Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
"Il settore dei giochi per tablet e smartphone ci interessa, è un argomento che viene fuori spesso nelle nostre riunioni, e stiamo valutando la possibilità di portare alcuni dei nostri personaggi più famosi su questi dispositivi". A parlare è Reggie Fils-Aime, Presidente di Nintendo America. Durante un'intervista al canale statunitense King5, Fils-Aime ha aperto uno spiraglio a chi spera di vedere un giorno Super Mario e Zelda su tablet e cellulari. Una richiesta che arriva non solo dagli appassionati, ma anche e soprattutto dagli investitori e dai mercati finanziari, sicuri che l'arrivo di Mario e compagni su tablet garantirebbe a Nintendo guadagni nettamente superiori a quelli attuali.
Sarebbe una svolta storica per Nintendo, una compagnia che ha fatto la sua fortuna seguendo la strada del "giardino chiuso" di Apple, ovvero facendo vivere i suoi software più famosi solo sui suoi dispositivi. Se volevi provare il nuovo Super Mario o giocare a Metroid, dovevi per forza acquistare una console Nintendo. Domani, le cose potrebbero andare diversamente. “Stiamo pensando a piccole e veloci esperienze, titoli molto brevi e immediati, da usare come strumento di marketing per portare utenti dai tablet alle nostre console”, precisa Fils-Aime a King5. Insomma, attenzione a farsi prendere dall'entusiasmo: anche se un'apertura del genere da un'azienda tradizionalista come Nintendo è un segno importante, non c'è alcun piano concreto e al momento si parla di tablet solo come un mezzo per "rubare" pubblico dai dispositivi mobili e convertirlo alle proprie console. Nintendo pensa all'era post-console
Una strategia in linea con le tendenze attuali: oggi i bambini provano i loro primi videogame sullo schermo di un tablet. Il New York Times ha definito Angry Birds il nuovo Super Mario, proprio perché gli uccellini della Rovio sono stati capaci di influenzare un'intera generazione diventando un simbolo dei tempi, come fece Super Mario negli anni '80. E i risultati sono evidenti: i giochi di Angry Birds sono stati scaricati circa 2 miliardi di volte (con 240 milioni di utenti che giocano almeno una volta al mese), sono nati parchi a tema, cartoni animati, merchandising. C'è persino una stretta alleanza con Guerre Stellari e un film in arrivo, in lavorazione presso Sony Pictures. Insomma, un impero che lo scorso anno ha generato 2,7 miliardi di dollari di fatturato. Oggi, i bambini imparano prima a usare lo schermo di un tablet e a lanciare un uccellino con la fionda che a premere un tasto su una console portatile per far saltare Super Mario. I tempi cambiano, e Nintendo si deve adeguare.
Del resto, già in passato Nintendo aveva aperto a sperimentazioni del genere. Il primo Donkey Kong, nel 1981, venne distribuito su diverse piattaforme di allora, come l'Atari 2600. Più recentemente, quando nel 1991 la Philips lanciò il CD-i, i compact disc interattivi, Nintendo sviluppò una versione di Zelda appositamente per quella macchina. I risultati furono disastrosi: il CD-i di Philips fu un fallimento e quel Zelda, oggi, se lo ricordano solo i collezionisti. Ma con tablet e smartphone è una situazione diversa. Nintendo è in una posizione particolare: il Wii U, che si ispira proprio al mondo dei tablet (il suo controller ha uno schermo touch da 6,2 pollici), per ora ha faticato a ottenere il successo sperato, vendendo poco più di 4 milioni di console in un anno. Poche, se consideriamo che PlayStation 4 e Xbox One sono già oltre i due milioni di pezzi e sono uscite da appena un mese. Una situazione che sta spingendo Nintendo a tentare nuove strade. Anche quelle impensabili fino a qualche tempo fa, come affidarsi ai dispositivi che, per primi, hanno ostacolato la diffusione del Wii U e, solo in parte, del 3DS. Staremo a vedere. Intanto le dichiarazioni di Fils-Aime hanno scatenato il popolo del web, dove sta nascendo una nuova provocazione: e se la prossima console di Nintendo fosse un tablet?
Via Repubblica.it
Diffusi da Audiweb i nuovi dati di audience online del mese di novembre 2013: in base alla rilevazione si calcola che sono stati 27,5 milioni gli utenti online collegati almeno una volta da un computer con un’audience online da PC che, nel giorno medio, e’ rappresentata da 13,4 milioni di utenti collegati in media per 1 ora e 17 minuti.
In base ai dati socio-demografici di novembre, la popolazione online nel giorno medio e’ composta dal 44% di donne (5,9 milioni) e dal 56% di uomini (7,5 milioni). La maggior parte degli utenti online, il 48% (6,4 milioni) ha tra i 35 e i 54 anni e spende in media 1 ora e 19 minuti su internet, seguiti dai 25-34enni che rappresentano il 18,2% della popolazione online (pari a 2,4 milioni), collegati in media per 1 ora e 26 minuti.
Sul fronte della provenienza geografica, la popolazione online nel giorno medio risulta composta da utenti dell’area Sud e Isole nel 29,7% dei casi (circa 4 milioni), dell’area Nord-Ovest nel 26% dei casi (3,5 milioni), dell’area Centro nel 17,3% (2,3 milioni) e dall’area Nord Est nel 14,8% (circa 2 milioni).
Audiweb dà anche conto della fruizione dei contenuti video online nel mese di novembre: 49,3 milioni stream views, con 6 milioni di utenti che hanno visualizzato almeno un contenuto video su uno dei siti degli editori iscritti al servizio Audiweb Objects Video, con una media di 29 minuti e 10 secondi di tempo speso per persona.
Via Tech Economy
Segnali forti e chiari per i pagamenti contactless italiani: a muoversi, i provider delle telco in partnership con i gruppi bancari. Da un lato è Telecom ad accordarsi con Visa, dall’altro c’è Vodafone che si allea con Intesa San Paolo. L’obiettivo? Favorire la curva crescente dei clienti dotati di smartphone Nfc che ancora non chiedono di usare l’rfid nel loro telefonino. Rispetto al resto dell’Europa siamo in testa nell’uso degli smartphone ma siamo in coda nell’uso dei pagamenti elettronici. L’87% degli italiani preferisce usare il contante, ma quell’Nfc integrato nel telefonino ci porterà presto a utilizzare i pagamenti contacless prima di quanto non si possa pensare.
Smartphone Nfc significa un target potenziale da servire attraverso una rosa di servizi più ampia e versatile: ecco il motivo per cui Telecom Italia e Visa Europe hanno annunciato un accordo per spingere il sistema dei pagamenti contactless finalizzato per ora a importi fino a 25 euro senza pin (per importi superiori con il pin), così da puntare alla comodità per vincere la resistenza tutta italiana alla dematerializzazione del denaro. L’accordo prevede che i servizi di mobile payment di Visa Europe saranno offerti al portafoglio di oltre 31 milioni di clienti Tim. Dopo un progetto pilota su Milano, i due provider hanno deciso di estendere i pagamenti contactless via smartphone a tutti i pos europei. Vero è che oggi solo il 10% dei Pos italiani accetta i pagamenti contactless (170mila Pos operativi) ma il Politecnico sostiene che già l’anno prossimo il parco esercenti dotati di Pos Nfc oscillerà tra 405mila e 610mila. Per aggiungere un moltiplicatore Tim provvederà a installare terminali Nfc nei propri punti vendita dislocati in Italia. La carta Visa cobrandizzata Tim e realizzata in partnership con Intesa Sanpaolo, sarà disponibile nel 2014 ai clienti Tim dotati smartphone Nfc ed è sviluppata con gli stessi standard di sicurezza che caratterizzano i pagamenti Visa contactless. Intesa Sanpaolo ha aperto anche a Vodafone per incentivare i negozianti italiani ad accettare carte di debito, credito e bancomat sempre per piccoli importi. Il target rimane il consumatore smartphone dotato, ma questa volta il servizio si concentra su una app per cellulari intelligenti e tablet che consentirà pagamenti contactless funzionando tramite un Pos che si collega a smartphone e tablet in modalità bluetooth. Il pos mobile Move and Pay Business è un piccolo lettore certificato ai massimi livelli di sicurezza da Visa, MasterCard e Consorzio Bancomat. Dopo aver scaricato gratuitamente un’applicazione Android oppure iOs, consente di ricevere pagamenti in pochi passaggi, esattamente come gli apparecchi Pos presenti nei negozi. L’obbiettivo è riuscire a coinvolgere almeno un milione di partite Iva che ancora non hanno un Pos per un ammontare delle transazioni stimato nell’ordine dei 90 miliardi di euro.
Per indagare però come il consumatore medio italiano si comporta con questi nuovi prodotti abbiamo interpellato Nicola Pellegrini, amministratore unico della Smart Research, società che opera in Italia dal 2008 ed è specializzata nelle ricerche via web utilizzando una tecnica di reclutamento esclusiva che non remunera i rispendenti. “Spesso si sente parlare di multicanalità nel mondo bancario ma poi si tende a fondere i pagamenti con la monetica e si esclude di conseguenza con grande rapidità, e forse un po’ di superficialità, il mobile come strumenti ad alto potenziale. La ricerca che abbiamo condotto dimostra che non è così. Con la giusta cautela e gli strumenti adatti il mobile può diventare, anche in tempi brevi, un grande strumento di diffusione della monetica”.
Smart Research ha condotto la ricerca Lo smartphone e le sue potenzialità come strumento finanziario: la prima parte è stata condotta nel mese di settembre 2010, la seconda nel mese di marzo 2011, la terza nel novembre 2011, la quarta si è conclusa a marzo 2012, la quinta a marzo 2013 fino ad arrivare a quella attuale, conclusa ai primi di novembre 2013. Il campione, per ciascuna parte di ricerca è stato di oltre mille casi rappresentativo della popolazione italiana dai 18 ai 64 anni. L’analisi temporale dei risultati dell’indagine mostra una significativa crescita percentuale dei possessori di smartphone tra settembre 2010 e novembre 2013. Leggendo la serie storica delle rilevazioni tra il 2011 e 2013 c’è stato un forte incremento della penetrazione degli smartphone e della frequenza di collegamento: fino a prima del novembre 2011 la principale resistenza degli utenti verso questo device erano i costi poco chiari e elevati di connessione. Da allora le tariffe per la navigazione si sono notevolmente ridotte permettendo lo sviluppo sia degli smartphone che della frequenza di connessione. Complessivamente (tra connessioni solo sim, wifi ed entrambe) sono il 95% degli intervistati coloro che avendo una smartphone si collegano a internet, mentre i possessori di tablet sono oggi quasi il 40% della popolazione interpellata. Altro dato interessante è che circa il 36,2%% di chi non ha un tablet, dichiara di avere intenzione di acquistarlo entro un anno. In contemporanea la quasi totalità del campione (95,2%) possiede almeno una carta di pagamento. Il dato interessante, al di là della presenza più evidente della carta di debito, è la percentuale di carte prepagate e ricaricabili che raggiungono una quota molto vicina alle carte di credito tradizionali.
E’ consolidata l’abitudine a fare acquisti online per circa la metà dei possessori di pc. La resistenza all’utilizzo dell’e-shopping è rappresentato sostanzialmente, per l’altra metà del campione, da problematiche relative alla sicurezza dello strumento. E’ invece ancora una quota ridotta quella dei possessori che utilizzano lo smartphone (17%) per compiere acquisti in rete. Sembrerebbe motivata da una mancanza di adeguatezza dello strumento a fronte di un generico interesse, il primo motivo di resistenza agli acquisti. Mentre la sicurezza è ancora un fatto rilevante per oltre il 35% dei possessori. Infine rispetto ai possessori di smartphone, chi possiede un tablet ha una propensione maggiore a utilizzarlo per fare acquisti (25%). In sintesi ad oggi solo il computer è considerato lo strumento più idoneo per fare acquisti online e avere rapporti di pagamento con la banca. Le resistenze verso la mobilità derivano da una percezione di questi strumenti come poco adatti per certe attività.
Entrando nello specifico delle attivà mobile legate alla gestione monetaria, la metà del campione è a conoscenza del fatto che la propria banca offre la possibilità di fare pagamenti con cellulare e tablet, e al momento un quarto degli intervistati ammette di fare operazioni bancarie con questi strumenti. Si rileva una buona propensione alla operatività in remoto, il pc viene preferito allo smartphone come strumento operativo. Alta potenzialità presenta la possibilità di effettuare pagamenti con lo smartphone tramite Pos , sia nell’area dell’interesse che in quelle della semplice curiosità, mentre solo il 7% è scettico in merito a questa funzione. Da questo dato si evidenzia la necessità di un maggiore impulso in comunicazione da parte degli operatori per aumentare la base degli interessati rispetto a chi solo è incuriosito. Uno degli aspetti della ricerca che ha più sorpreso riguarda la soglia massima degli importi che un consumatore pagherebbe con smartphone. Circa la metà del campione ritiene infatti che la spesa potrebbe essere superiore ai 15 euro, quindi oltre il limite di un ipotetico micropagamento. Dati alla mano diffusi da Eustat, comunque già a metà del 2013 i pagamenti elettronici sono cresciuti del 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (da 288 a 329 milioni). Manteniamo una media bassa, rispetto ai colleghi europei: 31 operazioni annue pro capite contro le 175 dell’Inghilterra, le 140 della Francia o le 54 della Germania.
Via Quo Media
Facebook sarebbe pronta ad iniziare a vendere pubblicità video entro questa settimana, secondo quanto riporta il Wall Street Journal. Gli annunci, che verranno visualizzati automaticamente nel news feed degli utenti, potrebbero aiutare Facebook a catturare una parte di quei 66,4 miliardi dollari che gli inserzionisti sono pronti a spendere negli stati uniti sulla TV. Secondo il report, gli annunci saranno visualizzati sia su web che su smartphone e tablet e verranno riprodotti automaticamente, indipendentemente dal fatto che gli utenti facciano o meno clic su di essi.
Il nuovo servizio, molto atteso dagli inserzionisti, ha avuto alterne vicende: nell’estate di quest’anno si erano giù diffuse le prime voci sull’implementazione della nuova funzionalità e già allora si parlava di cifre di tutto rispetto da pagare per i 15 secondi circa degli spot. In quell’occasione si prevedeva che Facebook avrebbe rilasciato il servizio entro l’anno per sfruttare così appieno il periodo natalizio. E dopo diversi ritardi, entro questa settimana, stando alle fonti americane, la funzione sarà operativa.
A che prezzo? Non è chiaro quanto Facebook addebiterà agli inserzionisti ma, come già circolato in estate, si parla anche di due milioni di dollari al giorno, per poter raggiungere l’enorme pubblico di adulti del social network. E gli utenti, come accoglieranno l’invasione, e l’invasività, degli spot sui loro news feed?
Via Tech Economy
Condividere foto e messaggi video con un gruppo ristretto di amici, familiari, colleghi e altri contatti, e possibilità di commentare. Si chiama Direct ed è la nuova funzione lanciata da Instagram, molto simile ad una chat, ma con contenuti foto-video, e che estende la veste social dell’app. L’aggiornamento dell’applicazione è già disponibile per iOS e Android, mentre per Windows Phone è in versione beta. La funzione è rappresentata da una nuova icona in alto a destra.
L’annuncio di oggi arriva a pochi giorni dal lancio da parte di Twitter della possibilità di inviare, ricevere e condividere immagini in messaggi diretti. “Negli ultimi tre anni la comunità di Instagram è cresciuta fino a 150 milioni di persone che fotografano e condividono istanti della loro vita in tutto il mondo – spiega la società di proprietà di Facebook sul suo blog -. Si è evoluta diventando non solo una comunità di fotografi ma di comunicatori visivi“. “Ci sono comunque momenti della nostra vita – spiega ancora – in cui vogliamo condividere solo con un gruppo ristretto di persone e non con tutti. Instagram Direct aiuta in questo”.
Aprendo la nuova icona dell’applicazione si troverà dunque la funzione condividi con i follower o Direct, per condividere foto e video con qualcuno in particolare. Dopo l’invio si potrà vedere chi ha visto il contenuto e monitorare i commenti in tempo reale. Se qualcuno che non è nella nostra cerchia di amici ci manda materiale, potremo decidere se visionarlo oppure no. Con Direct sembra che Instagram inizi dunque a fare prove tecniche di chat, in scia di app molto popolari e usate come Whatsapp o Snapchat.
Via Tech Economy
Tablet al posto dei quaderni, maxischermi al posto delle lavagne. Non è fantascienza, è la classe digitale. La prima è stata inaugurata oggi a Milano dal sindaco Giuliano Pisapia: protagonisti e pionieri sono gli alunni della terza elementare della scuola primaria Enrico Toti di via Cima, nel quartiere dell'Ortica.
Qui, alla periferia della città, nasce ufficialmente il progetto Smart Future, promosso dal gigante coreano dell'elettroniva di consumo Samsung per favorire lo sviluppo della digitalizzazione nell'istruzione delle scuole primarie e secondarie di primo grado. L'iniziativa coinvolgerà nelle prossime settimane altre 24 classi in sette regioni, e nei prossimi due anni sarà esteso a quasi 300 classi.
«A casa i bambini sono a contatto quotidianamente con la tecnologia - spiega Carlo Barlocco, senior vice president di Samsung Italia - la scuola non può restare indietro. Qui i bambini devono poter utilizzare strumenti moderni per imparare a fruire della tecnologia e non a subirla». Con questo obiettivo nasce il progetto che punta ad applicare la tecnologia all'istruzione, con strumenti e software studiati ad hoc per la didattica. «Siamo convinti - sottolinea Sun Wang Myung, presidente di Samsung Italia - che l'istruzione sia una leva strategica per la crescita del Paese».
I 26 alunni della terza elementare della scuola Enrico Toti studieranno su tablet collegati alla e-board grazie alla quale l'insegnante può caricare i contenuti delle lezioni, condividerli con gli studenti, realizzare attività di gruppo, effettuare quiz e sondaggi per verificare la comprensione dei bambini.
«I ragazzi - sottolinea Francesco De Santis, direttore dell'ufficio scolastico regionale della Lombardia - sono molto veloci nell'imparare a utilizzare questi strumenti. Quello che serve, oggi, è formare gli insegnanti, far sì che aggiornino il loro metodo di insegnamento struttando al meglio la tecnologia».
È quello che ha fatto Samsung Italia con il progetto Smart Future, che ha coinvolto prima di tutto i docenti, sottoposti a intensi corsi di formazione. «Solo quando i docenti sono pronti - spiega Barlocco - dotiamo la classe degli strumenti tecnologici, perché vogliamo essere sicuri che venga utilizzata al meglio».
Per verificare i risultati del progetto sarà attivato un monitoraggio attraverso l'osservatorio sui media e i contenuti digitali nella scuola del Centro di ricerca sull'educazione ai media, all'informazione e alla tecnologia (Cremit) dell'Università Cattolica di Milano. «Introdurre tecnologia nelle classi senza verificare sulla base di evidenze cosa poi realmente succeda - spiega infatti Pier Cesare Rivoltella, ordinario di Didattica generale e direttore del Cremit - non consentirebbe di capire né come orientare il progetto stesso né cosa suggerire per delle policy che intendano muoversi su più ampia scala».
Le scuole che saranno coinvolte nel progetto Smart Future sono state selezionate attraverso criteri all'insegna dell'integrazione: alto numero di alunni con disabilità, forte incidenza dei disturbi specifici dell'apprendimento (dislessia, disgrafia), territori socio–culturalmente disagiati, piccoli plessi.
«Con questo progetto - ha sottolineato Cristina Tajani, assessore comunale alle Politiche per il lavoro, Sviluppo economico, Università e ricerca - speriamo di scalare la classifica delle smart cities, che oggi ci vede al terzo posto».
Via IlSole24Ore.com
Continua la nostra inchiesta sui Digital Champion europei. Nelle scorse settimane abbiamo parlato della centralità del ruolo ed abbiamo illustrato il percorso che ha portato l’Unione Europea alla definizione della figura del Digital Champion. In questo percorso, non sono mancate le riflessioni dei nostri Visionist. Cristoforo Morandini ci ha parlato del Campione digitale che non c’è, Francesca Quaratino ci ha riportato alle origini del significato della parola Campioni,e poi Sonia Montegiove ha condiviso con noi le sue speranze in una lettera molto speciale.
Questa volta vi raccontiamo non solo chi sono i diversi Digital Champion, ma anche se e come utilizzano i social network: strumenti che fanno parte di quell’ecosistema culturale e tecnologico che queste figure hanno l’obiettivo di promuovere.
Maschio, con una età compresa tra i 50 e 60 anni e proveniente dal mondo del privato. È questo, in sintesi, l’identikit del Digital Champion europeo, delineato attraverso un’indagine che la nostra redazione ha condotto sul web, alla ricerca di informazioni e modalità di presenza online che potessero aiutarci a definire meglio il volto e la presenza online dei Campioni. Se è vero che la loro mission è quella di promuovere l’inclusione e, in generale, di contribuire alla divulgazione della cultura del digitale nei propri paesi, come vivono la rete, se lo fanno, i Digital Champion?
Qualche dato anagrafico Sui 25 professionisti nominati dai rispettivi Stati per essere ambasciatori dei principi dell’agenda digitale in patria, ben il 72% è rappresentato da uomini mentre le donne si fermano al 28% (pari a sette campionesse). Un dato, quello della presenza femminile, inferiore alla rappresentanza delle donne nel Parlamento Europeo, al momento pari al 31%. Dato che oltretutto non rende giustizia all’efficacia dell’azione che trova nei campioni in rosa attori molto attivi.
Come detto la fascia di età maggiormente rappresentata la troviamo tra i cinquantenni, che rappresentano il 20% del campione, seguiti da trentenni e quarantenni che si fermano ad un 16% a pari merito. Il più giovane registrato? Una campionessa classe under 30, la ventisettenne Linda Liukas, svedese. È invece irlandese il più “anziano”: il 72 enne David Puttnam. Ma il dato più significativo è rappresentato dal fatto che nel 36% dei casi è stato impossibile risalire all’età anagrafica. Sul web infatti, a fronte della presenza su siti ufficiali, come quello dell’Ue, informazioni inerenti l’età di ben 9 campioni su 25 sono risultate assenti. Sono questi i soli dati di difficile reperimento, tra quelli obiettivo di indagine della nostra inchiesta? La risposta è no dal momento che, nota curiosa ed a nostro parere preoccupante, non ci è stato possibile reperire il contatto e-mail di 4 campioni su 25!
Digital Champion: ambito professionale
Per quanto riguarda l’ambito professionale dei Digital Champion, la ricerca ha provato a identificare la provenienza dei Campioni, distinguendo tra privato, con un universo composto da imprenditori, filantropi, manager, professionisti, e mondo pubblico (quindi politici ma anche docenti e funzionari). L’indagine ha poi ulteriormente distinto, per il segmento “privati”, quanti appartengono al vasto mondo del digitale (dall’informatica alle telco al mondo dei media) e quanti, invece, provengono da settori differenti. Dalla ricerca emerge che la maggioranza, ovvero il 64% dei Digital Champion, proviene dal mondo “privato” dell’imprenditoria e/o del management, mentre il restante 36% fa riferimento alla sfera pubblica. Ancora più interessante è il dato su quanti Digital Champion facciano riferimento, in termini di formazione e/o professione, al vasto mondo del digitale. Coerentemente con l’incarico di DC, ben l’88% del campione è legato ad esso e si va da ingegneri e manager legati all’It, ad esperti di comunicazione e formazione online, passando per imprenditori. Solo il 12%, invece, pari a 3 Campioni, non afferisce al più vasto “ecosistema” digital. Tutti di Campioni provenienti dal mondo privato hanno un radicamento diretto con le tematiche digitali, anche se in modalità diverse.
Digital Champion: la presenza su web e social network Se è vero che oggi web e social network rappresentano strumenti di dialogo e confronto sempre più presenti nella comunicazione pubblica è presumibile, e forse anche doveroso, pensare che gli stessi Digital Champion utilizzino tali strumenti per parlare a istituzioni, cittadini e imprese, della loro mission. Purtroppo però, analizzando la presenza dei 25 sul web e sui principali social network (Facebook, Twitter, LinkedIn e Google+) ci si accorge che il panorama non è dei più confortanti, al netto di comportamenti invece estremamente virtuosi. Il 69% del campione, infatti, possiede un account Twitter e, almeno nominalmente, il 68% ha un profilo Facebook, e il 44% ha un account Google+. Va meglio solo a LinkedIn, il social network site professionale per eccellenza, che registra l’84% delle presenze, sebbene solo in pochi casi ci si imbatta in profili realmente “vissuti” e aggiornati. Non va meglio a siti o blog dedicati, all’attività in patria dei Campioni: neppure la metà dei DC ha uno spazio web attraverso cui illustrare esaustivamente progetti e/o muovere azioni di sensibilizzazione.
Quale attività e modalità di presenza sui social? “Nominalmente”, si diceva prima. L’indagine ha ulteriormente approfondito, per quella parte di Digital Champion che hanno degli account, la loro reale attività, nella convinzione che avere un profilo è la condizione minima, ma “viverlo” davvero, è condizione necessaria. Nello specifico, per i principali social network site presi in considerazione, è stata rilevata la presenza o meno di post aggiornati. Ulteriore dato analizzato, è la tipologia di presenza sui social, se con profili prettamente “personali”, legati alla vita privata del Campione, o “professionali”, legati anche all’incarico di DC. Sono questi, tipologia di presenza social e attività sui profili, i due parametri “minimi” con cui provare a tratteggiare la “digitalità” dei nostri Campioni.
Twitter: lo strumento più aggiornato Focalizzando l’attenzione sui social network più conversazionali, è Twitter a registrare il maggiore attivismo dei Campioni. L’83% dei possessori di un account sul social del cinguettio ha, infatti, un profilo che risulta aggiornato (ma, lo ricordiamo, si tratta comunque di numeri molto contenuti, solo 15 su 25). Nei casi più “fortunati”, all’ultimo mese, in quelli meno fortunati a due mesi fa. Sono stati considerati invece, non aggiornati, i profili Twitter fermi da tre mesi o più così come quelli in cui non è stato possibile registrare aggiornamenti, poichè “aperti” ma mai popolati. Attraverso Twitter la maggioranza dei Campioni dà conto prevalentemente della propria attività professionale, ma anche delle azioni legate all’incarico di Digital Champion.
Facebook: un uso prevalentemente privato Ancora meno incoraggiante appare il panorama di Facebook, in cui solo il 24% degli “aventi profilo” lo aggiorna con regolarità (in questo numero sono incluse anche due pagine, quelle di David Puttnam e di Martha Lane-Fox). Al contrario, nel 76% dei casi, per chi è presente su FB si registra una apparente mancanza di aggiornamenti soprattutto a causa di profili “chiusi”. Ad una richiesta di amicizia, infatti, non ha fatto seguito un’accettazione, il che induce a pensare che si tratti di profili privati. In sostanza la stragrande maggioranza dei Dc su Facebook non utilizza tale strumento come luogo per dare conto della propria esperienza di Digital Champion.
Google+: il deserto Ancora più desolante lo scenario su Google+. Al già scarso numero di possessori nominali di un account, ovvero 11 Campioni, si associa anche uno scarsissimo attivismo. Eccezion fatta per un solo campione il cui profilo registra un aggiornamento pubblico a novembre 2013, gli altri 10 possessori di account hanno pagine apparentemente abbandonate: sembrano account semplicemente aperti ma mai utilizzati. In altri casi non è stato possibile stabilire se la pagina aperta faccesse capo ai Digital Champion oppure ad omonimi. Per questi motivi, ovviamente, non è stato neppure possibile definire se l’uso dei profili è professionale o meno.
Piuttosto che nulla, meglio piuttosto… Gli unici Champion che non hanno alcuna presenza social né un sito web o blog, eccezion fatta per profili Linkedin che comunque appaiono “poco frequentati”, sono: Istvan Erenyi, ungherese, Francesco Caio, italiano e Antonio Murta, Portoghese. Come se non bastasse, alcuni dei campioni digitali non pubblicano nemmeno un’e-mail connessa alla loro attività. Tra questi, Darko Paric, croato, Gilles Babinet, francese, Reinis Zitmanis lettone, e – purtroppo – di nuovo anche il nostro Francesco Caio che, on-line, è letteralmente un fantasma.
Questa rapida panoramica ci porta a definire ulteriormente il profilo dei Digital Champion. Quel maschio tra i 50 e 60 anni, proveniente dal mondo del privato è sì esperto di tematiche connesse al digitale, ma è anche scarsamente social. Più orientato a frequentare LinkedIn e Twitter per parlare di professione e incarico Dc, ma comunque, complessivamente poco presente in rete. Un quadro non precisamente confortante, ma anzi paradossale perché, eccezion fatta per la provenienza legata nella maggioranza dei casi al mondo privato su temi del digitale, i Digital Champion designati non appaiono attenti alla vita della rete. In questo senso colpiscono le percentuali così basse di presenza ed utilizzo dei social: come farsi promotori del digitale in patria, se parte di tale digitale, la rete, non è né vissuta né utilizzata dai Digital Champion? Come far passar ai cittadini e alle nuove generazioni l’importanza della rete per l’innovazione del paese senza il famoso “buon esempio?”. Ma soprattutto: come essere testimoni di qualcosa che non si usa, non frequentanto i canali sui quali sono le persone verso le quali essere testimoni?
Nelle prossime settimane proveremo a dare conto anche di cosa, nel concreto, i 25 Digital Champion stanno facendo nei rispettivi Paesi.
Via Tech Economy
Il fenomeno Bitcoin continua a crescere: stando a quanto riportato da ventureBeat, il valore del singolo Bitcoin oggi ha raggiunto l’impressionante valore di 1.000 dollari, lì dove un anno fa era fermo a 10 dollari. A trainare il boom ci sarebbe l’adozione in massa della cripto moneta in Cina, lì dove si stanno registrando i tassi di adozione ed utilizzo più elevati, seguita dagli Stati uniti dove il Congresso discute addirittura la possibilità di renderla una moneta virtuale ufficiale. I Bitcoin permettono di acquistare beni e servizi reali in tutto il mondo, assicurando la validità delle transazioni con un complicato sistema di crittografia e trasferendo il denaro virtuale attraverso la tecnologia peer-to-peer.
Tuttavia per gli osservatori ci sarebbero anche altre forze al lavoro. Virgin Galactic, ad esempio, ha di recente annunciato che avrebbe accettato Bitcoin per i voli spaziali, e il primo Bitcoin bancomat in Canada ha fatto quasi $ 1.000.000 in operazioni in meno di un mese. Senza contare che anche il limite di non poter usare Bitcoin nel mondo reale, sta progressivamente cambiando. In occasione del famoso Black Friday in Usa, ovvero del giorno successivo alla festa del ringraziamento che dà l’avvio allo shopping natalizio, sono 250 i retailer che si stanno organizzando con il Bitcoin Black Friday, per offrire ai clienti la possibilità di pagare con la cyber moneta.
Un insieme di fattori, dunque, che fungerebbero da volano per il Bitcoin. Intanto i numeri parlano chiaro: il controvalore totale dell’economia Bitcoin, calcolato a dicembre 2012, era di circa 140 milioni di dollari statunitensi, in aprile 2013 1,4 miliardi di dollari, agli inizi di novembre di questo anno, con un cambio 1Bitcoin=540USD, il controvalore sale ancora a più di 6 miliardi di dollari. Adesso, è di 14 miliardi di dollari.
Via Tech Economy
Quanti di voi possiedono uno smartphone? Quanti leggono le email da mobile? Quanti poi acquistano direttamente da tablet o da smartphone?
Io possiedo uno smartphone da tempo, leggo le email spesso in tempo reale, soprattutto se devo riempire un tempo morto, utilizzo app per instant messaging e sono in buona compagnia! Basta pensare a quanto è cresciuta solo nell’ultimo anno la lista dei contatti su WhatsApp.
A chi fa marketing di mestiere i dati sulla user experience del mobile interessano molto e, interesserà una ricerca [scarica qui la versione integrale] realizzata da MagNews, key player per l’email marketing, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca Nielsen, dove emerge:
- la crescita dell’utilizzo dei dispositivi mobile da parte degli uomini (60% contro un 48% “rosa” del campione), e giovani (66% entro i 25 anni, contro un 29% oltre i 50 anni).
- la diffusione dell’istant messaging non va a diminuire l’apertura delle email, ma piuttosto veicola altrove le conversazioni “veloci” e personali. Il 58% del campione (a maggioranza giovani) utilizza queste app al posto degli sms;
- il 28% (a maggioranza donne) utilizza meno il telefono per chiamare e il 6% riferisce che interagisce meno dal vivo.
In quest quadro emergono 4 cluster, utilizzatori “tipo” della rete, che possono essere classificati in:
Vintage, il gruppo più “adulto” rispetto alla media del campione. Utilizzano internet soprattutto per informarsi, solo il 25% è sui i social network, il 25% controlla la posta da mobile e non lo fa in tempo reale.
Mainstream, il gruppo più ampio, a maggioranza femminile. Non sono tra i più “confident” rispetto allo strumento, ma ne riconoscono le potenzialità: per loro il web è presente, ma ancora di più il futuro prossimo.
Pragmatici, utilizzano soprattutto le funzioni più utili per la vita quotidiana: acquistano online, si connettono quotidianamente, utilizzano l’home banking.
Fan, iperconnessi, utilizzano tablet, smartphone, chattano, sono sui social e accolgono entusiasti ogni nuova opportunità che la rete offre.
Ne emergono interlocutori attenti all’esperienza Mobile, che sia una mail, sms, social network o istant message, e un’evoluzione significativa di fruizione del web: non solo tecnologica, ma culturale.
É bene, quindi, considerare che i comportamenti di chi ci legge si stanno andando sempre più verso una diversificazione e ciò implica una dovuta attenzione alla scrittura declinata alla piattaforma.
Via Republic+Queen Magazine
Nuovi dati pubblicati quest’anno dimostrano uno sconvolgimento degli stereotipi legati ad internet e alla tecnologia in Italia. A quanto pare, ci stiamo lentamente portando al passo con gli altri paesi europei per consumo e modo d’uso. Se fino a qualche anno fa l’iPhone era una prerogativa degli under 18 e la politica un argomento da Bar Sport, nel 2013 vediamo un’espansione della fascia anagrafica e sempre più giovani che si informano, privilegiando la rete come mezzo per restare aggiornati. In tutto questo, una constante: la TV e l’intrattenimento video. Non riusciamo a farne a meno e ci guardiamo video di gattini e programmi TV anche con lo smartphone.
Di seguito cercherò di smentire alcuni degli stereotipi digital legati al nostro Paese:
Internet è un gioco per ragazzi Non proprio. Una ricerca effettuata da Audiweb mostra che il segmento demografico più attivo è quello dei professionisti tra i 35 e i 54 anni. Quasi la metà del totale, 48.1%, è da collocarsi in questa fascia d’età.
Nel mese di luglio 2013 questo target ha usato giornalmente internet più di ogni altro segmento, incluso i giovanissimi (18-24), il 9.9% del flusso quotidiano sul web. Persino i Silver Surfer (55-74) sono più attivi, arrivando a rappresentare il 16.9%. Tra le fasce anagrafiche i più giovani battono il record per durata delle loro attività su internet, si connettono meno giornalmente ma complessivamente 15 minuti più a lungo degli altri.
Ai giovani non interessa la politica Mica vero. ComScore rivela che i siti che trattano di politica hanno registrato quasi 3.1 milioni di visitatori unici durante gennaio 2013, un incremento del 46% rispetto a gennaio 2012. Ma è la fascia anagrafica 15 – 24 a mostrare maggiore interesse, con un incremento del 145% nel corso dell’anno.
Siamo sempre incollati alla TV Sempre ComScore ci dice che non piace a nessuno rinunciare alla TV, ma non per questo significa che l’italiano medio vegeti sul sofà ogni giorno. Dopo la Germania, l’Italia si qualifica seconda per uso di smartphone per vedere TV o video. Questo si traduce in un incremento del 124% rispetto allo scorso anno.
Stiamo realmente cambiando? Per continuare nel cambiamento manca un’adeguata infrastruttura (connessione 3G, internet Adsl) che al momento è limitata, solo 2.5 milioni di Italiani hanno la fibra ottica installata nelle proprie abitazioni o aziende (Fonte: Wikipedia). Anche l’amministrazione pubblica dovrà stare al passo con la richiesta sempre maggiore di digitalizzazione (7 milioni di italiani hanno visitato siti istituzionali nell’agosto 2013 solamente, Fonte: ComScore).
Quindi, il cambiamento c’è, ma ci vorrà del tempo per vederne i risultati.
Via Republic+Queen Magazine
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