Di Max Da Via' (del 22/10/2020 @ 07:09:49, in Mercati, linkato 1360 volte)
Erano gli anni 90 quando Dragon lanciò sul mercato il primo software che permetteva di scrivere testi usando la voce. O dovrei dire prometteva, perché di quella esperienza ricordo solo la frustrazione dopo i primi tentativi. Bisognerà aspettare Siri, nel 2011, e poi Google Now, nel 2012, per intuire che i tempi erano maturi. Ora parlare con un assistente personale è diventata un’abitudine per molti. Merito anche di Amazon che, dal 2014, ha infilato il suo Alexa in decine di oggetti poco costosi, aprendo il mercato deglismart speaker.
Oggi gli assistenti vocali si trovano ovunque, in elettrodomestici, orologi, cuffie, televisori, automobili. La loro caratteristica è di usare, più o meno estesamente, qualche algoritmo diintelligenza artificiale: comprendono la voce umana (Speech Recognition e Natural Language Understanding), raccolgono dati (preferenze e di contesto) ed eseguono funzioni più o meno elaborate. L’utilizzo più comune degli assistenti inseriti neglismart speakerè la diffusione di musica, seguito dalle informazioni meteorologiche. Mentre gli assistenti degli smartphone vengono usati principalmente per fare domande, poi per rispondere a chiamate e per individuare percorsi. A quelli delle auto ci si affida solo per fare chiamate e trovare destinazioni.
Il mercato di assistenti e smart speaker
Il mercato degli assistenti vocali è guidato dalle aziende che controllano gli oggetti intelligenti più diffusi, gli smartphone. Sistimache Google Assistant abbia 500 milioni di utenti attivi mensili, Siri 374 milioni. In termini di installazioni Cortana di Microsoft e DuerOS di Badu sono presenti in oltre 400 milioni di oggetti, Alexa in oltre 200 milioni e Bixby di Samsung in oltre 160 milioni.
Se invece guardiamo al solomercato degli smart speakerAmazon emerge con il 23%, seguito da Google al 19%, da Baidu (14%), Alibaba (13%) e Xiaomi (11%). In coda Apple consolo il 5% del mercato. La situazione è ancora diversa se si restringe lo sguardo al mercato statunitense dove le casse acustiche intelligenti di Amazon hanno il 53% del mercato (-20 punti rispetto al 2018), mentre quelle di Google hanno il 31% (+13 punti). Il resto dei consumatori si rivolge a Sonos (4,7%), Apple (2,8%) e ai produttori cinesi.
Il fenomeno è globale, con peculiarità da paese a paese. La Cina rappresenta ben il 30%/40% delle vendite di smart speaker. Qui i protagonisti sono Alibaba (AliGenie), Baidu (DuerOS), Xiaomi (Xiao AI) e Tencent (Xiaowe). In Russia il leader incontrastato è Alice di Yandex, l’azienda che produce il più usato motore di ricerca. Poi ci sono i paesi in cui ad emergere sono gli assistenti degli operatori telefonici: in Germania c’è Magenta di Deutsche Telekom, in Francia Djingo di Orange, in Spagna Aura di Telefonica.
Con la diffusione di massa è arrivata anche la differenziazione, per cui oggi esistono diverse tipologie di soluzioni:
piattaforme generaliste, come Amazon Alexa e Google Assistant, le cui funzioni (skill o action) sono estensibili da sviluppatori di terze parti, per cui le aziende possono creare “branded app” che le sfruttano;
piattaforme di nicchia, comeAider, che offrono soprattutto un supporto di back-office alle aziende. Connettendovi le applicazioni aziendali è possibile sfruttare la piattaforma per offrire un servizio di assistenza clienti via voce o messaggi, automatizzare alcune funzioni di business, analizzare le performance web e le vendite, ottenere suggerimenti e stime previsionali;
soluzioni personalizzate dai brand per rendere intelligenti prodotti specifici come quelle offerte da BBC, BMW, Mercedes-Benz;
soluzioni in white label comeHoundifyche permette di semplificare l’aggiunta di un assistente vocale intelligente a qualsiasi prodotto.
Dal brand di fiducia all’assistente di fiducia
È indubbio che gli assistenti vocali stiano diventando unnuovo diaframma tra desiderio e consumo. Un canale di assistenza, vendita e promozione che potrebbe avere un notevole impatto su tre livelli: acquisizione dei clienti, soddisfazione e fidelizzazione. L’assistente personale, oggi controllato da Amazon, Apple, Google, potrebbe guadagnare la fiducia dei consumatori se diventerà il centro delle abitudini, la memoria storica delle preferenze, il motore instancabile di suggerimenti. Se le sue risposte risultassero sufficientemente utili ed in grado di eliminare gli ostacoli all’acquisto, potrebbero favorire alcuni brand anziché altri.
Ciò potrebbe determinare l’indebolimento del brand a favore della piattaforma tecnologica preferita, sempre vicina, intimamente connessa alla vita delle persone. Si realizzerà il passaggio datrusted brandsatrusted AI assistantcome sostiene il professor Niraj Dawal sull’Harvard Business Review?
In ogni casoci sarà da immaginare un nuovo marketing che tenga conto di queste macchine intelligenti e del loro modo di “ragionare”, un marketing rivolto alle macchine e non solo alle persone. I marketer saranno costretti a concentrarsi sull’ottimizzazione della posizione del brand sulle piattaforme di intelligenza artificiale e/o a costruire una propria identità vocale. A interrogarsi sulla necessità di aggiungere una interfaccia vocale all’esperienza utente o di creare un assistente personale per i propri prodotti, tenendo ben presente che un’esperienza vocale povera non si dimentica facilmente.
Il consueto appuntamento con l’Osservatorio B2c del Politecnico di Milanofotografa una situazione che risente in modo determinante della pandemia. Prima evidenza: inevitabilmentecresce l’eCommerce di prodottospinto dal lockdown. Nel 2020 gliacquisti online hanno raggiunto i 30,6 miliardi di eurosegnando un piccolo calo rispetto al 2019 (-3%) ma con uno spostamento vero gli acquisti di prodotto che vale un +31%.I servizi crollano (-47%)ma con una dinamica fisiologica in quanto viene a mancare in misura rilevante il turismo e trasporti (-56%) per un ammanco al computo totale di 7,2 miliardi di euro. Crescono leassicurazioniche che generano un transato online di 1,6 miliardi di euro (+6%). Altro dato del tutto atteso è lacrescita del food&grocery (+1,1 miliardi di euro),informaticaedelettronica di consumo(+1 miliardo di euro) aabbigliamento(+700 milioni di euro).
Questa la “fredda cronaca” dietro la quale però, secondo i ricercatori del Politecnico, vi sono delle dinamiche di trasformazione irreversibili. In sintesi, l’evoluzione del commercio online è parte della metamorfosi del retail in senso ampio. Una segnale evidente viene dal canale tradizionale che quest’anno, per la prima volta, cresce online più delle dotcom. Gli aggregatori hanno giocato un ruolo centrale in questa dinamica perché hanno consentito un ampliamento della presenza online in tempi molto rapidi.
Il cambiamento del punto di vendita fisico è ampiamente in atto. L’indagine del Politecnico ha abbracciato l’intero settore retail, dal largo consumo alimentare alle Gss e altro. Diverse le evidenze di cambiamento riscontrate. Per esempio,CoopeGeoxstanno parlando di un nuovo ruolo del negozio e alcuni pure player approdano al commercio fisico:Tannicoha aperto il primo punto di vendita a Milano. Parallelamente, alcuni retailer “tradizionalisti” stanno spingendo sul canale online in modo strategico. È il caso diAldieH&Mmentre quelli già presenti, hanno sviluppato molto la capacità operativa aumentando la forza lavoro e incrementando anche la collaborazione con operatori esterni. In UkTescoha avviato una delle più grandi campagne di assunzione di personale.
Alcuni negozi sono stati trasformati in dark store e magazzini per il pickup. Oltre alla logistica e ai pagamenti, le modifiche hanno coinvolto la prevendita e l’acquisto. Anche integrando realtà virtuale e realtà aumentata. È cresciuto il contactless e i corrieri non hanno più l’obbligo di raccogliere le firme, facilitando le consegne in sicurezza. Crescono anche i servizi di assistenza, i virtual shopping che hanno coinvolto i poco avvezzi all’eCommerce così come le live chat. Sul versante fisico, molti retailer stanno ridimensionando la rete e aprendo nuovi punti di servizio. È il caso diZarache ha annunciato la chiusura di 1.200 punti di vendita nel mondo. Un altra evidenza della crescita dell’online viene dal mercato americano: negli Usale principali dotcom hanno aumentato la capacità operativa con 135mila nuove assunzioni durante la pandemia.
Le condotte di acqusito nelle nuova normalità
Ma quanto è cambiato il consumatore? SecondoRoberto Lisciadi NetComm, l’abitudine del consumatore è virata verso usi digitali e pagamenti, viaggi, acquisti e altro sono ormai normalmente acquistati online. L’Italia ha quindi raggiunto un comportamento digitale che prima non aveva. I due milioni di acquirenti in più non rappresentano solo un incremento dei volumi, ma il segno di un evoluzione delle condotte con un cambio del paniere degli alimentari. Inoltre, i consumatori stanno ponendo molta più attenzione ai servizi. Anche la sensibilità al prezzo è diversa da quella precedente al Covid e i prezzi online del food&grocery sono diminuiti fino al 4% durante il lockdown (Fonte: NetComm)
Nelsettore alimentare, i new player hanno determinato un panorama competitivo più stressante con il proximity commerce cresciuto moltissimo. Altro aspetto importante è quello correlato alla sostenibilità. Secondo i ricercatori del Politecnico l’aumento di volumi è un’opportunità che deve però essere gestita. Occorre integrare e differenziare i servizi perché l’home delivery non può essere l’unica soluzione correlata agli acquisti online e i consumatori desiderano una varietà di offerta più ampia. Ci sono poi dei fenomeni come l’utilizzo dello smartphone che ha promosso questo device come strumento preferito per accedere alla rete non solo in mobilità, ma in misura assoluta.
SecondoAlessandro Perego, responsabile Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano: "Quest’anno la dinamica complessiva del mercato eCommerce, a livello globale, nasconde andamenti profondamente differenti nelle sue principali macrocategorie. Da un lato la chiusura delle frontiere, le forti limitazioni alla mobilità e il divieto di assembramento hanno colpito pesantemente l’ambito dei servizi (turismo/trasporti e ticketing per eventi in primis) e ne hanno penalizzato fortemente le vendite, indipendentemente dal canale. Dall’altro lato la pandemia ha avvicinato all’eCommerce di prodotto tanti nuovi utenti e ha agito positivamente sulla frequenza di spesa dei web shopper già acquisiti. Nel 2020 il valore degli acquisti online di prodotto nel mondo dovrebbe raggiungere i 2.600 miliardi di euro (+16% circa rispetto al 2019)”.
PerValentina Pontiggia, direttore dell’Osservatorio eCommerce B2c: “Nel 2020, nella sola componente di prodotto, l’incidenza dell’eCommerce B2c sul totale vendite retail, indice della maturità dell’online, passa dal 6% all’8% (+2 punti percentuali rispetto al 2019). Significa che in un solo anno abbiamo avuto un salto evolutivo che generalmente ottenevamo in almeno 2 anni. Mai come quest’anno, l’eCommerce ha svolto un ruolo determinante nella riprogettazione delle strategie di vendita e di interazione con i consumatori per fronteggiare la crisi del settore retail post-pandemia. Cresce leggermente anche la penetrazione dei servizi che passa dal 10,7% all’11%”.
Di Max Da Via' (del 06/10/2020 @ 07:48:22, in Mercati, linkato 1852 volte)
Erano gli anni 90 quando Dragon lanciò sul mercato il primo software che permetteva di scrivere testi usando la voce. O dovrei dire prometteva, perché di quella esperienza ricordo solo la frustrazione dopo i primi tentativi. Bisognerà aspettare Siri, nel 2011, e poi Google Now, nel 2012, per intuire che i tempi erano maturi. Ora parlare con un assistente personale è diventata un’abitudine per molti. Merito anche di Amazon che, dal 2014, ha infilato il suo Alexa in decine di oggetti poco costosi, aprendo il mercato deglismart speaker.
Oggi gli assistenti vocali si trovano ovunque, in elettrodomestici, orologi, cuffie, televisori, automobili. La loro caratteristica è di usare, più o meno estesamente, qualche algoritmo diintelligenza artificiale: comprendono la voce umana (Speech Recognition e Natural Language Understanding), raccolgono dati (preferenze e di contesto) ed eseguono funzioni più o meno elaborate. L’utilizzo più comune degli assistenti inseriti neglismart speakerè la diffusione di musica, seguito dalle informazioni meteorologiche. Mentre gli assistenti degli smartphone vengono usati principalmente per fare domande, poi per rispondere a chiamate e per individuare percorsi. A quelli delle auto ci si affida solo per fare chiamate e trovare destinazioni.
Il mercato di assistenti e smart speaker
Il mercato degli assistenti vocali è guidato dalle aziende che controllano gli oggetti intelligenti più diffusi, gli smartphone. Sistimache Google Assistant abbia 500 milioni di utenti attivi mensili, Siri 374 milioni. In termini di installazioni Cortana di Microsoft e DuerOS di Badu sono presenti in oltre 400 milioni di oggetti, Alexa in oltre 200 milioni e Bixby di Samsung in oltre 160 milioni.
Se invece guardiamo al solomercato degli smart speakerAmazon emerge con il 23%, seguito da Google al 19%, da Baidu (14%), Alibaba (13%) e Xiaomi (11%). In coda Apple consolo il 5% del mercato. La situazione è ancora diversa se si restringe lo sguardo al mercato statunitense dove le casse acustiche intelligenti di Amazon hanno il 53% del mercato (-20 punti rispetto al 2018), mentre quelle di Google hanno il 31% (+13 punti). Il resto dei consumatori si rivolge a Sonos (4,7%), Apple (2,8%) e ai produttori cinesi.
Il fenomeno è globale, con peculiarità da paese a paese. La Cina rappresenta ben il 30%/40% delle vendite di smart speaker. Qui i protagonisti sono Alibaba (AliGenie), Baidu (DuerOS), Xiaomi (Xiao AI) e Tencent (Xiaowe). In Russia il leader incontrastato è Alice di Yandex, l’azienda che produce il più usato motore di ricerca. Poi ci sono i paesi in cui ad emergere sono gli assistenti degli operatori telefonici: in Germania c’è Magenta di Deutsche Telekom, in Francia Djingo di Orange, in Spagna Aura di Telefonica.
Con la diffusione di massa è arrivata anche la differenziazione, per cui oggi esistono diverse tipologie di soluzioni:
piattaforme generaliste, come Amazon Alexa e Google Assistant, le cui funzioni (skill o action) sono estensibili da sviluppatori di terze parti, per cui le aziende possono creare “branded app” che le sfruttano;
piattaforme di nicchia, comeAider, che offrono soprattutto un supporto di back-office alle aziende. Connettendovi le applicazioni aziendali è possibile sfruttare la piattaforma per offrire un servizio di assistenza clienti via voce o messaggi, automatizzare alcune funzioni di business, analizzare le performance web e le vendite, ottenere suggerimenti e stime previsionali;
soluzioni personalizzate dai brand per rendere intelligenti prodotti specifici come quelle offerte da BBC, BMW, Mercedes-Benz;
soluzioni in white label comeHoundifyche permette di semplificare l’aggiunta di un assistente vocale intelligente a qualsiasi prodotto.
Dal brand di fiducia all’assistente di fiducia
È indubbio che gli assistenti vocali stiano diventando unnuovo diaframma tra desiderio e consumo. Un canale di assistenza, vendita e promozione che potrebbe avere un notevole impatto su tre livelli: acquisizione dei clienti, soddisfazione e fidelizzazione. L’assistente personale, oggi controllato da Amazon, Apple, Google, potrebbe guadagnare la fiducia dei consumatori se diventerà il centro delle abitudini, la memoria storica delle preferenze, il motore instancabile di suggerimenti. Se le sue risposte risultassero sufficientemente utili ed in grado di eliminare gli ostacoli all’acquisto, potrebbero favorire alcuni brand anziché altri.
Ciò potrebbe determinare l’indebolimento del brand a favore della piattaforma tecnologica preferita, sempre vicina, intimamente connessa alla vita delle persone. Si realizzerà il passaggio datrusted brandsatrusted AI assistantcome sostiene il professor Niraj Dawal sull’Harvard Business Review?
In ogni casoci sarà da immaginare un nuovo marketing che tenga conto di queste macchine intelligenti e del loro modo di “ragionare”, un marketing rivolto alle macchine e non solo alle persone. I marketer saranno costretti a concentrarsi sull’ottimizzazione della posizione del brand sulle piattaforme di intelligenza artificiale e/o a costruire una propria identità vocale. A interrogarsi sulla necessità di aggiungere una interfaccia vocale all’esperienza utente o di creare un assistente personale per i propri prodotti, tenendo ben presente che un’esperienza vocale povera non si dimentica facilmente.
Abbiamo ampiamente discusso, nei mesi precedenti, delledifferenze di comportamento che intercorrono tra la Generazione Z(coloro nati indicativamente tra la fine del 1990 e il 2010)e i Millennial (coloro nati tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90).
Da lontano queste due generazioni possono assomigliarsi, essendo molto vicine a livello culturale e temporale. È facile presumere chequeste due categorie possano pensarla allo stesso modo quasi su tutto, avendo ricevuto la stessa educazione, e che siano poche le cose che non hanno effettivamente in comune.
Ma le differenze in alcuni casi possono arrivare ad essere relativamente abissali, soprattutto perchéla Gen Z è nata in un mondo dove ormai Internet e Social Media non erano più una novità da scoprire ma una realtà quotidiana.
Lo stravolgimento delle abitudini d’acquisto e di consumo dei mediadettato dalla pandemia di Covid-19, oppurel’arrivo di piattaforme dedicate ai più giovani come ad esempio TikTok, sono solo due dei fattori che hanno accentuato ulteriormente le differenze tra queste due generazioni.
In questo articolo ispirato allostudio pubblicato da GlobalWebIndexanalizziamo le differenze che intercorrono tra Generazione Z e Millennials per quanto riguardale abitudini di acquisto in-store e online, cercando di capirecome i brand possono adattare le loro strategie post-Covid19 in base a questi dati.
Lo shopping in-store non è morto
Come abbiamo commentato all’inizio, la Generazione Z è nata in un mondo dove il digitale non è una novità ma una realtà consolidata. Per questosiamo portati a pensare che la Gen Z acquisti prodotti quasi solo on-line, ma i dati lo smentiscono.
Come dimostrano i dati raccolti, sembra proprio chela Generazione Z, come tutte le altre generazioni precedenti,preferisca vivere la classica esperienza di acquisto in un negozio fisico, per avere la possibilità ditoccare con mano e provare in prima persona i prodotti che vuole comprare.
E sembra che, paradossalmente,la pandemia di Covid-19 abbiamo consolidato la vendita al dettaglio,oltre ad aumentare ovviamente il numero di acquisti online.
Ne sono la prova diverse iniziative come l’apertura a Guangzhou e Parigi di nuoviconcept-store monomarca di Nike, che sono l’esempio di come un negozio possa diventare un ibrido tra acquisti offline e online.
Una nuova generazione di “risparmiatori”
Nonostante il negozio fisico resista, c’è un aspetto dello shopping in-store che sta lentamente scomparendo:il pagamento in contanti.
Ma questa tendenza, al contrario di quanto si possa pensare,è più diffusa tra i Baby Boomer che tra la Generazione Z. Sembra infatti che con l’aumentare dell’età la preferenza a pagare in contanti diminuisca.
In generale comunque la Generazione Z è maggiormente abituata allo shopping online e ai servizi di pagamento mobile, e questodistorce la loro interpretazione del “contante”.
La Gen Z non vede al denaro come una determinata quantità di banconote o monete, ma comeun fondo a cui può accedere direttamente e immediatamente(attraverso le carte di credito o servizi come PayPal).
Ma nonostante questo, diversi studi dimostrano che - a differenza dei Millennial -sono più propensi ad aspettare che un prodotto sia in saldoper acquistarlo piuttosto pagarlo a prezzo pieno, in modo da poter risparmiare qualcosa.
Secondo unaricerca condotta da HSBCinfattila Gen Z risulta essere una generazione di risparmiatori, o meglio sono inclini a spendere il proprio denaro in modo pragmatico.
In questo studio, HSBC ha chiesto a 2.125 adulti cosa avrebbero fatto con 1.000 sterline in contanti. Circa il 72% dei giovani di età compresa tra i 18 ei 24 anni ha dichiarato che trasferirebbe tutto o parte del denaro in un conto di risparmio, rispetto al 55% dei Millennial (di età compresa tra 25 e 34 anni).
Una particolare attenzione agli acquisti eco-sostenibili
Una delle motivazioni per cui i giovani della Generazione Z prestano maggiore attenzione ai loro acquisti potrebbebasarsi nell’attenzione che ripongono nei confronti di temi di sostenibilità ambientale.
isulta infatti che, rispetto ai Millennial, sianopiù propensi a sostenere piccoli rivenditori locali oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente.
È giusto pensare che anche gli effetti secondari della pandemia di Covid-19, insieme ai movimenti come Black Live Matters oppure una maggiore coscienza a favore della comunità LGTBI+, siano tuttifattori che influenzano i comportamenti di acquisto di una generazione che è particolarmente attiva socialmente.
Cosa significano queste differenze per le imprese?
Abbiamo visto come la Generazione Z è più interessata a sostenere le attività commerciali locali e a fare acquisti di persona. Questo potrebbe essere ungrande vantaggio per quelle piccole attività che stanno riaprendo con fatica dopo il periodo di lockdown.
In generale comunqueil marketing generazionale può essere particolarmente produttivo, a patto che sia guidato da dati sicuri e comprovati e non si basi su supposizioni o stereotipi.
Lo studio di GlobalWebIndex ne è la prova: al contrario di quanto tutti possano pensare,la Generazione Z non è destinata a seguire lo stesso percorso dei Millennial, soprattutto per quanto riguarda le abitudini di acquisto.
Con la pandemia di Coronavirus, i brand hanno dovuto fermarsi a riflettere su come affrontare la crisi e gestire i piani di ripresa al termine dell'emergenza. In generale, il consiglio principale è stato quello dicontinuare a investire nel marketing, ma quasi tutti gli inserzionisti si sono trovati a ridefinire le priorità e adistribuire diversamente i budget.
In questa delicata situazione, la posta in gioco è alta e per i professionisti del marketing è fondamentalesfruttare al massimo ogni singolo centesimo della spesa pubblicitaria nel modo più efficiente possibile. Questo implica riuscire a raggiungere le persone giuste con il messaggio giusto, nel momento più appropriato.
Per ivideo advertiser, ciò significa anche entrare in contatto con le persone per un numero adeguato di volte.
Il concetto di efficienza pone sempre più sfide per la TV lineare.Il problema riguarda la frequenza degli annunci e la copertura di pubblico, colonne portanti dell'unità di misura tradizionalmente usata per la TV:l'indice di pressione pubblicitaria(GRP). Per anni, gli inserzionisti sono stati abituati a compensare una diminuzione della coperturapagando di più per una frequenza maggioree nel corso del tempo,il GRP (Gross Rating Point) è diventato un meccanismo che nasconde sprechi pubblicitari.
In questo periodo di grandi difficoltà, gli inserzionisti dei formati video che fanno affidamento solo sul GRP per raggiungere gli obiettivi delle campagne potrebbero non ottenere il massimo dai loro investimenti. In questo articolo, approfondiremo le cause di questa situazione e scopriremo alcuni passaggi da seguire perpianificare in modo più efficiente la spesa e ridurre gli sprechi.
Le visualizzazioni in calo contribuiscono ad alterare la pubblicazione e aumentare la frequenza
Cosa significa però nella pratica "frequenza maggiore"? La risposta ci viene fornita da un recente studio personalizzato diNielsen commissionato da Google,Total Ad Ratings(TAR).
Lo studio ha preso in esame 22 campagne video pubblicate su YouTube e sulla TV lineare. Per misurare la frequenza degli annunci su entrambe le piattaforme, gli spettatori sono stati divisi in tre gruppi con lo stesso numero di partecipanti e in base al tempo totale di visualizzazione della TV in diretta e on demand, ovvero telespettatori molto assidui, mediamente assidui e poco assidui.
In media, per quanto riguarda la TV, i telespettatori molto assidui hanno vistoun annuncio 26,5 volte nel corso dello studio sulle campagne. I telespettatori mediamente assidui hanno guardato un annuncio 9,6 volte, mentrequelli poco assidui 3,2 volte. Nello stesso periodo delle campagne prese in esame, la frequenza degli annunci su YouTube si è rivelata decisamente inferiore e più uniforme tra i vari segmenti. In media, i telespettatori sia molto che mediamente assidui hanno visto un annuncio 2,6 volte e quelli più occasionali (e le persone che non guardano la TV)2,5 volte(1).
Frequenza media delle campagne
Fonte: Nielsen/Google, meta-analisi di Nielsen, Total Ad Ratings (TAR)
TV
YouTube
Una domanda che sorge spontanea in questo momento è, ovviamente, se il recentepicco di visualizzazioni della TV in direttacausato dal confinamento a casa abbia migliorato la distribuzione della frequenza tra i vari segmenti di spettatori. I dati suggeriscono che non sia così.
Nelle quattro settimane tra il 16 marzo e il 12 aprile, ad esempio,sono stati i telespettatori molto assidui e mediamente assidui a contribuire maggiormente all'aumento del tempo di visualizzazione (85%). In particolare, il 68% di questo aumento è stato registrato grazie alla popolazione ultracinquantenne(2). Pertanto, nonostantepicchi temporaneidelle visualizzazioni, secondo eMarketer, la TV lineare continuerà aessere un canale poco efficaceper raggiungere gli obiettivi delle campagne video.
Una frequenza elevata influisce sulla qualità della copertura
Conil pubblico della TV lineare sempre più limitato e uniforme, la frequenza elevata fa sorgere un secondo problema: compromette infatti la qualità complessiva della copertura riempiendo i canali televisivi di contenuti adatti ad alcuni segmenti a scapito di altri. Quindi, anche in un periodo in cui un numero maggiore di persone è costretto a casa, non è detto che gli investimenti fruttino qualcosa.
Sempre lo studio TAR personalizzato di Nielsen ha rivelato cheil 61% delle impressioni degli annunci televisivi è stato pubblicato per telespettatori molto assidui, che costituivano solo fino al 20% del pubblico di destinazione. Al contempo, appena il 5% delle impressioni degli annunci televisivi è stato generato per telespettatori poco assidui, anche se questi rappresentavanoil 44% della popolazione target(3).
Percentuale delle impressioni in TV e su YouTube rispetto alla popolazione target
Fonte: Nielsen/Google, meta-analisi di Nielsen, Total Ad Ratings (TAR)
Telespettatori molto assidui
Telespettatori mediamente assidui
Telespettatori poco assidui e persone che non guardano la TV
La pubblicazione su YouTube si è rivelata distribuita molto più uniformemente tra tutti i segmenti di telespettatori e particolarmente in linea con la popolazione target. Inoltre, questo studio ha messo in evidenza, in generale, un cambiamento nelle visualizzazioni e una conseguenza dell'abbandono della televisione:l'80% dei telespettatori poco assidui e delle persone che non guardano la TV che hanno visualizzato un annuncio su YouTube ha visto l'annuncio esclusivamente su questa piattaforma.
Questa opportunità incrementale, ovvero la possibilità di raggiungere gli utenti solo su YouTube, è stata riscontrata anche negli altri segmenti di spettatori. Il 25% dei telespettatori mediamente assidui e il 37% di quelli molto assidui che hanno visto un annuncio su YouTube non sono stati raggiunti dalla TV lineare(4).
Come ridurre gli sprechi pubblicitari: consigli e strumenti
Per chi ha paura che le proprie campagne non stiano raggiungendo efficacemente i segmenti di pubblico di interesse, è necessario adottare tre misure in particolare:
Creare un piano combinato per la TV e il digitale Con i segmenti di pubblico che consumano sempre più contenuti digitali, puoi utilizzare nuovi strumenti per realizzare un piano applicabile a più canali. Lostrumento di pianificazione della coperturaè un ottimo esempio. Questo strumentosfrutta i dati televisividi Nielsen per aiutare gli inserzionisti a comprendere il potenziale impatto che una distribuzione diversa della spesa per la TV e per YouTube può avere sulla copertura.
Sperimentare per trovare il giusto mix di TV e YouTube Passare da una mentalità orientata prevalentemente ai contenuti televisivi a una che includa i canali digitali non è facile e non avviene dal giorno alla notte, ma è un passaggio necessario perraggiungere i segmenti di pubblicosulle piattaforme che utilizzano. Fare esperimenti destinando la spesa a video digitali in uno scenario poco rischioso è un buon punto di partenza. Scopri cosa puoi imparare e modifica le tue combinazioni di conseguenza. Anche il team di marketing di Googleha avuto ottimi risultaticon questo approccio.
Utilizzare la misurazione multipiattaforma Oltre agli strumenti di pianificazione utili per determinare il media mix ottimale, sono disponibili anche nuovi modi per effettuare misurazioni accurate tra più canali. Gli studiTARdi Nielsen consentono agli inserzionisti di misurare direttamente la copertura TV in confronto a quella dei video digitaliin modo da individuare gli aspetti inefficientinei loro acquisti.
Il lockdown ha messo in discussione leabitudini di consumo degli italiani. I consumatori hanno colto l’occasione per cimentarsi in nuove modalità di acquisto, spingendo i brand adigitalizzare i punti vendita, a diventareomnicanalee a promuovereun’esperienze integrata.
Ma quali cambiamenti hanno vissuto i consumatori durante il contenimento e quale lezione possono trarne i marketer?
Prima del lockdown
Device
Smartphone.L’mCommerce è un trend in crescita: gli acquisti online tramite mobile per il settore dell’abbigliamento nel 2019.
Nel 2019gli acquisti tramite smartphone hanno rappresentato il 40% delle vendite online totali generano 12,5 miliardi.In alcuni casi il mobile arriva a rappresentare il principale device di acquisto: 50% nell’abbigliamento, 48% nel beauty e 49% nell’arredamento.
In-store
Interazioni fisiche.Vetrine e shopping sono attività legate soprattutto al tempo libero: gli italiani che preferiscono effettuare il primo acquisto nel negozio fisico.
I punti vendita fisici rimangono fondamentali come hub di scoperta ed esperienza dei prodotti.Toccare e sentire la merce, e ottenere subito i prodotti desiderati e sconti. Il primo acquisto infatti avviene in-store per la maggior parte degli italiani.
Canale
Drive-to-store.Le vendite offline trainano il settore retail.
L’eCmmerce B2Cha pesato il 7,3%delle vendite totali del settore retail,mentre il 92,7%delle venditecontinua ad avvenire nelnegozio fisico,confermandone l’importanza chiave.
Fedeltà
Carte fisiche.L’utilizzo della carta fedeltà è molto ampio.
Il 74% della popolazione italiana è iscrittoalmeno aun programma fedeltàpresso un rivenditore. Il 44% è iscritto a un numero di programmi compreso tra 2 e 5. Tuttavia, il tasso medio diattività dei membridei programmi fedeltà in Italaè solo del 40%.
Pagamento
Contanti. Le transazioni contactless sono ancora inferiori alla media mondiale.
Nonostante l’entusiasmo per i pagamenti contactless,che hanno generato nelmondo oltre 3,5 miliardi nel 2019, l’Italiarimane tra i primi paesieuropei per pagamento in contanti,confermandosi la modalità più utilizzata.
Dopo il lockdown
Device
Computer.Il carrello medio da PC supera i 75%, mentre il carrello medio da mobile è inferiore ai 75€.
Seppur gli acquisti online da smartphone siano in costante crescita (50% durante il lockdown),il carrello medio è superiore per gli acquisti avvenuti da computer, specialmente durante la settimana.Durante il contenimento si è registrata una flessione dei carrelli per entrambi i dispositivi, evidenziando però chei consumatori acquistano con lo smartphone anche da casa, ma spendono di meno.
In-store
Distanziamento sociale.La sicurezza fa il suo ingresso nella customer experience.
Gli italiani propensi a visitare i soli punti vendita provvisti delle migliori condizioni di igiene e sicurezza. Indossare una mascherina, limitare i contatti fisici e rispettare il distanziamento. I consumatori oggi vivonoun’esperienza di successo in-store grazie alle misure sanitarie preventive e grazie alla digitalizzazione del punto vendita.Il 51% degli italiani, infatti, desidera trovare in negozio un maggiore utilizzo delle tecnologie digitali.
Canale
Omnicanale. Abitudini di acquisto in piena trasformazione: i nuovi consumatori italiani che hanno acquistato online nei primi 4 mesi del 2020.
Il lockdown ha avuto il merito di modificare le abitudini di acquisto degli italiani, ora più propensi agli acquisti online per proteggersi dai rischi sanitari. Si stima che l’eCommerce in Italia raggiungerà i 22,7 miliardi di fatturato nel 2020(+26% rispetto al 2019), con un crescente utilizzo delClick & Collect (+349%registrato inmaggio in Italia)e del proximity commerce.
Fedeltà
Carte dematerializzate.La digitalizzazione come esperienza di fidelizzazione. Percentuale di carte fedeltà installate nel Mobile Wallet che vengono conservate e raramente disinstallate. I clienti post-lockdown desiderano smaterializzare il più possibile le carte fedeltà per minimizzare il concetto fisico.Nel 2019 il 63% di possessori di smartphone ha digitalizzato nel Mobile Wallet almeno un contenuto:primo da tutti la carta fedeltà, gli strumenti di pagamento, infine i buoni sconto.
Pagamento
Contactless.Pagamento senza contatto. Gli italiani che hanno utilizzato il pagamento contactless con facilità a causa dell’emergenza sanitaria. Il lockdown ha avuto il merito di aver incrementato l’utilizzo del pagamento contactless. Si stima che a causa della pandemia,quasi la metà (45%) della popolazione abbia ridotto l’utilizzo del contante e il 17% abbia sperimentato il pagamento contactless per la prima volta. È giunto il momento delmobile wallet,che oltre a consentire di effettuare ilpagamento, permette ai consumatori di beneficiare immediatamente deivantaggi fedeltà.
L’approccio di molte aziende all’influencer marketing è bidimensionale. La scelta ricade sempre su quelli che hanno più follower o che tutti conoscono. Completamente assente la culturadata drivene la volontà di andare oltre l’ovvio. Per sensibilizzare il mercato sulle metriche più interessanti di valutazione degli influencer, in Buzzoole abbiamo elaborato i dati di oltre 700.000 instagramers e li abbiamo racchiusi in un report gratuito. Lo studio “Influencer Performance Benchmarks” ha preso in esame sia le metriche visibili pubblicamente come le interazioni e i follower, sia quelle ottenibili attraverso gliinsightsdei creator iscritti alla piattaforma (i cosiddetti “first party data”).
Per segmentare meglio i risultati abbiamo operato una classificazione per fasce: novice (coloro che hanno fino a 10.000 follower), micro (dai 10.000 ai 100.000 follower), top (dai 100.000 follower a un milione) e celebrity (oltre un milione).
Engagement su Reach
Dato chel’Engagement Rate è una metrica sopravvalutata, un dato interessante si può ottenere confrontando le interazioni con la reach, ossia con le persone realmente raggiunte dai post. Dall’analisi si scopre che “novice” e “micro” differiscono di poco nella loro capacità di sviluppare interazioni rispetto alle persone raggiunte (intorno al 14%), mentre dai top ci si può attendere un tasso di Engagement su Reach di circa il 13% e dalle celebrità l’11,45%.
Reach su Follower
Altro indice utile è quello che mette in relazione la reach e i follower dei creator, per comprendere la loro capacità di raggiungere il proprio bacino di spettatori. Considerando che oggil’algoritmo di Instagramnon permette di raggiungere la totalità dei propri follower, neanche con l’ausilio di pubblicità, diventa fondamentale avere dei benchmark di riferimento. Emerge che i novice, mediamente, riescono a raggiungere il 27,5% dei propri follower e le celebrità il 24,3%. Meno positive le performance dei micro e dei top.
Queste sono solo alcune delle metriche che troverete nel white paper “Influencer Performance Benchmarks“, scaricabile gratuitamente.
Naturalmente sta al marketer valutarle congiuntamente, individuando di volta in volta quelle più adatte a rappresentare il raggiungimento dello specifico obiettivo di comunicazione che si intende conseguire. L’importante è acquisire una propensione all’analisi dei dati che, prima di qualunque campagna, permetterà di individuare obiettivi realistici e non farseli imporre dalle piattaforme.
Pubblicare diversi tipi di contenuto significa più opportunità per aumentare le interazioni da parte degli utentie, come possibile conseguenza,la crescita organica della fanbase di Instagram.
Instagram consente di aggiungere fino a 30 hashtag nel testo dell’immagine, masembra che la quantità ottimale per raggiungere il massimo engagement sia di nove hashtag.
Organizzare un concorso o un giveaway èuna strategia che funziona nel 99% dei casi per aumentare la follower base,oltre che consolidare la presenza del brand sulla piattaforma.
Passano gli anni, cambiano i trend, Mark Zuckerberg rilascia nuove feature per le sue piattaforme, ma il problema principale dei marketer rimane sempre uno:come faccio ad aumentare la follower base del profilo Instagram del mio brand?
Purtroppo per Instagram, al contrario di Facebook,non è mai esistita un’opzione di advertising pensata per raggiungere direttamente questo obiettivo.
Per molti brand, ma soprattutto per parecchi influencer, al principio l’unica alternativa è stata quella diacquistare fake follower per “gonfiare” la propria fanbase, ma sappiamo tutti benissimo quanto sia una mossa sbagliata e assolutamente inutile.
Esiste quindi un modo per aumentare in modo organico la follower base di Instagram?
Non c’è un unico modo predefinito per riuscire ad ottenere organicamente nuovi follower per il proprio profilo, maesistono diverse strategie che combinando engagement, awareness e contenuti di qualitàpossono aiutare ad aumentare la propria fanbase.
Vediamo insieme quali sono le sei tattiche più utilizzate per raggiungere questo obiettivo.
#1 Pubblica regolarmente e negli orari migliori
Partiamo dalle basi ovvero dalla frequenza di pubblicazione, che influisce notevolmente sulla crescita della fanbase - oltre che sul tasso di engagement.
Per riuscire a rimanere al passo con l’algoritmo di Instagram,è consigliato pubblicare almeno un contenuto al giorno,ovviamente nei momenti della giornata considerati migliori.
Secondo unostudio di SproutSocial, basato sui dati di Instagram che riportano i momenti di maggiore attività da parte degli utenti sulla piattaforma, il momento perfetto nel 2020 per condividere contenuti su Instagram sarebbeil mercoledì alle 11:00 e il venerdì tra le 10 e le 11:00.
In generale comunque per raggiungere un buon livello di engagement si consiglia dipubblicare dal martedì al venerdì tra le 10:00 e le 15:00.
#2 Investi nella produzione di contenuti differenti
Post nel feed, Instagram Stories, IGTV, filtri AR e ilnuovo arrivato Reels: la piattaforma mette a disposizione una grande varietà di formati per i tuoi contenuti,perché non testarli tutti per capire qual è quello che meglio funziona per acquisire nuovi follower?
Il livello di engagement infatti non è più collegato esclusivamente ai post nel feed: ora questo calcolo include anche metriche come le risposte e le menzioni nelle storie, le visualizzazioni dei video IGTV, l’utilizzo dei filtri etc.
Questo vuol dire chepubblicare diversi tipi di contenuto significa più opportunità per aumentare le interazioni da parte degli utentie, come possibile conseguenza,la crescita organica della fanbase di Instagram.
#3 Utilizza gli hashtag giusti
Confermiamo chegli hashtag continuano ad essere di fondamentale importanza per aumentare la reachdelle pubblicazioni su Instagram.
Ma è necessario scegliere quelli giusti, senza esagerare. Instagram consente di aggiungere fino a 30 hashtag nel testo dell’immagine, masembra che la quantità ottimale per raggiungere il massimo engagement sia di nove hashtag.
In generale,è meglio evitare di utilizzare hashtag vaghi o troppo popolari perché il contenuto rischia di passare inosservatotra i milioni di post che vengono pubblicati ogni minuto.
Esempio, se siamo un artista che pubblica dipinti con l’acquerello, l’hashtag #watercolor è troppo generico. Piuttosto, se si tratta di un dipinto di fiori, utilizzeremo l’hashtag #WatercolorFlowers oppure #FloralWatercolor per raggiungere un target più specifico.
Esistono inoltresiti web o applicazioni che aiutano a trovare gli hashtag giusti da utilizzare, partendo da un argomento, come ad esempioDisplayPurposes.
Di grande utilità anche il tag di posizione,che aiuta a localizzare per esempio le piccole attività locali, in modo che gli utenti possano trovarle più facilmente dopo aver visto un contenuto.
#4 Organizza concorsi e giveaway
Lo sappiamo tutti:le persone amano ricevere prodotti gratuitamente e fanno di tutto pur di partecipare a un contestper vincere qualcosa.
SproutSocial afferma cheil 72% dei consumatori si aspetta di trovare sconti o promozioni speciali sui canali social media brand.Al contrario, solo il 18% degli marketers pensa che sia necessario comunicare sconti e promozioni sui canali social.
Per questo organizzare un concorso o un giveaway èuna strategia che funziona nel 99% dei casi per aumentare la follower base,oltre che consolidare la presenza del brand sulla piattaforma.
Ovviamenteuno dei requisiti fondamentali per partecipare al concorso o al giveaway è quello di seguire la pagina e commentare il contenuto taggando i propri amici o colleghi(che a loro volta dovranno seguire la pagina).
TikTok può essere considerato come il social "del momento", e questo non solo in termini di cifre di utilizzatori (800 milioni di utenti attivi in tutto il mondo, secondo di dati di Statista.com), ma anche come protagonista controverso dell'attualità a livello globale, che, nonostante ciò, non frena il suo sviluppo tecnologico e le novità per il business.
È notizia dello scorso 20 luglio 2020 che la camera dei deputati degli Stati Uniti abbia votato una legge per vietare l’installazione dell'app del social network cinese in tutti i dispositivi messi a disposizione dal governo, a causa delle preoccupazioni sullaraccolta dei dati e sul potenziale spionaggio da parte delle autorità cinesi e stia valutando una messa al bando dell’app in tutto il paese. Pure in India e in Australia, TikTok è nell’occhio del ciclone per simili questioni e, per rincarare la dose di sospetti, nei giorni scorsi anche il gruppo di hacker Anonymousha lanciato un messaggio in rete denunciando i rischi di un malware collegato a TikTok in grado di spiare utenti ignari.
Tutte queste complicazioni, derivanti da una precaria situazione geopolitica tra gli Stati e da conseguenti tensioni di sorta, non stanno arrestando l’avanzata tecnologica di TikTok, che vuole porsi sempre più come nuovo benchmark nel business sui social media, sorpassando le altre piattaforme, e ilGruppo Facebook Inc.in primis.
Dopo aver da poco lanciatoTikTok For Business, uno spazio di riferimento strutturato permarketing creativoeadvper i Brand, il social dell’azienda techByteDance, sta continuando ad arricchire il suo set di strumenti per il business per avvicinarsi ai propri clienti, sfruttando le lezioni apprese dalla pandemia e dal confinamento. Di fatti, uno di questi trend già ben avviati, ma oggi più che mai in voga, è quello della Gamification. Essendo in grado di veicolare messaggi di vario tipo, a seconda delle esigenze, e di indurre a comportamenti attivi da parte dell’utenza, la Gamification rappresenta uno strumento estremamente efficace, che consente di raggiungere specifici obiettivi, ponendo l’utente con il suo coinvolgimento attivo al centro. La Gamification restituisce, quindi, un’esperienza divertente per coinvolgere in maniera positiva la community di TikTok nei messaggi delle aziende, valorizzando il crescente interesse verso il gaming su TikTok, cresciuto di oltre il 200% sulla piattaforma nel corso dell’ultimo anno.
A tal fine, TikTok ha lanciato il nuovoGamified Branded Effect, ovvero l’opportunità di integrare i messaggi di brand in effetti di Gamification in grado di aiutare gli utenti a creare in modo interattivo e divertente, in linea con la creatività delle loro espressioni su tutta la piattaforma.
Nello specifico, il Gamified Branded Effect si colloca come il prodotto più recente di TikTok For Business, ed invita gli utenti a giocare “in serie A” grazie a un’esperienza video interattiva e divertente. Gli utenti possono utilizzare le espressioni del volto, le pose del corpo, o altri movimenti per controllare gli elementi brandizzati e interagire con essi, con un’esperienza sound-on.
Al momento, sono disponibili oltre 20 tipi di formati di gamification tra i quali scegliere per personalizzare le proprie campagne, tra i quali, ad esempio, far muovere in aria una palla muovendo le sopracciglia, fare una gara di pose con un ritmo accattivante e utilizzare i movimenti della testa per controllare un sottomarino.
Inoltre, lo scorso 23 luglio 2020, TikTok ha annunciato che nel corso di agosto 2020 attiverà a partire dagli USA (quasi volendo rispondere addolcendo il colpo alle controversie politiche, senza menzionare la promessa di assunzione di 10.000 persone nell'organico di TikTok negli States come riporta TechCrunch), il cosiddetto"TikTok Creator Fund", ovvero una somma di200 milioni di dollariper supportare economicamente i TikTokers più capaci in termini di content creation attivi sulla piattaforma. I creator idonei a ricevere tale supporto devono avere almeno 18 anni, soddisfare una certa base (non specificata) per numero di follower, e anche pubblicare contenuti originali in linea con le linee guida della community di TikTok. C'è da sottolineare che questo non costituisce il solo contributo economico erogato ad oggi dalla piattaforma: TikTok, ad esempio, nella cornice delle azioni intraprese in contrasto agli effetti della pandemia, ha messo a disposizione del cosiddetto"Creative Learning Fund"50 milioni di dollari al fine di favorire la produzione dicontenuti didattici, facendo famigliarizzare gli insegnanti con tutto il mondo di TikTok.
In definitiva, nonostante l’incertezza sul futuro del social in alcune specifiche zone del mondo, TikTok sembra voler sbaragliare i competitor puntando sull'innovazione tecnologica e il sostegno ai creators di valore presenti nel proprio ecosistema, che di pari passo con lafreschezza della propria audience di riferimento(secondo i dati di Statista.com, il 41% degli utenti TikTok è tra i 16 e i 24 anni), gli conferisce un potenziale strategico di crescita un certo livello, che spariglia le carte delle altre piattaforme social.
Qualsiasi azienda ha il potenziale per essere unlove brand. A insegnarlo è la storia dei brand più amati al mondo, che ogni anno vengono censiti daTalkwalker.
Attraverso la forza delsocial listening, anche quest'anno sono stati individuati i 50 brand più amati, ma non solo. Il dato più interessante per te, infatti è scoprire come riescono ad essere amati, per imitarne le strategie.
Engagement vs sentiment
Per prima cosa, il report guardal'engagement e il sentiment generali.
Engagement
Valuta tutte le menzioni del brand, come, per esempio, like, commenti e condivisioni sui social media, reazioni a notizie, interazioni su forum e blog, ecc.
Sentiment
Il sentiment rappresenta le reazioni delle persone a tali menzioni. Utilizzando l'IA proprietaria di Talkwalker, sono state distinte menzioni positive e negative, analizzando il linguaggio, il contenuto e il contesto di ognuna di esse.
781 marchi a confronto
La tendenza per tutti questi marchi è chiara.Più aumenta l’engagement,ovvero più persone reagiscono al brand,più diminuisce il sentiment generale, con una maggiore tendenza a interazioni negative. Su 25 grandi marchi mondiali con oltre 100 milioni di engagement, nessuno presenta un net sentiment superiore al 75%.
Più visibile diventa il brand, più aumenta la probabilità di critiche. Non si può accontentare sempre tutti e un aumento della clientela rende più impegnativo soddisfare tutte le aspettative dei clienti.
Per questobisogna monitorare costantemente il sentimentdel brand per capire esattamente come il pubblico ne parla.
Infatti, se alla crescita della tua attività potrebbe corrispondere un leggero calo di sentiment, un calo drastico o improvviso di solito segnala una crisi. E questo richiede una gestione della crisi.
Engagement rate
L’engagement rate, ovvero il tasso di coinvolgimento, ti aiuta a confrontare il tuo brand con la concorrenza.
Con molti post potresti ottenere un coinvolgimento totale. Ma un competitor potrebbe ottenere lo stesso coinvolgimento con meno post, ottenendo di più in proporzione al suo tempo e ai suoi sforzi.
Il tasso di coinvolgimento equivale quindi al coinvolgimento totale diviso per il totale delle menzioni.Più alto è il numero, meglio è.
In genere il sentiment diminuisce con l'aumentare del tasso di coinvolgimento.
Un ottimo tasso di coinvolgimento aiuta a diffondere i tuoi contenuti tra più persone, condividendo il tuo messaggio con un pubblico più ampio. Confrontando il tasso di coinvolgimento con il sentiment, possiamo notare un altro calo nel tempo.
Complessivamente, per tutti i marchi analizzati,la media di net sentiment è del 61,5% e il tasso medio di coinvolgimento è pari a 8,32.
La viralità, insomma, aiuta a far arrivare i tuoi contenuti a più persone, ma ti espone anche a un rischio maggiore, rendendoti più suscettibile a commenti o risposte negative.
Monitora costantemente il tuo contenuto virale e rispondi rapidamente ai detrattori per evitare ritorsioni indesiderate.
I KPI di marketing per ogni settore
Brand Love Storyha preso in considerazione i KPI di svariati settori, allo scopo di aiutare i team di marketing nel benchmarking sui social media.
Per ognuno è stato tracciato un grafico con tassi di coinvolgimento e sentiment drel brand.
Ne abbiamo analizzati nel dettaglio cinque, per scoprire quali sentiment e coinvolgimento li caretterizzano.
1. Automotive
Sentiment medio - 59,9%
Tasso medio di coinvolgimento – 7,75
Con 30 marchi automobilistici analizzati, il settore è abbastanza simile alle medie globali. Spesso,i post aspirazionalidelle auto più recenti aiutano a stimolare sentiment e coinvolgimento. Ma alcune crisi abbattutasi su diversi brand automobilistici hanno fatto crollare il sentiment generale.
Il coinvolgimento automobilistico è complesso. In buona misura èlegato alle immagini mozzafiato di auto (e stile di vita)che i brand offrono. Eppure altri consumatori vogliono contenuti di maggiore valore, guidati da confronti e cifre efficienti.
2. Moda e bellezza
Sentiment medio - 66,5%
Tasso medio di coinvolgimento – 6,63
L'industria della moda e della bellezza, con 67 marchi analizzati, è in controtendenza, conuna crescita parallela di net sentiment e tasso di coinvolgimento. Il sentiment è alto, grazie all’attrazione esercitata dagli abiti e dai contenuti coinvolgenti sui social media. Non c'è da stupirsi che così tanti marchi del settore siano entrati nella nostra top 50.
La parola d’ordine è aspirazione.I tuoi social media non sono lì solo per promuovere un marchio ma uno stile di vita.Concentrandoti su questo aspetto, susciterai un sentiment più alto, mentre le conversazioni significative con la tua comunità contribuiranno ad aumentare il coinvolgimento.
3. Retail
Sentiment medio - 54,8%
Tasso medio di coinvolgimento – 10,20
I 50 brand del settore retail inclusi nel report, spesso si impegnano nella promozione di prodotti alimentari, andando verso un modello come questo, con un alto coinvolgimento, ma con un sentiment più basso.Il sentiment è ridotto anche dai problemi del servizio al cliente, inevitabili quando si ha a che fare con un'ampia fetta del pubblico.
Non concentrarti solo sui prodotti che vendi.Presta attenzione alla tua communitye genera contenuti di marca che affrontino i suoi problemi, per costruire sentiment positivo attorno al tuo brand.
4. Servizi professionali
Sentiment medio - 75,0%
Tasso medio di coinvolgimento – 4,56
I 20 servizi professionali esaminati, con una gamma di servizi e soluzioni per le imprese, hanno una posizione simile a quella del settore manifatturiero. Si rivolgono a un pubblico specifico per creare sentiment ma in cambio ricevono uncoinvolgimento limitato.
Anche in questo caso,non pensare che il tuo pubblico sia troppo di nicchia. Si è connesso a te per un motivo, quindi massimizza le tue intuizioni riguardo ai clienti per assicurarti di creare contenuti rilevanti e coinvolgenti.
5. eCommerce
Sentiment medio - 61,6%
Tasso medio di coinvolgimento – 6,65
Tra gli 11 brand di eCommerce uno si è distinto in modo significativo, con livelli di coinvolgimento leader nel settore. Ciò ha portato il tasso medio di coinvolgimento dell’eCommerce a livelli altrimenti difficili da raggiungere. Questo perché nelle conversazioni di settore le persone si sono concentratepiù sul prodotto che sul venditore. Il sentiment generale è abbastanza forte, in quanto le persone sostengono le aziende che soddisfano le loro esigenze di consumo (spesso a prezzi incomparabili).
Concentrarsi su prodotti a breve termine farà aumentare le vendite ma non ti aiuterà a costruire il tuo brand.Integra i contenuti del marchio nella tua strategiaper contribuire a costruire lealtà e sentiment generale.
Come costruire il brand love
La prossima volta che pianifichi la tua strategia di marketing, con tutti i KPI importanti per il tuo social listening, dai un'occhiata anche a come sta andando il tuo settore.
Impararegli aspetti positivi e negativi che ogni industry deve affrontare, contribuirà a dare forma a tutte le tue campagne di marketing per costruire rapporti più forti con i consumatori e di conseguenza ancheil brand love.