Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Qual è l´impressione che hanno i tedeschi leggendo un nome di marca italiano? Una bevanda che si chiama Naturella o Bonaqa sicuramente sará salutare, genuina e fresca come tutti i prodotti italiani, così come una pizza surgelata che si chiama Trattorina richiama una tradizione italiana fatta di prodotti semplici, caserecci e gustosi. Ed è cosí che i supermercati tedeschi riempiono i loro bancali di pizze surgelate chiamate Italissimo, di vini chiamati Terrilogio, di caffè chiamati Bellarom, di cibi salutistici chiamati Linessa. Il mercato tedesco degli alimentari è invaso di prodotti dai nomi di marca italiani o per lo meno dalla tale sonoritá. Non sempre questi brand sono nomi realmente esistenti in italiano, anzi il piú delle volte sono veri e propri strafalcioni grammaticali come Capucino scritto senza raddoppio consonantico, Lidea senza accento, Cremissimo anziché cremosissimo, Naturana e non naturale, Tassimo e non tantissimo. Ma gli errori piú esilaranti si notano non tanto sul piano lessicale quanto piú su quello semantico: un prodotto per la pelle dei bambini chiamato Pelsano farebbe sorridere le mamme italiane, perché richiama il pelo e non la pelle, una tisana chiamata Sidroga le farebbe invece inorridire, quando contrariamente una mamma tedesca la comprerebbe ad occhi chiusi fiduciosa di nutrire il suo bambino con una tisana biologica di origine naturale! Un prodotto erboristico di nome Alverde scoraggerebbe anche le salutiste piú convinte che penserebbero che il prodotto sia tanto costoso da lasciarle appunto “al verde”!
Possiamo notare che l´aggettivo italiano piú usato nel mercato tedesco è “bello”, poiché riassume l´impressione che i tedeschi hanno di “Bella Italia”. E allora via libera a: Bellaris, Mabella, Belinea, Bellmira, Bellagio, Belolive, Belfrutta, Bellina, Belmondo, Bellinda. Agli occhi di un tedesco l´Italia rimarrá sempre il paese del sole, della gente amichevole, delle vacanze, della genuina e buona cucina, della moda e dell´arte, a confermarlo tutti i nomi di marca che richiamano questi concetti: Sanosan, Caravita, Gelita Sol, Nebona, Vitapan, Viva, Amicelli, Giotto, Raffaello, Quadro, Sapori, Amica, Fortuna, Benvenuto, Passionata, Sanetta. In particolar modo la moda è, assieme agli alimentari, la categoria merceologica che piú subisce questo fenomeno di “italianizzazione” del nome. Le aziende tedesche tessili, di moda e di scarpe fanno a gara di chi ha il nome dalla sonoritá piú italiana: Vero Moda, Dinomoda, Madonna, Passionata, Lana Grossa, Belmondo, Borelli, Fortuna.
Se i tedeschi ricorrono a nomi italiani, o che pretendono di esserlo, per arricchire i loro prodotti di tutte le caratteristiche pregevoli che associano all´Italia, gli italiani contrariamente prendono le distanze dalla loro italianitá. Prodotti dai nomi troppo italiani sembrano banali e poco attraenti per un italiano ed è cosí che le aziende ricorrono a nomi stranieri, soprattutto inglesi. Un nome straniero attrae ed incuriosice nel mercato italiano tanto quanto un nome italiano attrae ed incuriosice nel mercato tedesco. La moda italiana, rinomata e ambita in tutto il mondo, si traveste da straniera in casa sua con nomi come Tod´s, Hogan, Diesel, Gas, Liu Jo, Miss Sixty, Costume National, che danno un tocco di internazionalitá al prodotto suscitando la curiositá di un italiano. Chi direbbe che un´azienda che si chiama Costume National non è francese ma milanese, o che Diesel è un´azienda sorta ai piedi delle Prealpi venete? Ma tutto questo uso di forestierismi comporta ancora una volta problemi dal punto di vista semantico, per esempio Tod´s, rinomata industria di calzature, contrariamente alle aspettative non ha un grande successo in Germania perché il nome non è di buon auspicio, significa infatti “morto”.
Per quel che riguarda i prodotti alimentari, i tedeschi, nostri cugini del nord, in Italia sono famosi soprattutto per la birra e i wurstel (detto all´italiana). Da quanto testimoniano i prodotti che compaiono nei supermercati italiani sono molte le imitazioni italiane di queste due specialitá e hanno nomi che fanno sorridere un tedesco: Wüber, azienda lombarda di wurst, ha chiamato la sua qualitá grande Wüberone e quella piccola Wüberini utilizzando le desineze italiane tipiche dei diminutivi e dei superlativi. Il birrificio Splügen invece una giustificazione al nome tedesco ce l´ha. La birra è prodotta in provincia di Sondrio, vicino al passo dello Spluga (Splügenpass in tedesco) al confine con la Svizzera. Tra la scelta del nome italiano e quella del tedesco, peró, il birrificio non ha esitato a optare per il secondo, quasi a dire “buona come una birra tedesca”.
Infine concludiamo con un nome né tedesco, né inglese, né (come apparentemente sembra) danese: Häagen-Dazs. Il brand name del famoso gelato americano è un nome costruito ad arte, puramente fittizio, dalla sonoritá scandinava. Una tale scelta è stata adottata per far sembrare europeo il prodotto al pubblico americano ed essere associato agli stereotipi europei di tradizione e artigianato. La scelta è ricaduta su un paese scandinavo per veicolare i concetti di freschezza e naturalezza.
Negli esempi che abbiamo segnalato, l´uso di un nome di marca straniero sottintende la volontá di associare al prodotto le emozioni e sensazioni veicolate dal suo paese di provenienza. In questi casi la scelta della lingua straniera è basata sulla buona reputazione del paese che caratterizza il prodotto come originale ed autentico. Ció sottolinea il fatto che a volte a guidarci sono le impressioni e le percezioni che abbiamo nei contronti delle altre culture.
Eva Cecchinato
Dopo l'invito alla cautela da parte del Garante della Privacy, preoccupato della scarsa consapevolezza con cui gli italiani si approcciano all'attività di social-networking, sono arrivati i dati di Eurispes a confermare che tre italiani su dieci (30,7%) sono presenti su Facebook.
Il 38,1% dichiara di non essere iscritto al primo portale di social-network e il 31,2% non conosce il significato di questo termine e rimane, probabilmente, legato a mezzi di comunicazione e relazione di tipo tradizionale.
Sono soprattutto i giovani tra i 25 e i 34 anni e quelli tra i 18 e i 24 anni (rispettivamente il 53,7% e il 52,7%) a sperimentare questo nuovo strumento di comunicazione, che, permettendo la condivisione di interessi, esperienze e desideri, consente loro di coltivare vecchie e nuove amicizie.
Tra i non iscritti a questo social network prevalgono, invece, i 45-64enni (44,6%), mentre non hanno mai sentito parlare di Facebook soprattutto gli ultra65enni (65%).
Il numero più consistente di iscritti si rintraccia tra coloro che risiedono nelle Regioni centrali della nostra Penisola (39,3%). Al contrario, tra i non iscritti spiccano gli abitanti del Nord-Est (49,5%). Infine, non sono informati sul “fenomeno Facebook”, in prevalenza, gli italiani delle Isole (48,7%).
Ben il 63,1% degli italiani ritiene che esso sia utile in quanto permette di ritrovare vecchi amici. Probabilmente, proprio perché svolge questa importante funzione, Facebook non viene ritenuto una perdita di tempo (45,8%). Esso, invece, non viene ritenuto un mezzo utile per fare nuove conoscenze (51,9%), per essere informati su eventi di proprio interesse (54,7%) e per passare il tempo (55,3%). Il 47,9% degli italiani crede che esso metta a rischio la privacy.
In particolare, si parla di social risks, poiché, nel preciso momento in cui si mette in Rete un’informazione personale, se ne perde il controllo, con il rischio che dati delicati finiscano per entrare in possesso di sconosciuti.
I giovanissimi (18-24 anni) sono coloro i quali credono, in misura maggiore rispetto agli altri, che Facebook sia uno strumento utile per ritrovare vecchi conoscenti (72,1%) e passare il tempo (49,6%). Al contrario, sono i meno propensi a credere che esso consenta di stringere nuove amicizie (56,6%).
Gli italiani che hanno un’età compresa tra i 25 e i 34 anni sono i più convinti che Facebook non abbia la funzione di informare su eventi di proprio interesse (58,4%) e che rappresenti, pertanto, una perdita di tempo (53,1%), al contrario dei 18-24enni (51,2%), 45-64enni (48,3%), 35-44enni (47,4%) e ultra 65enni (42,9%).
Più affascinati dalle potenzialità dello strumento che preoccupati per i possibili rischi ad esso associati, i giovani con età compresa tra i 18 e 24 anni (51,9%) sono quelli più inclini a considerarlo non dannoso per la privacy, seguiti dai 35-44enni (44,7%). Di parere opposto sono, infine, gli ultra 65enni (54%), i 25-34enni (53,5%) e i 45-64enni (42,8%).
SOCIAL NETWORK: A settembre 2008 su quasi un miliardo di utenti unici connessi ad Internet più di 670 milioni hanno navigato su sistemi di social networking.
La top ten dei social più frequentati a livello mondiale vede in testa Facebook con 161milioni di visitatori unici, seguito da MySpace (117,9 milioni), Flickr (66,7 milioni) e Hi5 (58,7 milioni).
Nella classifica italiana dei principali social network al primo posto troviamo MySpace con il 59,5% degli iscritti (2,7 milioni di utenti), seguito da Facebook con il 19,5% (900mila utenti), LinkedIn (un social network di natura professionale) con il 7,7% (300mila) e altri social network quali Flickr, Anobii e Badoo, che insieme totalizzano il 13,3% (625mila persone).
Nel nostro Paese, poi, nel 2007 erano presenti più di 3 milioni di utenti internet in possesso di un blog, mentre gli iscritti ai social network erano circa 4,7 milioni.
Le aziende italiane a che punto sono nell’uso dei social network? Da una ricerca dell’Osservatorio Enterprise 2.0, su un campione di 70 imprese italiane (intervistate tra il 2007 e il 2008) emerge che il 34% di esse è favorevole all’implementazione di strumenti web 2.0 al proprio interno, mentre il 14% ha già intrapreso un percorso di introduzione di queste tecnologie in azienda.
Le aziende considerate hanno intrapreso le seguenti iniziative: appartenenza aperta (13%), ossia l’apertura dei confini organizzativi al fine di favorire il coinvolgimento degli attori esterni; social network (21%), con la creazione di reti di relazioni; conoscenza in rete (30%), è relativa a processi e sistemi funzionali alla gestione della conoscenza sia di tipo esplicito che di natura tacita; collaborazione allargata (30%), contempla azioni e strumenti finalizzati a favorire la collaborazione e la cooperazione tra attori, superando la formalità degli schemi organizzativi precostituiti; riconfigurabilità adattiva (20%), riguarda la possibilità di favorire la flessibilità e la riconfigurazione di processi organizzativi; global mobility (25%), concerne l’accesso adattivo a strumenti e informazioni del virtual workspace in condizioni di mobilità.
INFORMAZIONE: se internet spopola grazie alla possibilità di interagire con vecchi e nuovi amici, la televisione rimane il mezzo preferito per informarsi. Ben il 43,4% degli italiani utilizza prevalentemente la tv per tenersi informato.
Più bassa è, invece, la percentuale di di quanti vengono a conoscenza dei principali avvenimenti che accadono in Italia attraverso i quotidiani cartacei (26,7%) o quelli online (19,1%).
Poco significativa è, infine, la tendenza a tenersi aggiornati tramite la radio (7,9%) o la free press (2,4%). Ad aggiornarsi periodicamente tramite quotidiani cartacei (33,1%) o news radiofoniche (10,8%), sono soprattutto i 45-64enni, mentre gli ultra 65enni si affidano, in prevalenza, al mezzo classico per eccellenza: la televisione (57,2%).
Leggere i quotidiani online è, invece, un’abitudine diffusa principalmente tra i 24-34enni (30,1%) e dai 18-24enni (29,5%), che, perennemente “connessi”, prediligono l’informazione elettronica, ormai sempre più aggiornata, veloce e alla portata di tutti. Sono sempre i più giovani appartenenti a queste due fasce di età a fruire maggiormente della free press (rispettivamente 3,3% e 3,4%). Più propensi a tenersi informati leggendo i quotidiani tradizionali (27,6%) o quelli gratuiti (3,2%) sono i diplomati.
Il telegiornale è seguito soprattutto tra quanti hanno un basso livello di istruzione, prediligendo, probabilmente, il piccolo schermo per la sua capacità di veicolare informazioni con un linguaggio semplice ed accessibile (72,4%).
Sfruttano maggiormente la Rete coloro i quali sono in possesso di una laurea/master (25,9%).
La televisione? Superficiale e diseducativa. Gli italiani non sembrano essere soddisfatti dell’offerta televisiva, ritenendola, nella maggioranza dei casi, superficiale (49,5%), diseducativa (22,5%) e volgare (9,3%). Pochissimi infatti giudicano la programmazione televisiva pubblica in linea con i propri interessi (7,1%), utile ad accrescere le proprie conoscenze (3,9%) o divertente (3,8%). I giudizi negativi sono più marcati nell’opinione dei giovani che ritengono nel 24% dei casi, per i 18-24enni, i contenuti della Tv diseducativi e nel 53,7% dei casi, per i 25-34enni, superficiali. Tra i pochi che mostrano di avere un giudizio positivo su questo mezzo di comunicazione di massa, spiccano i 45-64enni, che nel 3,9% dei casi considerano la programmazione divertente, e gli ultra 65enni, per i quali, invece, essa risulta interessante e formativa (rispettivamente 9,4% e 7,8%). Quest’ultimi, tuttavia, sono allo stesso tempo più di tutti convinti che l’offerta televisiva sia volgare (15%).
A credere maggiormente che quanto trasmesso in tv sia diseducativo e superficiale sono rispettivamente i diplomati (26,3%) e i laureati (56,7%).
Al contrario, i meno istruiti sono convinti, più di altri, che i contenuti trasmessi dal piccolo schermo siano divertenti (10,3%) e in linea con i propri interessi (15,5%), mentre quanti possiedono la licenza media li giudicano formativi e, quindi, idonei ad accrescere le loro conoscenze (7,1%). Tuttavia, è importante evidenziare che tra i meno istruiti si rintraccia la percentuale più consistente di chi considera la programmazione volgare (17,2%).
FREE PRESS Il 33,4% degli italiani ritiene che la free press sia un mezzo d’informazione che consente di apprendere le notizie con rapidità. Tuttavia, un’informazione sui principali avvenimenti nazionali priva di approfondimenti e commenti si traduce spesso in un’informazione superficiale (22,3%) e futile (15,8%), che, probabilmente, impedisce al pubblico di esprimere al meglio il proprio spirito critico.
D’altra parte, molti ritengono che la stampa gratuita sia scritta in modo semplice e immediato (13,7%) o che addirittura questa abbia sostituito l’informazione veicolata dai classici quotidiani nazionali (6,8%). Rapida fruibilità (40,2%) e superficialità delle notizie (25,6%) sono le caratteristiche che contraddistinguono maggiormente la stampa gratuita rispettivamente per gli ultra 65enni e 35-44enni.
La free press è scritta, poi, con un linguaggio semplice (16,9%) ed è piena di notizie futili (21,4%) soprattutto per i 45-64enni. Infine, tra chi sostiene che la sua diffusione sia stata così ampia da rimpiazzare, addirittura, i quotidiani tradizionali, spiccano i più giovani (12,7%).
Quanti hanno un livello di istruzione più basso sono anche i più portati a credere che la stampa gratuita soddisfi solo in parte i bisogni informativi degli italiani. Ciò dipende, secondo loro, dal fatto che si tratta di un’informazione priva di approfondimenti (37,5%) e, pertanto, superficiale (20,8%).
La futilità delle notizie è, invece, una caratteristica evidenziata prevalentemente dai diplomati e i laureati (in entrambi i casi 19,4%) e non riscontrata, invece, da coloro i quali hanno un basso livello di istruzione. Quest’ultimi appaiono, infatti, particolarmente soddisfatti dei contenuti presenti nei quotidiani gratuiti, tanto da essere i più convinti che la free press abbia sostituito i quotidiani tradizionali (20,8%
Via Quo Media