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  mymarketing.it: il marketing fresco di giornata... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico : Aziende (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Altri Autori (del 21/03/2014 @ 07:34:22, in Aziende, linkato 1677 volte)

L'obiettivo, particolarmente ambizioso, è quello di raddoppiare in futuro il valore della propria capitalizzazione di mercato, saltando dagli attuali 57 miliardi di dollari a quota 100 miliardi. Ha le idee chiare il numero uno di Starbucks, Howard Schultz, che parla di "fase iniziale della crescita e dello sviluppo" di una compagnia che nel novembre 2008 valeva sui listini azionari 5 miliardi di dollari, che oggi opera con 20mila punti vendita in 64 diversi Paesi (oltre la metà sono negli Usa, mentre India e Cina sono i nuovi bacini strategici da conquistare) e che ha fatto delle tecnologie mobili una risorsa assai importante.

Le transazioni via cellulare o altri dispositivi elettronici rappresentano infatti il 14% delle vendite "in store" della catena negli Stati Uniti, con ben cinque milioni di scontrini "staccati" via cellulare ogni settimana e circa 10 milioni di clienti che utilizzano l'app Starbucks.

Nuove app in vista per iPhone e Windows Phone
Nuovi negozi (20 i punti vendita a marchio Teavana in procinto di aprire nel corso dell'esercizio fiscale corrente), nuovi menu ma non solo. A spingere verso l'alto i conti di Starbucks ci sono anche i programmi a premi e le app mobili: l'ultima trovata in tal senso è un'applicazione che permetterà ai clienti di effettuare in anticipo, direttamente dallo smartphone, le ordinazioni di bevande e cibarie varie. La sperimentazione partirà presto in alcune caffetterie statunitensi.

Sin d'ora, invece, gli utenti possono effettuare i pagamenti alla cassa con il dispositivo mobile, legando la transazione gestita tramite "Qr code" sul proprio account alla propria carta fedeltà Starbucks. L'app per iPhone, in tal senso, è stata appena aggiornata per offrire la possibilità di dare la mancia (50 centesimi, uno o due dollari) e per abilitare il pagamento, tramite la nuova funzione "shake to pay", agitando semplicente il telefonino e visualizzando così facendo la carta con codice a barre Starbucks nella parte anteriore dello schermo. Gli aggiornamenti per l'app Android, invece sono attesi entro la fine dell'anno mentre quella per i Windows Phone dovrebbe essere lanciata nello store di Microsoft nei prossimi mesi.

Via IlSole24Ore.com

 
Di Altri Autori (del 04/03/2014 @ 07:40:40, in Aziende, linkato 1648 volte)

Le tecnologie digitali sembrano trovare sempre più applicazione nel quotidiano degli utenti: oltre ai grandi progetti per i dispositivi indossabili, i grandi marchi stanno sondando con interesse il mercato dell’auto, in crisi e in attesa di rinnovamento. Apple, come Google e Samsung, si è data da fare in anticipo, siglando accordi con nomi prestigiosi quali Ferrari, Mercedes e Volvo.

La casa di Cupertino vuole portare il sistema operativo mobile iOs, lo stesso che equipaggia iPhone e iPad, su alcune delle macchine più lussuose al mondo. Il software arricchirà la dotazione dei modelli d’alta gamma dei produttori, trasformando le vetture Ferrari, Volvo e Mercedes in postazioni multifunzione, connesse a internet e in grado di sfruttarne i contenuti, per l’intrattenimento dei passeggeri (con video, musica e informazioni assortite) e per facilitare il guidatore (con dati sulla sicurezza e lo stato dell’auto, rilavamenti meteo, mappe e quant’altro).

La macchine in questione diventeranno dunque Apple-car, capaci di dialogare con gli ospiti grazie all’assistente vocale Siri e agli iPad Mini integrati, come nel caso di Ferrari FF. Stile e aura tecnologica andranno di pari passo, nella speranza di allettare ancor di più i possibili acquirenti. E intanto Apple pensa all’acquisizione di Tesla, l’auto elettrica nata da una strat-up della Silicon Valley: tra conterranei ci si intende.

Via Quo Media

 
Di Altri Autori (del 10/02/2014 @ 07:38:57, in Aziende, linkato 1708 volte)

Primo tonfo per Twitter, dopo la quotazione a Wall Street avvenuta lo scorso novembre. Nelle ultime ventiquattro ore, il valore delle azioni del social network si è ridotto del 24% in eseguito ai dati che registrano una crescita degli utenti più lenta del previsto.

Gli iscritti attivi, nell’ultimo trimestre del 2013, sono stati solo 9 milioni in più rispetto a quelli del periodo estivo, per un totale di 241 milioni al mese. In un clima da isteria hi-tech collettiva, non privo di panico, gli investitori hanno cominciato a vendere titoli Twitter senza soluzione di continuità, fino a far crollare la quotazione di un quarto.

La finanza ufficiale sembra infastidita anche dai dati di bilancio della società di San Francisco, che tra ottobre e dicembre ha registrato entrate per 243 milioni di dollari (+116% su base annua), ma anche perdite nette di 511 milioni. A spingere i ricavi è stata la raccolta pubblicitaria sui dispositivi mobili, che vale ora il 75% del totale.

Gli analisti non riescono a comprendere le strategie della compagnia internet, che ora ha bisogno immediato di generare utili. L’amministratore delegato ha cercato di spiegare i piani futuri: “Stiamo lavorando per apportare cambiamenti - ha detto Dick Costolo -. Sarà una combinazione di mutamenti che verranno introdotti nel corso dell'anno e cambieranno la tendenza della curva di crescita”. Le modifiche alla struttura del sito renderanno più semplice l’accesso via smartphone e tablet. Coinvolgere più utenti e con più continuità è il primo obiettivo da raggiungere per evitare di essere l’ennesima bolla, esplosa, della net-economy.

Via Tech Economy

 
Di Altri Autori (del 27/01/2014 @ 07:42:25, in Aziende, linkato 1617 volte)

Facebook ha avviato la sperimentazione del suo nuovo sistema di raccolta pubblicitaria, ispirato ad AdSense di Google, vero e proprio dominatore dell’ad online. Il servizio, come quello del motore di ricerca, legherà inserzionisti-partner alle app mobili, dando informazioni a tutto tondo sui like, così da migliorare la qualità del messaggio pubblicitario.

L’idea di Menlo Park è quella di rafforzare il rapporto con gli inserzionisti, rendendo Facebook ancora più appetibile, grazie all’interrelazione più stretta con i dispositivi mobili e i milioni di utenti che quotidianamente ne fanno uso (e hanno un account sul social network).

Il sistema coinvolge infatti gli investitori, ma anche gli sviluppatori delle applicazioni per iOs, Android e Windows Phone, nel tentativo di costruire un circolo virtuoso in cui ai pubblicitari verranno date informazioni sempre più precise, complete e live riguardanti gli utenti e le loro attività, stimolando così gli investimenti adv, che arricchiranno Facebook (in gran parte) e chi programma le app. L’implementazione degli annunci sarà automatica e agirà sul sito quanto sulle applicazioni mobili di terzi.

La piattaforma, una volta lanciata in maniera ufficiale, andrà a infastidire quella di Google sul sistema operativo Android: Facebook può infatti contare su decine di inserzionisti pronti a popolare di spot le app più celebri che agiscono in simbiosi con il social network (come Candy Crush), insidiando lo strapotere del motore di ricerca sui suoi stessi prodotti. L’evoluzione del social parte dal (vecchio) mantra pubblicitario.

Via Quo Media

 
Di Altri Autori (del 21/01/2014 @ 07:03:20, in Aziende, linkato 1604 volte)

In un futuro forse non troppo lontano Amazon sarà in grado di spedire i pacchi con gli ordini dei clienti ancora prima che questi abbiamo effettuato l’acquisto. E’ questo l’oggetto di un nuovo brevetto rilasciato al colosso dell’e-commerce secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, un brevetto che consente il cosiddetto “anticipatory shipping”: Amazon sarà in grado di prevedere i prodotti che probabilmente saranno acquistati da determinati clienti, e “sposterà” tali prodotti verso i centri di spedizioni loro più vicini. Con grande vantaggio, ovviamente, per i tempi di spedizione e consegna che sarebbero ulteriormente ridotti.

Ma come Amazon riuscirà a farlo? Secondo il Wsj, Amazon studierà l’imponente di mole di dati sui suoi utenti per poi utilizzarli in modo predittivo. Ordini passati, ricerche su Internet, il contenuto dei carrelli, la tipologia di merce restituita e, forse, anche il tempo che il cursore del mouse trascorre su determinati articoli, a dimostrazione dell’interesse verso quel particolare oggetto, saranno scandagliati e verificati  al fine di estrarne modelli di comportamento d’acquisto.

Secondo quanto scritto nel brevetto, Amazon potrà persino compilare parzialmente indirizzi stradali o codici di avviamento postale, nella marcia di avvicinamento al cliente, e poi completare l’ etichetta in transito. Amazon sostiene che il metodo di trasporto predittivo potrebbe funzionare particolarmente bene per un libro popolare o altri oggetti che i clienti vogliono il giorno in cui vengono rilasciati. Ma è anche plausibile che Amazon potrebbe suggerire prodotti già in transito verso i clienti per assicurare che essi siano consegnati effettivamente.

La consegna preventiva va ad aggiungersi ad altre iniziative con cui Jeff Bezos sta attirando l’attenzione di mezzo mondo. A dicembre ha annunciato il testing di Amazon Prime Air, un servizio di consegna pacchi con droni, che aveva subito suscitato reazioni contrastanti.

Via Tech Economy

 
Di Altri Autori (del 28/12/2013 @ 15:38:24, in Aziende, linkato 2038 volte)

"Il settore dei giochi per tablet e smartphone ci interessa, è un argomento che viene fuori spesso nelle nostre riunioni, e stiamo valutando la possibilità di portare alcuni dei nostri personaggi più famosi su questi dispositivi". A parlare è Reggie Fils-Aime, Presidente di Nintendo America. Durante un'intervista al canale statunitense King5, Fils-Aime ha aperto uno spiraglio a chi spera di vedere un giorno Super Mario e Zelda su tablet e cellulari. Una richiesta che arriva non solo dagli appassionati, ma anche e soprattutto dagli investitori e dai mercati finanziari, sicuri che l'arrivo di Mario e compagni su tablet garantirebbe a Nintendo guadagni nettamente superiori a quelli attuali.

Sarebbe una svolta storica per Nintendo, una compagnia che ha fatto la sua fortuna seguendo la strada del "giardino chiuso" di Apple, ovvero facendo vivere i suoi software più famosi solo sui suoi dispositivi. Se volevi provare il nuovo Super Mario o giocare a Metroid, dovevi per forza acquistare una console Nintendo. Domani, le cose potrebbero andare diversamente. “Stiamo pensando a piccole e veloci esperienze, titoli molto brevi e immediati, da usare come strumento di marketing per portare utenti dai tablet alle nostre console”, precisa Fils-Aime a King5. Insomma, attenzione a farsi prendere dall'entusiasmo: anche se un'apertura del genere da un'azienda tradizionalista come Nintendo è un segno importante, non c'è alcun piano concreto e al momento si parla di tablet solo come un mezzo per "rubare" pubblico dai dispositivi mobili e convertirlo alle proprie console.
Nintendo pensa all'era post-console

Una strategia in linea con le tendenze attuali: oggi i bambini provano i loro primi videogame sullo schermo di un tablet. Il New York Times ha definito Angry Birds il nuovo Super Mario, proprio perché gli uccellini della Rovio sono stati capaci di influenzare un'intera generazione diventando un simbolo dei tempi, come fece Super Mario negli anni '80. E i risultati sono evidenti: i giochi
di Angry Birds sono stati scaricati circa 2 miliardi di volte (con 240 milioni di utenti che giocano almeno una volta al mese), sono nati parchi a tema, cartoni animati, merchandising. C'è persino una stretta alleanza con Guerre Stellari e un film in arrivo, in lavorazione presso Sony Pictures. Insomma, un impero che lo scorso anno ha generato 2,7 miliardi di dollari di fatturato. Oggi, i
bambini imparano prima a usare lo schermo di un tablet e a lanciare un uccellino con la fionda che a premere un tasto su una console portatile per far saltare Super Mario. I tempi cambiano, e Nintendo si deve adeguare.

Del resto, già in passato Nintendo aveva aperto a sperimentazioni del genere. Il primo Donkey Kong, nel 1981, venne distribuito su diverse piattaforme di allora, come l'Atari 2600. Più recentemente, quando nel 1991 la Philips lanciò il CD-i, i compact disc interattivi, Nintendo sviluppò una versione di Zelda appositamente per quella macchina. I risultati furono disastrosi: il CD-i di Philips fu un fallimento e quel Zelda, oggi, se lo ricordano solo i collezionisti. Ma con tablet e smartphone è una situazione diversa. Nintendo è in una posizione particolare: il Wii U, che si ispira proprio al mondo dei tablet (il suo controller ha uno schermo touch da 6,2 pollici), per ora ha faticato a ottenere il successo sperato, vendendo poco più di 4 milioni di console in un anno. Poche, se consideriamo che PlayStation 4 e Xbox One sono già oltre i due milioni di pezzi e sono uscite da appena un mese. Una situazione che sta spingendo Nintendo a tentare nuove strade. Anche quelle impensabili fino a qualche tempo fa, come affidarsi ai dispositivi che, per primi, hanno ostacolato la diffusione del Wii U e, solo in parte, del 3DS. Staremo a vedere. Intanto le dichiarazioni di Fils-Aime hanno scatenato il popolo del web, dove sta nascendo una nuova provocazione: e se la prossima console di Nintendo fosse un tablet?

Via Repubblica.it

 
Di Altri Autori (del 25/11/2013 @ 07:17:49, in Aziende, linkato 1898 volte)

Google offrirà una carta di debito prepagata, di fatto una carta bancomat, che permetterà ai consumatori di acquistare prodotti nei negozi e di prelevare contanti da sportelli bancomat, ma anche inviare denaro poichè collegata a Google Wallet. Di fatto sarà possibile spendere, prelevare e inviare denaro senza doverlo trasferire dal Wallet ad un conto corrente bancario. Una comodità che sarà certamente apprezzata in Usa dove Wallet è molto diffuso.

La carta, associata al circuito MasterCard, permette a Big G di entrare in un mercato, quello dei pagamenti elettronici, già sufficientemente maturo e “popolato” e per, almeno parzialmente, ovviare a questo limite, offre il servizio in modo gratuito, senza prelevare tasse, nè canoni mensili o annuali, al contrario di quanto di norma preteso dalle carte (di debito e di credito) classiche.

Un portavoce di Google ha confermato che i dati sulle transazioni effettuate con la nuova scheda Wallet – compresa una descrizione dei beni acquistati, l’importo della transazione e il nome e l’indirizzo del venditore – sarebbero aggiunti ai profili interni che Google ha degli utenti dei suoi servizi.

Via Tech Economy

 
Di Altri Autori (del 07/10/2013 @ 07:18:13, in Aziende, linkato 1973 volte)

Aria di crisi in casa Ikea Italia. Per il secondo anno da quando ha aperto i suoi negozi nel Belpaese, il colosso dell’arredamento svedese ha registrato una contrazione del fatturato (-4,5%) scendendo a 1,5 miliardi di euro nel bilancio italiano chiuso ad agosto 2013. Ma il gruppo ribadisce la volontà di restare con i piedi ben piantati nel nostro Paese, confermando l’intenzione di proseguire il suo piano di espansione retail nello Stivale e di scommettere sul nostro made in Italy. Nel tempo, infatti il nostro Paese è diventato il terzo fornitore dopo Polonia e Cina: gli approvvigionamenti in Italia, che oggi valgono circa 1 miliardo, sono destinati a crescere.

Utili e margini operativi, come sempre per la multinazionale, rimangono top secret. La flessione del fatturato è del 4,5%, ma senza considerare il nuovo punto vendita aperto in Abruzzo sarebbe del 7,8%. “L’interesse per i nostri prodotti rimane forte, i visitatori nei punti vendita sono calati solo del 2% – commenta Lars Petersson, amministratore delegato Ikea Italia – solo che spendono meno o comprano prodotti meno cari”.

Così a scendere sono soprattutto le vendite di mobili (-6,8% a 847 milioni di euro), mentre tengono quelle dei più economici complementi d’arredo. Nonostante questo Ikea prevede di salire nel 2013 a una quota di mercato del 9,1% nel settore legno arredo, rispetto all’8,7% del 2012. Facendo quindi meglio della concorrenza, anche se non con la crescita spettacolare che tra 2008 e 2012 l’aveva vista salire dal 4,8 all’8,7% del totale. Mentre la ristorazione nei punti vendita, in calo del 6,4%, paga le rivelazioni su carne di cavallo e batteri fecali: “Abbiamo rafforzato le misure di controllo”, replica la società.

Petersson ha annunciato la data di apertura del nuovo negozio di Pisa: sarà il 5 marzo 2014, a oltre 7 anni di distanza dal primo progetto, per 62 milioni di euro di investimento. Una frazione dei 400 milioni che l’anno scorso la società aveva annunciato di voler puntare sull’Italia entro il 2015. “Vogliamo crescere, confermiamo quella cifra – ha detto l’amministratore delegato – anche se i tempi potrebbero essere più lunghi”. Sul terzo store di Roma infatti la società non ha ancora ottenuto dall’amministrazione date certe, mentre quelli di Verona e Milano (il quarto) per ora restano sulla carta. “Ci vorrebbe maggiore certezza per chi investe in Italia: di tempi, di leggi, di tutto”, ha concluso l’amministratore delegato. “Qui si sa quando si parte, mai se e quando si arriva, in 20 anni la situazione non è migliorata così tanto”.

Via PambiancoNews

 
Di Altri Autori (del 01/10/2013 @ 07:19:24, in Aziende, linkato 1560 volte)

L’innovazione è sempre più uno degli asset più importanti per le imprese per rimanere ai vertici dei mercati, a maggior ragione in quello hi-tech, dove la velocità della concorrenza impone di rimanere costantemente competitivi. A tal proposito dal 2005 il Boston Consulting Group ha esaminato più di 1.500 dirigenti a livello mondiale per ricavare, dalle loro valutazioni, una fotografia delle aziende più innovative al mondo, confrontandole nel tempo e tra le regioni e industrie.

Ogni anno la ricerca si è tradotta in una “Most Innovative Companies” che, nell’edizione 2013, per la nona volta consecutiva vede Apple prima in classifica, seguita da Samsung, Google e Microsoft. Quattro aziende tecnologiche ai primi quattro posti, dunque, mentre il quinto è appannaggio di Toyota. Non solo. Altri rappresentanti del mondo hi-tech – comeIbm, Amazon, Sony e Facebook – fanno parte della top 20, a conferma che il mondo di Internet, del software e dell’elettronica, è sempre e un luogo di sperimentazione e di forte innovazione.

Per quanto riguarda la presenza tra i top 50 di aziende automobilistiche, 14 case automobilistiche fra le prime 50 posizioni, e nello specifico nove fra le prime 20, e tre (con Toyota ci sono Ford e BMW) nella top 10, dimostrano quanto le case automobilistiche siano impegnate nella corsa all’adozione delle nuove tecnologie (mobili e di connettività) per migliorare i sistemi di infotainment di bordo. L’automobile si sta evolvendo nella direzione delle “smart-auto” usando la definizione di Forrester il “quarto ambiente per l’informatica”.

Nella ricerca vengono esplorati altri cinque fattori che sostengono la capacità di innovazione: l’impegno del senior management , la capacità di sfruttare proprietà intellettuale (IP), un orientamento al cliente, forte gestione del portafoglio di innovazione, e processi di sviluppo ben definiti.

Via Tech Economy

 
Di Altri Autori (del 30/09/2013 @ 07:48:20, in Aziende, linkato 4368 volte)

È stato l’argomento del giorno: ne hanno parlato tutti, perfino la stampa estera. Le dichiarazioni del presidente di Barilla circa le coppie omosessuali hanno scatenato un’ondata di proteste sul Web che ha valicato le Alpi e attraversato l’oceano, finendo un po’ dappertutto.

Quello che è successo lo si può leggere praticamente ovunque ma, per completezza, lo si può riassumere così. Mercoledì 25 settembre Guido Barilla viene intervistato da La Zanzara, programma radiofonico di Radio 24. Si parla di rappresentazione del ruolo femminile nella pubblicità, un tema sollevato il giorno prima dal presidente della Camera Laura Boldrini, che già aveva dato vita a un certo dibattito. Tra una parola e l’altra, Barilla dichiara che la sua azienda, che si identifica con i valori incarnati dalla “famiglia tradizionale”, non firmerebbe mai uno spot pubblicitario con protagonista una coppia omosessuale. «Se non gli piace quello che diciamo [gli omosessuali], faranno a meno di mangiarla [la pasta Barilla] e ne mangiano un’altra – ha detto Barilla – Ma uno non può piacere sempre a tutti». Le parole di Barilla non sono andate giù né a parte dell’opinione pubblica né tanto meno alle associazioni per i diritti civili e omosessuali. Ma la reazione del Web è andata oltre ogni previsione: come una fiammata l’hashtag #boicottabarilla è diventato virale e quello che è successo poi, lo sappiamo tutti.

La questione ha scatenato un gran polverone, ma al di là delle polemiche e dei giudizi sul concetto di famiglia, sulle parole di Guido Barilla e sulla reazione del Web, la faccenda di Barilla si presta bene a una riflessione su quello che è successo – o meglio, che non è successo – sui profili social di Barilla, Facebook in particolare. Due precisazioni: la prima è che, in linea con lo scopo di questa rubrica, si parlerà esclusivamente di come la questione abbia impattato sulla comunicazione del brand sulle proprie pagine Facebook. La seconda è che questa analisi prende in oggetto quanto successo nella giornata di giovedì 26 settembre, più o meno dalle undici di mattina fino alle sei di sera.

Dunque, ricostruiamo la dinamica. L’intervista di Barilla per Radio 24 va in onda mercoledì sera. Subito dopo, sulla pagina Facebook dell’emittente radiofonica, cominciano ad apparire i primi commenti di coloro che non hanno gradito. Già a questo punto, il brand manager dell’azienda emiliana avrebbe dovuto mettersi in pre-allarme e pensare a una strategia comunicativa per correre ai ripari. Sulla pagina ufficiale di Barilla, però, è una tranquilla serata come tante. L’indomani, giovedì mattina, Radio 24 rilancia l’intervista della sera prima e scoppia la bomba: non è più sera, quando tutti sono impegnati a fare altro, adesso tutti sono davanti al computer, sono all’erta. La faccenda diventa virale, nasce l’hashtag #boicottabarilla e la conversazione, letteralmente, esplode.

E sulla pagina Facebook di Barilla che succede? Niente. O meglio, niente che porti la firma di Barilla, visto che la pagina rimane inchiodata al giorno precedente. In compenso, però, gli utenti si stanno dando un gran daffare, lasciando commenti di fuoco su qualsiasi post capiti loro a tiro.
Sono più o meno le undici di mattina. E, ancora per moltissime ore, sulla pagina ufficiale di Barilla ci sarebbe stato una specie di deserto, popolato soltanto dalle sonore proteste degli utenti.

Questo non perché i social media manager di Barilla fossero scappati in un bunker anti-atomico con tre scatole di razioni K in attesa di tempi migliori: molto probabilmente i responsabili della comunicazione sui social media di Barilla hanno ricevuto precise indicazioni dall’alto o, anche, è possibile che di indicazioni non ne abbiano ricevute affatto. Il tema è delicato, e in casi come questi si aspettano – e ci si deve aspettare – le direttive dai vertici su come affrontare la crisi, su cosa comunicare e come comunicarlo. Personalmente immagino una catena decisionale diventata improvvisamente lunghissima, che ha rallentato tutte le mosse. Questa è solo una mia supposizione: potrebbe anche essere Barilla abbia “strategicamente” scelto di temporeggiare.

Nel frattempo, però, sul web si scatenava il finimondo: mentre la polemica prendeva forza e #boicottabarilla diventava sempre più virale, altre aziende hanno colto la palla al balzo, volgendo abilmente il “crollo” di Barilla a proprio favore.
Una trovata geniale dal punto di vista del marketing, che ha preso il payoff più famoso di Barilla, lo ha accostato all’oggetto del contendere e ha risolto la crisi mettendoci il proprio brand. Una strategia comunicativa che, di certo, non è stata solo un’iniziativa dei social media manager di Althea: l’idea, a chiunque sia venuta, sarà stata certamente presentata e approvata dai vertici dell’azienda, decidendo di “prendere posizione” sposando questa linea comunicativa. Merito, forse, di una catena decisionale più corta e snella, che ha permesso a dirigenti, creativi, grafici e social media manager di agire con un tempismo perfetto?

Certo, va detto che Althea non è Barilla: Barilla è una multinazionale, un colosso del settore alimentare e per questo agisce con tempi e modi diversi. Ma una crisi, quando arriva, non rispetta le gerarchie né i piani di comunicazione, e forse si sarebbe dovuto prevedere un protocollo d’azione diverso, visto che su Facebook, intanto, continuava la presa della Bastiglia degli utenti.

[Sempre per restare in tema di instant marketing, anche Pasta Garofalo e Misura hanno colto la palla al balzo. Quindi non si può dire che Althea si è potuta permettere di agire in fretta perché è un “ecosistema” più piccolo. Più verosimilmente, le strategie comunicative interne ed esterne delle tre aziende sono diverse. E, in questo caso, sono state più efficienti ed efficaci].

 Guido Barilla rompe il silenzio poco dopo le 14 di giovedì pomeriggio, con un comunicato stampa in cui porge le proprie scuse per il fraintendimento e  perle polemiche generate dalle sue parole, rinnovando il rispetto per gli omosessuali e la liberà di espressione di chiunque. Questo comunicato non comparirà sulla pagina Facebook di Barilla che poco prima delle 16.30. Perché tanto ritardo? L’idea che passa è che l’azienda si sia dimenticata di essere e di comunicare sui social media, quegli stessi social media che, da ore, stavano attaccando il brand in tutti i modi possibili.
Si tratta di una comunicazione molto fredda, distaccata, un comunicato stampa incollato in uno status che quasi stona in mezzo a tutti gli altri post della pagina che, invece, puntano sulle immagini, sul calore, sul coinvolgimento degli utenti. Non si tratta di una comunicazione sobria per mettere fine a una crisi, si tratta di una comunicazione arrivata ben oltre il tempo utile e che, purtroppo per Barilla, è servita a poco.

Non solo. In capo a quelle poche ore, giovedì, il boicottaggio contro Barilla è andato ben oltre i confini italiani: stiamo parlando di un brand italiano conosciutissimo all’estero, spesso associato con l’idea stessa della cucina italiana. Ne hanno parlato in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti, in Germania. Dalla Francia è addirittura partita una petizione. Gli utenti arrabbiati si sono riversati in massa sulle relative pagine locali, che Barilla ha sempre gestito con grande profitto. E anche qui, purtroppo, Barilla ha taciuto.
A questo punto verrebbe da manifestare tutta la propria solidarietà ai social media manager di Barilla che, probabilmente, hanno assistito per un giorno intero a gran parte del proprio lavoro che finiva in fumo. Barilla ha sempre avuto una forte presenza sui social, lavorando sul coinvolgimento dei fan, raccontando il brand e i suoi prodotti. Insomma, un gran lavoro di corporate storytelling che ha sempre avuto successo fin dai tempi della pubblicità col gattino, e che ha saputo trasporre con grande maestria anche sui social media.

Purtroppo però, questa crisi ha evidenziato tutte le falle della strategia di Barilla che, non agendo in modo tempestivo, ha minato i risultati di mesi, di lavoro, compromettendo la fiducia di quegli utenti – di ambo le “fazioni” – che si aspettavano una risposta o quantomeno una reazione di qualsiasi tipo, dalla classica “marcia indietro” alla riaffermazione dei propri valori. Ma restare in silenzio davanti a quelli che ti accusano – o che ti sostengono – è un rischio: la conversazione su di te continuerà senza di te e ognuno si farà la sua idea senza che tu possa farci niente.

Risposte che, ovviamente, non potevano venire dalla semplice iniziativa dei social media manager, costretti a “restare a guardare”, e ad aspettare che arrivasse qualcuno a dar loro le direttive necessarie per affrontare la débâcle. Mentre i loro competitor, professionisti come loro, agivano con precisione quasi chirurgica semplicemente perché messi nelle condizioni di farlo.

E se questo purtroppo è successo sulla pagina Facebook italiana, figuriamoci su quelle per l’estero, dove oltre al tempo fisiologico di reazione per capire cosa diavolo fosse successo, c’erano di mezzo anche i fusi orari e una certa dose di disorientamento.

Quello che gli utenti hanno percepito, per tutta la giornata di giovedi, è stato quasi come un abbandono della nave da parte del brand, che ha lasciato i propri profili – la propria identità sul web così faticosamente costruita – in balia degli eventi.

Lesson Learned: Azienda, sul web tutto accade molto più velocemente di quanto tu possa pensare. Dòtati di un protocollo anti-crisi che faccia da ombrello ovunque tu sia presente e, soprattutto, fai in modo che i tuoi social media manager possano agire con quella rapidità necessaria per stare al passo con le conversazioni sui social media.

Via Tech Economy

 
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