Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
In nuovo studio divulgato da Nielsen e SocialGuide, mette in evidenza come più si chiacchiera su Twitter di un programma televisivo, più questo ha un riscontro di rating positivo. Analizzando i tweet riguardo show televisivi in diretta, la società di analisi ha scoperto che Twitter è una delle tre “variabili statisticamente significative” nell’influenzare gli ascolti. Gli altri due fattori sono gli ascolti dell’anno precedente e la spesa pubblicitaria.
“Mentre gli ascolti pregressi fanno la parte del leone nella variabilità del rating tv, la presenza di Twitter come primo dei tre fattori di influenza ci dice che tweettare su un programma TV in diretta può effettivamente creare engagement attorno al rpogramma stesso”, rivela Andrew Somosi, CEO di SocialGuide, il servizio di analisi che ha collaborato con lo studio Nielsen. “Ci aspettavamo di vedere una correlazione tra Twitter e il rating TV, ma questo studio quantifica la forza di quel rapporto.”
La ricerca ha confermato che l’incremento dei volumi di Twitter è correlato ad un aumento dei rating televisivi tra diversi gruppi di età; questo si è rivelato particolarmente vero tra i telespettatori più giovani. Per la fascia che va dai 18 ai 24 anni, un aumento dell’8,5% dei volumi Twitter corrisponde ad un aumento dell’1% di ascolti televisivi per gli episodi premiere. Per la fascia di età che va tra 35 e 49 anni, invece, un aumento del 14% delle conversazioni Twitter corrisponde ad un aumento dell’1% ascolti.
a forte relazione tra Twitter e gli ascolti TV è dovuta in gran parte al fatto che le persone consumano sempre più spesso contenuti tv armati di molteplici dispositivi mobili, ha affermato Nielsen in un comunicato. Secondo la società, il 40% degli utenti americani di smartphone e tablet accedono ai social network quando guardano la televisione, e di questi, l’80% usa il proprio dispositivo mentre fa “zapping” passando da un canale all’altro. E’ importante notare, tuttavia, che mentre lo studio stabilisce una correlazione tra Twitter e gli ascolti TV, non ne prova una causalità certa.
Via Tech Economy
L'azienda della Mela acquisisce la startup WiFiSLAM per sviluppare un'app che individui la posizione anche dove il GPS non arriva. La localizzazione al chiuso - che interessa ricercatori universitari e aziende come Sony o Cambridge Consultants- sembra essere la nuova frontiera dei servizi di mappe: se per caso ancora qualcuno dubitasse di ciò, l'ultima acquisizione di Apple dovrebbe convincerlo definitivamente.
Sborsando 20 milioni di dollari (la cifra, rivelata dal Wall Street Journal, non è stata ufficialmente confermata dall'azienda di Cupertino), Apple si è infatti impadronita della startup WiFiSLAM.
Fondata un paio d'anni fa, WiFiSLAM si occupa proprio di servizi di localizzazione al chiuso, dove la tecnologia GPS non arriva ma sono invece presenti segnali Wi-Fi.
Grazie a queste onde elettromagnetiche il software sviluppato da WiFiSLAM promette di consentire al proprietario di uno smartphone di individuare la propria posizione all'interno di un edificio con un margine d'errore di 2,5 metri.
Google fa già qualcosa del genere limitatamente ad alcuni aeroporti e zone commerciali negli USA, dei quali fornisce le mappe, e questo pare proprio essere il prossimo terreno di scontro tra le due aziende.
D'altra parte, la posta in gioco è potenzialmente alta, poiché un'app che rileva la posizione, per esempio, in un centro commerciale permette agli inserzionisti di inviare offerte mirate, buoni sconto e via di seguito.
Da un punto di vista meno commerciale si potrebbero sviluppare applicazioni che aiutano a orientarsi all'interno di stazioni o aeroporti, o magari guide museali virtuali che accompagnano passo passo i visitatori, raccontando le opere d'arte direttamente dallo smartphone.
Ovviamente sono già spuntate le prime preoccupazioni circa le nuove potenziali minacce alla privacy che tutto ciò potrebbe portare con sé: se prima Apple - è il ragionamento - sapeva soltanto quando i propri utenti si spostavano all'aperto, presto potrebbe sapere anche quando vanno dal bagno alla cucina.
Via Zeus News
E’ stato pubblicato ieri l’ultimo rapporto di GlobalWebIndex che indaga su come gli utenti nel mondo passino il proprio tempo, quali device utilizzino maggiormente e quali media prediligano. E’ doveroso precisare che tutte le indagini di GlobalWebIndex si basano su sondaggi svolti unicamente su soggetti con accesso ad internet e, anche in questo caso, si tratta della percezione che gli utenti hanno di loro stessi e come tale va considerata indicativa dei loro comportamenti.
Uno dei dati più interessanti, a mio avviso, che emerge da questo studio e’ che a livello globale il tempo che passiamo sui media digitali eccede quello sui media tradizionali. Quello che ad un primo sguardo può sembrare un dato molto impressionante va analizzato alla luce del fatto che gran parte delle nostre professioni si svolge ad un pc. Acquistiamo prodotti online, leggiamo notizie online, ascoltiamo radio online, e ormai guardiamo anche la TV online. E se anche guardiamo la TV in maniera tradizionale, nel 49% dei casi nel mondo, utilizziamo contemporaneamente un PC o uno smartphone.
Generazione iper-connessa? Non proprio se consideriamo che, sebbene siano i piu giovani a passare piu tempo coi media in generale, la percentuale di tempo passata al PC non scende con l’avanzare dell’età. Certo, i piu anziani sono meno abituati ad utilizzare smartphone e tablet, ma per quando riguarda l’utilizzo dei PC quasi raggiungono i più giovani per quantità di utilizzo.
A livello mondiale esiste un enorme divario tra paesi maggiormente consumatori di media e quelli in cui invece il consumo e’ minore. Ad esempio in Giappone (in fondo alla nostra lista) si passa il 73% di tempo in meno rispetto all’Argentina sui vari media, il paese della nostra ricerca che ne fa il maggior consumo.
In Italia passiamo circa 10 ore e mezzo al giorno con i media, poco meno di un’ora in piu rispetto agli inglesi e, in entrambi i casi, e’ il PC a farla da padrone. Sorprenderà sapere, infatti, che in l’Italia e’ piuttosto in linea con gli altri paesi per quanto riguarda il consumo di televisione e viene anzi superata dagli inglesi, dove esiste un’offerta multicanale da molti più anni. In compenso leggiamo di piu offline. La stampa infatti occupa poco piu di mezzora al giorno in media agli italiani contro i 20 minuti scarsi degli inglesi.
Ma quanto di questo tempo viene passato online? Di tutto il cumulo di ore passate sui media, in Italia, circa 5 ore e mezza vengono passate collegati alla rete, rispetto alle 5 ore scarse degli inglesi. Italiani piu collegati quindi, ma con cosa? In Italia cosi come in Gran Bretagna e praticamente ogni paese incluso nella nostra ricerca, sono le attività di social networking a farla da padrone. Quasi un terzo del tempo complessivo online viene passato sui social network in Italia contro il 25% degli inglese, mentre il 13% lo passiamo sui Twitter contro il 10% degli inglesi.
Le attività social sono ormai una delle motivazioni principali che spingono gli utenti ad accedere ad Internet, basti pensare che a livello mondiale, gli dedichiamo il 48% del nostro tempo online. Un enormita’!
I dati di questa ricerca dimostrano in maniera incontrovertibile e inequivocabile come Internet abbia totalmente sconvolto, non solo la maniera in cui fruiamo dei contenuti, delle notizie e dell’intrattenimento, ma anche la maniera in cui ci relazioniamo con le persone, in cui socializziamo e diamo vita alle società. Solo 4 anni fa Facebook iniziava a diventare un fenomeno di massa in Italia… dove ci troveremo e come socializzeremo tra altri 4 anni?
Via Tech Economy
La crisi non intacca i fatturati dei grandi gruppi industriali, che nel 2011 hanno registrato tassi di crescita a 2 cifre, merito anche della compensazione dei mercati emergenti su quelli maturi. È quanto sostiene Deloitte che nel tradizionale studio Global Power of Consumer Products, secondo il quale nel 2011 le vendite dei maggiori produttori di beni di consumo mondiali hanno superato quota 3.118 miliardi di dollari, con un incremento del 7% sull’anno precedente. Leader assoluto risulta il gruppo coreano Samsung, con un fatturato di 150 miliardi di dollari (+6,7%), mentre di Apple (+66% a 108,24 miliardi di dollari) ha colpito il tasso di crescita. Quanto all’Italia, maglia rosa delle vendite è Ferrero (+9,4% a 10,02 miliardi), seguita da Luxottica (+7,3% a 8,66 miliardi) e Pirelli (+16,6%) a 7,87 miliardi), che risulta però prima in quanto a tasso di crescita.
Via Quo Media
Non è nè un telefonino nè un sistema operativo: “vi presento Home, un’esperienza nuova” che rende Android più social. È la “prossima versione di Facebook“. L’amministratore delegato del colosso delle reti sociali, Mark Zuckerberg, sul palco di Menlo Park, quartier generale di Facebook, lancia il software Home, un’interfaccia grafica che vuole modificare il rapporto quotidiano con il proprio cellulare mettendo al “centro la persona e non le app”. “Un social network l’abbiamo. Ci mancava un telefono e ora ce l’abbiamo – aggiunge il vice direttore di Facebook Corey Ondrejka -. Home consente di aver un accesso costante all’ecosistema Facebook, ovunque e a portata di mano: permettere di vedere foto e ricevere notifiche su messaggi e post più importanti degli amici, e introduce il nuovo servizio di messaggistica Chat heads” .
Con questa mossa Facebook conferma la sua volontà di rafforzare gli sforzi per affermarsi nel mobile: nel 2012 ha totalizzato 680 milioni di utenti attivi sulla sua app mobile, il 57% in più rispetto al 2011. E il mobile è – secondo gli analisti – è il settore dove Facebook ha i maggiori spazi di crescita dei ricavi con la pubblicità. Home sarà disponibile per Android, il sistema operativo di Google, a partire dal 12 aprile per un numero inizialmente ristretto di dispositivi, fra i quali il Samsung S3 e l’S4. E non ci sono al momento notizie di uno sbarco sulla piattaforma iOS di Apple.
Home potrà arrivare anche preinstallato: basterà acquistare, sempre dal 12 aprile, il nuovo smartphone HTC First, in vendita a partire da 99,99 dollari. First diventa cosi il primo a poter essere in qualche modo definito “facebookfonino”. Il social network non sembra voler rinunciare, però, a una platea il più vasta possibile. “Quello che è fantastico del fatto di essere su Google Play e che ci rende potenzialmente disponibili su un’ampia gamma di dispositivi. Home sarà fantastica anche sui tablet, ma abbiamo ancora bisogno di tempo, arriveremo fra qualche mese” afferma Ondrejka. Da un certo punto di vista – affermano da Facebook – Home è la nuova versione mobile di Facebook. Ma dall’altro potrebbe essere l’inizio di una nuova modalità d’uso degli stessi dispositivi mobili. “Mettere prima la gente e poi le app, semplicemente invertendo l’ordine, è – afferma Zuckerberg – un piccolo ma significativo cambiamento del nostro rapporto con la tecnologia”.
Via Tech Economy
Secondo quanto riportato da uno studio firmato Gartner, tra tre anni da oggi, i tablet saranno più venduti dei PC tradizionali, con cifre che si attestano intorno al 72%. Allo stesso tempo, le spedizioni di PC scendono a tassi sempre più veloci.
Parte di questo declino sarà dovuto alla crescita rapida delle spedizioni di “ultramobiles”, la nuova versione dei dispositivi Windows 8 come Microsoft Surface Pro. Il declino dei PC, secondo quanto affermano gli analisti di Gartner sarà permanente, e riflette già ora un “cambiamento a lungo termine nel comportamento degli utenti“.
La maggior parte degli utenti “sarà soddisfatta dall’esperienza che ricevono da un tablet come dispositivo di elaborazione principale“, secondo Carolina Milanesi, vice presidente ricerca di Gartner. “Dal momento in cui i consumatori spostano la loro attenzione dal loro PC ad un tablet o uno smartphone, questi non avranno più motivo di sostituire i loro vecchi PC con dei nuovi modelli”.
Gartner prevede che il mercato dei tradizionali PC, notebook e desktop, si ridurrà del 7,6% nel 2013. Le vendite totali di PC per il 2013 sono stimate intorno alle 315 milioni di unità, rispetto ai 341 milioni nel 2012. Gli ultramobile, d’altra parte, raggiungeranno i 23,6 milioni nel 2013, rispetto ai soli 9,8 milioni nel 2012.
Gartner prevede inoltre che le spedizioni di tablet raggiungeranno le 197 milioni di unità nel 2013, con un incremento del 69,8% rispetto alle 116 milioni di unità nel 2012. Questo tipo di crescita sarà visibile in tutti i mercati, compresi i cosiddetti mercati emergenti in Asia, Africa e America Latina. Entro la fine del 2017, Gartner prevede che le spedizioni di tablet raggiungeranno le 468 milioni di unità rispetto ai 272 milioni di PC.
Via Tech Economy
In settimana ho letto due articoli, per coincidenza casuale legati entrambi all’argomento di cronaca dell’elezione del nuovo Pontefice, che mi hanno fatto venire voglia di tornare sul tema dell’utilizzo delle nuove tecnologie da parte delle persone e, purtroppo, su alcune degenerazioni che stiamo osservando: il primo testo è di Massimo Melica e il secondo di Antonio Lupetti.
Premetto che non scrivo queste righe per particolari vene sociologiche quanto piuttosto perché nel mio lavoro mi occupo di studiare l’ecosistema digitale e il modo in cui le persone usano gli strumenti online e offline nella loro vita, in particolare ho lavorato sul tema dei social media fin dal 2002 e sul mobile web dal 2005 e dunque ho potuto apprezzare a pieno certi cambiamenti nel tempo.
Siamo sempre più aggressivi online (Image by © Royalty-Free/Corbis)
Il mio punto di partenza è che nell’ultimo anno sul (social) web, declinato anche in versione mobile, sono sbarcate davvero le persone comuni, tanto è vero che anche la politica ci ha voluto mettere il naso per le elezioni, pur con diversi esiti che ho già avuto modo di commentare. Per gli early adopters questo ha sicuramente significato un abbassamento della qualità delle conversazioni e di parte dei contenuti, ma per chi si occupa di digital marketing con un occhio strategico è significativo vedere come l’accesso si sia allagato e come ora la multicanalità rispecchi molto più da vicino la realtà sociale del paese, nel bene e nel male (e con le dovute cautele nell’analisi). Per molti di questi “nuovi” utenti non c’è stato il tempo di imparare a usare i mezzi e comprenderli, il target più adulto infatti non è entrato a pieno nei meccanismi per ragioni culturali, mentre i più giovani si sono trovati catapultati quasi automaticamente dentro questo mondo multicanale e social, dove la pervasività dei device tecnologici è radicata e sfuma sempre più la percezione del confine fra ciò che è tangibile e ciò che è digitale.
La pervasività dei dispositivi tecnologici
Per certi versi insomma la diffusione tecnologia è andata più veloce della sua comprensione, e le campagne di sensibilizzazione, di cui ho parlato in tempi ancora non sospetti, non sono state ancora abbastanza incisive.
Io però non credo a quelle visioni secondo cui la colpa di certe situazioni va data al mezzo, le persone plasmano ciò che viene dato loro da usare sulla base di un contesto più ampio e certi fenomeni partono da lontano. Prendiamo ad esempio il desiderio di visibilità a tutti i costi, l’interesse morboso per il banale e il trash, la voglia di cavalcare le polemiche e le risse verbali: il mondo dei reality show e di molti programmi televisivi ha preceduto di gran lunga le cose di cui discutiamo oggi e la vera grande differenza non sta dunque nei concetti ma nell’accesso universale e semplice ai mezzi di comunicazione, che ora sono nelle mani del singolo a costo zero e con una visibilità potenzialmente globale.
Un approccio simile può aiutarci a comprendere un altro aspetto, quello della velocità che porta a diffondere in automatico le cose più assurde senza verifica e approfondimento. Da tempo le persone dedicano una quota minore di attenzione a capire in profondità le cose che sentono, quale che sia il mezzo che abbiano a loro disposizione, a causa dell’enorme quantità di stimoli che ricevono ogni giorno. Allo stesso tempo, come detto queste stesse persone oggi possono accedere a costo zero a dei mezzi per produrre testi, foto e anche video gratuitamente e con delle piattaforme di publishing che garantiscono loro visibilità potenzialmente globale verso un pubblico che però a sua volta ha poca quota di attenzione disponibile. Questo porta naturalmente alla contrazione della profondità del contenuto, che viene prodotto e fruito su base veloce e contestuale e perde spesso di senso dopo poco tempo, appena è passata la contingenza spazio-temporale. In questo contesto, in cui anche i tg sfornano versioni da sessanta secondi, è piuttosto prevedibile che la verifica delle fonti e la riflessione prima di agire/condividere/commentare non sia spontanea per delle persone che non sono mai state educate in tal senso.
Dovendo catturare l’attenzione in pochi instanti ecco dunque che la polemica, il gesto eclatante e la satira becera siano il modo migliore di attrarre l’attenzione e generare visibilità, perché è più facile distruggere che costruire e bene lo insegna anche la politica, sia con i partiti tradizionali sia soprattutto con il Movimento 5 Stelle che ha fatto della critica aggressiva e violenta allo status quo il suo tratto distintivo, fatto innegabile comunque la pensiate sulle sue proposte. Anche molti autori estremamente seguiti in rete devono, a mio avviso, gran parte della loro visibilità al fatto di trattare dei temi di largo interesse e ad alto contenuto di passionalità e polemica, generando scontri verbali fra i commentatori e larghi numeri di condivisioni. Leggete qui questa simpatica sintesi di Rudy Bandiera.
I toni accesi poi si propagano a 360 gradi e fanno sì che anche le interazioni fra le persone e con le aziende e le istituzioni in rete si facciano sempre più tese ed aggressive, solo per basarmi sulla mia attività lavorativa infatti posso dire che man mano che passano gli anni le critiche che naturalmente possono manifestarsi sui social o negli altri punti di contatto diventano sempre più volgari, rabbiose e spesso pretestuose ogni giorno che passa. La dinamica sociale, lavorativa e anche democratica certo non può trarre gran beneficio da questo modo di comunicare e di relazionarsi.
Il modello di linguaggio offline non aiuta…
Quello che mi preoccupa di più di tutto però è sempre la scarsa percezione delle conseguenze, non solo perché spesso notizie assurde vengono prese per vere ma soprattutto in quanto ciò che viene condiviso in rete è pubblico e per molti versi incancellabile, il pentimento dunque per una foto, una frase, un fatto privato spiattellato al mondo è sempre tardivo e può pesare sulla vita delle persone più giovani e impreparate. Pensate solo ai recruiter che sempre più si documentano online sul loro candidato, all’importanza dei legami sociali per trovare un’occupazione e incrociate questo parametro con la difficoltà di trovare oggi un lavoro…
Alla fine di questo lungo, e spero non troppo noioso, ragionamento, mi sento dunque di dire che siamo in una fase sociale difficile e in un clima culturale teso che si riverbera sul digitale come sugli altri media, quello che possiamo e dobbiamo auspicare è una maggiore attività di educazione all’approfondimento, al dialogo non urlato e alla comprensione delle conseguenze dell’utilizzo scorretto degli strumenti che abbiamo in mano.
L’educazione civica, democratica e anche comunicativa delle nuove generazioni non può essere lasciata al fai da te davanti ad un mondo globale dove la gestione dell’informazione è la chiave per competere. Io vedo molto da fare, e voi?
Gianluigi Zarantonello via internetmanagerblog.com
Quali sono le pagine Facebook con più fan italiani? Grazie a Social Analytics, Blogmeter ha analizzato oltre 83 milioni di interazioni e scoperto quali sono le pagine del social preferire dai connazionali. A marzo Nutella è il brand leader con più di 2,9 milioni di fan italiani; segue Coca-Cola con 2,1 milioni di italiani, dei complessivi 63 milioni mondiali. Al terzo posto invece si piazza la trasmissione televisiva Le Iene che con quasi 2 milioni di fan italiani spicca tra gli show che meglio usano il social network.
Tra le squadre di calcio la più amata dagli italiani è la Juventus che con 1,8 milioni di fan super il Milan di quasi 600mila unità anche se quest'ultima ha un maggiore seguito all'estero. Il brand hi-tech più seguito è quello di Nokia Italia, tra i gestori di telefonia mobile Tim è il più popolare, mentre il marchio della moda più seguito dagli italiani è Luis Vuitton.
Se si considera anche il rapporto tra interazioni totali e numerosità dei fan è il quotidiano Libero a meritare la prima posizione: per ogni mille sostenitori fa registrare mediamente oltre 185 interazioni quotidiane. A poca distanza seguono il nuovo show di Rai 2 The Voice of Italy (176 interazioni per mille fan) e Famiglia Cristiana (115 interazioni quotidiano ogni mille fan).
Via Quo Media
Non conosce crisi e anzi è in discreta crescita il mercato delle applicazioni per smartphone e tablet. Secondo l’ultimo rapporto della società Canalys nel primo trimestre del 2013 dai quattro maggiori app store sono state scaricate complessivamente 13,4 miliardi di app nel mondo, in aumento dell’11% rispetto agli ultimi tre mesi dello scorso anno, per ricavi pari a 2,2 miliardi di dollari (+9%). Google batte Apple per numero di download, ma non per le entrate.
A livello globale, si legge nel rapporto, se l’App Store di Apple è il maggiore per quanto riguarda la fetta dei ricavi (il 74%) è Google Play che vince in termini di app scaricate: circa il 51% del totale, mentre lo store di Cupertino è secondo. I due negozi online fanno in generale la parte del leone, mentre BlackBerry World e Windows Phone Store, spiega Tim Sheperd, analista senior di Canalys, “ad oggi restano concorrenti lontani seppure non vadano ignorati”.
A crescere, secondo Canalys, sono in particolare i mercati emergenti, come il Sudafrica, il Brasile e l’Indonesia, trainati dalla diffusione di dispositivi mobili. Bene anche i mercati maturi, come il Nord America e l’Europa occidentale, con incrementi sia per i ricavi sia per i download: rispettivamente +8% e 6% in Nord America e +8% e 10% nel Vecchio Continente sempre nei primi tre mesi dell’anno.
Via Tech Economy
Secondo uno studio realizzato da Booz & Company e Google sui trend nei settori editoria e stampa, cinema e TV, gaming e musica, crescono a quasi 20 miliardi di euro i ricavi dell’industria creativa italiana, in linea con il trend europeo.
Secondo la ricerca, nonostante i significativi cambiamenti strutturali, i ricavi dei cinque principali settori industriali, nello specifico editoria, stampa, cinema e televisione, gaming e musica, sono cresciuti a quasi 20 miliardi di euro che raggiungono un tasso di crescita annua di circa il 2% dal 2001. I ricavi dal business digitale, poi, sono cresciuti addirittura del 15% annuo, raggiungendo i 4 miliardi di euro pari al 21% del totale. A queste cifre si aggiungono i dati sulla fruizione generale dei media: con un consumo dei media totale di 4 ore al giorno, di cui solo meno di un’ora per Internet, il settore creativo italiano ha ancora molto margine di sviluppo ed è destinato crescere ulteriormente in ambito digitale.
Lo studio mostra che l’Italia corre in parallelo al trend generale europeo, dove i ricavi totali dei settori considerati sono cresciuti del 2% dal 2001 raggiungendo i 200 miliardi di euro. Il 25% di questi ricavi, vale a dire 50 miliardi, possono essere attribuiti al business digitale, che è cresciuto su base annua a un tasso dell’11%, leggermente meno dinamico rispetto alla tendenza italiana.
È Internet, in particolare, che ha portato il consumo dei media degli europei a livelli record. Gli europei trascorrono mediamente più di 4 ore al giorno sui media. Due di queste ore le dedicano a guardare la televisione e circa 40 minuti sono trascorsi su giornali e riviste. Ad Internet viene dedicata oltre un’ora e venti minuti, più del doppio rispetto a sette anni fa. Parallelamente, la monetizzazione dei contenuti è migliorata significativamente. I consumatori europei spendono in media più di 4 centesimi all’ora sui media online, un trend in crescita di quasi il 140% rispetto al 2003. In confronto, il livello medio del pagamento da parte del consumatore è di 17 centesimi all’ora per cinema e televisione e all’incirca di 23 centesimi per prodotti stampati.
Secondo l’autore, anche i creatori beneficiano della digitalizzazione, per lo più in forma di accesso più facile alla distribuzione e di nuovi canali di comunicazione con il loro pubblico. Nel settore della musica, ad esempio, la generazione di valore assoluto per artisti ed etichette è stata costante nel corso degli ultimi dieci anni. A fronte di una fetta di solo il 32% dalla classica vendita di CD, godono di una quota del 66% da download, perché i margini per produzione, distribuzione e vendita sono minimizzati con questo modello.
“Consumatori e artisti sono i grandi beneficiari della digitalizzazione del settore creativo,” dice Hannes Gmelin, responsabile ed esperto di media digitali in Booz. “Ma anche le aziende del settore creativo possono prosperare fin quando saranno in grado di creare esperienze rilevanti per il consumatore e focalizzarsi sulle due aree di crescita: il digitale e i pagamento da parte del consumatore.”
Via Tech Economy
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