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  mymarketing.it: l'isola nell'oceano del marketing... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Alessandro Figus (del 26/12/2005 @ 18:45:41, in Viral Marketing, linkato 3478 volte)

Un viral video può dirsi vincente nel momento in cui raggiunge almeno la soglia di contagio che viene prestabilita in origine. Per questo motivo gli autori che hanno interesse a rendere efficiente il loro viral video si concentrano su tutti quei fattori che ne incrementano la potenziale diffusione presso il pubblico. Alcuni di questi elementi sono la capacità di destare curiosità, il riferimento a cose, luoghi o persone di particolare interesse, le caratteristiche tecniche del filmato, il fine del video, i soggetti che inizieranno a divulgare il video e la sua reperibilità.

La natura del video è una caratteristica che influenza non poco la sorte dell'intero progetto. Una comunicazione simpatica ma con dichiarati intenti pubblicitari probabilmente tende ad essere meno simpatica, meno interessante e quindi meno efficace di un video che nasce con il solo scopo di far divertire. A riguardo propongo un video ideato e prodotto da Scott Kelby con la partecipazione dell'Associazione Nazionale dei Professionisti di Photoshop senza fini commerciali che riguarda un nuovo modello di iPod, l'iPod flea... Questa divertente parodia ha avuto un enorme successo; per rendersene conto e per comprendere le grandi potenzialità del passaparola è sufficiente digitare "iPod flea" su un qualsiasi motore di ricerca. Il termine iPod flea è un'invenzione dei produttori di questo filmato e tutto ciò che si trova in rete a riguardo è dovuto dalla buona riuscita di questa azione virale. Oltre il fine no-profit dell'iniziativa, il successo è stato determinato anche dal protagonista del messaggio: l'iPod. Tra le parole più cercate su Google nel 2005, oggetto del desiderio per tutti i più o meno giovani d'Occidente, uno degli apparecchi hi-tech più venduti, artefice di aver creato una vera e propria mania, non può che essere lui il soggetto giusto per generare interesse e viralità intorno ad un video. Una scelta simile a quella di Nike con Ronaldinho nel recente spot delle quattro traverse. Se il video è divertente e ben fatto, inseririre un soggetto che riscuote l'interesse di una nutrita cerchia di individui non può che aumentare il numero delle persone che troveranno interessante il video.

Un altro fattore chiave è la strategia di distribuzione, per dirla in termini tradizionali. Bisogna decidere dove inserire i video, e quindi a chi affidare lo sviluppo, almeno iniziale, del passaparola. Il canale dovrà permettere una facile reperibilità al target principale senza però rendere troppo difficoltoso l'eventule accesso ad ulteriori gruppi di utenti. Gli elementi determinanti perchè il video sia percepito positivamente sono la reputazione di cui godono i primi siti, forum o blog in cui comparirà il video ed i primi commenti che accoglieranno il filmato in rete.

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Di M. Ferrero (del 26/12/2005 @ 08:14:09, in Marketing, linkato 4480 volte)
L’ampia diffusione dei cellulari in tutta Europa spinge un numero crescente di aziende ad utilizzare anche il canale mobile per offrire servizi ad i propri clienti. Secondo Brandweek anche British Airways sta pianificando l’utilizzo di sms per attività di marketing ma anche di customer service, e ha recentemente affidato all’azienda di mobile marketing Incentivated lo sviluppo di una piattaforma in grado di gestire tutte queste attività.

Un primo utilizzo previsto è legato alle notifiche ai viaggiatori via sms di eventuali ritardi o problemi tecnici, ma anche le comunicazioni interne tra i membri dello staff si baseranno in parte anche su questa tecnologia.

In un secondo tempo l’azienda pensa di estendere progressivamente l’impiego di questi messaggi, in modo da aggiornare regolarmente i viaggiatori sui nuovi servizi offerti e le novità riguardanti i voli. Per questo motivo sono stati fatti nel corso di quest’anno numerosi sondaggi per valutare la disponibilità degli utenti a fornire il loro numero di cellulare attraverso il sito web della compagnia per ricevere informazioni via sms.

Se i primi test daranno esito positivo l’azienda pensa di estendere a questo canale un numero progressivamente crescente di servizi in modo da garantire ai viaggiatori un flusso informativo regolare e costante.

Il settore del trasporto aereo è caratterizzato ormai da anni da una fortissima competizione che si manifesta nella maggior parte dei casi in una forte pressione sui prezzi. Compagnie come Ryanair e Nome offrono tariffe scontatissime, mettendo in difficoltà i vettori tradizionali che scontano una minore flessibilità e maggiori costi di struttura e gestione.

Poiché molte grosse compagnie non possono essere così competitive sui costi né affidarsi unicamente agli spostamenti del settore business per garantirsi la sopravvivenza è ragionevole che cerchino di differenziarsi puntando su un maggiore livello di servizio, per accaparrarsi la fedeltà di chi preferisce spendere qualcosa in più per il viaggio a patto di avere uno scalo più comodo e servizi aggiuntivi.

La mossa di British Airways sembra quindi un passo nella giusta direzione: il puntuale recapito sul cellulare dell’utente di informazioni sul volo che sta per prendere ma anche su nuovi servizi che, in base al profilo specifico, possono essere graditi, è un buon modo per stabilire un flusso informativo con il proprio pubblico, fidelizzando e offrendo un motivo in più per utilizzare i servizi di un vettore piuttosto che di un altro.
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Di Max Da Via' (del 25/12/2005 @ 07:25:25, in Marketing, linkato 4254 volte)
Innanzitutto tanti auguri di cuore a tutti.

In questi sei mesi abbiamo collezionato ben 255 articoli, una media di quattrocento visitatori al giorno e oltre milleduecento commenti, dati che ci rendono molto orgogliosi e dei quali vi siamo grati.

Il post di oggi non può che essere dedicato al Natale, analizzando dal punto di vista del marketing il suo testimonial più famoso, il mitico Babbo Natale.

Vi piacerebbe coinvolgerlo in una campagna di marketing così importante da far pensare a molti che si tratti di un personaggio di vostra invenzione? Non è una cosa da tutti, certo, ma se vi chiamate Coca Cola con un pò di fortuna la cosa potrebbe anche accadere.

Il vero antenato di Babbo Natale è un personaggio storico realmente esistito nel IV secolo, il vescovo Nicola di Mira della città di Myra (una città antica dell'odierna Turchia). San Nicola deve parte della propria fama alle proprie generose elargizioni a favore dei poveri e la sua leggenda è alla base della festa olandese di Sinterklaas, da cui il mito di Santa Claus ha tratto origini.

L'origine del personaggio come lo intendiamo noi è frutto della fantasia del caricaturista american Thomas Nast, che nel 1860 illustrò una vignetta su di un giornale americano nella quale Babbo Natale appariva come un anziano e panciuto signore con un vestito tutto rosso e la residenza al Polo Nord.

Tuttavia la fama raggiunse il simpatico vecchietto solo parecchio tempo dopo. Nel 1931 la Coca Cola si trovava in difficoltà per via di una legge le proibiva di pubblicizzare il proprio prodotto utilizzando immagini di bambini, a causa del contenuto di caffeina presente nella bibita.

La bevanda, inizialmente fatta con l'estratto di noce di cola, non poteva infatti avvalersi per il proprio advertising di bambini di età inferiore ai 12 anni. Per questo motivo si era reso necessario ricorrere ad una nuova figura in grado di conquistare le simpatie di grandi e piccini, nel rispetto però della normativa vigente.


A qualcuno venne in mente che questo personaggio avrebbe potuto essere Santa Claus, che divenne in breve tempo il protagonista della pubblicità natalizia dell'azienda. Il suo disegnatore, lo svedese Haddon Sundblom, pare si sia ispirato ad un suo simpatico vicino di casa, che venne prontamente rivestito di rosso e bianco, in modo da indossare i colori dell'azienda.

Questo riscoperto Babbo Natale riscosse un successo inaspettato e planetario, tanto da far credere a molti che l'invenzione di Santa Claus fosse opera della Coca Cola. La stessa azienda continuò ad utilizzare il testimonial per moltissimi anni, contribuendo ad alimentare la diceria. Nelle pubblicità, il protagonista, gioviale e instancabile, veniva sempre colto in flagrante a gustarsi un gustosa Coca Cola al termine di una lunga notte passata sui tetti a distribuire i giocattoli.


Quella ideata dalla Coca Cola è diventata quindi la raffigurazione ufficiale di Babbo Natale, che hanno dopo anno è puntualmente riproposta, entrando ormai nell'immaginario collettivo.

Bisogna riconoscere che l'immagine di Babbo Natale così come noi tutti lo conosciamo è sicuramente frutto ed opera della Coca Cola e, anche se ormai viene abitualmente utilizzato in tutti gli altri contesti legati alla festività, il nonno preferito dai bambini di tutto il mondo continua a mostrarsi con il suo proverbiale pancione, la folta barba e il vestito rosso e bianco, cioè con i colori ufficiali della Coca Cola.

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Di Max Da Via' (del 24/12/2005 @ 08:37:49, in Marketing, linkato 2306 volte)
Grazie a Play the Lab, un laboratorio creativo ideato per sperimentare nuove forme di comunicazione legate all’utilizzo dei nuovi cellulari multimediali, Nokia ha trovato un ottimo modo per promuovere efficacemente uno dei propri modelli di punta, l’ormai famoso N90.

Questo telefono, che presenta funzionalità particolarmente avanzate per quanto riguarda la possibilità di realizzare fotografie ma anche veri e proprio filmati, è al centro di questa interessante iniziativa che vede coinvolti registi, professionisti, studiosi di nuovi media ma anche semplici appassionati.

Play the Lab è un concorso che coinvolge registi cinematografici, creativi e pubblicitari, i quali sono stati invitati a realizzare filmati utilizzando il Nokia N90 per le riprese, mettendo in gioco le proprie capacità creative. Gli aspiranti partecipanti hanno potuto iscriversi sul sito www.playthelab.it, e i 60 estratti hanno avuto la possibilità di realizzare il proprio corto d’autore.

Sponsor dell’iniziativa, che prevede a gennaio tre workshop a Milano, Roma e Napoli, sono Mikado, Medusa, Cinema, Opus Media, ADCI (Art Director Club Italia) e Air3 (Associazione Italiana Registi).

L’aspetto più interessante, dal punto di vista del marketing, è l’aver creato molto interesse attorno a questo prodotto, promuovendo un concorso ad hoc teso a esaltarne le capacità di ripresa video.

Personalmente non ho ancora visto un videoclip realizzato con questo telefono, ma le mie precedenti esperienze con altri cellulari mi portano a pensare che ci vorrà ancora qualche anno perché questi dispositivi possano porsi come reale alternativa ad una videocamera.

In ogni caso Nokia ha dato grande visibilità al proprio prodotto, ricorrendo anche a importanti testimonial e spingendo i partecipanti a lanciarsi in un vero e proprio tryadvertising. Il coinvolgimento di associazioni e aziende legate al cinema nell’iniziativa amplifica ulteriormente le aspettative in termini di qualità del prodotto finale.


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Di M. Ferrero (del 23/12/2005 @ 11:29:43, in Media, linkato 2109 volte)

Buongiorno Vitaminic, operatore specializzato nell’email e mobile marketing, ha lanciato per ora solo in Inghilterra un talk show dedicato al calcio e ideato per essere visualizzato e fruito sugli schermi dei cellulari 3G di ultima generazione.

Il programma si chiama Soccer Addicts, è trasmesso ogni lunedì per una durata complessiva di 4 minuti, e presenta come novità quella di avvalersi di immagini e commenti inviate direttamente dai tifosi. Ispirandosi alla struttura di un talk show consentirà agli utenti di inviare un video di commento che sarà poi trasmesso insieme a quello di commentatori sportivi professionisti. I video saranno poi accessibili per tutta la settimana anche dal portale degli operatori telefonici coinvolti.

Lo scopo è quello di creare una community calcistica, promuovendo allo stesso tempo l’utilizzo, tuttora limitato, dei servizi 3G. Buongiorno dispone infatti di un nutrito catalogo servizi per cellulari, che nelle intenzioni degli ideatori del programma riceveranno un impulso positivo dall’abbinamento con uno sport così seguito.

Se l’esperimento darà i risultati sperati il format del programma sarà poi esportato anche negli altri Paesi europei, sfruttando sia la popolarità dello sport che l’interesse crescente per la TV via cellulare.

Una prima occhiata al sito della trasmissione lascia insoddisfatti: la qualità dei video giurati è ovviamente scadente (nonostante quello che ci raccontano i produttori di telefonini non sono videocamere in miniatura) e i commenti non sono più interessanti di quelli che si possono sentire al bar dopo una domenica calcistica.

Il concept è invece innovativo, e potrebbe essere il preludio di una nuova forma di talk show (quando la tecnologia sarà più avanzata) dove gli spettatori non saranno più passivamente davanti allo schermo ma potranno contribuire in maniera determinante allo svolgersi della trasmissione, creando delle vaste community di appassionati che potrebbero essere il target ideale di molte aziende disposte ad utilizzare canali di comunicazione e marketing alternativi.


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Di Altri Autori (del 23/12/2005 @ 07:08:33, in Marketing, linkato 2573 volte)
E’ possibile per la pubblicità riconquistare l’attenzione e l’interesse di un consumatore sempre più sfuggente e annoiato? Secondo Roberto Venturini si, ricorrendo ad una strategia di  “Engagement Marketing”.

Da qualche tempo alcuni guru della comunicazione stanno scommettendo su una nuova "buzzword". La nuova parola magica è "engagement", la capacità della comunicazione di attirare, coinvolgere il pubblico.
In una parola di farsi vedere e appassionare.

Di fronte alle correnti di pensiero che attribuiscono una disaffezione del pubblico al mezzo televisivo e di fronte alle richeste sempre più pressanti dei grandi clienti di otrtimizzare il budget, si sta iniziando a spostare il tiro.
A passare dalla necessità di fare OTS (un gran numero di opportunità potenziali per il target di vedere il messaggio, calcolate estrapolando i numeri dei un campione Auditel) alla necessità di misurare quanto in effetti il messaggio sia davvero visto, compreso, di quanto abbia avuto effetto.

Si parla allora di engagement, della capacità del messaggio di costruire una storia per la marca, una storia che abbia un effetto sugli atteggiameni e sui consumi.

Si parla di engagement come alternativa al ricorso alla pura "interruzione" - ovvero all'affidarsi alla potenza della televisione di infilarsi nella vita del target e dello spot di colpire il prospect. Un meccanismo che, in uno scenario dove l'affollamento di messaggi pubblicitari che ci interrompono è sempre più alto, il consumatore ha sviluppato dei filtri potenti - in grado di cancellare dalla sua percezione buona parte delle comunicazioni indesiderate o non "engaging"

Al crescere del numero di interruzioni cresce la capacità di filtro e la sfida per le agenzie ed i clienti di osare, di investire strategicamente in pensiero ed esecuzione per creare messaggi coinvolgenti, non solo dal punto di vista meramente esecuzionale ma dal punto di vista dei concetti di marketing sottostanti

Creando una relazione più stretta e proficua con la marca - una marca che non ci assedia durante il giorno "interrompendoci" ma una marca piacevole, che ci arricchisce (un pochino) la vita con contenuto interessanti, affascinanti..."engaging"

Nasce quindi (in TV e su altri media) la disciplina dell'"Engagement Marketing", naturalmente basata in larga parte sulla capacità di inserire elementi di entertainment value nella comunicazione pubblicitaria.

Una forma di marketing che se non richiede necessariamente forti budget richiede molta competenza fantasia e, soprattutto un grandissimo coraggio... direi fuori della portata della maggior parte delle aziende nostrane (e non solo...). O no?

Roberto Venturini

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Di Danilo Arlenghi (del 22/12/2005 @ 06:38:08, in Marketing, linkato 2168 volte)
Viviamo senza dubbio nella società dei senza, dove il privativo sembra essere sinonimo di miglioramento ed invece non è altro che un paludato modo per spacciare prodotti e servizi innovativi che mistificano la natura stessa dei prodotti e dei servizi.

Eccovi alcuni scampoli veritieri e significativi: birra senza alcool, burro senza grassi, merendine senza zuccheri, pasta senza glutine, marmellate senza conservanti, bevande senza gas, caramelle senza coloranti.
E la lista, ahimè , continua con arresti senza prove, sentenze senza giustizia, bambini senza istruzione, faccendieri senza coscienza, saccenti senza cultura, ministri senza portafoglio, autisti senza patente, medici senza laurea, popolazioni senza cibo, uomini senza religione, donne senza veli. E non potevano mancare servizi senza qualità.

Troppo spesso sento direttamente dai miei clienti o, in modo riportato, dai miei colleghi frasi come questa:
"Non ha importanza (la qualità), basti che costi poco!

Che i manager aziendali , oggi, non badino più alla qualità , ma si curino solamente dei costi bassi è un fatto accertato. Sino a ieri si discorreva solo di qualità: come fine a cui tendere nella erogazione dei servizi e nella elaborazione dei prodotti. Era un onore ed un privilegio consumare prodotti e servizi di qualità.

Oggi è in corso un vero ribaltone dei valori, un vero salto all'indietro da veri acrobati dei principi base, a scapito della immagine dei prodotti, della identità aziendale e della credibilità dei manager stessi. Un modo di pensare e di agire che porta i consumi ed i comportamenti verso il basso, in una sorta di regressione collettiva dominata dal Dio risparmio.


Il processo in atto , ci auguriamo solo temporaneo , non nasce da profonde convinzioni ma dalla contingenza economica e finanziaria. Stanno cavalcando la crisi, certo, ma non la professionalità: e appena il mercato si riprende potrebbe essere la crisi a cavalcare loro.

Comunque , anche in tempi di vacche magre è preferibile l'equazione : meno ma buono! Altrimenti questi manager diverrano oggetti del monito di Ruskin: " E' difficile trovare al mondo qualche cosa che un uomo non possa fabbricare leggermente peggio e vendere più a buon mercato. Divengono preda legittima di quest'uomo coloro che desiderano solo il prezzo".
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Di Gianluigi Zarantonello (del 21/12/2005 @ 10:24:56, in Viral Marketing, linkato 2759 volte)

L'advergaming è l'uso di giochi interattivi per comunicare messaggi pubblicitari, sviluppare la brand awareness e generare traffico verso i siti di tipo 'consumer', che si è sviluppato a partire dal 1998 negli Usa.

Gli advergames sono quindi un'alternativa ai banner ed alle forme tradizionali di pubblicità on-line e permettono di raggiungere, a costi relativamente bassi, milioni di utenti, creando un'esperienza coinvolgente, che fa in modo che le persone non cambino pagina di fronte al messaggio commerciale.

Secondo gli esperti le persone giocano solitamente per 10-15 minuti alla volta, si divertono e sono dunque portati ad associare il gioco ad una positiva esperienza di contatto con il brand, che viene ricordato meglio.

C'è poi l'effetto passaparola, per cui i giocatori spediscono o segnalano il gioco agli amici, abbattendo i costi ulteriori di stampa o distribuzione per l'industria che li propone.

I vantaggi però non si limitano agli effetti sul marchio: i giocatori infatti possono registrare i loro punteggi e questo non solo aumenta il traffico sul sito, ma permette anche di farsi lasciare importanti dati demografici e di far iscrivere gli utenti a newsletter promozionali mirate.

Se si pensa che, ad esempio, un gioco creato da Mike Bielinski e Dan Ferguson di Blockdot per M&M's è stato giocato per oltre 12 milioni di volte i vantaggi risultano piuttosto evidenti.

Non è solo un business per colossi internazionali: anche Le PMI possono pensare a questa forma di pubblicità, facendo attenzione però ai costi di distribuzione, che, ad esempio, può essere risolta tramite giornali locali, confidando nel passaparola fra gli utenti per un?ulteriore diffusione.

Chiaramente anche l'advergaming è cambiato e maturato dai suoi esordi, la tecnologia ha fatto molti passi avanti, nonostante l'idea di partenza sia rimasta sempre la stessa, e, secondo Forrester Research, il mercato dell'advergaming, nel 2005 vale oltre un miliardo di dollari (cfr. Charlene Li nel report "Best Marketing Practices With Advergames").

Si tratta di un business che sta coinvolgendo anche l'Italia, non più tardi di qualche giorno fa infatti mi è arrivato via e-mail un gioco promozionale (con tanto di premi) da parte di un grosso gruppo del settore caseario/alimentare.

Molti marketers quindi si sono interessati al questa occasione di business ma è comunque necessario che gli advergames rimangano più un gioco che una pubblicità, perché gli utenti sono ormai maturi e non si fanno prendere in giro impunemente.

Gianluigi Zarantonello

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Di Danilo Arlenghi (del 21/12/2005 @ 06:32:51, in Marketing, linkato 1932 volte)
Gli istituti di ricerca stanno escogitando nuove tecniche e fiutano l'aria in cerca delle sue tracce, ma il consumatore sembra scomparso. Che fine ha fatto?

A domandarselo sono sociologhi, marketer, psicologi, imprenditori, manager, pubblicitari, comunicatori, commercianti e perisno la gente comune che si chiede che fine abbia fatto quel suo alter ego, quel tale che si inferforava per ogni ultimo modello, andava in crisi d'identutà senza una firma addosso, cambiava l'auto più spesso degli indumenti intimi e si dedicava all'accumulo di quantità industriale di prodotti come se stesse facendo scorte per un letargo lungo cinque anni.

Le avvisaglie erano nell'aria: negozi mezzi vuoti (e sono già ottimista), consumi in ribasso, pensioni da fame, in compenso (si fa per dire!) i prezzi , l'inflazione e la disoccupazione sono le sole variabili a salire. Le imprese , preoccupate, erano state le prime ad attivarsi: "Spendi, perchè se lo fai l'economia gira con te!" avevano flautato, lanciando nell'etere uno spot da pifferai magico con ricetta risolutoria.

Ma, se non altro per l'insistenza, al consumatore, avevano fatto girare, qualcosa. Non esattamente quel che si aspettavano. Gli esperti, gli aruspici dei comportamenti sociali, quelli che nel '69 avevamo previsto il '68 (per intenderci) hanno una pronta soluzione. Il suo nome è creatività!
Che , a me pare come l'Araba Fenice: tutti ne parlano e nessuno sa dove sta!
Si , perchè oramai , il consumatore sa bene come difendersi da sciocchi imbonimenti dai quali è bombardato ogni momento e distingue questi ultimi da una campagna sul podio a Cannes.

Una comunicazione efficace, in grado di sollecitare le corde del desiderio, e del bisogno necessità più che di grandi investimenti, di grande intelletto. Meno soldi e più creatività. La creatività non consiste di certo nel colpire il consumatore a tradimento, in modo invasivo e continuativo, perchè questa modo di approccio ha mutuato atteggiamenti e linguaggio dalla guerra: strategie, tattiche, target, campagne, conquiste di territori....

Si sa che gli italiani sono tra i popoli più pacifisti della Terra. Ed ancora: il rischio può essere che in questa guerra senza regole alla conquista del consenso, la reazione del troppo bersagliato acquirente sia quella di reagire facendo ricorso all'arma definitiva e letale: il telecomando. La creatività non è fatta di agguati e aggressioni, ma di parole e di immagini: McLuhan ha affermato che una immagine vale più di mille parole, e per dimostrarlo ha dovuto scrivere più di un libro.

Le immagini col tempo sbiadiscono, si cancellano. Le parole superano intatte i millenni. Nella civiltà dell'immagine l'ultima frontiera della comunicazione è la conquista del vocabolario. La creatività, quintessenza della pubblicità,è l'anello di congiunzione fra la marca e il gradimento del consumatore.

La creatività è insieme inventiva, intelligenza, mestiere. E quando Maometto consumatore sembra poco propenso ad andare alla montagna pubblicitaria, quest'ultima è costretta a muoversi verso il consumatore, anche con strumenti below the line, escogitando espedienti per farsi prima udire, poi sentire, ed infine comprendere.

Jacques Seguelas, uno dei più grandi creativi francesi, sostiene che i consumatori non comperano prodotti, ma sogni. Quali siano i sogni in cui desideriamo cullarci fa parte di quel libero arbitrio dell'inconscio che spesso e volentieri ci rende immuni anche alle più elocubrate seduzioni dei venditori di chimere.
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Di Matteo B. (del 20/12/2005 @ 13:48:16, in Internet, linkato 1723 volte)

Rumori sempre più insistenti parlano di una possibile alleanza tra Aol e Google, mentre Microsoft, secondo pretendente, sarebbe ormai fuori gioco.

A Google le risorse per l’acquisizione non mancano di sicuro, mentre Aol si avvantaggerebbe dagli ottimi volumi pubblicitari che il motore di ricerca è in grado di portare. Una prima stima sulle cifre dell’operazione parla di un acquisto da parte di Google del 5% di Aol, per una contropoartita che si aggirerebbe sul miliardo di dollari.

Tra i potenziali sviluppi derivanti da questa unione una delle ipotesi che circolano è che Google possa in qualche modo influenzare le ricerche fatte tramite il proprio motore, dirottando un numero crescente di utenti sul portale di Aol, con evidenti vantaggi in termini di advertising.

Si tratterebbe però di una scelta con molti rischi associati. Una delle chiavi di successo di Google è la precisione e l’affidabilità delle ricerche. Se dovessero sorgere dubbi sulla sua neutralità è quindi sull’efficacia dei risultati forniti molti utenti potrebbero cambiare rapidamente bandiera, e utilizzare uno dei tanti concorrenti che cercano da anni invano di strappare il monopolio della ricerca al motore di Mountain View.

Del resto si sa che la fedeltà su internet è molto volatile, e decisioni avventate di oggi possono vanificare in poco tempo anni di sforzi, investimenti e credibilità.

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