Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
YouTube, sito di proprietà del motore di ricerca Google, si è lanciato in una nuova impresa. Dopo aver stretto numerosi accordi per ampliare la sua offerta e garantire agli internauti show e film integrali, ha deciso di creare un programma tutto suo. Il lancio di YouTube Live, così si chiama la trasmissione, avverrà il 22 novembre a San Francisco. Tra i rapper e i cantanti famosi che compariranno nello show ci sono già Will.i.Am e Katy Perry, reduce dal successo degli Europe Mtv Music Awards.
I direttori di YouTube hanno spiegato che il programma avrà come protagonisti artisti che sono famosi tra gli utenti del sito, una comunità che ha già organizzato eventi non ufficiali e che la compagnia vuole raggiungere mettendo in streaming per la prima volta uno spettacolo live.
"Il punto di forza di YouTube è che abbiamo creato una piattaforma guidata dalla community, e questo progetto ne è una conseguenza", ha detto Chris Di Cesare, portavoce di YouTube.
Dall'inizio del 2005 YouTube è stato un deposito per tutti i tipi di video su internet, da frammenti di trasmissioni tv a dimostrazioni di insolite abilità come impilare tazze, a campagne più serie durante le recenti elezioni presidenziali degli Stati Uniti.
Il problema legato a questo tipo di utenza è l'incostanza. La pubblicazione casuale di contenuti non garantisce il ritorno degli internauti dopo la prima visita, conditio sine qua non per gli investitori pubblicitari. Questa mossa del sito è l'ennesimo passo in direzione di una capitalizzazione del successo raccolto fino a oggi in termini di popolarità.
Per aumentare le entrate pubblicitarie Google ha inoltre deciso di aggiungere AdWords e streaming a YouTube. Gli inserzionisti parteciperanno a un'asta per inserire i propri video in una sezione Video sponsorizzati, che appariranno quando gli utenti interrogano il motore con particolari parole-chiave. In modo analogo a come avviene con AdWords sul motore di ricerca Google.
Finora la pubblicità di terzi sui video di YouTube non è decollata, a causa dei problemi di violazione di copyright, legati ad alcuni video caricati dagli utenti ma l'intesa di recente siglata con Metr-Goldwyn Mayer lascia presagire altri scenari in questo senso.
Via Quo Media
Linkedin, dopo alcuni mesi dall'annuncio, ha finalmente messo in linea alcune applicazioni sviluppate da terze parti, non molte in termini di quantità ma davvero di notovele interesse.
Intanto trovo corretto che le applicazioni pubblicate siano poche e molto selezionate, sono infatti molto coerenti con il target e non sono troppo invasive (come invece quelle di alcuni social network, Facebook in testa). Ancora di più però sono rimasto impressionato dalla potenza che i database dei social network possono generare se interrogati da dei mashup come quelli che ci sono in linea nella directory di Linkedin.
Ne cito solo una, My Travel, che permette di sapere dove i membri del proprio network stanno viaggiando nel mondo in modo da permettere di incontrarsi sfruttando le occasioni di spostamento. Semplice ma davvero coerente con un target manageriale.
Infine, sempre a proposito della potenza insita nei network provate a rispondere ad uno dei sondaggi di una sola domanda che trovate su Linkedin ed andate a guardare i risultati: grazie alle informazioni contenute nei profili verranno mostrati molti grafici sulla divisione di genere, di seniority, di dimensione di azienda e molto altro ancora. Con una sola domanda a risposta multipla!
Una riprova, una volta di più, che le relazioni sono uno strepitoso vantaggio competitivo nell'era della rete.
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com
Il mondo della discografia continua ad evolversi, internet è diventato il canale di diffusione per eccellenza e i due mostri sacri Guns N'Roses e l'ex Beatles Paul McCartney sembrano esserne totalmente consci: entrambi hanno deciso di lanciare oggi i loro nuovi album in rete su MySpace.
Il popolare sito di social networking secondo solo a Facebook permetterà di ascoltare gratuitamente "Electric Arguments", il nuovo lp del gruppo di McCartney The Fireman, e "Chinese Democracy", l'album più volte rimandato della band hard rock Guns N' Roses, prima che le canzoni si trovino in vendita nei negozi e negli store online come Amazon.com.
Geffen Records intende lanciare in esclusiva "Chinese Democracy" il 23 novembre negli Stati Unti presso la catena di elettronica di largo consumo Best Buy. Molte delle canzoni sono già circolate recentemente in vari modi, anche in versioni pirata sul web. "Electric Arguments" uscirà invece il 25 novembre: i fan di McCartney potranno ordinare tramite MySpace canzoni dell'album, cosa che invece non potranno fare per "Chinese Democracy".
MySpace Music, l'ultima sezione arrivata sul social network, è una joint venture con le principali etichette discografiche, tra cui Vivendi Universal Music Group, Sony Music e Warner Music Group e, tramite le entrate pubblicitarie, consente l'ascolto in streaming delle canzoni e il download gratuito di alcune di esse.
Via Quo Media
Uno dei Top Gun dell'interactive marketing di Procter (Ted McConnell, general manager-interactive marketing and innovation) ha recentemente espresso i propri (personali e ovviamente aziendali) dubbi sul potenziale di Facebook come strumento di marketing- specialmente dal punto di vista dell'advertising.
Il tema del suo discorso alla Digital Non-Conference è stato centrato prioritariamente sul contesto, ovvero sul fatto che le aziende, dal punto di vista della comunicazione, non hanno uno spazio sensato o meglio una ragione di essere su Facebook dal punto di vista pubblicitario.
In effetti dentro Facebook ci sono gli utenti che si fanno i fatti loro, socializzano e si raccontano, si scazzano e dicono vaccate, costruiscono gruppi socialmente utilissimi o totalmente inutili.
Insomma, contesta il fatto che FB sia un "media" in termini pubblicitari; la conseguenza, estrapolo io, è che stiamo cercando di infilarci in una conversazione tra persone dove le aziende rischiano di essere degli intrusi che parlano fuori contesto, cercando di monetizzare i loro scambi.
L'eminente (ed influente) guru ritiene invece ci sia molto più spazio di azione per le applicazioni su FB come strumenti di interazione e di promozione della marca, insomma, di pubblicità, marketing e comunicazione...
Un aggregatore di contatti e di frammenti di vita, una grande conference call con l'aggiunta di Skype e Flickr, un buco della serratura dal quale spiare e farsi spiare, ma anche un mezzo semplice, immediato, a volte perfino virulento per comunicare. Per capire che cos'è Facebook e come stanno evolvendo i social network, Nòva24 l'ha chiesto a chi lo utilizza, a chi ne è uscito e anche a chi proprio non ne vuole sapere di entrarci. L'indagine, la prima di questo genere in Italia, ha raccolto oltre 2.500 risposte, sia dentro al social network che fuori, in poco più di una settimana. La ricerca in dieci domande, che rimarrà aperta online (sul blog di Nòva24 e nella pagina dei lettori in Facebook) per seguire l'evolversi di quello che si conferma un nuovo mezzo di comunicazione, non ha la pretesa di essere uno studio scientifico, ma vuole contribuire con un racconto diretto da parte di chi con il network vive, convive e lavora.
A conferma della sua crescente popolarità, oltre il 70% degli utenti che hanno risposto utilizzano Facebook. Amicizia e divertimento sono le due motivazioni principali (rispettivamente 42 e 43%), ma un 10% ne dichiara un uso prevalentemente professionale, spesso accoppiato con altri sistemi come Linked-in. «Utilizzo Facebook per lavoro, come rubrica e solo in minima parte lo ritengo uno strumento di svago» osserva Mattia Ballan sul suo Webepoque.it che dichiara senza esitare «meglio tanti amici», ma non rinuncia per questo agli incontri faccia a faccia con quelli che considera più importanti. La privacy è considerata importante, ma poco più di uno su tre ha letto le condizioni di servizio, ma l'uso è quotidiano e spesso prolungato. Se oltre il 60% non supera la mezz'ora di utilizzo al giorno. C'è una fetta consistente che arriva fino all'ora (23%) e uno su dieci si collega fino a due ore. Soprattutto nel tempo libero e da un terminale privato, ma il 13% ammette di consultarlo in ufficio. Al di là di messaggi e amici più o meno reali, tag e applicazioni forse non proprio indispensabili, sono molti quelli che, nonostante il fortissimo rumore di fondo, vedono Facebook come un medium che va nella giusta direzione del web. Quella auspicata da uno dei suoi creatori, Tim Berners Lee che, come ricorda Pietro Zanarini, direttore dell'Ict del Crs4 in Sardegna, va verso la creazione di nuove geometrie sociali, nuovi sistemi di relazione, partcipazione democratica e governance.
Un fenomeno che emerge dal basso, plasmato dai suoi stessi utilizzatori con una modalità empirica che ricorda i processi di selezione naturale, e che in qualche modo condivide una parte della tensione ideale della sua creazione. «La mia speranza – osservava Berners Lee parlando della rete – è che questo nuovo modo di interagire produrrà nuovi modi di lavorare insieme in maniera efficiente e leale, da utilizzare a livello globale per gestire il pianeta nel suo insieme».
Chi avverte, a ragione, che Facebook e gli altri social network non sono la rete, non può però trascurare che il loro successo sta portando, e in qualche modo educando, a interagire on line, milioni di persone che fino a poco tempo fa erano digiune di un utilizzo collaborativo del web e meno di uno su quattro possiede o scrive su un blog. Un segnale ancora più importante per il fatto che il fenomeno sembra ormai entrato nella cultura dei più giovani, molto probabilmente per restarci. «La massa critica si è raggiunta solo di recente in Italia – osserva Michele di Maio, early-adopter in Bocconi dove è studente e che ha collegato Fb al suo hardrockblog.it – un social network può essere anche il migliore del mondo, ma se non si viene a creare un network non serve a niente. Nella mia università, la Bocconi di Milano, il network ha cominciato a nascere circa 3 anni fa portato dagli studenti in scambio nelle università straniere dove era già imprescindibile. Da allora è uno strumento utilizzato in massa». Ed è infatti tra i più giovani che Facebook diventa una tessera di un mosaico molto più articolato di cui fanno parte sempre più spesso servizi come Twitter, Flickr, Oknotizie, meemi, Del.icio.us e Mogulus.
A motivare l'uso di uno strumento che per ammissione praticamente unanime è disegnato piuttosto male, spesso confuso e laborioso, c'è: «La sua la capacità di farti sentire parte di una rete in una sorta di dialogo uno a molti o molti a molti, la facilità di diffusione delle informazioni grazie al passaparola (nel senso che ho trovato parecchie segnalazioni che mi interessavano e che non avrei visto altrimenti, triviali o lavorative)» come osserva la possibilità di aggregare diverse funzioni (attività sociali, bookmarking, lavoro...) in un unico "servizio", l'essere potenzialmente ampliabile all'infinito, il concetto di trasparenza, il fatto che tutti appaiono più "umani" come osserva Marika De Acetis. Tra le richieste più comuni spicca quella per una maggiore trasparenza su chi sponsorizza le applicazioni prima di doverle adottare e quindi fornire l'accesso ai propri dati. Su un punto gli utenti sembrano comunque concordare. Se i social network sono una grande passione, non è detto che Facebook, che oggi cavalca con successo quest'onda, sia il network definitivo. Nel mondo digitale, Microsoft e Google ci hanno insegnato che chi ha una posizione dominante si avvantaggia di ritorni crescenti. Ma è anche vero che la rete è tradizionalmente cresciuta grazie a standard aperti e le piattaforme proprietarie sono divenute spesso un limite all'innovazione.
di Guido Romeo su ILSOLE24ORE.COM
La reputazione è un bene prezioso e di questo qualsiasi azienda è pienamente consapevole, almeno per quanto riguarda i media trazionali. Ma sul web?
Beh sulla rete, in particolare nei forum e nella blogosfera, le voci corrono ad una velocità enorme e con un'ampiezza di diffusione che può rapidamente uscire dai confini nazionali ma pochi se ne rendono conto.
Come si monitora la rete ed in particolare il mondo magmatico del web 2.0?
La cosa migliore è di dotarsi di un tool software apposito, in grado di farci avere in tempo veloce e in modo costante notizia di tutto ciò che si dice di noi, naturalmente con criteri di settaggio che evitino omonimie e risultati non realmente rilevanti.
E una volta trovato qualche commento negativo che si fa?
Si deve decidere volta per volta ma si possono dare alcuni consigli:
a) Non intervenire a tutti i costi, se è una critica non troppo aggressiva, in una fonte poco nota e se, dopo qualche giorno non genera strascichi è meglio non essere ossessivi.
b) Se dobbiamo invece intervenire è bene farlo dichiarando la propria identità, meglio se con il ruolo aziendale, mai cercare di fingersi un altro utente comune.
c) Per far sì che sui motori di ricerca nel breve periodo non compaiano solo i commenti negativi su di voi si possono acquistare degli annunci pay per click con le parole/argomenti incriminati.
d) In tutti i casi (compreso il punto a) bisogna tempestivamente prevedere delle pagine sull'argomento sul proprio sito, in modo che esse siano disponibili per gli interessati e siano indicizzate.
Infatti anche dopo mesi, quando la protesta è passata, restano reperiti dai motori i risultati negativi e se non ci sono i nostri argomenti di risposta lasciamo di fatto la parola agli avversari.
Naturalmente le attività di gestione della reputazione online non servono a ripulire dai commenti negativi il web (bene lo spiega questo post) ma permettono all'azienda di capire cosa pensano e dicono gli utenti e consentono l'intervento tempestivo su voci, magari infondate, che possono fare grossi danni all'azienda.
Pensate sia un'esagerazione? Leggete questa storia...
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com
La ricerca trimestrale Audiweb in collaborazione con l’istituto di ricerca DOXA, (ricerca quantitativa su un campione di 7.200 intervistati face to face e consultabile sul sito Audiweb) ha reso noti i risultati sulle abitudini degli italiani nell’utilizzo di internet.
Ne è emerso che il 45,2% delle famiglie italiane (9,2 milioni) accede a internet da casa e il 70,5% lo fa scegliendo l’Adsl e un abbonamento flat (88,6%).
Una famiglia su due è in possesso di un computer di proprietà (54,6%), e all’aumentare dei componenti in famiglia aumenta la possibilità di possedere un pc (31,2% di possibilità con un unico componente e 80,6% di possibilità con 4 componenti).
Ha accesso a internet in situazioni di mobilità invece il 5,6% della popolazione (smartphone/cellulare/PDA, e l’88,8% ne fa uso da almeno 3 anni, con una carta prepagata o ricaricabile nel 76,4% dei casi e con una spesa intorno ai 30 euro nel 56,3% dei casi).
Nella larga fascia presa in esame (tra gli 11 e i 74 anni) il 58,3% degli italiani (quindi 27,6milioni di persone) dichiara di accedere a internet da qualsiasi luogo (casa, ufficio, studio o altro) e lo fa attraverso qualsiasi device. Nello specifico per il 62,2% dei casi si tratta di uomini e nel 54,4% di donne (soprattutto appartenenti alla fascia di età tra gli 11 e i 17 anni nel primo caso con il 77,6% e tra i 18 e i 34 anni nel secondo caso con il 72,8%,) e di persone della zona Nord-Est d’Italia per il 65,2% e Centro per il 63,8%.
Il livello di istruzione degli utilizzatori è spesso medio-alto (91,8% dei laureati e l’80% dei diplomati), svolge un lavoro che richiede qualifica (96,6% dei dirigenti e il 92,3% degli imprenditori) o è studente (95,8% degli universitari e 81,4% dei liceali).
Conoscere meglio gli utilizzatori permette di effettuare offerte sempre più mirate e pertinenti riguardo alla pianificazione delle campagne pubblicitarie.
Via Quo Media
Ci si dà appuntamento la mattina presto, quando i cancelli sono ancora chiusi, si attende pazientemente l'orario di apertura e poi via, tutti dentro a fare shopping. Chi prima arriva, prima compra. Un po' come da Wal-Mart nel Black Friday, con la differenza che qui è molto difficile che ci scappi il morto. Già, perché tutto questo avviene nel mondo virtuale di Internet, dove l'ultima frontiera per ripararsi dalla recessione è l'outlet online. Ci si iscrive, si aspetta la email che ti convoca per il tale giorno alla tale ora, si entra, si acquista. A prezzi da discount.
Nomi ancora sconosciuti al grande pubblico come "Born4shop", "Saldiprivati", "Vente-privee" rappresentano l'avanguardia più aggressiva dell'e-commerce di casa nostra, promettono di essere l'antidoto alla crisi dei consumi. E infatti in Italia le vendite su Internet non conoscono flessione. Alla fine dell'anno segneranno un aumento del 20% rispetto al 2007 mentre in America, per fare un esempio, il colpo del "global turmoil" si farà sentire eccome: tra novembre e dicembre la crescità sarà tra lo zero e l'uno per cento, ma deve proprio andare bene.
La spiegazione naturalmente c'è, e non è di quelle più confortanti. Il primo acquisto elettronico in Italia fu un libro di Camilleri ordinato dieci anni fa dalla California, La concessione del telefono. Nonostante il titolo bene augurante (Internet viaggia sulle linee telefoniche) da allora i progressi non sono stati brillanti. E così se negli Stati Uniti sono disperati perché gli acquisti online resteranno fermi a quota 29 miliardi di dollari nel solo periodo di Natale, da noi si stappa lo champagne perché il fatturato dell'intero 2008 raggiungerà i 6 milioni di euro.
Il confronto tra l'Italia e gli Usa è ingeneroso? Guardiamo allora all'Europa: l'e-commerce francese vale tre volte il nostro, quello tedesco sei, quello inglese addirittura dieci. Insomma, siamo dei nani. Tra gli ultimi nel Vecchio Continente, come spesso avviene. Questo perché dove i consumatori non fanno differenza tra l'acquisto al supermarket e quello in Rete la crisi colpisce tutti, negozi fisici e negozi virtuali. In Italia, dove le vendite online sono appena l'1% del totale, l'impatto è molto relativo.
Ciò che sta accadendo proprio in questi giorni è tuttavia interessante. Mentre il commercio tradizionale prevede un calo dell'1,5% degli affari natalizi in quello su Internet avviene il contrario. Su lastminute.com gli italiani continuano a prenotare viaggi, come facevano negli anni precedenti, se non di più. Magari acquistando pacchetti più piccoli, da 4-5 giorni. E ibs.it venderà un terzo dei libri in più rispetto al 2007. Ancora: monclick.it (elettronica) aumenterà il proprio giro d'affari del 100%, e chi non vorrà rinunciare al bijou andrà su gioie.it dove per ogni prezioso acquistato te ne regalano un altro. E così via.
Roberto Liscia, presidente del consorzio Netcomm che raggruppa alcune tra le maggiori aziende dello shopping online, la spiega così: "La gente cerca prezzi più bassi e va su Internet, perché conviene, perché si possono comparare i prezzi e risparmiare. Infatti i volumi di vendita aumentano, e di molto, rispetto al 2007". E anche quell'1% di consumi online - assicura - sotto Natale sale parecchio.
Resta il fatto che dei 24 milioni di italiani che vanno in Rete per cercare informazioni sui prodotti solo 6 milioni fanno acquisti. Ancora pochi, per avere un vero impatto sui consumi. Così l'e-commerce, che potrebbe rappresentare un canale anticrisi, resta per il momento un'occasione perduta. Sul mercato incombe il macigno della diffidenza. Quella dei consumatori che non si fidano a usare in Rete la propria carta di credito, anche se ora un sigillo di Netcomm certificherà sicurezza e convenienza dei siti di shopping. E quella dei commercianti, soprattutto i grandi marchi, che non considerano Internet un grande affare, vista la scarsità di compratori.
L'offerta resta così assai limitata. "Un circolo vizioso che bisogna rompere - dice Alessandro Perego, professore al Politecnico di Milano - ma fare il primo passo spetta alla grande distribuzione moderna che deve entrare in campo seriamente, ne ha solo da guadagnare".
di Riccardo Liguori su Repubblica.it
Venerdì sera ero ad un interessante incontro del social network Innovatori, che ha iniziato un tour di appuntamenti in giro per l'Italia per dare modo ai propri soci di conoscersi.
Si tratta di un modello che conosco bene e condivido pienamente avendo iniziato ad abbinare community online con appuntamenti reali già nel 2003 con il progetto Connecting-Managers, tutt'ora attivo e di grande successo.
Oggi molti social network stanno seguendo questa via (Innovatori, MilaniIN, Codice internet, VenetoIN e altri ancora) e lo stesso successo delle feste di Facebook ha stupito i media (ma non me).
Infatti il rischio che si corre mantendo delle relazioni solo su Internet è che esse restino solo virtuali e non portino poi, se non per casi specifici, ad un momento di reale conoscenza, questo dunque sta spingendo molte realtà a promuovere momenti di incontro.
Questo mi porta ad un'altra riflessione: oggi vanno per la maggiore Facebook e la piattaforma di Ning, mentre (a livello mediatico) l'anno sorso la killer application sembrava essere Second Life.
Tutte le tecnologie, secondo il noto ciclo di Hype, vivono un momento di euforia che poi porta ad una disillusion ed un assestamento, non bisogna quindi affidare solo agli strumenti lo sviluppo delle relazioni ma bisogna servisi di essi per sviluppare reali e proficui rapporti.
Le relazoni infatti sono il nuovo vantaggio competitivo e saranno in grado di passare da una piattaforma all'altra traendo il meglio da ciascuna (ricordiamoci che il networking precede, in termini temporali, il web 2.0).
Mi piacerebbe sentire il vostro parere in merito.
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com
Il cuore degli italiani è pur sempre pronto ad accendersi. Anche quando è di una tecnologia che si innamorano, gli italiani gettano appassionatamente quel cuore oltre qualunque ostacolo: non importa se hanno poco tempo, se non sanno bene come funziona, se regalano valore a chi lo trasforma in un business gigantesco. È successo con la televisione e con il telefonino, per quasi tutti gli italiani, ed è successo, con internet, per una buona metà. E sulla rete, il fenomeno del momento è Facebook, il social network nato a Harvard, cresciuto tra la California e Londra, esploso in tutto il mondo. Un fenomeno al quale è dedicato il volume che da oggi i lettori del Sole 24 Ore trovano in edicola con il giornale. Oltre 4 milioni di italiani usano Facebook: all'inizio dell'anno erano 100mila, prima dell'estate poco più di mezzo milione, in settembre erano raddoppiati e in altri due mesi sono raddoppiati di nuovo.
Una moda? Un segnale profondo? Un cambiamento radicale? Di certo, è un fenomeno che impone una riflessione: perché sta urlando qualcosa, ma non è facile distinguere quello che dice. E questo libro è anche un tentativo di capirlo. Facebook è certamente una moda, ma diversa dalle altre. Un'analisi della relazione tra la crescita degli abbonati italiani a Facebook e gli articoli dedicati a questo social network dai media tradizionali, pubblicata su Nòva il 27 novembre 2008, dimostra che gli italiani sono andati su Facebook indipendentemente dai canali che di solito alimentano le mode. Ci sono andati per passaparola. Il boom di Facebook è un fenomeno che appartiene alle persone che lo stanno vivendo.
Che cosa ci dicono? Evidentemente, milioni di persone trovano in Facebook una risposta a un bisogno. Quale? La risposta è nella stessa struttura di Facebook, definita dalla sua parola chiave: "amici". Il bisogno è proprio quello di recuperare relazioni personali o almeno simulazioni di amicizia. È il bisogno cui rispondono in modo diverso i social network, da Twitter a MySpace, i siti di condivisione da Flickr a YouTube, i media sociali, dai blog a Wikipedia. Nell'insieme, non sono tanti piccoli media ma un unico grande medium fatto di persone che si esprimono e si connettono. Un medium a rete, diverso dai media gerarchici nei quali i produttori di contenuti sono da una parte e i fruitori dall'altra: qui, invece, i fruitori e i produttori sono dalla stessa parte, sono un grande pubblico attivo. La partecipazione a una rete di persone può rivelarsi molto gratificante, come dimostrano le ricerche degli "economisti della felicità", da Richard Easterlin al premio Nobel Daniel Kahneman. E, sebbene l'"amicizia su Facebook" sia un concetto ben diverso da quello di "amicizia" tout court, riesce almeno ad alludere a quel genere di gratificazione.
Sulla base della metafora dell'"amicizia su Facebook", il servizio creato da Mark Zuckerberg è riuscito a convincere più di altri, superando MySpace, riassorbendo innovazioni sviluppate da altri - video, foto, chat, posta, status update, condivisione di link - e sviluppando una piattaforma che offre spazio ai programmatori di applicazioni divertenti e utili, dalla segnalazione di eventi agli strumenti di aggregazione sociale, dai giochi ai test, dalla pubblicità all'e-commerce. Il successo, in questi casi, è figlio del successo. L'effetto-rete è la dinamica per cui quando molte persone usano uno strumento per connettersi, altre sono invogliate ad adottarlo. E Facebook sta volando sulle ali dell'effetto rete. È un cambio radicale nell'uso di internet?
La storia di internet è stata anche un'evoluzione delle piattaforme per l'espressione e la connessione delle persone. Dall'epoca della pubblicazione di pagine in linguaggio html al tempo dei blog, la progressiva semplificazione delle attività necessarie alla pubblicazione ha moltiplicato gli utenti attivi. E quella quantità ha avuto effetti qualitativi importanti sul sistema dei media. Con Facebook, il pubblico attivo fa un altro salto quantitativo e, dunque, qualitativo.
È improbabile che questo sia il punto di arrivo. È invece probabile che, anche grazie a Facebook, si assista a un'integrazione più intelligente tra le diverse dimensioni mediatiche. Se Facebook accelera la crescita del pubblico attivo alimentandosi delle relazioni tra le persone, non è forte nella costruzione di un'agenda interpretativa. Che continua ad arrivare piuttosto da altri media, come tv, libri e giornali, che infatti chi usa Facebook spesso cita e riprende. Ma i media tradizionali non possono più far finta che la rete non esista.
La rete è ecosistema dell'informazione. Vive di infodiversità. E tra le molte specie che la popolano quelle che vivono meglio sono in simbiosi con le altre. Lo stesso successo di Facebook, una piattaforma di proprietà di un'azienda, potrebbe andare in crisi adottando una strategia di conquista aggressiva. Chi voglia prosperare nel contesto della rete dovrà invece concentrarsi soprattutto su una questione: come mettersi al servizio dell'insieme.
di Luca De Biase su ILSOLE24ORE.COM
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