Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La crisi non intacca i fatturati dei grandi gruppi industriali, che nel 2011 hanno registrato tassi di crescita a 2 cifre, merito anche della compensazione dei mercati emergenti su quelli maturi. È quanto sostiene Deloitte che nel tradizionale studio Global Power of Consumer Products, secondo il quale nel 2011 le vendite dei maggiori produttori di beni di consumo mondiali hanno superato quota 3.118 miliardi di dollari, con un incremento del 7% sull’anno precedente. Leader assoluto risulta il gruppo coreano Samsung, con un fatturato di 150 miliardi di dollari (+6,7%), mentre di Apple (+66% a 108,24 miliardi di dollari) ha colpito il tasso di crescita. Quanto all’Italia, maglia rosa delle vendite è Ferrero (+9,4% a 10,02 miliardi), seguita da Luxottica (+7,3% a 8,66 miliardi) e Pirelli (+16,6%) a 7,87 miliardi), che risulta però prima in quanto a tasso di crescita.
Via Quo Media
E’ stato pubblicato ieri l’ultimo rapporto di GlobalWebIndex che indaga su come gli utenti nel mondo passino il proprio tempo, quali device utilizzino maggiormente e quali media prediligano. E’ doveroso precisare che tutte le indagini di GlobalWebIndex si basano su sondaggi svolti unicamente su soggetti con accesso ad internet e, anche in questo caso, si tratta della percezione che gli utenti hanno di loro stessi e come tale va considerata indicativa dei loro comportamenti.
Uno dei dati più interessanti, a mio avviso, che emerge da questo studio e’ che a livello globale il tempo che passiamo sui media digitali eccede quello sui media tradizionali. Quello che ad un primo sguardo può sembrare un dato molto impressionante va analizzato alla luce del fatto che gran parte delle nostre professioni si svolge ad un pc. Acquistiamo prodotti online, leggiamo notizie online, ascoltiamo radio online, e ormai guardiamo anche la TV online. E se anche guardiamo la TV in maniera tradizionale, nel 49% dei casi nel mondo, utilizziamo contemporaneamente un PC o uno smartphone.
Generazione iper-connessa? Non proprio se consideriamo che, sebbene siano i piu giovani a passare piu tempo coi media in generale, la percentuale di tempo passata al PC non scende con l’avanzare dell’età. Certo, i piu anziani sono meno abituati ad utilizzare smartphone e tablet, ma per quando riguarda l’utilizzo dei PC quasi raggiungono i più giovani per quantità di utilizzo.
A livello mondiale esiste un enorme divario tra paesi maggiormente consumatori di media e quelli in cui invece il consumo e’ minore. Ad esempio in Giappone (in fondo alla nostra lista) si passa il 73% di tempo in meno rispetto all’Argentina sui vari media, il paese della nostra ricerca che ne fa il maggior consumo.
In Italia passiamo circa 10 ore e mezzo al giorno con i media, poco meno di un’ora in piu rispetto agli inglesi e, in entrambi i casi, e’ il PC a farla da padrone. Sorprenderà sapere, infatti, che in l’Italia e’ piuttosto in linea con gli altri paesi per quanto riguarda il consumo di televisione e viene anzi superata dagli inglesi, dove esiste un’offerta multicanale da molti più anni. In compenso leggiamo di piu offline. La stampa infatti occupa poco piu di mezzora al giorno in media agli italiani contro i 20 minuti scarsi degli inglesi.
Ma quanto di questo tempo viene passato online? Di tutto il cumulo di ore passate sui media, in Italia, circa 5 ore e mezza vengono passate collegati alla rete, rispetto alle 5 ore scarse degli inglesi. Italiani piu collegati quindi, ma con cosa? In Italia cosi come in Gran Bretagna e praticamente ogni paese incluso nella nostra ricerca, sono le attività di social networking a farla da padrone. Quasi un terzo del tempo complessivo online viene passato sui social network in Italia contro il 25% degli inglese, mentre il 13% lo passiamo sui Twitter contro il 10% degli inglesi.
Le attività social sono ormai una delle motivazioni principali che spingono gli utenti ad accedere ad Internet, basti pensare che a livello mondiale, gli dedichiamo il 48% del nostro tempo online. Un enormita’!
I dati di questa ricerca dimostrano in maniera incontrovertibile e inequivocabile come Internet abbia totalmente sconvolto, non solo la maniera in cui fruiamo dei contenuti, delle notizie e dell’intrattenimento, ma anche la maniera in cui ci relazioniamo con le persone, in cui socializziamo e diamo vita alle società. Solo 4 anni fa Facebook iniziava a diventare un fenomeno di massa in Italia… dove ci troveremo e come socializzeremo tra altri 4 anni?
Via Tech Economy
L'azienda della Mela acquisisce la startup WiFiSLAM per sviluppare un'app che individui la posizione anche dove il GPS non arriva. La localizzazione al chiuso - che interessa ricercatori universitari e aziende come Sony o Cambridge Consultants- sembra essere la nuova frontiera dei servizi di mappe: se per caso ancora qualcuno dubitasse di ciò, l'ultima acquisizione di Apple dovrebbe convincerlo definitivamente.
Sborsando 20 milioni di dollari (la cifra, rivelata dal Wall Street Journal, non è stata ufficialmente confermata dall'azienda di Cupertino), Apple si è infatti impadronita della startup WiFiSLAM.
Fondata un paio d'anni fa, WiFiSLAM si occupa proprio di servizi di localizzazione al chiuso, dove la tecnologia GPS non arriva ma sono invece presenti segnali Wi-Fi.
Grazie a queste onde elettromagnetiche il software sviluppato da WiFiSLAM promette di consentire al proprietario di uno smartphone di individuare la propria posizione all'interno di un edificio con un margine d'errore di 2,5 metri.
Google fa già qualcosa del genere limitatamente ad alcuni aeroporti e zone commerciali negli USA, dei quali fornisce le mappe, e questo pare proprio essere il prossimo terreno di scontro tra le due aziende.
D'altra parte, la posta in gioco è potenzialmente alta, poiché un'app che rileva la posizione, per esempio, in un centro commerciale permette agli inserzionisti di inviare offerte mirate, buoni sconto e via di seguito.
Da un punto di vista meno commerciale si potrebbero sviluppare applicazioni che aiutano a orientarsi all'interno di stazioni o aeroporti, o magari guide museali virtuali che accompagnano passo passo i visitatori, raccontando le opere d'arte direttamente dallo smartphone.
Ovviamente sono già spuntate le prime preoccupazioni circa le nuove potenziali minacce alla privacy che tutto ciò potrebbe portare con sé: se prima Apple - è il ragionamento - sapeva soltanto quando i propri utenti si spostavano all'aperto, presto potrebbe sapere anche quando vanno dal bagno alla cucina.
Via Zeus News
In nuovo studio divulgato da Nielsen e SocialGuide, mette in evidenza come più si chiacchiera su Twitter di un programma televisivo, più questo ha un riscontro di rating positivo. Analizzando i tweet riguardo show televisivi in diretta, la società di analisi ha scoperto che Twitter è una delle tre “variabili statisticamente significative” nell’influenzare gli ascolti. Gli altri due fattori sono gli ascolti dell’anno precedente e la spesa pubblicitaria.
“Mentre gli ascolti pregressi fanno la parte del leone nella variabilità del rating tv, la presenza di Twitter come primo dei tre fattori di influenza ci dice che tweettare su un programma TV in diretta può effettivamente creare engagement attorno al rpogramma stesso”, rivela Andrew Somosi, CEO di SocialGuide, il servizio di analisi che ha collaborato con lo studio Nielsen. “Ci aspettavamo di vedere una correlazione tra Twitter e il rating TV, ma questo studio quantifica la forza di quel rapporto.”
La ricerca ha confermato che l’incremento dei volumi di Twitter è correlato ad un aumento dei rating televisivi tra diversi gruppi di età; questo si è rivelato particolarmente vero tra i telespettatori più giovani. Per la fascia che va dai 18 ai 24 anni, un aumento dell’8,5% dei volumi Twitter corrisponde ad un aumento dell’1% di ascolti televisivi per gli episodi premiere. Per la fascia di età che va tra 35 e 49 anni, invece, un aumento del 14% delle conversazioni Twitter corrisponde ad un aumento dell’1% ascolti.
a forte relazione tra Twitter e gli ascolti TV è dovuta in gran parte al fatto che le persone consumano sempre più spesso contenuti tv armati di molteplici dispositivi mobili, ha affermato Nielsen in un comunicato. Secondo la società, il 40% degli utenti americani di smartphone e tablet accedono ai social network quando guardano la televisione, e di questi, l’80% usa il proprio dispositivo mentre fa “zapping” passando da un canale all’altro. E’ importante notare, tuttavia, che mentre lo studio stabilisce una correlazione tra Twitter e gli ascolti TV, non ne prova una causalità certa.
Via Tech Economy
L’Osservatorio New Media e New Internet della School of Management del Politecnico di Milano ha rilasciato oggi gli ultimi dati che fanno il punto sul consumo di nuovi media.
Secondo la ricerca, il mercato dei media è complessivamente in calo del 5%, con un picco del -10% per quanto riguarda i soli media tradizionali (radio, tv). Sono , invece, in rialzo i nuovi media che con un +3% sembrano proseguire la loro costante crescita. In testa troviamo la cosiddetta “New Internet”, che nella ricerca è il web basato sui nuovi dispositivi (smartphone, tablet, TV connesse), sui social network, sulle applicazioni, sui contenuti a pagamento e sui video virali, che fa la parte del leone con un +90% nel solo 2012.
Forte riduzione si riscontra, invece, nel campo pubblicitario: i ricavi dai media, infatti, dal 2008 sono scesi da 18,4 miliardi a 15,9, con una riduzione di 2,5 miliardi, con una diminuzione che, soltanto nel 2012, è pari al 5%.
Via Tech Economy
In Usa il modo in cui si accede alle notizie si allontana sempre di più dal classico mezzo a stampa di cui i ricavi sono inesorabilmente più bassi. A rivelarlo è il report annuale di Pew Research Center “State of the news media” sullo stato del giornalismo americano.
Gli annunci pubblicitari su stampa sono scivolati sotto il miliardo e mezzo di dollari e sono quindi al di sotto dei 20 miliardi per la prima volta dal 1982, secondo Poynter. Causa di questo declino è senza dubbio il calo del 10% su base annua degli annunci nazionali. I ricavi dagli annunci digitali sono cresciuti del 3%, ma non sono abbastanza per coprire le perdite procurate dalla stampa. Nonostante grandi testate giornalistiche come il New York Times adottino siti mobili a pagamento, così come altre testate più piccole, questo non sembra, secondo Pew, arginare il crollo dei ricavi e la generale crisi del settore.
Anche i telegiornali affrontano il loro periodo di crisi: solo il 28% delle persone sotto i 30 anni recuperano le informazioni dai canali broadcast (un grosso calo se si pensa al 48% del 2006). Secondo la ricerca, questo potrebbe dipendere dal fatto che il 40% dei telegiornali locali si concentra sulle “non-news”, ovvero notizie di sport e meteo che sono facilmente reperibili in tempo reale su una miriade di altre piattaforme più semplici da raggiungere.
Non va meglio alle grandi agenzie di stampa: la ricerca ileva che la copertura delle notizie sui tre canali via cavo di eventi live è scesa del 30% nel 2012 rispetto al 2007. E il pubblico è molto più esperto ed esigente per quanto riguarda la scelta di notizie: il 31% degli adulti statunitensi hasmesso di utilizzare un unico sistema informativo in quanto non sempre dà ciò che si cerca.
Un dato positivo lo riscontra, invece, la pubblicità su mobile che è cresciuta dell’80% con un totale di 2,6 miliardi di dollari. Facebook è un player importante in questo mercato, anche se non ha rilasciato il suo sistema di annunci mobile fino alla metà del 2012.
Via Tech Economy
Mi e’ capitato piuttosto spesso di parlare di Twitter in questa mia rubrica. Ho parlato del suo utilizzo, di scandali che lo hanno coinvolto e di come abbia dominato il panorama mediatico olimpico.
Recentemente Martin Sorell, CEO di WPP, ha condiviso il suo punto di vista (che personalmente condivido) col resto del mondo, facendo presente che secondo lui Twitter non è una vera e propria piattaforma di advertising ma più uno strumento di pubbliche relazioni. Lo definisce il vero vincitore delle olimpiadi ma troppo debole e superficiale, a causa dei 140 caratteri, come strumento pubblicitario. E la stessa cosa vale per Facebook, troppo lento rispetto a Google search per poter vendere, ma piuttosto potente come strumento di branding.
I dati di GlobalWebIndex dimostrano come il Brand Discovery passi anche dai Social Network, ma come sostiene Sorell, esistono forme di adversting molto più incisive. Certo, è anche vero che dipende dal paese di riferimento. Ci sono paesi in cui i social contano per quasi un terzo del processo di Brand Discovery, come ad esempio in Indonesia, mentre altri dove incidono in maniera del tutto irrisoria (Germania, Olanda, Giappone).
Rispetto agli UK, in Italia ci affidiamo di piu ai Social per quanto riguarda la scoperta di nuovi marchi e prodotti. Ci fidiamo, ad esempio, molto delle raccomandazioni dei nostri “amici digitali” (nessun riferimento se siano persone conosciute fisicamente o meno) rispetto agli utenti inglesi; da noi sono ben il 30% coloro che si fanno influenzare da questa tipologia di utenti, contro appena il 4% degli i inglesi. E ancora il 38% degli utenti italiani si informa su forum dedicati, contro il 19% dei più scettici utenti inglesi; sono addirittura di più di coloro che si informano grazie ai motori di ricerca.
Ma allora quali strumenti utilizzano di più gli italiani online riguardo propri acquisti se non sui social? La fonte principale di scoperta di nuovi brand sia in Italia che in UK, sono ancora le raccomandazioni degli amici fisici, in carne ed ossa (l’Arabia Saudita è l’unico mercato nella nostra ricerca in cui la fiducia negli amici online eccede quella negli amici fisici) e gli articoli su siti dedicati di settore.
Via Tech Economy
È boom per l’industria delle app: i ricavi globali cresceranno quest’anno del 62% a 25 miliardi di dollari contro i 15 miliardi di dollari del 2012. Nel 2016 raggiungerà quota 74 miliardi di dollari. È quanto stima la società di consulenza Gartner, così come riportato dal Wall Street Journal. I negozi online contano 700.000 app e si stima che i consumatori trascorrano una media di due ore al giorno con le loro applicazioni: il 43% giocando e il 26% sui social network.
Dal 2007 l’industria delle app negli Stati Uniti ha creato 519.000 posti di lavoro e i ricavi realizzati dal settore nel suo complesso nel 2010 sono stati pari a metà del pil della Giamaica. Il boom delle app è imputabile – riporta il Wall Street Journal – all’esplosione dei dispositivi mobili: solo negli Usa ci sono 181 milioni fra smartphone e tablet, in Cina ce ne sono 167 milioni e negli Regno Unito 35 milioni. Si tratta di un mercato maturo sotto alcuni punti di vista: quando le App sono state introdotte quasi cinque anni fa da Apple, per promuoverle si erano adottate – riporta il WSJ – tecniche da Wild West, con truffe per aumentare il numero dei download. Un trend che ha spinto colossi come Apple e Google a usare parametri più stringenti. Il campo di battaglia si è molto ampliato in termini di categorie e dispositivi, lasciando agli sviluppatori grandi margini ma allo stesso tempo lasciandoli anche con il problema di identificare quale modello di business sia più redditizio.
L’industria delle App “è come le auto lo scorso secolo: si osserva un aumento delle strade e si sa che sarà una cosa grande” affermano alcuni analisti, sottolineando come solo fino a poco fa l’industria delle app era più semplice: il mercato era quasi esclusivamente americano e l’Apple Store la faceva da padrone. Ora, invece, la concorrenza è agguerrita: se Apple e Google sono gomito a gomito in termini di catalogo e uso delle app, Cupertino sembra ancora in testa in termini di ricavi. A questo si è però aggiunta la discesa in campo di Microsoft, Blackberry e Amazon.com.
Via Tech Economy
Stipulata una nuova partnership tra la nota catena di caffetterie StarBucks e il quotidiano americano New York Times, che permetterà ai clienti di sorseggiare caffè e leggere gratuitamente il giornale. Nelle caffetterie l’accesso al wi-fi è comunemente libero, ma da adesso, a chi si ferma per la colazione, sarà permesso anche sfogliare gratuitamente il New York Times che ha concesso anche ai non abbonati all’app, di leggere 15 articoli al giorno. Normalmente il giornale online americano consente a chi non ha un abbonamento di poter leggere 10 articoli al mese, limite oltre il quale scatta la tassa per il pagamento. Con il wi-fi di Starbucks, accessibile in relatà anche all’esterno dei locali, si potranno leggere tre articoli di cinque sezioni: Top News, Business, Tecnologia e Most E-mailed, ovvero quelli più spediti via e-mail; la quinta è a rotazione: il lunedì, per esempio, si potrà accedere alla sezione Sport, il martedì a quella di Scienza, il sabato agli articoli del Magazine. Yasmin Namini, vicepresidente del marketing del New York Times, ha riferito in relazione all’accordo: “Starbucks è il luogo ideale per valorizzare la nostra offerta digitale”. “I clienti scopriranno una diversa selezione dei contenuti del Times, aggiornati in tempo reale, dalle top stories del giorno agli approfondimenti e alle opinioni” ha aggiunto.
Via Tech Economy
Facebook è davvero prossima al lancio di un servizio di messaggistica per cellulari. Sms gratis o a prezzo ridotto per gli iscritti, attraverso operatori di telefonia mobile, in quattordici Paesi nel mondo, tra cui l’Italia. La conferma alle voci che circolavano da tempo è arrivata attraverso il blog ufficiale della compagnia californiana.
“Grazie a questa promozione - si legge nel comunicato - nei prossimi mesi sarà possibile inviare messaggi da telefonini con sistema operativo Android o iOs e da ogni telefono ottimizzato per la chat di Facebook”.
In Italia sarà H3g a garantire il servizio. Mark Zuckerberg & Co. sperano così di rimpolpare il bilancio del social network, finora quasi esclusivamente fondato sulla pubblicità, e di incrementare ancora di più il traffico sul sito, che conta circa 900 milioni di accessi unici al mese.
Via Quo Media
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