motivo stesso per cui siano altre cose a passare in secondo piano.

Via Lillo Perri

 
Di Altri Autori (del 02/03/2007 @ 07:54:55, in Marketing non convenzionale, linkato 2651 volte)

E ora scendono in campo i comici di Zelig. Una partnership che promette schioppettanti spot di nuova generazione quella tra Zelig Advertising e il portale Alice di Telecom Italia. Tutto dedicato al marketing virale, quello cioè che sfrutta il ‘virus del passaparola’ sugli sms, mms, su internet e via mail. Zelig Advertising porta in dote il brand del noto locale milanese fondato nel 1986 da Giancarlo Bozzo con la direzione artistica di Gino&Michele. La piccola ma gloriosa pedana di Zelig, che è stata nel corso degli ultimi vent’anni, trampolino di lancio per una squadra di comici doc metterà quindi a disposizione dell’advertising il talento dei suoi artisti. Alice, invece, è il portale nazionale leader per numero di visitatori: nel mese di gennaio durante il giorno medio lavorativo è stato visitato da 2,3 milioni di utenti (media feriale di pagine viste a gennaio 48.815.948 e utenti unici 2.342.075, fonte Nielsen Net Ratings).

Via Pubblicità Italia

 
Di Altri Autori (del 22/02/2007 @ 07:08:04, in Marketing non convenzionale, linkato 5685 volte)

Cos'è il Widget Marketing? Con il termine Widget si indicano tutte quelle piccole applicazioni, molto leggere, che rimangono costantemente attive sul desktop fornendo svariati servizi di calcolo, news, o intrattenimento. Tra le loro funzioni la più interessante è quella di ricevere in tempo reale ogni sorta di informazione da internet, facendo risparmiare la necessità di visitare diversi siti web.

I Widget funzionano grazie ad un motore che nei sistemi Mac è integrato e prende il nome di Dashboard, mentre per i pc non ne esiste uno compreso nel sistema Windows, ma ne sono disponibili alcuni da scaricare, il più completo e diffuso dei quali è sicuramente Yahoo! Widgets Engine.
Cerchiamo di capire perchè i Widget rappresentano il futuro prossimo del branded content. Le motivazioni principali sono sicuramente due: la facile diffusione e la praticità di utilizzo.

La distribuzione di questi programmi è completamente libera e gratuita e tra breve gli stessi Widget che oggi utilizziamo con il computer potranno essere usati con il telefono cellulare: la rivoluzione è arrivata con iPhone di Apple, ma anche Nokia sta sviluppando una tecnologia simile. Ci sono tutti i presupposti per effettuare un salto di qualità dai “tradizionali” siti web interattivi e bypassare i canonici sistemi di navigazione web.
Con l’utilizzo del Widget gli utenti possono stringere un rapporto più stretto con la marca. Il brand, dal canto suo, può scegliere se creare un contenuto che trasmetta puramente il proprio messaggio, oppure creare una sorta di estensione dei valori del marchio.

Possiamo citare due esempi, entrambi dello scorso anno, che rappresentano questi due diversi approcci:
* H&M ha creato un Widget puramente legato alla propria catena di moda, che fornisce notizie in tempo reale sulle ultime novità disponibili nei negozi o altre attività promozionali, dedicato quindi esclusivamente agli estimatori del brand.
* Adidas, invece, ha scelto di fornire news in tempo reale raccolte da diverse fonti (Yahoo!, Sky, Radio 1) durante i mondiali di calcio in Germania, aggiungendo un pizzico di personalità con servizi esclusivi e speaker d’eccezione come David Beckham: di certo un modo per consolidare il rapporto con i propri consumatori ed eventuali prospect.
* Altri esempi: Purina ha creato un servizio meteo al quale gli utenti possono inviare le foto dei propri animali per vederli apparire sullo sfondo; Honda, per la sua Acura RDX, fornisce bollettini del traffico in tempo reale ricreando una delle novità del navigatore installato sulla vettura; Sony Pictures ha utilizzato un Widget per promuovere il film Zathura; il Rijksmuseum di Amsterdam regala immagini e informazioni sui capolavori esposti; ultimo, in ordine di tempo, il Rabbit Widget di Volkswagen che aggiorna in tempo reale su eventi gratuiti tra concerti, mostre, spettacoli e feste nelle principali città statunitensi.

Siamo sicuramente ancora agli albori del Widget Marketing: i casi esaminati non sono certo eclatanti e non riescono ancora a eguagliare lo sfruttamento di potenzialità del sistema ottenuto da altri Widget non brandizzati, ma si tratta pur sempre di una prima fase di rodaggio che sicuramente porterà a migliorie.

Da questi esempi possiamo intanto capire cosa fare e non fare per ottenere la massima efficacia:
* Fornire un servizio o una fonte di intrattenimento (Honda ha registrato più 10.000 download in un mese).
* Cercare di essere poco invasivi (purtroppo non basta una grafica decorativa come quella utilizzata da H&M)
Riguardo agli aspetti tecnici, utilizzare i motori standard, ovvero Dashboard e Yahoo! Widgets: sul web popolano altri pseudo-widget che non stanno risquotendo molto successo perchè forzano gli utenti a complicate installazioni di diversi motori (andando contro al principale plus dei Widget, la semplicità).

Non dobbiamo dimenticare che alla base dell’approccio del branded content c’è sì l’intrattenimento del consumatore, ma bastano dei piccoli errori per far sì che egli viva la marca in un modo indesiderato. E’ un peccato che le marche non siano ancora in grado di sfruttare a pieno i benefit di questo nuovo mezzo utile, poco invasivo e durevole, ma siamo sicuri che si tratti solo di una questione di tempo. Irrisoria.

Via Lillo Perri


 
Di Alessandro Figus (del 20/02/2007 @ 12:21:39, in Marketing non convenzionale, linkato 4950 volte)

Il marketing olfattivo come già anticipato da un puntuale post di Max sta divenendo una strada sempre più battuta. Nello specifico si tratta di inviare al cliente un messaggio che non venga recepito attraverso gli occhi o le orecchie,bensì con il naso; questo può avvenire in forme diverse a seconda dell’obiettivo che si decide di perseguire. In questa sede mi limiterò ad approfondire la descrizione del cosiddetto "logo olfattivo".

Il termine logo, utilizzato con tutte le forzature del caso, è ormai per il brand un mezzo di identificazione, di riconoscibilità, di differenziazione e di memorabilità. In alcuni casi incorpora ed esprime quei valori di cui l’azienda si fa portatrice.
E’ appunto il primo passo che un’impresa fa nel lungo cammino della comunicazione con l’esterno.

Traslando questa definizione ad un odore, il logo olfattivo ricopre le stesse funzioni del più classico logo visivo. L’azienda può rendere una specifica essenza (a volte creata ad hoc) parte integrante della propria brand identity. Insieme al colore aziendale, al lettering, al logotipo, alla mission, all’immagine ed a tutti gli elementi tipicamente rappresentativi di un certo marchio, anche un odore può essere un elemento distintivo, può ricordare un prodotto, può traslare ad esso le sue caratteristiche o le emozioni che suscita.

Un brand che riesce ad appropriarsi di un’aroma già esistentecostringe” l’individuo a ricordarsi del brand (o del prodotto) nel momento in cui questo odore viene avvertito nuovamente fuori dal punto vendita (o lontano dall’atto del consumo) ed elaborato quindi dalla sua "memoria olfattiva". In questo caso il ricordo avviene in luoghi e momenti non sempre prevedibili dal management( può rappresentare un rischio) e l’immagine del brand tenderà a subire influenze proprio da queste variabili.

Viceversa, se si opta per la creazione “ex novo” di una fragranza che sia unicamente abbinabile al brand, la strategia si baserà “in primis” sulla scelta delle sensazioni che si vogliono evocare e quindi che si desiderano abbinare al brand. L’individuo si imbatterà in odori che solo vagamente possono rievocare il logo olfattivo, ma l’azienda potrà disporrà di un elemento di differenziazione che ne rafforza l’identità.

 
Di Max Da Via' (del 25/12/2006 @ 07:10:25, in Marketing non convenzionale, linkato 4282 volte)

Di product placement ci siamo giù occupati in altre occasioni (Ciak, si acquista!), con particolare riferimento a quanto avviene oltreoceano. Ma anche in Italia alcune aziende sfruttano il cinema come ulteriore vetrina promozionale, sostenendo parte dei costi di produzione di un film in cambio di un’adeguata visibilità dei loro prodotti all’interno della sceneggiatura.


I film di Natale in particolare, sia per il periodo tipicamente di acquisti che per la maggiore affluenza al box office, rappresentano una vetrina ideale, favorendo quindi il ricorso a questa particolare forma di comunicazione.


Inaspettatamente, in quanto non si tratta del classico aspirante blockbuster natalizio, la produzione che in questo periodo è più di tutte ricorsa in maniera progettuale al product placement è “Commediasexi” del regista Alessandro D’Alatri, che vede tra l’altro l’esordio cinematografico del conduttore Paolo Bonolis.
La stima dell’investimento complessivo delle aziende per il placement dei loro prodotti all’interno di Commediasexi è di circa 1,5 milioni di euro, una cifra che ha coperto approssimativamente il 20% dei costi di produzione. Tra le marche coinvolte nell’operazione il settimanale Chi, le penne Montblanc, le assicurazioni Direct Line e la pasta Garofano.


Mentre nelle grandi produzioni hollywoodiane il product placement è uno strumento conosciuto e utilizzato, al punto che esistono aziende specializzate nella collocazione strategica dei prodotti, in Italia questo tipo di collaborazione avviene prevalentemente in maniera in poco organizzata, con una cooperazione tra aziende e case di produzione non così solida e istituzionale.


Secondo la testimonianza di Anna D’Auria, direttore di MovieInside, la società di Carat Italia che ha realizzato il piano di product placement di Commediasexi, la situazione in Italia è comunque in fase di evoluzione e anche da noi nei prossimi anni il ricorso delle aziende a questo strumento potrebbe diventare più frequente e programmato.

Via Economy

 
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