Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Starbucks continua a ottenere riscontri importanti, anche e soprattutto economici, dal mobile payment: il gigante americano del caffè rivendica di aver raggiunto la quota del 90% del miliardo e seicentomila dollari spesi nei negozi statunitensi utilizzando uno smartphone nel 2013, e nel 2014 probabilmente la quota non sarà molto diversa, nonostante l’introduzione di Apple Pay nel mese di ottobre.
I conti trimestrali danno conto di un successo nel settore dei pagamenti in mobilità che il colosso non è affatto intenzionato a cedere: nel suo primo trimestre fiscale del 2015 chiuso al 28 dicembre, la società ha dichiarato di avere 13 milioni di utenti da telefonia mobile negli Stati Uniti, in decisa crescita rispetto ai 12 milioni registrati nel mese di ottobre.
Il CEO di Starbucks Howard Schultz ha fatto dei pagamenti mobili una priorità assoluta, anche suggerendo alla fine dell’anno scorso le carte Starbucks potrebbero diventare una valuta più ampia che potrebbe essere utilizzata anche per comprare in altri negozi. Sarà una sfida, ma è chiaro che l’azienda non ha intenzione di cedere clienti ad Apple Pay, Google Wallet, o qualsiasi altro sistema di pagamento mobile.
Per ora l’applicazione Starbucks sta aiutando l’azienda a più livelli: l’applicazione ha contribuito a rinforzare il meccanismo alla base di Starbucks Rewards, il programma fedeltà dell’azienda, perché rende più facile tenere traccia degli acquisti per ottenere bevande gratuite e altri incentivi da parte degli utenti. Ma l’app di mobile payment alimenta anche altre ambizioni di Schultz, come il processo di ordine e pagamento in mobilità delle bevande: la società ha testato la possibilità di ordinare su smartphone e ritirare nei negozi per evitare linee a Portland, in Oregon nel mese di dicembre. La sperimentazione, anche in mancanza di numeri ufficiali, deve essere andata bene visto che la società prevede di lanciare lo stesso meccanismo in altri 600 punti vendita nel nord-ovest del paese nei prossimi mesi. “Una novità che farà crescere il numero delle transazioni mobili nei negozi,” ha spiegato Schultz.
Secondo molti analisti, se è vero che Apple Pay sta macinando successi presso gli utenti di iPhone 6 e presso brand e banche, e anche Google Wallet non sta certo a guardare, l’app di Starbucks sembra destinata a rimanere popolare grazie alla sua combinazione per ora unica di forme di pagamento associate a meccanismi di ricompensa per i clienti.
Via Tech Economy
Quali sono le principali tecnologie e innovazioni che caratterizzeranno il mercato nei prossimi 12-18 mesi? A questa domanda ha provato a rispondere Deloitte con una serie di Prediction che, per il 2015, “anticipano una rivoluzione nelle vendite al dettaglio paragonabile all’avvento dell’e-commerce – spiega Alberto Donato, Partner Deloitte e responsabile italiano Technology, Media & Telecommunication (TMT) – Saranno rivoluzionate le modalità di consegna degli acquisti online, ritirati quando e dove il cliente desidera, e i pagamenti in negozio, sempre più spesso effettuati con il cellulare.”
Ecco le “TMT Predictions 2015” che assumeranno particolare rilevanza nel mercato italiano:
La corsa all’ultimo smartphone coinvolgerà 1,4 miliardi di persone nel 2015 Si venderanno più smartphone che tv, tablet, pc e videogiochi messi insieme con ricavi per oltre 300 miliardi di dollari. Lo smartphone sarà l’oggetto tecnologico più desiderato dal grande pubblico nel 2015. Si stima infatti che saranno venduti circa 1,4 miliardi di nuovi smartphone in tutto il mondo, di cui un miliardo sarà acquistato dopo soli 18 mesi dall’acquisto dello smartphone precedente. Gli acquisti di nuovi smartphone nel 2015 porteranno, per la prima volta, il numero di possessori oltre la soglia dei 2 miliardi. I principali fattori che spingeranno alla scelta di un modello piuttosto che un altro saranno la varietà di nuove funzionalità offerte (come il riconoscimento con impronte digitali), le capacità della fotocamera ed il look accattivante.
La batteria dello smartphone continua a essere insufficiente Ma se i telefoni stravincono gli investimenti nella ricerca per realizzare batterie più efficenti non produrranno i risultati sperati: nel 2015 la carica durerà in media solo il 5% in più del 2014. La difficoltà consiste nel trovare un sostituto al litio, materiale attualmente utilizzato, che oltre a durare di più abbia anche le stesse caratteristiche di sicurezza, economicità e adattabilità. In Italia, la necessità dilagante di disporre di uno smartphone sempre carico ha dato vita al mercato molto diffuso delle batterie esterne.
Pagamenti via smartphone I presupposti ci sono tutti: Mastercard e Visa si sono preparate ai pagamenti in negozio con gli smartphone mentre per Apple è già realtà. La fine del 2015 segnerà il punto di svolta per l’uso dei telefoni cellulari come alternativa agli strumenti di pagamento tradizionali, avviando di fatto il processo per il quale lo smartphone diventerà un vero e proprio portafogli. Nel 2015, circa il 5% degli smartphone in tutto il mondo verrà utilizzato per effettuare un pagamento in un negozio, almeno una volta al mese. Percentuale oggi ferma allo 0,5%.
Compri Online e ritiri dove vuoi Scuole, parcheggi, banche e stazioni della metropolitana: i luoghi in cui il consumatore online potrà scegliere di ritirare i propri acquisti. Un cittadino europeo su due effettua acquisti online, richiedendo miliardi di consegne ogni anno di cui non è soddisfatto. Perché aspettare ore a casa l’arrivo del corriere quando è possibile scegliere dove e quando ritirare il proprio acquisto? Il 2015 vedrà il boom del “click & collect”, cioè la diffusione degli acquisti online consegnati in armadietti, stazioni ferroviarie e negozi, dove saranno gli utenti stessi a ritirare la merce. Si raggiungerà il mezzo milione di location ad hoc in Europa, con un aumento del 20% rispetto al 2014. Con il 67% delle preferenze, i luoghi più gettonati per la consegna saranno gli armadietti (dislocati in Italia per lo più vicino a scuole, banche e parcheggi), seguiti dalle stazioni e dai negozi. Proprio per i negozi le nuove modalità di spedizione potranno rappresentare un’opportunità ma anche un onere: se da una parte il cliente che entra a ritirare il pacco può essere invogliato ad effettuare acquisti tradizionali, dall’altra sarà necessario progettare negozi predisposti ad accogliere la merce da ritirare e a gestire i resi.
IoT: un affare per le aziende Non solo smartphone e tablet, nel 2015 saranno connessi a internet un miliardo di nuovi oggetti come elettrodomestici e automobili, con una crescita del 60% rispetto al 2014. Nonostante l’attenzione dei media sia concentrata sui benefici per i consumatori finali, gli oggetti connessi alla rete faranno guadagnare soprattutto le aziende, con ricavi fino a 10 volte superiori ai risparmi per i consumatori. Quali i settori per primi renderanno i loro oggetti “intelligenti”? In primo luogo quello energetico: i nuovi contatori saranno capaci non solo di rilevare cortocircuiti o disservizi, ma anche di abilitare un’analisi della domanda di energia nei periodi di picco evitando la costruzione di nuove centrali. Anche gli elettrodomestici intelligenti porteranno grandi vantaggi, fornendo in tempo reale dati mai raccolti prima sia sullo stato di usura che sulle modalità di utilizzo. Internet rappresenta il futuro anche del settore automobilistico: si stima che nel 2015 verranno vendute in tutto il mondo circa 16 milioni di automobili intelligenti (pari alle previsioni di vendita 2015 di tutto il mercato USA), con enormi ritorni economici per le compagnie di assicurazione.
Aumenta la velocità di navigazione del 20% 725 milioni di case saranno connesse alla banda larga, ma la vera rivoluzione sarà nelle performance e nella varietà dell’offerta. A livello globale, nel 2015 le case con una connessione a banda larga aumenteranno del 2% rispetto al 2014, raggiungendo 725 milioni. La rivoluzione non sarà nel numero di nuovi utenti ma nella crescita delle performance della connessione disponibile nelle case, con un aumento della velocità media di navigazione del 20%. Il mercato offrirà sempre maggiori tipologie di banda larga, diverse per prezzo e performance, facendo crescere il divario tra coloro che hanno accesso ad una connessione super veloce e quelli che preferiscono una connessione standard. Il divario sarà particolarmente evidente per chi usa funzionalità che consumano molta banda come lo streaming dei video.
Libro VS e-book: vince la carta Il paradosso della carta: i libri stendono gli e-book mentre le librerie sono messe KO dall’ e-commerce. CD, DVD e giornali sono stati ormai largamente sostituiti dai loro cugini digitali mentre il buon vecchio libro resisterà saldamente alla diffusione dell’e-book, generando l’80% dei ricavi del settore nel 2015. Lettori di tutte le età dichiarano di preferire libri stampati a quelli elettronici. Il libro cartaceo resta il preferito da circa il 60% degli intervistati non solo per l’innegabile fascino legato al tatto, alla vista e all’olfatto della carta stampata, ma anche perché facilita la memorizzazione dei contenuti. È apprezzata, inoltre, la copertina del libro tradizionale che trasmette una serie di informazioni impossibili da veicolare tramite un libro elettronico. Se nella lettura la tradizione prevale sui libri digitali, la stessa cosa non si può dire per le modalità di acquisto: dal 2009 le librerie continuano a chiudere battenti perché i libri, ormai, si comprano online.
Via Tech Economy
Sempre più mobile, sempre più video. Il futuro dell’advertising è tracciato, come quei romanzi che, inizi a leggerli, e sai già come finiranno. E chiedete pure a quelli di Facebook, che qualche mese fa hanno sborsato mezzo miliardo di dollari per assicurarsi LiveRail, piattaforma di video advertising che genera qualcosa come 7 milioni di video pubblicitari al mese. Oppure a Twitter, che nei mesi scorsi ha fatto incetta di startup del macrocosmo video, portandosi a casa MoPub, Namo Media e TapCommerce, e ora è pronta a lanciare la sua piattaforma, con una versione beta che è già disponibile per i profili verificati.
Proprio su Twitter è doveroso spendere qualche riga in più. E non solo perché la sfida dei video può ragionevolmente segnare il futuro del social network di Jack Dorsey.
A San Francisco sono abituati a fare le cose in grande, e dalle prime (e poche) indiscrezioni che trapelano dagli uffici di Market Street, si apprende che il video player di Twitter consentirà agli utenti di caricare video di una durata massima di 10 minuti, mentre i formati supportati saranno mp4 e mov, e non ci saranno limiti per la dimensione del file. Inoltre, l’immagine di anteprima, che spesso decreta il successo di un video, sarà selezionabile dall’utente. Il lancio? Ancora qualche settimana. Poi chiunque ha un account Twitter potrà postare video, senza ricorrere a piattaforme terze come Vine e YouTube.
La mossa di Twitter, e prima ancora quella di Facebook, sono probabilmente i segnali più chiari di come l’evoluzione dell’advertising online stia virando in modo deciso verso i video. Pre-roll, mid-roll e post-roll sono vocaboli ai quali faremo abitudine prestissimo, anche perché le previsioni lasciano poco spazio ai dubbi. Secondo un’infografica presentata da Iab Italia, il mercato del video advertising è in costante crescita negli ultimi due anni. E dovrebbe toccare quota 11,4 miliardi di dollari nel 2016. Un piatto ricco sul quale i colossi del web hanno posato gli occhi in largo anticipo. È notizia di qualche giorno fa, ad esempio, il nuovo finanziamento ottenuto da Teads, una delle piattaforme internazionali più popolari nel campo del video advertising. 24 milioni di euro per un’operazione finanziaria che la dice lunga sulla fiducia degli investitori nel settore e che vede coinvolte banche del calibro di Bank of China, Hsbc, Bnpp e Bpi.
Ora però, è già scattata la guerra ai click. E in questo senso la mossa più astuta, senza ombra di dubbio, pare essere stata quella di Mark Zuckerberg. Già da qualche mese Facebook ci ha “abituati” ai suoi video in auto-play, cioè quelli che partono da soli scorrendo la time line (per fortuna in modalità silenziosa). E “abituati”, attenzione, sembra il termine più adatto per descrivere la capacità pervasiva del social di Palo Alto. Ora, non appena i filmati pubblicitari sbarcheranno su Facebook, il business esploderà con forza devastante. Se la logica rimarrà quella attuale, basterà scrollare la time line per far partire un pre-roll correlato a un video. Ergo: basterà uno scroll per innescare il business. Anche per questo Twitter s’è mossa sui video. Rimanere indietro, oggi, potrebbe compromettere il futuro. I cinguettii potrebbero non bastare più, fra qualche mese.
La vera battaglia, dunque, sarà sulle visualizzazioni dei video. Una battaglia che, in realtà, è cominciata già da qualche mese e vede due protagonisti indiscussi: Facebook e YouTube, con il primo che da quando ha introdotto il proprio player sta insidiando i vari primati che lo storico “tubo” ancora detiene. Le statistiche si sprecano, e sembra l’ennesima guerra senza esclusioni di colpi fra Google e il social network da oltre un miliardo di utenti. Perché i numeri, in questo caso, non rimangono solo numeri. Ma si tramutano in danaro.
Via IlSole24Ore.com
Facebook conferma quanto scritto dal Financial Times lo scorso novembre: a breve offrirà un nuovo servizio dedicato alla vita professionale. L’azienda dice che sta iniziando a testare «Facebook at Work» insieme a «selezionati partner pilota». L’app sarà visibile sugli app store di iOS e Android e disponibile solamente per i partner dei test.
Facebook at Work, continua la nota, «è un’esperienza completamente separata da quella della piattaforma e offre agli impiegati la possibilità di connettersi e collaborare in modo efficace attraverso l'utilizzo degli strumenti Facebook – molti dei quali già noti e largamente utilizzati come il News Feed, i Gruppi, messaggi ed eventi. Sarà quindi possibile restare in contatto con i propri colleghi nello stesso modo in cui lo si fa con i propri amici e familiari attraverso Facebook. Facebook at Work offre infatti un'esperienza – anche visiva - simile a quella di Facebook, condividendone infatti gli strumenti».
L’ambizione di Facebook è dunque entrare anche nelle imprese, nella vita lavorativa dei suoi utenti. Il social network è infatti spesso bandito all’interno delle aziende, mentre in questi anni si sono fatti strada diversi tool collaborativi aziendali che cercano di imitare semplicità e condivisione cui siamo abituati in ambito privato. Secondo alcune indiscrezioni sui giornali americani, la versione per aziende sarebbe a pagamento e dunque non sostenuta dalla sola pubblicità.
Microsoft ha acquisito Yammer nel 2012, Google ha i suoi prodotti, Ibm un servizio chiamato “Connections” e una partnership con Apple per sviluppare app dedicate alle aziende. Insomma, è un mondo che si sta popolando e una opportunità di business. Ovviamente Facebook deve stare attento ai dati personali, pena l’esclusione dalle aziende, e infatti il comunicato ci tiene a sottolineare che le informazioni su Facebook at Work «sono al sicuro, protette, confidenziali e completamente separate da quelle del proprio Profilo Facebook personale. Le informazioni condivise tra gli impiegati sono infatti accessibili solamente alle persone della compagnia».
Via IlSole24Ore.com
Un “mi piace” su Facebook può dire molto della nostra personalità, più di quanto potrebbero fare i nostri migliori amici: per ogni “like” sul social network vengono lasciate tracce digitali che aiutano i computer a ricostruire il nostro carattere. La notizia arriva da uno studio pubblicato su Pnas, organo ufficiale dell’United States National Academy of Sciences, che ha messo a confronto la capacità delle persone e dei computer di esprimere giudizi sulla personalità. Lo studio, condotto dai ricercatori della Standford University e dell’Università di Cambridge, ha coinvolto 86.220 volontari che hanno compilato su Facebook un quiz sulla personalità con l’app myPersonality, rendendo accessibili i propri “like” al team scientifico. Mentre amici e familiari dei volontari descrivevano il carattere dei partecipanti un computer speciale, basandosi semplicemente sui “mi piace” degli utenti, ha svelato la personalità dei soggetti in modo più preciso. Ad esempio, analizzando 10 “mi piace” il computer ha descritto il carattere di un soggetto meglio di un collega di lavoro, con 70 ha fatto meglio di un amico, con 150 ha superato anche l’analisi dei familiari, con 300 quella del coniuge.
Via Business People
Nonostante le apparenze il Consumer Electronics Show, che si è appena concluso a Las Vegas, non è una fiera dedicata ai consumatori bensì a chi deve pensare e produrre servizi o prodotti. Il grande cambiamento che si respira crea però un problema: tutto sta diventando “Consumer electronics” e per questo ogni imprenditore o aspirante (gli startappari) e tutte le aziende, vecchie e nuove, dovrebbero interessarsi a quello che succede nel settore perché se non direttamente coinvolti lo potrebbero essere dalle conseguenze della sempre più spinta integrazione fra internet e le cose (potenzialmente tutte).
Il vero tema del Consumer Electronics Show è stato proprio questo: la Internet delle cose, detta anche Internet of things (IoT) o per chi esagera Internet of everything. Della possibilità che ogni oggetto possa avere intelligenza a bordo ed essere connesso alla rete si parla da trent'anni e 15 anni fa il fenomeno venne “battezzato” con la definizione che oggi conosciamo (Internet of things appunto) ma è adesso che si comincia a fare sul serio grazie alla combinazione di vari fattori: una massiccia diffusione degli smartphone, che sono uno snodo fondamentale per collegare le “cose”, connettività sempre più diffusa e veloce, varietà dei sensori e loro costo in caduta libera, altre componenti in silicio come le CPU più potenti ed economiche.
Nonostante ciò “serviranno ancora tre anni per delle linee guida ben identificate” spiega Benedetto Vigna, responsabile delle divisione che progetta e produce sensori in STMicroelectronics in una intervista a 2024 su Radio24. “Quello che stiamo vedendo ora è quello che accade sempre quando una nuova tecnologia prende piede - dice Vigna - ci sono tanti player, tante idee e pochi arriveranno al traguardo. Personalmente credo che quelli che avranno maggiori prospettive siano gli oggetti che già indossiamo come occhiali od orologi”. Un altro motivo che frena il boom della IoT è il consumo di energia: “il fenomeno si affermerà quando la combinazione fra protocolli di comunicazione wireless e sensori consumerà molto meno e STM sta lavorando per questo”.
I sensori sono i mattoni fondamentali per “animare” gli oggetti e finora il mercato si è ampiamente espresso inserendoli nei braccialetti o negli smartwatch che misurano i nostri parametri fisici. Altro ambito dove a Las Vegas si è visto grande fermento è quello della casa, dalla lampadina al termostato tutto si connette, anche se la giungla di protocolli di comunicazione e standard di connettività è ancora fitta e vedremo quindi molti cambiamenti nei prossimi anni. E poi, va detto, che non tutte le soluzioni viste sono davvero utili: avere un bollitore o la macchina per il caffè che si comanda dallo smartphone come abbiamo provato al Consumer Electronics Show cambia la vita? Insomma la buona notizia per un imprenditore o un'azienda italiana è che abbiamo ancora davanti alcuni anni per non perdere il treno e il caos di idee che c'è è una grande opportunità. A patto di buttarsi ora nella mischia per capire e comprendere come la miglior manifattura del mondo può trasformare i prodotti di oggi.
Via IlSole24Ore.com
Le vendite di musica fisica declinano in varia misura, fatta eccezione per il vinile, mentre lo streaming si conferma la modalità di consumo preferita dagli utenti che scelgono di fruire della musica immateriale con la mediazione della Rete: a confermare tendenze già evidenti anche sul mercato italiano sono i dati di fine anno relativi ai mercati musicali statunitense e britannico.
I numeri del mercato statunitense rilevati da Nielsen SoundScan mostrano il progressivo calo dei download degli album nel corso dell'anno, scesi del 9 per cento fino a 106,5 milioni. I download dei singoli brani hanno sofferto anche di più nel 2014, in calo del 12 per cento a raggiungere 1,1 miliardi di brani scaricati. A conferma di quanto già osservato nei mesi scorsi, è lo streaming a dominare: le platee statunitensi hanno consumato nel 2014 164 miliardi di brani in streaming, una crescita del 54 per cento rispetto al 2013. Nielsen suddivide i servizi di streaming in video e audio: la musica formato video, apprezzata in maniera causale su servizi come YouTube, domina ancora sui servizi audio con 85,5 miliardi di brani fruiti sul mercato statunitense, contro i 78,6 miliardi dei brani ascoltati sui servizi dedicati. Il pareggio, però, sembra vicino, complice l'avvento di piattaforme riservate esplicitamente allo streaming musicale e ad un ascolto più mirato: lo streaming musicale video cresce del 49,3 per cento, a fronte della crescita del 60,5 per cento della fruizione di tracce solo audio.
Se la nicchia del vinile vale sempre di più (9,2 milioni di dischi, in aumento del 51,8 per cento), i risultati ottenuti dai CD sul mercato statunitense, 140,8 milioni di vendite, confermano le tendenze che li condannavano ad un inesorabile e costante calo già a metà dell'anno: le vendite sono scese del 14,9 per cento rispetto al 2013, in cui già si registrava un calo del 14,5 per cento rispetto al 2012. Le analisi dell'industria della musica britannica fanno invece osservare un rallentamento del declino della musica venduta su CD: i numeri di BPI (British Phonographic Industry), pur evidenziando il sorpasso da parte del comparto digitale, rivelano come il calo dei CD si conti in un -7,9 per cento anno su anno, mentre nel 2013 l'industria aveva accusato un calo del 12,8 per cento.
Nell'ambito della musica immateriale, che ora rappresenta il 51 per cento del mercato britannico, anche BPI osserva un ridimensionamento sensibile del numero dei download: calano del 9 per cento le vendite di album, a raggiungere i 29,7 milioni in termini di vendite, e scendono del 14,2 per cento i download dei singoli brani. A far credere nel digitale è lo streaming, che vale ora il 12,6 per cento del mercato: il numero dei brani consumati dai netizen britannici è quasi raddoppiato, raggiungendo i 14,8 miliardi nel corso del 2014.
Se il 2014 ha consacrato lo streaming a promessa del prossimo futuro, il 2015 sarà il primo anno in cui i colossi di settore potranno mettere alla prova le proprie strategie: Google è prossima al lancio ufficiale di YouTube Music Key, ora disponibile su inviti, Apple sta lavorando al proprio servizio dopo l'acquisizione di Beats. L'anno appena iniziato potrebbe essere determinante per ristabilire gli equilibri anche a favore degli artisti, ancora scontenti delle opportunità offerte dalla tecnologia ma spesso offuscate dai contratti con le etichette che li rappresentano: è quanto auspica anche Bono, frontman degli U2 reclutato da Apple per un progetto ancora avvolto nell'ombra, dopo l'inoculazione del più recente album nelle playlist degli utenti iTunes.
Via Punto Informatico
Il numero dei post video per persona su Facebook è aumentato del 75% a livello globale e del 94% negli Stati Uniti; ogni giorno le persone in media caricano più di 350 milioni di foto su Facebook, mentre cresce anche l’uso degli sticker condivisi ogni giorno sul social di Zuckerberg: in crescita del 75% dal 2013 al 2014. Infine Instagram: più di 300 milioni di persone in tutto il mondo postano più di 70 milioni di foto e video ogni giorno. Sono questi alcuni dei numeri appena comunicati dal social network secondo il quale il trend fotografato non fa altro che confermare una tendenza ormai diffusa, ovvero il forte aumento da parte delle persone dell’uso del linguaggio visivo per comunicare. Un’abitudine sostenuta dalla tecnologia mobile che “mette a disposizione delle persone una fotocamera sempre pronta per catturare e condividere immagini e esprimere se stessi utilizzando la vista, i suoni e il movimento.”
Quale effetto su Facebook? “Dal momento che le persone creano, postano e interagiscono sempre con più video su Facebook, la composizione del News Feed sta cambiando” spiegano, tanto che, globalmente, la quantità di video dalle persone e dai brand nel News Feed è aumentata di 3.6 volte anno dopo anno. Da giugno 2014, Facebook ha raggiunto la media di 1 miliardo di visualizzazioni video ogni giorno e in media, più del 50% delle persone che accede a Facebook ogni giorno negli Stati Uniti guarda almeno un video al giorno.
“Una significativa porzione di queste visualizzazioni video avvengono da mobile: il 65% a livello globale. Questo passaggio ai video mobile continua grazie a una connessione più veloce, un accesso meno oneroso e schermi più grandi e a più alta definizione. Dal momento che gli adulti negli Stati Uniti usano 1 dei loro 5 minuti spesi su mobile su Facebook e Instagram, queste piattaforme saranno chiave in questa crescita.” E Facebook diventa anche il luogo dove più frequentemente gli utenti si imbattono, o scoprono, i video: “il 76% delle persone che utilizza Facebook negli Stati Uniti dice che tende a scoprire i video proprio su Facebook”.
Mobilità in crescita e video in aumento non fanno altro che offrire ai brand, spiega Facebook, “maggiori opportunità di raggiungere le persone in maniera visivavamente interessante, trascendendo le barriere linguistiche attraverso uno schermo che è con le persone ovunque e sempre. I brand hanno infatti bisogno di portare le storia in vita nel giro di pochi secondi.”
Purchè gli stessi brand comprendano l’importanza di strutturare i video con attenzione: il valore è creato molto rapidamente, iniziando dalla prima immagine e i primi pochi secondi (~3) del video. Per far sì che i pollici si fermino e le persone guardino, va assicurata una forte creatività dal primo frame in poi. “Il valore incrementale va al di là dei primi pochi secondi. Ciò che alla fine conta è il contenuto e la storia. Mentre le persone tendono a guardare video corti, guarderanno video più lunghi fintantochè questi video gli raccontino buone storie.” Inoltre, suggerisce Facebook, “visto che le persone guardano sempre più video dai loro dispositivi mobili durante il giorno, vanno creati video che funzionino bene sia con audio sia senza cosicchè le persone possano essere coinvolte anche se il video viene visto in silenzioso.” E infine campagne multischermo e per velocità di connessione differenti: “Le imprese dovrebbero ottimizzare la oro creatività per diversi schermi, dispositivi e velocità di connessione per raggiungere le persone nella maniera più convincente ed efficace.”
Dati, trend e consigli pratici che non fanno che confermare l’estrema attenzione del social di Zuckerberg verso il mobile e verso i video, trend realmente in crescita come testimoniano le analisi di molti osservatori.
Via Tech Economy
Quanto sono digitali gli italiani? Sappiamo dall’ultimo rapporto Istat che nel 2014 è aumentata rispetto all’anno precedente la quota di famiglie che dispongono di un accesso ad Internet da casa e di una connessione a banda larga (rispettivamente dal 60,7% al 64% e dal 59,7% al 62,7%). Sappiamo anche che oltre la metà delle persone con almeno 3 anni di età (54,7%) utilizza il pc e oltre la metà della popolazione di 6 anni e più (57,3%) naviga su Internet. Se questo è vero allora vuol dire che il 38,3% della popolazione italiana è offline. Fanno 22 milioni di persone. Ventidue milioni che non sono nell’agenda digitale.
Chi è offline?
Le quote maggiori di non utenti internet si concentrano nelle fasce di età più anziane e di uscita dal mondo del lavoro: la percentuale di non utenti tra i 65-74 anni è del 74,8% e sale al 93,4% tra gli over settantacinquenni. Alte anche le quote di non utenti tra i giovanissimi (1 milione 518 mila tra i 6-10 anni) che, seppure definiti “nativi digitali ”, per più del 50% non utilizzano la rete. Tuttavia, al netto del fattore età, che condiziona fortemente l’utilizzo del web, la presenza in famiglia di genitori che utilizzano Internet favorisce tale comportamento nei figli. Basti osservare che nelle famiglie in cui entrambi i genitori navigano su Internet, la percentuale di figli tra gli 11 e 14 anni che non frequentano il web scende al 6,7%, mentre nel caso in cui entrambi i genitori non navigano su Internet, la quota sale addirittura al 40,1 per cento.
Perché? Mancano le competenze.
E’ lecito quindi domandarsi perché. In base ai dati Istat scopriamo che la maggior parte delle famiglie che non dispongono di un accesso a internet da casa indica la mancanza di competenze come principale motivo del non utilizzo della rete (55,1%). Una percentuale significativa (24,3%) non considera Internet uno strumento utile e interessante. Seguono motivazioni di ordine economico legate all’alto costo dei collegamenti o degli strumenti necessari (15,8%). L’8,5% non naviga in rete da casa perché accede ad Internet da un altro luogo. Residuale è invece la quota di famiglie che indicano tra le motivazioni l’insicurezza rispetto alla tutela della propria privacy (1,9%) e la mancanza di disponibilità di una connessione a banda larga (1,4%).
In Val d’Aosta, a Bolzano e in Trentino internet è giudicata non è interessante.
Nell’info abbiamo voluto entrare nel merito analizzando le motivazione degli offline regione per regione. Scopriamo così che percentuali tra le più alti d’Italia di abitanti della Val d’Aosta, di Bolzano e del Trentino ritengono il web non interessante. In Campania, Sicilia e Calabria difendono il loro essere non online con gli alti costi di connessione. Mentre in Umbria il 60% di coloro che sono offline dichiara di non sapere usare internet. Più in generale le famiglie del Centro-nord che dispongono di un personal computer e di un accesso ad Internet da casa sono rispettivamente il 66% e il 66,6%, contro il 57,3% e il 58,3% delle famiglie del Mezzogiorno. Quest’ultima ripartizione registra un forte ritardo anche nella connessione alla banda larga: 56,4% contro 65,4% del Centro-nord.
Le ragioni regionali del non utilizzo
La geografia del grado di non utilizzo vede una maggiore prevalenza di non utenti nel Sud e nelle Isole (rispettivamente 45,5% e 43%), mentre nel Centro-nord circa un terzo della popolazione non naviga in rete. Le cause indicata del non uso del web sono principalmente la mancanza di gradimento e d’interesse verso questo strumento (28,7%), la totale non conoscenza di Internet (27,9%) e l’assenza di capacità nell’utilizzarlo (27,3%). Il 23,5% ha dichiarato di non utilizzarlo perché non gli serve e non ne trova utilità e il 14,3% ha affermato di non disporre degli strumenti necessari per connettersi. In pochi lamentano alti costi degli strumenti necessari per connettersi (4,3%) o delle tariffe di connessioni (3,7%). Il 3,1% si dichiara diffidente verso le nuove tecnologie e appena l’1,9% ha espresso preoccupazioni per la tutela della privacy. Mentre tra i minorenni una larga quota di non utenti ha dichiarato di non accedere al web in quanto gli è proibito dai genitori per la loro età, in particolare ben il 58,5% dei non utenti tra i 6-10 anni e il 42,2% tra gli 11-14 anni.
Quanta tecnologia c’è nelle case degli italiani?
Nel 2014 oltre la metà delle persone con almeno 3 anni di età (54,7%) utilizza il pc e oltre la metà della popolazione di 6 anni e più (57,3%) naviga su Internet. Rispetto al 2013 rimane stabile l’uso del personal computer mentre aumenta quello di Internet (+2,5 punti percentuali). In particolare aumenta l’uso giornaliero del web (+3,3 punti percentuali). Sono ancora forti le differenze di genere e di generazione. Per avere un quadro più completo su e-commerce e dotazione tecnologica basta consultare le ultime due info interattive.
Via IlSole24Ore.com
TV dovunque tranne che sul televisore del salotto di casa: una previsione per il nuovo 2015 che negli Stati Uniti è già una realtà. Gli ultimi dati di Nielsen indicano che negli Usa già 126 milioni di Americani guardano la televisione su dispositivi mobili almeno una volta al mese con un incremento del 25 per cento rispetto all’anno 2013. Dunque milioni di consumatori stanno sostituendo il tradizionale televisore con contenuti consultati in streaming su tablet , computer e smart TV.
La popolarità di servizi video online – Netflix, Amazon Prime e Hulu – è ormai consolidata nelle case americane. Si tratta di un fenomeno , definito TV Everywhere, che si fonda sulla visione di contenuti televisti on demand e attraverso app. E le grande catene di broadcasting fino ai canali con offerte premium a pagamento come HBO ne stanno prendendo atto. Anche giganti dell’elettronica come Sony stanno pensando a trasformare in maniera radicale le console di gioco come Playstation in un servizio TV disponibile via cloud. Il fenomeno va del tutto in parallelo con la crescita esplosiva del numero delle famiglie che dotano la loro casa unicamente di servizi Internet di collegamento a banda larga e non aderiscono invece a servizi tradizionali fissi di TV a pagamento.
Secondo un’indagine di The Diffusion Group circa il 14 per cento degli adulti che dispongano di un servizio a banda larga non possiedono invece un tradizionale servizio TV. Le grandi catene televisive del broadcasting – NBC, ABC, Fox, CBS – forniscono già qualche contenuto in streaming dal vivo , oltre che on demand e attraverso apposite app.Si tratta di un trend che gli esperti indicano come favorevole al consumatore il quale dispone in definitiva di una scelta più vasta a sua disposizione. Inoltre i consumatori sembrano aver adottato la scelta di aggiungere alla TV tradizionale anche abbonamenti e servizi di contenuti televisivi on demand che hanno fatto ad a esempio la fortuna di Netflix ( House of Cards), , che quest’anno sbarcherà in tutta forza anche in Europa.
Via TechWEEKeurope
|
|
Ci sono 168 persone collegate
<
|
novembre 2024
|
>
|
L |
M |
M |
G |
V |
S |
D |
| | | | 1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
8 |
9 |
10 |
11 |
12 |
13 |
14 |
15 |
16 |
17 |
18 |
19 |
20 |
21 |
22 |
23 |
24 |
25 |
26 |
27 |
28 |
29 |
30 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|