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Facebook, analisi di un fenomeno «social»
Di Altri Autori (del 28/11/2008 @ 07:17:53, in Internet, linkato 5340 volte)

Un aggregatore di contatti e di frammenti di vita, una grande conference call con l'aggiunta di Skype e Flickr, un buco della serratura dal quale spiare e farsi spiare, ma anche un mezzo semplice, immediato, a volte perfino virulento per comunicare. Per capire che cos'è Facebook e come stanno evolvendo i social network, Nòva24 l'ha chiesto a chi lo utilizza, a chi ne è uscito e anche a chi proprio non ne vuole sapere di entrarci. L'indagine, la prima di questo genere in Italia, ha raccolto oltre 2.500 risposte, sia dentro al social network che fuori, in poco più di una settimana. La ricerca in dieci domande, che rimarrà aperta online (sul blog di Nòva24 e nella pagina dei lettori in Facebook) per seguire l'evolversi di quello che si conferma un nuovo mezzo di comunicazione, non ha la pretesa di essere uno studio scientifico, ma vuole contribuire con un racconto diretto da parte di chi con il network vive, convive e lavora.

A conferma della sua crescente popolarità, oltre il 70% degli utenti che hanno risposto utilizzano Facebook. Amicizia e divertimento sono le due motivazioni principali (rispettivamente 42 e 43%), ma un 10% ne dichiara un uso prevalentemente professionale, spesso accoppiato con altri sistemi come Linked-in. «Utilizzo Facebook per lavoro, come rubrica e solo in minima parte lo ritengo uno strumento di svago» osserva Mattia Ballan sul suo Webepoque.it che dichiara senza esitare «meglio tanti amici», ma non rinuncia per questo agli incontri faccia a faccia con quelli che considera più importanti. La privacy è considerata importante, ma poco più di uno su tre ha letto le condizioni di servizio, ma l'uso è quotidiano e spesso prolungato. Se oltre il 60% non supera la mezz'ora di utilizzo al giorno. C'è una fetta consistente che arriva fino all'ora (23%) e uno su dieci si collega fino a due ore. Soprattutto nel tempo libero e da un terminale privato, ma il 13% ammette di consultarlo in ufficio. Al di là di messaggi e amici più o meno reali, tag e applicazioni forse non proprio indispensabili, sono molti quelli che, nonostante il fortissimo rumore di fondo, vedono Facebook come un medium che va nella giusta direzione del web. Quella auspicata da uno dei suoi creatori, Tim Berners Lee che, come ricorda Pietro Zanarini, direttore dell'Ict del Crs4 in Sardegna, va verso la creazione di nuove geometrie sociali, nuovi sistemi di relazione, partcipazione democratica e governance.

Un fenomeno che emerge dal basso, plasmato dai suoi stessi utilizzatori con una modalità empirica che ricorda i processi di selezione naturale, e che in qualche modo condivide una parte della tensione ideale della sua creazione. «La mia speranza – osservava Berners Lee parlando della rete – è che questo nuovo modo di interagire produrrà nuovi modi di lavorare insieme in maniera efficiente e leale, da utilizzare a livello globale per gestire il pianeta nel suo insieme».

Chi avverte, a ragione, che Facebook e gli altri social network non sono la rete, non può però trascurare che il loro successo sta portando, e in qualche modo educando, a interagire on line, milioni di persone che fino a poco tempo fa erano digiune di un utilizzo collaborativo del web e meno di uno su quattro possiede o scrive su un blog. Un segnale ancora più importante per il fatto che il fenomeno sembra ormai entrato nella cultura dei più giovani, molto probabilmente per restarci. «La massa critica si è raggiunta solo di recente in Italia – osserva Michele di Maio, early-adopter in Bocconi dove è studente e che ha collegato Fb al suo hardrockblog.it – un social network può essere anche il migliore del mondo, ma se non si viene a creare un network non serve a niente. Nella mia università, la Bocconi di Milano, il network ha cominciato a nascere circa 3 anni fa portato dagli studenti in scambio nelle università straniere dove era già imprescindibile. Da allora è uno strumento utilizzato in massa». Ed è infatti tra i più giovani che Facebook diventa una tessera di un mosaico molto più articolato di cui fanno parte sempre più spesso servizi come Twitter, Flickr, Oknotizie, meemi, Del.icio.us e Mogulus.

A motivare l'uso di uno strumento che per ammissione praticamente unanime è disegnato piuttosto male, spesso confuso e laborioso, c'è: «La sua la capacità di farti sentire parte di una rete in una sorta di dialogo uno a molti o molti a molti, la facilità di diffusione delle informazioni grazie al passaparola (nel senso che ho trovato parecchie segnalazioni che mi interessavano e che non avrei visto altrimenti, triviali o lavorative)» come osserva la possibilità di aggregare diverse funzioni (attività sociali, bookmarking, lavoro...) in un unico "servizio", l'essere potenzialmente ampliabile all'infinito, il concetto di trasparenza, il fatto che tutti appaiono più "umani" come osserva Marika De Acetis. Tra le richieste più comuni spicca quella per una maggiore trasparenza su chi sponsorizza le applicazioni prima di doverle adottare e quindi fornire l'accesso ai propri dati. Su un punto gli utenti sembrano comunque concordare. Se i social network sono una grande passione, non è detto che Facebook, che oggi cavalca con successo quest'onda, sia il network definitivo. Nel mondo digitale, Microsoft e Google ci hanno insegnato che chi ha una posizione dominante si avvantaggia di ritorni crescenti. Ma è anche vero che la rete è tradizionalmente cresciuta grazie a standard aperti e le piattaforme proprietarie sono divenute spesso un limite all'innovazione.

di Guido Romeo su ILSOLE24ORE.COM

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