Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
L’integrazione tra internet e televisione è il tema tecnologico caldo per la nuova stagione invernale dei grandi marchi del settore hardware e entertainment. Sony ha annunciato il lancio dei suoi nuovi servizi digitali che favoriscono la convergenza tra rete e piccolo schermo.
Nasce, grazie alla collaborazione con Google, Sony Internet tv. Gli apparecchi della casa giapponese si avvarranno delle applicazioni sfotware sviluppate a Mountain View e del suo browser Chrome, che permetterà agli utenti di navigare a tutti gli effetti il web direttamente dal televisore.
Il primo mercato a essere sondato dal nuovo sodalizio sarà quello americano, che tra l’autunno e l’inverno accoglierà i primi modelli di tv integrata di Sony dotati di tecnologia Biv (Bravia Internet Video), che tramite apposite app abilita l’accesso ai contenuti digitali dei social network e dei siti web affini. Il sistema funzionerà in simbiosi con Qriocity, servizio che offre contenuti on demand in streaming (film e video, per il momento). Si potranno integrare nel sistema anche la consolo Ps3 di Sony, i suoi lettori Blu Ray, gli impianti home theatre e, tra pochi mesi, anche i computer della serie Vaio. Il tutto senza la necessità di decoder o dispositivi terzi.
Negli Usa, la visione di un film a definizione normale costa 3,99 dollari, mentre per l’alta definizione il prezzo sale a 5,99 a visione. In Europa, a partire da novembre, sarà invece possibile acquistare la visione (anche multipla) a termine di scadenza di 14 giorni.
Via Quo Media
C'è un dato particolarmente interessante nella presentazione fatta da Christopher Riess, ceo di Wan Ifra, l'associazione che riunisce i principali editori di giornali in tutto il mondo, al World Editors Forum di Amburgo: la pubblicità su carta è quella che garantisce il miglior ritorno all'investitore. Secondo una ricerca condotta da Microsoft advertising, ogni dollaro speso per acquistare uno spazio pubblicitario su un giornale di carta ne genera almeno 5. Molto più della televisione, il cui ritorno d'investimento risulta essere pari a 2,15, o dei media digitali (3,44).
Insomma, come ha ricordato Janet Robinson, ceo del New York Times, la carta continua ad essere un asset molto importante anche se destinato a perdere terreno nei confronti dei nuovi media. In tutto il mondo le inserzioni pubblicitarie sui quotidiani cartacei, complice la crisi, sono calate del 17% nel 2009 e gran parte degli studi in materia dice che questo trend proseguirà nei prossimi anni.
Un'opinione molto condivisa dagli addetti ai lavori è che in futuro la carta sarà più un "premium media" che un "mass media". Questo almeno è quanto pensa Juan Senor, partner di "Innovation Media Consulting Group", società di consulenza britannica specializzata in media. «Non penso che i giornali spariranno come in molti in rete continuano a dire. L'avvento del cinema non ha ucciso il teatro. La televisione non ha fatto sparire la radio e Internet non farà sparire i quotidiani. I giornali dovranno fornire contenuti sempre più originali e specializzati. E dovranno farsi pagare di più per questo servizio. A nostro modo di vedere il costo attuale dei giornali di carta è assolutamente sottostimato. Il prezzo potrebbe aumentare tranquillamente fino a cinque volte tanto».
Nell'era della "multimedialità", continuano a ripetere qui agli stati generali della stampa, l'importante è differenziare le pubblicazioni dei diversi canali: contenuti premium, come inchieste, commenti ed editoriali, per la carta (o eventualmente a pagamento su internet) e "breaking news" per la versione online e mobile. «L'importante è caratterizzarsi, essere originali. Guardate come hanno titolato la maggior parte dei quotidiani internazionali il giorno dopo la morte di Micheal Jackson: "Il re del Pop è morto" è stato il titolo fotocopia su tutti i media del mondo. Se non ci si rende riconoscibili e autorevoli sarà molto difficile chiedere ai propri lettori di pagare per gli articoli online. Nessuno compra qualcosa che può avere gratis altrove».
Fare pagare i contenuti online sembra quindi essere una strada obbligata per i grandi giornali anche perché, come ricorda Christopher Reiss, «il mercato della pubblicità online è dominato dai grandi motori di ricerca (Google ha il 60% della torta) e nessun quotidiano al mondo può pensare di sfidarlo».
Aspettando di capire qui potenzialità avranno i tablet, il settore guarda con grande attenzione al mondo degli smartphone. La diffusione dell'iPhone ha cambiato radicalmente le abitudini dei consumatori spingendoli sempre più a navigare su mobile. Basta dare un'occhiata ai risultati di una recente ricerca di M:Metrics condotta in Germania, Francia e Gran Bretagna. L'80% dei possessori di iPhone dichiara di utilizzarlo per consultare notizie su internet, contro il 13% di chi usa altri smartphone. La percentuale è paradossalmente più alta di chi lo utilizza per cercare informazioni dai motori di ricerca: lo fa il 57% degli utenti iPhone contro il 18% di chi usa altri modelli.
Il mercato della pubblicità su piattaforme "mobile" oggi come oggi vale quasi 10 miliardi di dollari in tutto il mondo, secondo una stima di Pricewaterhouse & Coopers e promette di crescere ulteriormente nei prossimi anni. «Gli utenti iPhone hanno dimostrato di essere disposti a pagare le apps ed è molto probabile che faranno lo stesso con le news» dice Christopher Riess, ceo di Wan Ifra. Su internet il compito sembra essere più difficile perché «è dura fare pagare oggi quello che ieri era gratis».
Il mercato degli smartphone è decisamente promettente quindi e gli editori sperano che accada lo stesso per i tablet. «L'obiettivo di Apple non è quello di vendere più iPad possibili. Il vero business è quello delle applicazioni», spiega Juan Senor, partner di "Innovation Media Consulting Group" che però avverte: «Non bisogna commettere l'errore di svendersi ad Apple».
Bisogna insomma fare molta attenzione al prezzo a cui si vuole vendere le versioni per iPad. Anche perché, se si vuole sfruttare al massimo le potenzialità di questo mezzo, occorre investire nella formazione di "sviluppatori di applicazioni", una figura professionale ancora assente nelle redazioni dei giornali. Secondo Senor in futuro dovrà esserci almeno uno sviluppatore ogni cinque giornalisti. Insomma se si vuole rendere sostenibile questo business occorre tener bene d'occhio la tabella costi e ricavi.
di Andrea Franceschi su ILSOLE24ORE.COM
Il Financial Times festeggia: in sei mesi ha incassato dalla pubblicità per la sua applicazione su iPad un milione di sterline (circa 1,1 milioni di euro). Sono 400mila le persone che hanno scelto di sfogliarlo sul tablet di Apple. La strategia del quotidiano economico inglese ha puntato sull'integrazione tra l'edizione cartacea e digitale, accessibile da internet e anche attraverso le applicazioni installate su smartphone e tablet. Ft.com è stato tra i primi giornali finanziari a varare il modello "meter" che consente l'accesso gratuito a un numero limitato di articoli al mese.
Per leggerne altri bisogna abbonarsi, con una periodicità settimanale o mensile. Inoltre ha puntato su testate online dedicate all'informazione specializzata, per esempio sui mercati emergenti e i fondi pensione. Ha anche in cantiere progetti per i micropagamenti online: i lettori potranno acquistare singoli articoli, come avviene per la musica su iTunes. Sono tecnologie che vedono impegnati i ricercatori dei team di Google e Paypal, un servizio per i pagamenti elettronici, per costruire edicole sul web.
Ma il Financial Times non è l'unico a cantare vittoria. Anche il Wall Street Journal ha dichiarato una consistente ripresa degli investimenti pubblicitari, con un aumento del 21% per l'edizione cartacea e del 27% per la versione online rispetto a un anno fa. A gennaio sperimenterà l'accesso a pagamento il New York Times: secondo gli annunci del quotidiano debutterà con un sistema simile al Financial Times che prevede la lettura gratuita per alcuni articoli e l'acquisto dei successivi.
La scommessa per quotidiani e settimanali è di migliorare l'esperienza delle persone che sfogliano le pagine toccando lo schermo di iPad. È una sfida che ha coinvolto anche VitaNova, l'edizione per iPad di Nova24 del Sole24Ore che presto debutterà nella vetrina dell'App Store e ha puntato sulla semplificazione dell'interazione con i lettori.
di Luca Dello Iacovo su ILSOLE24ORE.COM
Uno studio Nielsen colma il silenzio reiterato di News Corporation sul numero di lettori dell’edizione online di The Times da quando il portale Times.co.uk è a pagamento.
Secondo l’istituto di ricerca sono 362mila gli abbonati mensili del quotidiano britannico in versione digitale. Nei tre mesi estivi, periodo d’esordio per il celeberrimo paywall, Times Online ha registrato 3,1 milioni di visitatori unici ogni trenta giorni, con un declino del traffico del 43% per quanto riguarda l’homepage.
Più consistente la riduzione degli accessi alle notizie vere e proprie, che hanno perso l’88% dei lettori. I dati considerano anche i 150mila internauti che hanno effettuato la sottoscrizione al portale prima che divenisse a pagamento, beneficiando così di un periodo gratuito di prova.
Via Quo Media
Ofcom, l’ente regolatore delle telecomunicazioni inglesi, ha da poco rilasciato una corposa ricerca su tecnologie e comunicazioni, l’International Communications Market Report 2010 (che sostanzialmente però, vi avviso, in molte aree riporta dati del 2009).
E’ interessante enucleare dalle centinaia di pagine del report (417), liberamente scaricabile, qualche dato relativo all’Italia. Per pensare, per fare dibattito, per infilarlo nel prossimo Powerpoint a clienti o platee di convegni e barcamp. Da usare con cautela e secondo coscienza per non barare troppo con le statistiche...
1. Alta penetrazione di Smartphone L'Italia sarebbe il paese con la più alta penetrazione di questi device, con un 26% della popolazione in possesso (wow) anche se la crescita è rapida in tutta Europa. In Italia si tratterebbe però molto spesso di smartphone di "fascia media o bassa" mentre la penetrazione di questi device di fascia alta da noi è più bassa. Per capirci, in Italia il 76% degli smarphone rilevati era basato su Symbian e l'8% erano iPhone (a gennaio 2010... bisogna ora vedere l'effetto iPhone 4).
In attesa dell’ondata di piena di Android che potrebbe travolgere anche noi, con terminali sempre più performanti… come il succoso Nexus S. L’adozione di telefonini con funzionalità “avanzate” è al massimo in Italia. "Take-up of phones with advanced functionality was highest in Italy (66% of internet users), followed closely by Japan (63% of internet users). Claimed take-up of phones with advanced functionality was lowest in France (46%) and the US (44%).
High take-up of advanced mobile phones in Italy and Japan is likely to be related to high levels of 3G take-up and availability in these countries. It is also noteworthy that internet users in both countries claimed relatively low use of PCs to access the internet, although in Italy laptop use is high"
ComScore’s MobiLens survey provides an alternative and more specific measure of smartphone take-up across several main European markets. These data show that across five major European markets Italy had the highest proportion of smartphone subscribers aged 13+ (26 subscribers per 100 population) in January 2010.
Spain (21 subs per 100 pop) and the UK (18 subs per 100 pop) had the next highest proportion of subscribers.76 The high take-up of smartphones in Italy is likely to relate to the widespread adoption and availability of 3G services and large numbers of Nokia handsets installed with the Symbian operating system, which have been available since the beginning of the decade. Perhaps because Italy already had a relatively high number of smartphone subscribers in 2009, it experienced the lowest growth over the past year (11%).
Siamo però, a quanto pare, tra i campioni mondiali dell’SMS: l’83 degli user di cellulari dichiara di inviare messaggini contro, ad esempio, un 65% negli USA. Il 21% degli user di mobile lo usa per accedere a Internet almeno una volta a settimana (mi sembra tanto…) e anche qui c’è chi ci supera.
2. però c’è chi taglia le spese del mobile - anche se da noi il telefono può costare anche poco
Taglio della spesa per la telefonia mobile: l'Italia è il paese dove più si sarebbe tagliato nella spesa per il mobile, con un 25% degli user che dichiarano di aver ridotto la spesa relativa all'uso di questo strumento. Solo il 4% degli italiani avrebbe però tagliato la spesa per il broadband fisso (ADSL...)
Se si telefona dal cellulare per meno di 60 minuti al mese, le tariffe italiane sono molto favorevoli.
Abbiamo il record per la percentuale di famiglie che non hanno il telefono fisso ma solo il cellulare, con un 29% (a Ottobre 2010). Abbiamo tra l'altro il record per numero di "connessioni mobili" (credo voglia dire possesso di una SIM), con 152 ogni 100 persone (abbiamo un numero e mezzo di telefono a testa) - fenomeno generato dal successo delle ricaricabili in Italia rispetto ai contratti.
Data la situazione di concorrenza nella telefonia fissa, l'Italia ha (su un medione) le tariffe telefoniche più competitive (ma dai?)
"In looking at the best tariff available from the three largest operators in each country (Figure 2.5), Italy offers the lowest prices overall as a result of much lower prices from alternative network (alt-net operators) than from incumbent Telecom Italia....The best prices available in Italy were overall 25% lower than the weighted average pricing. By contrast, in the UK and in Germany the lowest prices available were overall just 7% lower than the ‘weighted average’."
E abbiamo pure le tariffe più basse per la connessione Internet da cellulare (!) "The lowest prices for mobile broadband were available in Italy, followed by the UK."
3. La TV non è morta per nulla, anzi Gli americani si sorbiscono 280 minuti al giorno di TV, piazzandosi al primo posto. L'Italia è al terzo posto con 238 minuti. Chi afferma che la TV sta morendo per via di Internet evidentemente prende un abbaglio. Negli US il minutaggio quotidiano è aumentato nell'ultimo anno dell'1.1% e in Italia dell'1.7%. Poca roba, certo, ma sempre una crescita e non un crollo. Btw da capire quanto ad esempio contino fattori come cassa integrazione, disoccupazione... che regalano tempo libero non desiderato alle persone (mio commento)
4. Ipod + mp3 l'Italia ha il record del possesso di player audio personali (64% della popolazione dichiara di avere e usare uno di questi lettori). Al secondo posto UK al 52%. E basta andare in metro per vedere tutti con le cuffiette...inoltre "Downloading or listening to audio content such as music tracks and podcasts was most popular in Italy, with 48% claiming to download or listen to music through websites."
L'Italia ha anche il record per l'ascolto della radio (FM) via telefonino, con un 31% degli intervistati che dichiara di averlo fatto (questo dato mi sorprende...)." Listening to FM radio through a mobile handset was most popular in Italy at almost a third (31%) of respondents, compared to only 5% in Japan. The UK was close to the average with 18% listening to FM radio via their mobile." Idem record per l'ascolto di MP3 via cellulare, al 33%.
5. Ovviamente, Social Network Non abbiamo il record ma siamo al secondo posto per la crescita dei Social Network (+106% di crescita nella percentuale di Internet User che sono su un SN - che si attesta al 66%) Sui SN i 18-24 sono all'81% presenti sui SN. Ma i 25-34 ci sono al 70%, 35-44 al 64% e i 45-54 al 54%. "Italy’s high Facebook take-up may in part be explained by a lack of a large-scale local alternative."
L 31% dei possessori di smartphone italiani, nella categoria 18-24 accede ai Social Network dal telefonino. E su questa cifra siamo abbondantemente superati da altri paesi. Nella fascia 25-34 si scende al 16%
Da pagina 213 del report ci sono poi interessanti dati sull'Internet Advertising.
Enjoy.
Chi la dava per morta, umiliata dal levarsi di tutti i giovin astri della tecnologia - internet in testa - si sbagliava di grosso. Perché la regina del salotto è sempre lei, nostra signora la televisione. Sia che i contenuti arrivino dal "sottosuolo" del digitale terrestre, sia che piombino dall'alto del satellite o dalla quarta dimensione del cyberspazio.
E se è vero che Youtube sta diventando uno dei più grandi broadcaster del pianeta, con 2 miliardi di visualizzazioni al giorno e 24 ore di video caricati ogni minuto (sì, ogni minuto), a parlar chiaro ci sono i dati dell'Auditel rielaborati dallo Studio Frasi, passati al setaccio dal Sole 24 Ore: negli ultimi dieci anni gli ascolti televisivi sono cresciuti nel complesso dell'11%, da 8,848 milioni di persone del 2000 a 9,825 milioni del 2010.
Oggi in Italia sei italiani su dieci (il 61,4%) guardano il piccolo schermo sulla piattaforma che, per legge, è diventata dominante: il digitale terrestre. La torta complessiva dei telespettatori è di 11,6 milioni di persone, che è l'audience media sulle 24 ore. Poco più del 16%, invece, è sul satellite, che significa soprattutto Sky e in minima parte Freesat. Rimangono poco più di due milioni e mezzo di utenti ancora legati al segnale analogico in quelle dieci regioni non ancora in odore di switch off, il passaggio al digitale, che dovrebbe essere completato entro l'anno prossimo nonostante il pressing dell'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (le regioni ancora analogiche Liguria, Marche, Toscana, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia).
Ma chi vince tra i canali? Partiamo dalla "decadente" tv generalista, che mostra in verità alcune sorprese. Mettendo a confronto il trimestre (1° gennaio-23 marzo 2011) con lo stesso periodo dell'anno 2000, si vede come Rai 1 abbia perso solo l'1% degli ascolti, rimanendo comunque l'emittente più vista seguita da Canale 5, che invece ha lasciato sul terreno il 9% di share. Sempre rispetto a dieci anni fa, la sorpresa è il grande balzo di Rai 3 (+15%) con 985mila telespettatori, che all'inizio di questa primavera ha battuto definitivamente Italia 1, scesa in un decennio del 14% a 919mila utenti.
Passando invece alle piattaforme digitali e ai nuovi canali, la solfa cambia poco. La Rai con i suoi canali tematici – da Gulp a Rai 4 – rimane al top con un'audience nel trimestre di quasi 488mila persone e uno share del 4,27 per cento. Al secondo posto il Biscione di Cologno Monzese con 482mila telespettatori con canali come Mediaset Premium, Iris e La5 (share complessivo del 4,22%). Al terzo posto il satellite di Sky, con ascolti di 408mila utenti e uno share del 3,58 per cento. Curioso notare, tuttavia, che se a questi si aggiungesse Fox, la quarta emittente della classifica sempre di Murdoch, Sky arriverebbe a battere sia Viale Mazzini e sia Mediaset, con un'audince di oltre 583mila spettatori e uno share del 5,12 per cento.
Eppure al di là di questi numeri, l'altro tema fondamentale è quello del motore economico delle televisioni, la pubblicità. Se è vero che, in termini di presenze e ascolti Sky è monopolista sul satellite (al netto di Tivùsat), Mediaset è il dominus incontrastato dell'advertising. Secondo i dati Nielsen nel mese di gennaio il totale degli spot televisivi valeva oltre 340,5 milioni di euro, in crescita dell'1,6% sul 2010 (e su un totale di tutti i media, dalla stampa alla radio a internet, di 563 milioni, pari a 8,62 miliardi sull'intero anno). Ebbene, il paradosso è questo: nonostante nell'ultimo anno lo share di Mediaset si sia abbassato di una quota tripla rispetto alla Rai (pubblico a -6% per Cologno contro il -2% di Viale Mazzini), le reti della famiglia Berlusconi hanno visto crescere la propria quota pubblicitaria dal 63,8% al 65,2%, mentre la raccolta della Rai è scesa dal 25,7% del 2010 a poco più del 24% del gennaio 2011.
Per riassumere: con oltre il 41% degli ascolti totali la Rai controlla "solo" il 24% del mercato pubblicitario, invece Mediaset con il 37% degli ascolti si porta a casa oltre il 65% degli spot. E per i 60 canali a marchio Sky e Fox? Secondo Nielsen, share in crescita del 2,5% a gennaio 2011 su gennaio 2010, ma la quota della torta degli spot è scesa dal 5,9 al 5,1 per cento.
di Daniele Lepido su IlSole24ORE.com
II dato si riferisce a uno studio condotto su scala internazionale che non ha contemplato l'esperienza dei consumatori italiani ma è comunque un interessante parametro per capire come, in linea generale, stanno cambiando le abitudini degli utenti per ciò che concerne l'intrattenimento con il "piccolo" schermo. Ebbene se l'80% del campione di 400 milioni di persone consultate dal "TV & Video Consumer Trend Report 2011" elaborato dal ConsumerLab di Ericsson continua a fruire della televisione tradizionale più di una volta a settimana, oltre il 44% ha dichiarato di guardare con la stessa frequenza programmi televisivi on demand, direttamente sul Web.
L'assunto di come la fruizione di contenuti televisivi sia oggetto di una trasformazione non ipotizzabile fino a un decennio fa arriva da Anders Erlandsson, Senior Advisor del centro di ricerca della società svedese: "i consumatori accedono sempre più spesso sia all'offerta tradizionale che a quella proposta via Internet on demand. La Rete non ha avuto quindi un impatto negativo sulla Tv e il video come invece è accaduto per la carta stampata, ma ha semplicemente dato la possibilità di accedere a contenuti televisivi attraverso modalità nuove". Il Web, in altre parole non ha ucciso la Tv ma ne sta condizionando il ruolo di strumento di entertainment, soprattutto per quelle classi di utenza (i giovanissimi per esempio) che hanno un rapporto molto stretto con Internet.
Non a caso, dice ancora lo studio Ericsson, l'utilizzo dei social media sta influenzando il modo in cui i consumatori guardano la televisione e nello specifico supera il 40% la percentuale di intervistati che ha affermato di consultare Facebook, Twitter e simili durante la fruizione di programmi Tv attraverso smartphone e tablet. E non sono pochi coloro che durante la visione inviano Sms o pubblicano post e commenti in Rete aventi per oggetto reality show o eventi sportivi. L'intrattenimento televisivo assume quindi forme diverse e complementari fra loro, spinge in direzione di una qualità visiva superiore - aspettativa che, a detta dello studio, risulta più importante della disponibilità del 3D e dell'accesso alle applicazioni - e soprattutto di una maggiore capacità di interazione fra l'utente e il dispositivo.
Il desiderio di personalizzare il proprio palinsesto, argomento sul quale spingono molto tanto i broadcaster quanto i produttori di televisori dotati di piattaforme "smart tv, si conferma essere in crescita in considerazione del fatto che i consumatori hanno mostrato una maggiore propensione rispetto al passato a pagare per contenuti inediti, come per esempio, la possibilità di accedere attraverso la Tv ai film in prima visione presenti ancora nelle sale cinematografiche.
L'idea di vivere l'esperienza del cinema a casa sembra essere in definitiva più radicata, e la prevista diffusione delle Tv 3D dentro le case non farà altro che accelerare questa tendenza. Certo ci saranno sempre differenze di abitudini da Paese a Paese. Oggi, tanto per fare un esempio, il tempo speso dagli utenti per fruire di contenuti televisivi e video in genere supera le 25 ore settimanali ma solo il 28% dei programmi visti è on demand; in Spagna, per contro, i contenuti on-demand rappresentano il 44% del totale dei programmi fruiti.
di Gianni Rusconi su IlSole24ORE.com
La multicanalità in Italia porta un contributo alla crescita e allo sviluppo economico, sia per le aziende che per i consumatori. E la crisi non ha arrestato l'adozione di tecnologie e device digitali. Anzi, il trend è in continua crescita: aumenta il numero di potenziali navigatori da pc, ma soprattutto cresce il numero di utenti attivi nel mese (+12%) e nel giorno medio (+7,5%).
Anche il mobile si conferma sempre più al centro della vita del consumatore multicanale, con una previsione di sorpasso degli smartphone sui cellulari tradizionali già entro la fine di quest'anno. Il 2011 inoltre è l’anno dei tablet, che raggiungono una diffusione pari a 1 milione di possessori.
Sono alcuni dei dati emersi dall'Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano: l'edizione del 2011 è stata quella del bilancio dopo cinque anni di ricerca, durante i quali è stata studiata l’evoluzione del consumo multicanale e l’approccio strategico delle aziende alla multicanalità
Via Quo Media
Le emittenti televisive inglesi accelerano il passo per incontrare su internet il loro pubblico: il Regno Unito è terzo al mondo nella visione di filmati online per utente, dopo Canada e Stati Uniti, come segnalano le rilevazioni di ComScore. E di recente la Bbc ha stretto accordi con grandi piattaforme per la fruizione di video sul web.
Ad esempio, distribuisce alcuni suoi programmi anche su Netflix, appena arrivato dagli Stati Uniti, e ha un'alleanza con Lovefilm, acquistata da Amazon. I social network sono un territorio di espansione. Da poco Sky ha ottenuto una quota in Zeebox, dove gli utenti possono vedere i programmi e commentare a partire dagli schermi di cellulari e tablet: in particolare, chi è su twitter può discutere in diretta film e fiction.
Lo studio di ComScore sottolinea che nel mondo sono 1,2 miliardi di persone a guardare filmati su internet, dove YouTube ha costruito il suo successo e allunga la sua marcia: in un recente articolo sul "New Yorker" descrive in dettaglio il progetto per i suoi 800 milioni di utenti globali e prevede nei prossimi anni decine di migliaia di canali, dedicati a nicchie ristrette di persone e con una programmazione limitata ad alcune ore al giorno.
di Luca Dello Iacovo su IlSole24ORE.com
L’ecosistema dell’informazione, come sappiamo, sta cambiando. E abbiamo ormai diverse analisi che ci mostrano come l’offerta di news e l’accesso alla realtà dell’informazione stia mutando con il digitale. E abbiamo anche il sentore che i comportamenti dei lettori di news stiano cambiando profondamente e che gli ambienti di social networking in Rete, partendo da Twitter e Facebook, siano rilevanti per il nostro modo di distribuire e consumare news. Si tratta di una percezione che ci sembra di vivere sulla nostra pelle di utenti assidui della Rete e che trova una conferma nell’esperienza americana del monitoraggio costante che fa Pew Research Center’s Internet & American Life Project (qui una sintesi), conferma però che riteniamo “estrema” e “più avanzata”. In fondo l’Italia ha sue logiche produttive e di consumo dell’informazione e le esperienze online ci sembrano (sembrano al sistema dei professionisti dell’informazione, per la verità) casi isolati e quasi sperimentali.
Per questo mi sembra importante per capire la mutazione in atto partire per una volta dai dati nazionali, quelli comparabili con le ricerche Pew, perché ci sanno raccontare come gli italiani stanno modificando il loro modo di costruire una dieta informativa e di consumare news. Per farlo, giocando in casa, vorrei usare i primi risultati della ricerca 2012 del LaRiCA (Università di Urbino Carlo Bo) sui cambiamenti del consumo di informazione in Italia, Cati su un campione di 1031 Italiani adulti rappresentativo della popolazione (una sintesi è stata presentata al #ijf12 e nel sito news-italia.org è possibile trovare gli stati di avanzamento e il report dell’indagine 2011).
Il panorama che ci troviamo di fronte è caratterizzato da un 70% di italiani che dichiara di seguire anche più volte al giorno l’informazione, con un’assiduità di fruizione che decresce al decrescere dell’età, arrivando ad attestarsi al 57% per la fascia dei giovani adulti (18-29 anni). Il medium onnipresente quando parliamo di consumo di news è la televisione nazionale, che per quasi il 90% degli italiani resta un accesso irrinunciabile al mondo dell’informazione anche se va sottolineato come la TV rappresenti “un” elemento di una dieta mediale che è più ricca. Sono infatti pochi (4%) quelli che si affidano a un solo mezzo di comunicazione mentre quasi la metà degli italiani usa una combinazione compresa fra 5 e 7 mezzi di comunicazione diversi (49%) tra tv nazionale e locale, carta stampata nazionale e locale, radio, all news satellitari e Internet. Informarsi per metà degli italiani significa quindi disporre di un media mix di accesso e costruire la propria dieta in modo multicanale.
Rispetto al 2011 possiamo notare un aumento di attenzione per i canali all news (quasi il 60% con +6.6%), mentre diminuisce quella per i quotidiani nazionali (59.6%, -3.5%) e locali (54% -5%) e troviamo una crescita dell’uso di Internet per consumare news (58.5%, +7.4%). Facendo un piccolo gioco scorretto metodologicamente, ma significativo metaforicamente per raccontare lo spirito dei tempi, potremmo azzardare che la diminuzione del consumo di informazione su carta è compensata da quello sul web. Quello che è certo è che la Tv è qui per restare, aiutata probabilmente anche dalle pratiche di social television che associano fruizione televisiva a forme di condivisione e commento online (magari su un social network con i propri friend o nel flusso di un #hashtag). Mentre l’editoria di carta sembra risentire maggiormente di un mutamento dell’ecosistema a cui corrisponde un adattamento di consumo di news che ne mette in crisi formati e probabilmente linguaggi.
Passando ad analizzare gli utenti Internet (in Italia sono il 60% della popolazione) quelli che usano la Rete per accedere e consumare informazione sono più della metà, il 58% con un +7%rispetto al 2011. Ma se vogliamo capire le linee di tendenza allora forse vale la pena osservare il comportamento di consumo delle news online dei giovani adulti. Nella fascia d’età 18-29 anni è il 95% ad accedere all’informazione (anche) attraverso Internet ma solo la metà (57%) segue le news quotidianamente, mostrando un comportamento di consumo più occasionale rispetto alla media degli italiani (70%) e più dedito ad una lettura ad ampio raggio, anche su tematiche sulle quali non si è mai focalizzato particolarmente (93%). Sembra che ci troviamo di fronte ad un uso dell’informazione apparentemente molto più vicina alle logiche di intrattenimento e tempo libero che di approfondimento e quotidianità. Quello che emerge è un rapporto occasionale e meno routinizzato con il mondo news, fatto di incontri casuali e dovuti al fatto di avere tempo a disposizione per navigare più che dedicare specificatamente tempo ad approfondire gli eventi del mondo. Ma è anche un comportamento probabilmente dovuto ad un modo diverso di percepire il valore sociale dell’informazione, come emerge dall’attenzione per una condivisione sociale delle news: oltre il 50% dei giovani adulti ritiene rilevante nella sua scelta del canale news online “poter seguire il sito di informazione attraverso Facebook” e “poter condividere facilmente con gli altri le notizie contenute nel sito, via e-mail o su Facebook o altri siti di social network” (69%). Il fatto è che per i giovani adulti “incontrare” e “consumare” notizie è sempre più anche una moneta relazionale e il processo di fruizione un atto sociale di messa in connessione con gli altri.
Per quanto riguarda invece i siti di social network e i comportamenti correlati cresce chi dichiara di ricevere informazioni attraverso un sito come Facebook o Twitter. Il 37% di chi usa Facebook (+4% rispetto al 2011) dichiara di ottenere notizie e informazione da un’emittente tradizionale o da un singolo giornalista seguito mentre il 49% (+9% rispetto al 2011) dichiara di ricevere informazioni condivise sul social network da un non professionista dell’informazione (inclusi amici personali e parenti). Fra chi usa invece Twitter queste percentuali si attestano rispettivamente al 30 (+6%) e al 46% (+1%). In sintesi quasi la metà degli utenti di social network (equivalenti al 17% degli italiani per Facebook e al 5% per Twitter) si informa attraverso un agenda non completamente controllata dai professionisti dell’informazione. Se è vero che le informazioni condivise fra i pari rimandano spesso a fonti informative alimentate dai professionisti dell’informazione, va comunque sottolineato il cambiamento nella costruzione di un agenda che, nel caso di questi utenti, è spesso frutto degli interessi dei propri contatti sui siti di social network.
Anche ad un primo sguardo ci troviamo di fronte ad un ambiente di consumo di news online in cui i meccanismi di reciprocità relazionale contano, un ambiente in cui emergono nuovi intermediari non professionisti nella distribuzione e selezione delle news che fanno parte della nostra rete di relazioni sociali, un contesto in cui l’informazione tende sempre più a connettersi al valore sociale delle reti attraverso cui la incontriamo.
Più in generale questa tendenza va a miscelarsi con bisogni di multicanalità (l’accesso in mobilità è al 31% con +3% rispetto al 2011) che raccontano una costruzione dell’agenda fatta anche da un accesso plurale ai mezzi di informazione. Costruire l’informazione e renderla accessibile sapendo leggere i comportamenti di consumo mutati rappresenta forse la sfida più urgente dal punto di vista del sistema dell’editoria nazionale.
Via Tech Economy
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