Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Non sono più solo i grandi social network mondiali ad attirare le attenzioni degli utenti. Business Insider ha confrontato le grandi reti sociali di tutto il mondo in due modi, ovvero valutando la dimensione totale del pubblico e considerando i mercati in cui ognuno ha il maggior potenziale di crescita, insieme ai loro dati demografici in termini di paese di origine.
Dal confronto emergono dati interessanti:
Facebook vanta ancora la più grande popolazione di utenti a 1,16 miliardi al mese ma è meno noto che Youtube non abbia numeri così inferiori, viaggiando sul miliardo anch’esso. L’86% degli utenti Facebook sono esterni agli Stati Uniti.
Il gigante social network della Cina, Qzone, è in terza posizione a 712 milioni di utenti totali . Per avere una dimensione del fenomeno basti pensare che è due volte più grande della app di messaggistica WhatsApp, e tre volte più grande di Twitter.
Tre dei primi 10 sociali del mondo sono piattaforme di messaggistica : WhatsApp , LINE , e WeChat.
Facebook ha 95 milioni di utenti in Cina ( nonostante il fatto che sia ufficialmente bloccato ), 68 milioni in India , 42 milioni in Brasile . In altre parole in questi mercati si raggiunge una massa di utenti due volte più grande della popolazione di Facebook negli USA.
Quasi il 25% degli utenti di LinkedIn sono in India ed è l’unico grande social a non essere bloccato in Cina, dove ha oltre 20 milioni di utenti nel paese.
Google+ ha 100 milioni di utenti in Cina , Twitter ne ha 80, e YouTube 60 milioni.
Via Tech Economy
Le nuove tecnologie hanno conquistato ormai un posto fisso nella vita di tutti i giorni. Sempre più persone utilizzano i servizi offerti da Internet e della rete in mobilità e lo fanno soprattutto grazie ai nuovi device che veicolano sempre e ovunque contenuti da fruire. Questo fenomeno riguarda gran parte della popolazione che comprende non solo giovani e adulti, come si potrebbe più facilmente pensare, bensì anche gli utenti più piccoli.
Quasi due bambini su cinque, infatti, ha cominciato ad utilizzare un tablet o uno smartphone prima di riuscire a parlare con frasi di senso compiuto. A rivelarlo è un nuovo studio condotto dall’istituto di ricerca Common Sense Media secondo cui il 38% dei bambini al di sotto dei 2 anni ha utilizzato un dispositivo mobile per giocare o guardare video. Un incremento importante se si pensa che nel 2011 la percentuale di bambini era solo del 10%.
La percentuale incrementa con l’aumento dell’età: a 8 anni, infatti, il 72% di bambini hanno utilizzato almeno una volta uno smartphone, un tablet o altri dispositivi simili. ”Questo è il vero segnale che indica l’arrivo della nuova generazione digitale”, afferma Jim Steyer, CEO di Common Sense Media.
Lo studio ha inoltre mostrato che l’uso di dispositivi mobili tra i bambini molto piccoli sta crescendo rapidamente, specialmente se comparato con altri media. L’audience televisiva è rimasta stabile, registrando per il 2011, così come per il 2013, che la percentuale di bambini al di sotto dei 2 anni incollati allo schermo è del 66%. L’uso del computer è cresciuto dal 4% al 10% nel corso dei due anni, mentre la visione di DVD è diminuita, dal 52% nel 2011 al 46% nel 2013.
La ricerca dimostra che, non solo più bambini utilizzano tablet e smartphone, ma che il loro uso si protrae per periodi di tempo maggiori. La quantità di tempo trascorso utilizzando questi dispositivi è, infatti, triplicata : nel 2013, i bambini dai 0-8 anni hanno speso una media di 15 minuti al giorno con in mano dispositivi mobili, in aumento rispetto ai 5 minuti in media al giorno nel 2011. ”Stiamo assistendo ad un cambiamento fondamentale nel modo in cui i bambini consumano i media“, ha dichiarato Steyer . “I bambini che non possono nemmeno parlare cammineranno fino ad una TV e cercheranno di farla funzionare toccando lo schermo come per un iPad o un iPhone “.
Il CEO di Common Sense Media non manca, però, di sottolineare come in questo utilizzo da parte dei bambini dei nuovi dispositivi abbia ovviamente i suoi pro e i suoi contro. La preoccupazione, infatti, è che se da un lato i tablet possono essere un ottimo strumento educativo, dall’altro, se abusati ed utilizzati come babysitter, potrebbero causare gravi danni allo sviluppo.
Via Tech Economy
Tre anni compiuti qualche settimana fa, il social network Pinterest sembra voler festeggiare in grande stile. Nel giro di pochi giorni, infatti, si sono susseguiti numerosi annunci riguardanti l’espansione del colosso fondato da Ben Silbermann. Un po’ come è successo per Twitter, trovare un modo per iniziare a fare soldi (di quelli a 9 cifre) non è sempre facile.
L’idea c’è, è geniale, ma come monetizzarla?
I cervelli dietro Pinterest si sono finalmente decisi e hanno presentato alla stampa il nuovo business model per il social network, che finora era sostentato da sponsorship e venture capital. Niente di innovativo ma nemmeno troppo scontato: Silberman dice no ai banner pubblicitari, ma segue piuttosto la strada di Facebook e lancia i “promoted pins“. Questi contenuti pubblicitari, appariranno a fianco dei risultati organici con solo una didascalia a distinguerli. Visto la contraddistinta attenzione allo stile che pervade il brand, tutto sarà confezionato ad arte ed il cattivo gusto messo al bando.
Al momento in fase di rodaggio e disponibile solo per alcuni importanti marchi, la piattaforma pubblicitaria sarà presto disponibile tramite API anche per gli altri inserzionisti. L’azienda è una favorita nella Silicon Valley, tanto da essere stimata $2.5 miliardi. Con 46 milioni di iscritti in tutto il mondo, Pinterest è secondo solo a Facebook nell’indirizzare utenti ad un sito esterno. Ci si aspettava che Pinterest mettesse in piedi un sistema di affiliazione e ci aveva anche provato mettendosi in partnership con Skimlinks, ma è durata solo un mese. Nel futuro, c’è un’altra partnership, questa volta con Telefónica che renderà l’app sempre aperta in Home Page per tutti gli utenti del gestore di telefonia mobile.
Tutto questo sembrerebbe incitare ogni pubblicitario a lasciar perdere Facebook, Twitter & co. per focalizzarsi su Pinterest. Eppure, sulla base dei dati di GlobalWebIndex, aggiornati al 2013, emerge che il fenomeno Pinterest è veramente esploso solo negli Stati Uniti ed in Canada, mentre in Italia non sembra aver attecchito. Infatti negli Stati Uniti si trova il 15% degli utenti equivalenti approssimativamente al 46% dell’utenza attiva mondiale, mentre da noi non si supera il 7% di account creati con solo il 2% di utenza attiva.
Chi è su Pinterest? Maggiormente donne, 2/3 rispetto agli uomini. Di conseguenza, i Brand che hanno maggior successo appartengono ai settori del fai-da-te, arredamento, cosmesi con qualche rara eccezione per alcuni marchi di tecnologia.
Vale la pena investire su Pinterest? Si, se operate nel commercio (in-store & online), avete un marchio women-friendly e siete disposti a dedicare parecchie risorse per creare una strategia di successo. Per tutto il resto, forse è meglio rispolverare la cara e vecchia email. Infatti il 13% dei clienti abituali conclude un acquisto tramite questo formato, mentre solo l’1% arriva da contenuti social.
Via Republic+Queen Magazine
Presentato il primo report "Mobile internet access and use among European children" studio basato sulle risposte fornite da 2mila giovanissimi di età compresa tra i 9 e i 16 anni, provenienti da Danimarca, Italia, Regno Unito e Romania. Il rapporto è stato realizzato nell'ambito del progetto di ricerca Net children go mobile finanziato dal Safer Internet Programme della Commissione Europea.
Emergono responsi interessanti, e prima di vedere di cosa i nostri giovani sono dotati, isoliamo lo sparutissimo dato relativo alle non dotazioni: in Italia solo il 7% del campione non possiede un cellulare abilitato alla navigazione. Nel contesto in cui l'indagine si situa il 53% dei ragazzi possiede uno smartphone, usato quotidianamente per navigare dal 48%. In Italia i giovani che accedono ad internet usando un device mobile sono il 42%, prevalentemente sia reti 3G sia wi-fi, il 28% solo da reti wi-fi, segno che gli operatori telefonici hanno ancora una grande fetta di mercato da spartirsi con offerte mirate e sempre più competitive.
I device mobili rimpiazzano sempre più quelli fissi: il 26% dei ragazzi assunti a campione usa lo smartphone durante gli spostamenti, percentuale che sale al 39% e che considera coloro che ne fanno uso anche tra le mura di casa, nella privacy della propria camera da letto. In Italia, e anche questo è un dato che mostra un certo interesse, l'81% dei ragazzi naviga da casa ogni giorno (a prescindere dal mezzo utilizzato), l'uso quotidiano della Rete da scuola è prerogativa solo dell'8%. Anche sforzandosi di credere che le scuole siano poco propense a lasciare agli studenti una qual certa libertà nell'approcciarsi agli strumenti informatici, resta una percentuale piuttosto scarna o, se si preferisce, che lascia spazio a ampi margini di miglioramento.
Per quanto riguarda l'aspetto dei social network, in Italia, il 64% dei ragazzi ha un profilo su una rete sociale, al di sotto della media degli altri Paesi, in cui la percentuale si assesta al 70%. Nel dettaglio in Italia, il 15% dei bambini di età compresa tra i 9 e 10 anni ha un profilo su un social network, percentuale che sale al 52% dei ragazzi di 11-12 anni. Con il 96% Facebook si guadagna le preferenze dei giovani italiani. Per un uso consapevole della Rete arriva in aiuto "Anche io ho qualcosa da dire", il tour itinerante partito da Genova e promosso da Telecom Italia.
Via IlSole24Ore.com
I messaggi condivisi su Facebook e Twitter portano alla luce segnalazioni sulla diffusione di alcune malattie nelle nazioni e nel mondo: la piattaforma Sickweather può rivelare quali sono le aree più interessate da un'epidemia durante la giornata. Abilita ad esempio le previsioni di picchi improvvisi di influenza grazie al monitoraggio continuo del web. Raccoglie i post degli iscritti nei social network che dichiarano di essere ammalati fino a plasmare una bussola sul territorio durante le emergenze. Inoltre permette l'accesso agli archivi dei giorni precedenti ricostruiti ora dopo ora. Ha anche un'applicazione su Facebook. Negli ultimi anni i social media hanno dimostrato di essere una risorsa decisiva di data mining. E diventano un laboratorio dove costruire applicazioni creative in crowdsourcing grazie alla collaborazione del pubblico online.
Downrightnow è un punto di riferimento quando nei social network si diffonde la voce dell'inaccessibilità di una piattaforma sul web come ad esempio la posta elettronica, una rete sociale digitale o uno spazio di videostreaming. Aggrega gli avvisi e indica quando superano una soglia critica: in questo modo se una persona non riesce a consultare la sua casella email può verificare in tempo reale quando un problema è locale oppure coinvolge una platea più ampia. Anche in caso di attacchi distributed denial of service da parte dei pirati informatici Downrightnow contribuisce a una stima dell'estensione dei danni e della velocità di reazione degli spazi inclusi nelle sue analisi fino al ripristino delle attività online.
I social media sono un'agorà dove monitorare in diretta gli umori sul web. La Loughborough University ha avviato il programma Emotive: nel Regno Unito esamina 2mila tweet al secondo per capire lo stato d'animo che le persone esprimono nei micropost fino a sviluppare un'ampia lente d'ingrandimento nel territorio. Anche l'United States Geological Survey ha una sonda nei social network e ha elaborato una piattaforma che scandaglia i tweet con la parola «terremoto»: i dati raccolti sulla frequenza dei micropost sono poi distribuiti mediante Twitter quando avvengono catastrofi naturali. Finora la rete sociale online ha dimostrato di essere utile nella ricerca scientifica per contribuire a rilevare le prime segnalazioni di un sisma percepibile dagli esseri umani. Metwit, invece, è uno spazio di previsioni meteo arricchite dal crowdsourcing con indicazioni dal territorio che possono aggiungere informazioni preziose e insieme compongono una visualizzazione dei fenomeni.
Quello del data mining nei social media è un settore ancora in evoluzione come emerge anche nella documentazione preliminare inoltrata da Twitter alla Sec in vista della quotazione in Borsa: nei primi nove mesi dell'anno l'accesso della sua piattaforma online abilitato ai partner esterni ha generato l'8% del fatturato del social network in grado di alimentare la sua macchina da soldi attraverso la pubblicità. Twitter evidenzia l'interesse dei servizi finanziari ad avere informazioni in tempo reale acquisite mediante i micropost.
Via llSole24Ore.com
Sono 13,2 milioni gli italiani che hanno scelto l’online per i loro acquisti nell’ultimo trimestre, con una stima di oltre un miliardo di euro spesi con cadenza mensile nel corso del 2013. Questi alcuni dei dati salienti dell’ultima indagine condotta da Human Highway per Netcomm, il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano e presentata nel corso del Digital Fashion.
Gli eShopper si dividono in due categorie: 5,1 milioni sono acquirenti sporadici, mentre 8,1 milioni sono acquirenti abituali con tre o più beni comprati negli ultimi tre mesi. Gli sporadici hanno al loro attivo uno o due acquisti nel trimestre, hanno effettuato complessivamente 6,5 milioni di acquisti (il 14% del totale) e hanno generato 680 milioni di euro nel trimestre (16% del totale). Gli abituali, invece, hanno realizzato tre o più acquisti nel trimestre, hanno compiuto 40,1 milioni di acquisti e hanno generato 3.540 milioni di euro nel trimestre. Proprio questi ultimi – gli acquirenti online abituali – guidano la crescita dell’ecommerce nel nostro Paese, generando l’86% del valore totale delle transazioni.
In particolare, nell’approfondimento dedicato agli acquisti online di prodotti “fashion” i consumatori che hanno comprato un prodotto di moda almeno una volta nella vita sono cresciuti di 1 milione di unità (1,1 milioni) nell’ultimo anno, arrivando a sfiorare quota 9 milioni di individui, con un incremento del 14,5% rispetto all’ottobre 2012. Inoltre, nei primi 8 mesi del 2013 gli acquisti online di prodotti di abbigliamento hanno generato transazioni per un valore superiore del 25,5% rispetto allo stesso periodo del 2012 (dati dell’Osservatorio CartaSì).
Numeri incoraggianti che mostrano anche come il web entri sempre più da protagonista nel processo di scelta e acquisto dei consumatori, senza dimenticare la dimensione fisica dello shopping: “sondando più in profondità i comportamenti di chi ha fatto esperienza sia della modalità di acquisto online nella moda (web o via mobile/app) sia di acquisto in negozio tradizionale – spiega Roberto Liscia, Presidente di Netcomm – Consorzio del Commercio Elettronico Italiano - osserviamo che si preferisce compare sulla rete perché il catalogo è più ampio, per una maggiore convenienza e perché si trova sempre quel che si cerca. Sul canale tradizionale ci cerca ancora assistenza e servizio al cliente, a dimostrazione di come proprio nell’integrazione multicanale i brand del fashion possano trovare la vera ricetta per competere”.
Via Tech Economy
In un post sul suo blog ufficiale, Twitter fa sapere che ora tutti i marketers che utilizzano Twitter Ads, potranno pianificare i loro “cinguettii” con date ed orari specifici fino ad un anno di anticipo.
Potranno essere coordinati con nuove o già esistenti campagne di Promoted Tweet e permetteranno, a chi si occupa della pubblicazione di contenuti, di poter gestire comodamente i post senza dover sottostare a vincoli di orari. In questo modo, inoltre, chi si occupa della creazione di campagne promozionali, avrà maggiore flessibilità nel pianificare la pubblicazione dei contenuti in linea con eventi o anteprime.
Come si può notare dall’immagine, i tweet potranno essere creati e programmati tramite il pulsante in alto a destro sulla barra di navigazione o tramite il pulsante “Compose tweet” nella pagina “Creatives” che, a detta di Twitter, sta per essere incrementata con la possibilità per gli utenti di creare e gestire sia i tweet programmati sia le schede in un unico spazio. Il nuovo tab “Creatives” farà la sua apparizione nella barra di navigazione in alto tra “Campaigns” e “Analytics”.
Via Tech Economy
Google ha reso pubblici qualche giorno fa, precisamente l’11 ottobre, i nuovi termini di servizio per un migliore utilizzo della piattaforma e dei suoi servizi che verranno attivati il prossimo 11 novembre.
Accedendo alla home page del motore di ricerca, non si può non notare, tra la vastità di bianco che predomina la pagina, una barra blu in alto a sinistra. È qui che si può, cliccando, venire a conoscenza delle nuove regole dettate dal colosso del web. Sempre “attento” alle esigenze degli utenti, Google specifica che ci sono ben due pagine da poter consultare: una per i più esperti di terminologia legale, l’altra per i comuni mortali (“Dato che molti utenti sono allergici ai testi legali, per comodità è disponibile un riepilogo in un linguaggio semplice.”).
In realtà, i nuovi termini del servizio non sono altro che un aggiornamento di quelli precedenti con l’aggiunta di tre cambiamenti che riguardano in sostanza un chiarimento su come il nome e la foto del profilo potrebbero apparire nei prodotti Google; un promemoria relativo all’utilizzo sicuro dei dispositivi mobili; dettagli sull’importanza di mantenere riservata la password.
Tra le tre novità, quella che suscita più clamore è senz’altro la possibilità di vedere a breve la propria faccia e il proprio nome su un annuncio pubblicitario messo in evidenza tra i risultati di ricerca di Google. Come si apprende dal comunicato, infatti, “se l’utente dispone di un account Google, il nome e la foto del profilo nonché le operazioni effettuate su Google o tramite applicazioni di terze parti collegate all’account Google (come fare “+1″, scrivere recensioni e pubblicare commenti) potranno essere visualizzate da Google nei propri Servizi, inclusa la visualizzazione in annunci e in altri contesti commerciali”.
Questo significa che, se un utente cliccherà sul “+1″ o commenterà sulla pagina della sua pasticceria preferita, ci saranno molte probabilità che quello stesso utente vedrà la sua immagine ed il suo nome sponsorizzare un eventuale annuncio che la pasticceria ha pubblicato sul sito. Il cambiamento, però, riguarda tutti i servizi offerti: dalle ricerche online a Maps, dallo store Play ad Adwords.
googleTale modifica che, secondo il colosso del web “consente di risparmiare tempo e di migliorare i risultati per l’utente e per i suoi amici in tutti i servizi Google”, ad un primo impatto è sicuramente una novità che può spaventare i più affezionati alle regole della privacy. Per far fronte ad eventuali proteste da parte dei consumatori, però, il motore di ricerca si guarda bene dallo specificare che “gli utenti hanno il controllo di ciò che condividono”. Nello specifico Google puntualizza, innanzitutto, che le uniche persone in grado di vedere il profilo di un utente su una pubblicità saranno solo quelle che si hanno tra i contatti; in secondo luogo, per quanto riguardo le cosiddette “conferme condivise” negli annunci (ovvero i consigli che gli utenti darebbero con i loro “+1″ e commenti), si assicura all’utente di avere la possibilità di modificare in qualunque momento le impostazioni che riguardano la gestione di tali informazioni. Ciò significa che, se qualcuno non volesse “prestare la faccia” per un annuncio pubblicitario, potrebbe facilmente disattivare l’opzione nell’apposita pagina “Conferme condivise”.
Tale possibilità è consentita, però, solo per quanto riguarda gli annunci. Questo significa che non verrà disattivata la comparsa dei propri dati (nome e foto) dagli altri servizi come il Google Play.
Le altre novità inserite nei termini di servizio riguardano, come accennato, l’utilizzo sicuro dei dispositivi mobile e la sicurezza delle password. In questo caso si tratta solo di due “consigli”: il primo relativo alla sicurezza fisica dell’utente, si invitano le persone a non utilizzare i servizi di Google mentre si sta compiendo azioni importanti come guidare; il secondo consiglio riguarda, invece, la sicurezza delle proprie password che non devono mai essere cedute ad altri. A riguardo si può beneficiare di strumenti come la verifica in due passaggi o la generazione di codici specifici per le singole applicazioni in modo da incrementare la sicurezza delle proprie informazioni personali.
Via Tech Economy
Una moda che ha preso piede anche alle nostre latitudini, trovando spazio in alcuni dei talk show più popolari del palinsesto televisivo in chiaro. Stiamo parlando della possibilità di inviare in diretta via Twitter un commento relativo al tema del dibattito che anima il programma Tv. Seduti sul divano di casa, tablet e "hashtag" alla mano e pronti a scrivere la propria idea (ovviamente in meno di 140 caratteri) su fatti di cronaca, attualità e politica.
È una delle facce della rivoluzione digitale, quella che prevede l'uso del "secondo schermo" (il pc a tavoletta) in combinazione con quello da sempre più utilizzato (il televisore) dentro le mura domestiche. Da qualche mese questa attività è sistematicamente misurata, grazie a Nielsen. "Twitter TV Ranking", i cui primi risultati dovrebbero essere annunciati oggi, è infatti un servizio che andrà misurare i tweet inviati dell'audience unica nel corso di un determinato programma. Gli impatti sulle campagne di advertising Perché si è reso necessario dare vita a un servizio di questo tipo? Perchè, e lo documenta con opportuni esempi il Wall Street Journal, gli show televisivi che evidenziano maggiore attività sul microblogging spesso non sono quelli che vantano l'audience di pubblico più alta. Conoscendo nel dettaglio i numeri delle trasmissioni più seguite e trainate dagli utenti di Twitter, gli inserzionisti potranno avere spunti e dati più precisi per pianificare le rispettive campagne, anche sul social media.
Alla base del nuovo "Tv Ranking" c'è, del resto, una motivazione di natura commerciale, fondata sull'idea che più è alto il coinvolgimento su Twitter (il cosiddetto "engagement") maggiore potrebbe essere l'attenzione dei telespettatori per le pubblicità inserite nei programmi. Per il social network, inoltre, si apre un importante nuovo filone di partnership a livello di contenuti, e l'accordo siglato un mese fa con Cbs, che abiliterà il network Tv americano ad integrare video clip di un'ampia varietà di suoi programmi nei propri tweet, va proprio in questa direzione. I numeri del social network Le ultime cifre di Twitter, in attesa di sapere se il valore di quotazione sfonderà o meno il muro dei 10 miliardi di dollari (si parla di una capitalizzazione possibile di 15- 20 miliardi subito dopo l'Ipo), sono le seguenti: oltre 218 milioni di utenti unici mensili (contro i circa 1,2 miliardi di Facebook) e circa 500 milioni di tweet al giorno. A questi numeri va aggiunto quello che registra gli aggiornamenti della "timeline": 287 miliardi di volte nella prima metà del 2013, dato in crescita del 79% sull'analogo periodo del 2012. Non mancano, però, numeri che costituiscono ombre non indifferenti per il social network.
Nell'ultimo esericizio (terminato al 30 giugno), i ricavi sono stati di 450 milioni, di cui due terzi provenienti dalla pubblicità; la perdita netta dei dodici mesi è stata di oltre 100 milioni. I ricavi dell'ultimo trimestre sono sì in forte aumento (140 milioni di dollari) ma costituiscono solo l'8% di quelli di Facebook, che può oltre tutto esibire entrate di 1,6 dollari per ogni singolo utente, contro i 64 centesimi attualmente accreditati a Twitter. A dispetto di un 75% di utenti mobili mensili, infine, Twitter pare lamenti circa 10 milioni di profili falsi e una quota di spammer pari al 5%. Senza dimenticare i blocchi e le restrizioni cui è soggetto in Cina, Iran, Libia, Pakistan e Siria. Paesi che probabilmente non appartengono, per ovvie ragioni, al panel messo in piedi da Nielsen per misurare l'audience dei cinguettii in Tv.
Via IlSole24Ore.com
Il 69% degli italiani, contro una media europea del 59%, si dichiara pronto a risparmiare sull’abbigliamento, ma ben due terzi (il 64%, vs media europea pari al 58%) non sono propensi a rinunciare ai capricci gastronomici.
Un italiano su due (il 48%, in linea con il resto dei paesi europei) dichiara di fare la spesa più spesso per avere cibo fresco in base alle necessità: il valore del “carrello”, in termini di freschezza e qualità, resiste alla crisi.
I dati emergono dall’indagine che Nielsen ha condotto a livello mondiale nell’arco del primo semestre 2013 (Global Inflation Impact Survey), su un campione costituito da più di 29.000 intervistati online in 58 Paesi, con l’obiettivo di misurare il cambiamento del comportamento dei consumatori in uno scenario di aumento dei prezzi
Il 46% degli italiani (vs media europea pari al 56%), si legge nella ricerca, ammette di aver potuto acquistare nell’ultimo anno esclusivamente lo stretto necessario per vivere (cibo e beni basilari), il 43% (media Europa 34%) riconosce, invece, di aver avuto l’occasione di soddisfare qualche capriccio personale.
Solamente l’11% degli intervistati in Italia (in linea con il dato europeo pari al 10%) si dichiara in grado di spendere qualunque cifra liberamente.
Il 64% degli italiani, alla pari della media europea, afferma che non sarebbe in grado di affrontare, con l’attuale reddito, un aumento dei prezzi dei generi alimentari.
Le categorie merceologiche che più andrebbero incontro a una riduzione dei consumi, in caso di incremento del tasso inflattivo, in Italia sono le seguenti: ristorazione (due intervistati su tre, il 70%, hanno dichiarato di tagliare il budget di colazioni/cene fuori casa, contro la media europea pari al 59%), cinema e altri svaghi (il 54% dichiara di tagliare su questa voce, media europea pari al 43%), vacanze(il 51% degli italiani è pronto a ridurre i viaggi di piacere, media Europa 38%), alimentare (il 36% è deciso a contrarre la spesa, Europa 40%).
In generale, a livello europeo, si farebbe a meno prima di tutto dello shopping (60% dei rispondenti), dei pasti fuori casa (59%) e svaghi (dal cinema ai viaggi, 43%). Solamente per gli spagnoli (in ragione del 42% del campione vs 34% in Europa) cellulare e internet risultano una spesa superflua.
I settori che nel nostro Paese subirebbero un minore impatto da una prevedibile lievitazione dei prezzi sarebbero: l’alimentare (il 64% degli italiani dichiara di non tagliare in questo segmento di acquisti, contro una media europea del 58%), i prodotti per la salute (Italia 62% vs Europa 54%), le spese per la casa (60% vs media Europa 62%) e l’istruzione (40% vs media europea pari al 31%).
E’ da evidenziare che, in Europa, l’Italia è l’unico Paese, assieme alla Spagna, a volere tutelare dagli effetti negativi della crisi la voce istruzione: nella media europea questa è soltanto al settimo posto degli items da non “toccare”.
I tedeschi (il 43% del campione vs media europea del 19%) nel loro carrello della spesa non rinuncerebbero alle bevande (leggi “birra”!), mentre in Inghilterra non si riesce a fare a meno di internet e cellulare (40%, vs media Europa pari al 34%).
In uno scenario di aumento dei prezzi dei generi alimentari, 2 italiani su 3 (il 67%, in linea con la media europea) dichiarano di prediligere prodotti più economici e quindi le “private label”.
La tendenza più marcata in questo senso si riscontra in Spagna, Francia e Regno Unito, le prime due all’83% delle dichiarazioni degli intervistati, l’altro all’82%.
Ciononostante, pure in una congiuntura di crisi, “inconsciamente” aumenta tra gli italiani la propensione all’innovazione e alla sperimentazione: il 47% degli intervistati (media europea 40%) dichiara di essere pronto a sperimentare nuove marche. Segue a ruota il Regno Unito (46%), mentre Francia, Germania e Spagna si rivelano meno elastiche in questo senso, collocandosi, le prime due, al 40%, l’ultima al 32% dei rispondenti favorevole a provare nuovi brand.
Per ciò che concerne le abitudini di acquisto, in vista di un aumento dei prezzi, il 59% degli italiani dichiara di indirizzarsi verso prodotti in saldo (media eu 47%), il 54% di fare la scorta di prodotti di uso regolare se in offerta(media europa 44%), il 39% di ricercare offerte online (media Europa 31%), il 29% – come nel resto dell’Europa – di orientarsi all’acquisto di confezioni più grandi, il 26% di ricercare offerte speciali sui social media(media europea 25%), il 22% di abituarsi a fare porzioni più piccole (Europa 15%), il 20% di ricorrere alla spesa online (media europea 13%), il 19% di scegliere prodotti più vicini alla data di scadenza (solitamente questi sono in offerta nella grande distribuzione).
Solo il 5% dichiara di optare, se i prezzi aumentano, per la soluzione di comprare a credito.
Prendendo in esame i prodotti il cui consumo sarebbe considerato superfluo in una prospettiva di aumento dei prezzi, dalla Survey di Nielsen emerge che il 70% degli italiani (dato più alto in Europa) considera superfluo il consumo di snacks salati (media europea 61%), il 66%, come in Europa, di snacks dolci, il 60% di piatti pronti (media europea 51%), il 63% di essere disposto a rinunciare a pasti fuori casa (media europea 54%), il 63%alle bibite gassate (vs media Europa pari al 53%).
Naturalmente, tra le categorie meno esposte alla contrazione dei consumi,troviamo gli alimenti alla base di una corretta dieta alimentare (latte, cereali, pane, pasta, frutta, verdura, carne).
Queste voci in Italia fanno registrare i seguenti dati: il 21% degli intervistati diminuirebbe il consumo di latte (media Europa 19%), il 28% taglierebbe sui cereali non confezionati (media Europa 21%), il 20% sul pane (media Europa 22%), il 16% sul cibo confezionato (media Europa 23%); il 20% su frutta e verdura fresca (media eu 24%); il 26% sulla carne (media eu 28%).
Una delle strategie messe in atto dal consumatore italiano per tutelarsi da prevedibili aumenti dei prezzi è quella di individuare canali di vendita caratterizzati dalla presenza massiccia di offerte e promozioni.
Gli italiani diminuirebbero la frequentazione, tra gli altri, dei seguenti canali: il 48% del campione intervistato abbandonerebbe i negozi a conduzione familiare (media europea 35%); il 46% lascerebbe i piccoli negozietti di quartiere (media europea 37%); il 44% i minimarket (vs media europea 42%), il 39%, come in Europa, i negozi specializzati; il 39% i chiostri/distributori automatici (media europea 33%); il 17% i discount (Europa 15%); il 14% i format di pdv denominati “produzione propria/orto” (Europa 11%).
Come ultimo punto, vengono prese in considerazione le strategie dei consumatori per evitare sprechi di cibo.
In merito alle principali forme di intervento implementate dai consumatori in questo senso si riscontra che il 48% degli italiani (media Europa idem) fa la spesa più spesso per avere cibo fresco in base alle necessità; il 42% compra meno alimenti e bevande facilmente deperibili (Europa 38%); il 36% è attento ad acquistare i prodotti con una data di scadenza più lunga (Europa idem); il 32% cucina una maggiore quantità di cibo che poi surgela (Europa 33%).
In sintesi, nel Bel Paese, si fa più frequentemente la spesa, prediligendo i prodotti freschi rispetto a quelli a lunga conservazione e ai surgelati. Da ciò si deduce che in Italia la crisi non è “ancora” riuscita a diminuire il “valore” del carrello della spesa dei consumatori, in termini di freschezza e qualità.
Commentando i risultati della Inflation Impact Survey,Roberto Pedretti, Amministratore Delegato di Nielsen Italia, ha dichiarato: “Il tema dei prezzi per il consumatore italiano nel comparto alimentare è da sempre un tema “caldo” e lo diventa ancor di più in questi anni di crisi in cui il consumatore studia vere e proprie strategie e mette in pratica diverse contromosse per riuscire a risparmiare: sfrutta le potenzialità della rete per arrivare nel punto vendita “preparato” e con le idee chiare su prodotti e prezzi, predilige determinati canali di vendita, compra meno ma più spesso per garantirsi comunque cibi freschi. Ma, nonostante ciò”, ha sottolineato il CEO di Nielsen Italia, “il consumatore italiano non rinuncia alla “voglia di nuovo”: infatti è proprio in questi periodi di difficoltà che è tendenzialmente più aperto alla sperimentazione, a provare nuovi brand, a patto però che sia “tangibile” il beneficio effettivo”.
“Per delineare strategie di offerta innovative e sempre più competitive per gli addetti ai lavori dunque”, ha concluso Pedretti, diventa fondamentale conoscere a priori “il consumatore e il suo comportamento di acquisto al variare dei prezzi”.
Via Spot and Web
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