Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
In Italia i pagamenti elettronici continuano ad essere poco utilizzati. Nel 2012 il valore del transato con carta rappresenta solo il 15% sul valore complessivo dei consumi degli italiani, mentre nel resto dell’Europa (EU17) raggiunge il 22%, fino ad arrivare al 31% per i “Big” (Francia, Germania, Spagna, UK) e al 46% per i top performer (Danimarca, Svezia e Finlandia). Solo un italiano su tre utilizza la propria carta per pagare online o presso gli esercizi fisici (stima Osservatorio Mobile Payment & Commerce su dati survey Doxa). I 20 milioni di italiani che utilizzano la carta per pagare transano con questo strumento mediamente il 45% dei loro consumi, in linea quindi con quanto avviene nella media dei top perfomer europei. Questi dati mostrano che gli italiani che si sono “fidati” ad utilizzare la propria carta per fare acquisti lo continuano a fare. Tuttavia il valore medio dello scontrino con carta è di 75 euro (rispetto ai 51 euro dello scontrino medio dell’Europa) a dimostrazione del fatto che la carta non viene utilizzata per gli acquisti quotidiani.
In alternativa alla carta di pagamento gli italiani prediligono i pagamenti in contanti: per ogni euro pagato in contanti, gli italiani spendono solo 0,35 euro con carta mentre i top performer europei arrivano a spendere 2,86 euro. Il contante ha un costo per il Sistema Paese, stimato dall’Osservatorio Mobile Payment & Commerce in collaborazione con Cartasi, di 9,4 miliardi di euro suddivisi tra banche, esercenti e consumatori, senza calcolare l’evasione fiscale che troppo spesso è associata ai pagamenti in contanti. Tali costi potrebbero essere notevolmente ridotti se gli italiani utilizzassero maggiormente strumenti alternativi al contante.
Questi dati mostrano chiaramente la necessità del Sistema Paese di rendere più efficienti i pagamenti, riducendo costi legati alla sicurezza, al trasporto, al conteggio, etc. Per una maggior diffusione dei pagamenti elettronici è necessario muoversi su due direzioni: da un lato abituare gli italiani a fidarsi ad utilizzare la carta per i loro pagamenti e spingere i 20 milioni di coloro che già lo fanno ad utilizzarla ancora più spesso; dall’altro abituare anche gli esercenti ad accettare questi strumenti. In questa direzione negli ultimi due anni si sono viste le prime iniziative del Governo (accettazione dei pagamenti elettronici da parte della PA e degli esercenti) anche se ancora molto rimane da fare per trasformare un “obbligo” in reale utilizzo, magari attraverso i giusti incentivi.
Oltre alle iniziative del Governo, che per loro natura richiedono tempi più lunghi di implementazione, si muovono le innovazioni che stanno caratterizzando il panorama dei pagamenti: contactless e Mobile Payment per abituare i consumatori e Mobile POS per allargare gli esercenti che accettano pagamenti elettronici.
Gli italiani da sempre sono degli utilizzatori di telefoni cellulari evoluti e forse proprio il telefono cellulare, così comodo e sempre a portata di mano, potrà aiutare gli italiani ad abituarsi ai pagamenti elettronici generando un circolo virtuoso che spingerà poi anche gli esercenti ad utilizzare questi sistemi. Se il pagamento fosse arricchito da una serie di funzionalità in grado di rendere più appeal il processo di acquisto, la fase di pagamento potrebbe essere vissuta con meno fastidio da parte dei consumatori. Il Mobile Wallet si muove proprio in questa direzione: trasformare il telefono cellulare nel portafoglio con coupon, carte fedeltà, carte d’identità, etc.
Via Agenda Digitale
Nella versione 8 di iOS Apple includerà HealtKit, applicazione nata per aggregare tutti i dati relativi al proprio stato fisico, raccolti anche tramite l'uso di applicazioni di terze parti. Secondo Forbes la risposta di Mountain View ha già un nome, Google Fit, e verrà presentata a margine dell'evento I/O 2014, la conferenza che riunisce a San Francisco gli sviluppatori (quest'anno il 25 e il 26 giugno).
I due framework hanno il compito di raccogliere dati, monitorare lo stato di salute di chi ne fa uso e aiutare gli sportivi a migliorare le proprie prestazioni. Lo scopo ultimo è quello di creare dispositivi indossabili sempre più evoluti, corsa nella quale si è inserita anche Samsung con la piattaforma Simbad, volutamente aperta affinché altri produttori possano contribuirvi allo sviluppo. I nostri smartphone collezioneranno e conserveranno nel cloud informazioni relative ai livelli di ossigeno e zuccheri nel sangue, alla pressione e al battito cardiaco. A corredo altri dati quali, ad esempio, attività fisica, ore dedicate al sonno, indice di massa corporea e via dicendo.
Un mercato da 50 miliardi (oppure molto meno) Secondo uno studio pubblicato a maggio 2014 da Credit Suisse, il mercato dei fitness tracker varrà 50miliardi nel 2018, cifra ritenuta esagerata da MarketsandMarkets che ha abbassato le stime a 8,4miliardi. La fiducia nel potenziale commerciale di tali dispositivi e applicazioni cala proporzionalmente all'aumento delle domande che sollevano. Il New York Times ha svolto dei test, utilizzando in contemporanea diverse fonti per la raccolta di dati ottenendo risultati assolutamente incompatibili tra loro.
Ne nasce quindi una questione di attendibilità che andrà affrontata e risolta anche perché, in assenza di un algoritmo certificato, è impensabile che i medici possano avvalersi dei dati forniti da applicazioni e dispositivi. Per creare dispositivi fitness tracker performanti, sicuri e affidabili (anche dal punto di vista tecnico e tecnologico) servono test a cui partecipano un elevato numero di persone e per un periodo di tempo prolungato: condizioni lungi dal verificarsi e in assenza delle quali i framework per la raccolta e la conservazione ordinata dei dati sono poco più di un vezzo.
Via IlSole24Ore.com
La pubblicità su Facebook diviene sempre più personale. Gli utenti americani di Facebook possono ora controllare e gestire meglio la pubblicità che ricevono sul social network, regolandola in base ai propri interessi e, nel caso, anche disattivandola. Lo annuncia una nota del colosso di Menlo Park, precisando che le novità riguardano il ricorso alla pubblicità basata sugli interessi (Interest-Based advertising) e lo strumento Ad Preferences, che “permettono rispettivamente di ricevere pubblicità più rilevanti in base ai propri interessi e di controllare e gestire in modo ancora più informato e consapevole i criteri che determinano la visualizzazione di uno specifico annuncio“.
In particolare, lo strumento Ad Preferences consente di capire perché si sta vedendo un particolare annuncio sul proprio diario e si possono anche consultare le categorie di interessi associate al proprio profilo che ne hanno determinato l’apparizione, aggiungendo o rimuovendo le categorie a seconda delle pubblicità che si desidera ricevere. La pubblicità può essere poi ulteriormente personalizzata da Facebook, utilizzando informazioni relative ai siti web, ai like, alle pagine e alle applicazioni mobili utilizzate dall’utente. Facebook assicura che questi nuovi strumenti sono improntati al massimo rispetto della privacy e che proprio per questo sarà possibile disattivare totalmente questo tipo di pubblicità, usando uno strumento messo a disposizione dalla Digital Advertising Alliance, supportata da FB e da altre 100 aziende. “Ad oggi questi cambiamenti riguardano solamente gli Stati Uniti, ma l’obiettivo – conclude la nota – è quello di un lancio globale nei prossimi mesi”.
Via Tech Economy
Non vi sono esenzioni dal mercato pubblicitario, anche le tv a pagamento, come anche i giornali, traggono parte delle proprie risorse dalle inserzioni. E’ quindi sulla misurazione del tempo che Auditel basa i propri dati sul consumo di televisione, più volte aggiornandosi e rinnovando se stessa: la propria composizione societaria, la composizione del panel di famiglie e la propria strumentazione tecnologica.
Recentemente Sky ha deciso che le informazioni messe a disposizione dal vecchio Auditel non bastano più e che è arrivato il momento di avere un altro strumento non alternativo, ma integrativo. Il risultato è Smart Panel, sistema di rilevazione che passa dalle poco più di mille famiglie dell'Auditel alle 10mila del nuovo campione. Non è solo una questione di numeri, ma di qualità dell'indagine. Smart Panel rileva anche i consumi tipici dell'era digitale, ovvero streaming, on demand e consumo che passa da tv a tablet. Per Sky si tratta di Sky Go, Sky On Demand e Sky Online, oltre alla modalità di utilizzo della Guida Tv e dei servizi interattivi. La premessa è che circa il 90% dei ricavi di Sky arriva dagli abbonamenti, il resto dalla pubblicità. Il 60% degli abbonati ha un decoder MySky, che permette di gestire tempi e flussi della programmazione, oltre 2 milioni usano SkyGo e un milione i servizi on demand. “Per una tv a pagamento l'affidabilità dei dati di ascolto è fondamentale per definire la linea editoriale e perfezionare l'offerta”, spiega Andrea Mezzasalma di Sky Italia. “Con l'Auditel – continua – abbiamo canali da 5mila telespettatori che vengono rilevati da un solo meter”. Nel caso della serie tv House of Card, il grafico Auditel mostra un calo contenuto tra prima e seconda puntata e poi un crollo alla terza. La stessa rilevazione fatta da Smart Panel indica invece una curva più armonica, con una dispersione minore: “Un dato molto più simile a quello che ci saremmo potuti aspettare da una serie come questa”. C'è poi la pubblicità. Secondo Sky dai dati Auditel risulterebbe che su 100 spot sui canali Sky e Fox, 39 non sarebbero visti da nessuno e questo “ci dà grossi problemi con i clienti” sottolinea Mezzasalma. Con Smart Panel gli spot zero scendono a 8. L'installazione dei nuovi set-top-box in tutta Italia è in corso e il nuovo monitoraggio sarà operativo da luglio 2014. Ai 10mila che hanno firmato il consenso informato e accettato il nuovo sistema in casa, Sky dà un compenso di 50 euro una tantum in buoni di acquisto che arrivano 6 mesi dopo. La soluzione tecnologica è interna, prodotta da Eureka e diversa da quella adottata in Inghilterra da BSkyB; oltre all'uso del telecomando è in grado di monitorare quando il decoder è acceso ma la tv è spenta. Sky fa parte del comitato tecnico dell'Auditel, continuerà a farlo e spiega che il nuovo strumento “non deve essere l'anti-Auditel; a nessuno fa comodo che ci siano due diversi standard sul mercato”. È per questo che i nuovi dati verranno messi a disposizione di Auditel.
La società, nata a Milano nel 1984, ha la proprietà divisa in quote del 33% per le tre componenti fondamentali, cioè televisione pubblica, emittenza privata, aziende che investono in pubblicità con agenzie e centrali media, con un 1% di proprietà della Fieg. Oggi è dotata di strumenti che registrano tracce audio digitalizzate delle emittenti televisive sulle quali è sintonizzato il televisore della famiglia-campione: la registrazione avviene a prescindere dalla piattaforma attiva in quel momento, avviene qualunque sia il decoder collegato al televisore. L’audio registrato viene poi confrontato con l’emesso di tutti i canali, canali registrati in una banca dati centrale. Il passo successivo consiste nell’accoppiare l’audio digitale ripreso dai meter delle famiglie-campione con quello della banca dati, alla ricerca dell’audio coincidente. Si tratta dunque di una struttura molto articolata, che consente alla società di rilevazione, la Nielsen Television Audience Measurements, di avere almeno tre diverse fonti di dati: i meter familiari, le centrali territoriali di registrazione e le unità di controllo. Si tratta di un sistema di rilevazione degli ascolti televisivi complesso e costoso, dovuto alla nascita, alla crescita e allo sviluppo della televisione digitale. Per conoscere il consumo di un’emittente analogica bastava infatti conoscerne la frequenza di trasmissione nelle diverse aree del Paese; lo strumento di rilevazione collegato al televisore doveva semplicemente constatarne lo stato, acceso/ spento, e, se acceso, verificare su quale frequenza il televisore fosse sintonizzato.
L’adozione del sistema di registrazione e controllo delle tracce audio mette in grado la Nielsen e quindi la società committente di questi dati, cioè l’Auditel di conoscere il consumo di tutte le reti televisive, indipendentemente dalla collaborazione e dalla volontà dell’editore, come avveniva per i dati sul consumo di televisione analogica. Il sistema dell’audio matching presenta inoltre dei vantaggi per la misurazione del consumo dell’emesso televisivo, indipendente-mente dalla piattaforma e dal televisore. Nell’ultimo periodo le due società stanno sperimentando la rilevazione del consumo di televisione effettuato tramite computer. Le tracce audio sono il legame che consente l’identificazione di quanto sia ascoltato tramite computer, brevi spezzoni sia interi sia programmi. Il limite è temporale, per essere misurato come audience l’ascolto deve avvenire entro sette giorni dalla data di emissione. Il sistema potrà valere anche per tutti gli altri device che trasmettano programmi televisivi, purché ci sia l’accordo delle persone a far parte del campione, ovvero a consentire la registrazione audio di tutto quel che ascoltano tramite computer, tablet e smartphone, e, nel caso di questi ultimi due, anche dei proprietari dei sistemi operativi. Il punto debole di questa modalità di rilevazione riguarda soprattutto i casi di trasmissione contemporanea di un evento, tipicamente il messaggio di Capodanno del Presidente della repubblica: la criticità è emersa con la rilevazione degli ascolti del funerale di Papa Giovanni Paolo II. Trasmessi da Rai 1 e da Rai Storia, i funerali rilevarono un ascolto record per Rai Storia, ma si trattava di un errore, una trasposizione delle audience della prima rete. Per evitare l’inconveniente, il meter rileva anche il telecomando e il tasto utilizzato per sintonizzarsi e accoppia queste informazioni. Ovviamente non mancano certo le critiche ad Auditel e al suo sistema di rilevazione, ma si tratta sicuramente del più evoluto dei sistemi di rilevazione dei consumi mediali: Audipress, AudiPoster e Audiweb hanno metodiche meno evolute e meno controllate e controllabili.
Via Quo Media
Omnichannel o multichannel che sia, il tema di questa infografica è assolutamente all’ordine del giorno per moltissime aziende e sta entrando di diritto negli hype mediatici anche fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori. Il cliente infatti è online, ma ama ancora e molto gli store reali, creando dei percorsi articolati tra fisico e digitale.
Personalmente me ne occupo tutti i giorni, anche da tempi meno sospetti, come ogni inizio di settimana mi piaceva dunque prendere spunto dalla ricerca da cui viene tratta l’immagine per qualche considerazione.
La prima è che la customer experience si basa anche su fattori molto tecnici, dati e tecnologie: il risultato è una percezione del cliente ma per vincere la sfida con i competitors c’è dietro un grande lavoro dove l’estetica e la comunicazione sono assolutamente integrate con aspetti di altra natura. Una coerenza e una capacità di muoversi tra i canali che oggi viene richiesta al nuovo profilo di marketer.
La seconda è che, stando alla ricerca, anche dove ci sia un team dedicato all’omnichannel non mancano le difficoltà, perché averlo non basta se non si integra con il resto dell’azienda e della strategia.
C’è poi molto forte il tema del seamless, ossia del fatto che per il cliente tutti gli strumenti ormai sono vissuti in una continuità di azioni, e dunque l’aspettativa è quella di non trovare problemi passando da un device all’altro, come spiegavo qui relativamente alla navigazione web vs. mobile (ma vale per tutto).
Ultimo ma non ultimo, un grande argomento è quello della misurazione attraverso i vari canali. Se ne potrebbe parlare a lungo, e non ho qui lo spazio. Evidenzio solo che già oggi si misura poco il mezzo singolo, a partire dal web, mentre la cultura degli analytics è e sarà una delle prossime skill chiave.
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
La pubblicità è l'anima del commercio, ma Apple vuole comunque garantire che la sua idea di esperienza utente sia rispettata: per questo ha deciso di applicare in modo rigido i paragrafi 2.25 e 3.10 del suo accordo con gli sviluppatori, così da rendere più chiari i messaggi visualizzati dagli utenti durante l'utilizzo dei dispositivi iOS. Su App Store è vietata la concussione.
I due paragrafi citati riguardano la promozione di applicazioni diverse da quelle dello sviluppatore, o l'offerta di crediti e chances di gioco in cambio di azioni predefinite: ad esempio quando si presentano altri prodotti diversi da quelli scaricati da App Store in maniera tale da far credere che ci sia un altro marketplace interno; oppure se si prova a far visualizzare un video (pubblicitario) in cambio della possibilità di continuare a giocare; o ancora se si prova a convincere l'utente a lasciare una recensione sul prodotto in uso in modo troppo pressante e insistente.
Sono moltissime le app che utilizzano questi meccanismi, anche celebri e grandemente scaricate, puntando a fare pubblicità al prodotto costringendo l'utente a chiedere l'aiuto dei propri contatti sui social network per sbloccare i livelli o ottenere bonus di gioco. Apple ha deciso di darci un taglio, e questo significherà anche condizionare il meccanismo di promozione delle app: ci sono esempi di successo, di grande successo, di aziende che hanno fatto la propria fortuna viralizzando richieste di aiuto su Facebook, e scalare le classifiche del marketplace non sarà più così semplice. Resta da chiarire se il repulisti di Apple sarà retroattivo.
Via Punto Informatico
Crescono a ritmo rapido gli abbonati alla telefonia mobile, tanto che entro il 2015, il numero di contratti sottoscritti supererà quello della popolazione mondiale. A sostenerlo è l’ultimo Mobility Report di Ericsson, secondo cui il tasso di avanzamento dei cellulari è del 7% annuo e nel solo primo trimestre 2014 le attivazioni nette sono state 120 milioni.
Con la diffusione dei telefonini, cresce anche quella degli smartphone. Secondo lo studio, entro il 2019 il numero di abbonamenti broadband, ovvero comprensivi di telefonia mobile e internet, saranno 7,6 miliardi, rappresentando l’80% di tutti i contratti di settore. Qualche anno prima, nel 2016, gli abbonati smartphone supereranno quelli dei normali cellulari, arrivando a quota 5,6 miliardi.
Numeri che portano a pensare che il traffico dati esploderà nel prossimo quinquennio, quadruplicando il suo volume attuale e decuplicando quello registrato a fine 2012. Il mondo è mobile e il web lo segue a passo veloce.
Via Quo Media
Detto, fatto. La Rai, come promesso, ha sostanzialmente chiuso il suo canale YouTube, cancellando quasi tutti i 40mila filmati di sua proprietà presenti sul portale video di Google. L’accordo sullo sfruttamento dei diritti sulle clip è scaduto lo scorso 31 maggio e viale Mazzini si era detta insoddisfatta della proposta di rinnovo.
Così il servizio pubblico sparisce dal più importante canale video di internet, insieme agli account specifici delle sue trasmissioni: scomparsi quelli di Ballarò, Che tempo che fa, Porta a Porta e altri. Con loro se ne vanno anche i filmati incorporati in milioni di pagine web, che risultano non più visibili.
La Rai otteneva da YouTube 700mila euro per il caricamento di circa 7mila clip ogni anno: i video sono ancora disponibili sul sito della tv pubblica, che però ha un sistema di visione e condivisione molto più complesso, che finirà con lo scoraggiare gli utenti. Anche per questo la decisione di sparire dal portale di Google, annunciata nei giorni scorsi, è stata molto discussa e criticata. Tra i pochi filmati ancora online su YouTube, il più visto di sempre in casa Rai: l’audizione di Suor Cristina per The Voice. Ma anche questa verrà oscurata a breve.
Via Quo Media
Il bottino della pubblicità web ha toccato un nuovo record in Europa, raggiungendo i 27,3 miliardi di euro nel corso del 2013. L’Italia sio conferma nelle posizioni di vertice nel Vecchio Continente, quinto mercato tra quelli analizzati, con un valore di 1,7 miliardi di euro.
Secondo l’indice AdEx Benchmark di Iab Europe, il Paese più prolifico per banner e affini è il Regno Unito, che in inverno ha raccolto 7,4 miliardi di euro in adv online. A seguire si trovano Germania, con 4,7 miliardi di euro, Francia, a 3,5, e Russia, con 1,8. Il settore a livello continentale è cresciuto dell’11,9%, mentre nel per l’Italia il tasso positivo è stato del 13%.
A influenzare l’andamento della pubblicità internet negli ultimi mesi sono stati soprattutto i nuovi modelli di consumo diffusisi con i dispositivi mobili, ormai presenti in modo capillare in tutta Europa e sempre più appetiti anche dagli investitori. A dimostrazione di ciò ci sono gli ottimi risultati del mobile display (+63% in Italia) e del video advertising (+46%) e più in generale del mobile advertising (+41%).
Via Quo Media
Le mobile app per il fitness e la salute sono in costante aumento, se ne trovano di ogni genere, ci aiutano a tenere traccia dei nostri allenamenti, a condividerli con i nostri amici e ci suggeriscono le pietanze da consumare per essere sempre in forma. Vi starete chiedendo … e cosa c’è che non va?
Queste applicazioni in realtà collezionano una quantità impressionante di informazioni relative alla nostra persona e alle nostre abitudini e, per questa ragione, sono appetibili per fini commerciali e, come di consueto, per il crimine informatico.
La Federal Trade Commission Americana ha recentemente pubblicato i risultati di uno studio condotto su 12 tra le principali applicazioni per il fitness e la salute, focalizzando l’analisi sul modo in cui i dati degli utenti sono gestiti da esse e, purtroppo, non ci sono buone. Per ovvie ragioni la commissione ha evitato di rendere pubblici i nomi delle applicazioni limitandosi ad informare l’utenza dei risultati e le aziende stesse delle non conformità riscontrate.
La maggioranza delle applicazioni esaminate condivide all’insaputa dell’utente i dati collezionati con circa 76 differenti terze parti per fini commerciali, una vera minaccia alla sua privacy con risvolti non trascurabili anche sotto il profilo sicurezza. Abbiamo imparato in queste settimane che condivisioni non opportunamente gestite ampliano la nostra superficie di attacco esponendoci a frodi di vario genere. Queste aziende di terze parti collezionano per fini commerciali una grande quantità di informazioni dell’utente, dai dati tecnici del dispositivo mobile utilizzato (modello, dimensione dello schermo, lingua, paese di provenienza) ai dati propri dell’applicazione relative all’utente (e.g. età, peso, sesso) e alla tipologia di programma di allenamento seguito (e.g. tipo di attività fisica, durata dell’allenamento, locazione geografica).
Chi sono queste entità che collezionano le informazioni dell’utente, quali dati gestiscono e come lo fanno?
Praticamente tutte le app censite condividono dati del dispositivo mobile con aziende di terze parti, 18 su 76 di queste aziende collezionano dati come Unique Device Identifier (UDID) dei dispositivi Apple, il MAC address dei dispositivo e il codice International Mobile Station Equipment Identity (IMEI) del telefono; in questo modo conoscono esattamente chi sono gli utenti e su essi possono operare ogni genere di attività commerciale. Queste informazioni consentono infatti di tracciare l’utente anche una volta che l’app viene chiusa per aprirne una differente in modo che l’identificativo utente possa essere utilizzato per tracciare un profilo preciso e definire per esso una mirata campagna pubblicitaria.
Purtroppo le brutte notizie non finiscono qui. Queste entità sono principalmente interessate alle abitudini degli utenti (e.g. Frequenza con la quale camminano e/o corrono, percorsi seguiti dall’utente, programma di allenamento, abitudini alimentari).
22 su 76 aziende di terze parti riceve informazioni relative all’esercizio fisico dell’utente, sulla dieta seguita, eventuali sintomi, sesso e dati per la geo-localizzazione e 12 delle app censite inviano informazioni alla medesima azienda. Immaginiamo quindi a che quantità di informazioni essa colleziona sugli utenti! Nota dolente, i dati vengono trasferiti senza essere resi anonimi: gli esperti della commissione hanno infatti verificato che i dati menzionati sono trasferiti insieme al nome e cognome degli utenti.
Le applicazioni esaminate richiedono all’utente di fornire permessi non strettamente necessari al loro funzionamento con il risultato che i dati dell’utente condivisi con terze parti sono molti di più di quelli preventivati.
App SAlutePer un istante immaginiamo se un gruppo di criminali informatici rubasse le informazioni da queste terze parti. La prima evidenza è che, innanzitutto, difficilmente sapremmo che i nostri dati sono finiti nelle mani sbagliate, ma soprattutto finiremmo vittime di azioni fraudolente mirate. Come? Il criminale sa che la vittima ama correre e che utilizza l’applicazione del prodotto XX per condividere i dati sul suo allenamento, e gli propone perciò uno sconto fedeltà del 50% sull’ultimo modello se lo comprerà online su un sito “copia” di quello legittimo. In questo modo il criminale ha tutto quello che serve per portare avanti la frode. Bisogna essere onesti, quando si scarica una app dallo store ufficiale, non si pensa a tutto questo…
Ma tali app rappresentano una minaccia anche per la sicurezza fisica degli utenti. Quando si condivide una performance sportiva vengono fornite il più delle volte informazioni relative al percorso e ai tempi di percorrenza, dati che potrebbero essere utilizzati da male intenzionati per ordire azioni criminali. Se l’utente è impegnato a fare footing e vive da solo … l’app fornisce indicazioni utili che danno l’opportunità ai criminali di derubare casa (magari la persona ha anche condiviso sul social qualche foto dell’ambiente in cui sta correndo, così da dare ulteriori informazioni sugli spostamenti.)
Il mio suggerimento quindi è quello di essere attenti: ogni azione nel mondo digitale potrebbe avere seri risvolti, non siate paranoici ma semplicemente attenti nell’utilizzo degli strumenti informatici, ne va della vostra sicurezza.
Dimenticavo … fate sport più che potete, ve lo dice un maniaco del fitness.
Via Tech Economy
|