Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I video di Facebook senza pubblicità potrebbero presto essere un lontano ricordo. Il social network sta lanciando nuovi prodotti pubblicitari per i suoi video. In un blogpost la società ha annunciato di aver ampliato i test per gli annunci in video live e di aver iniziato a testare l’erogazione di pubblicità nel mezzo di un video pre-registrato. Ad Breaks è una soluzione per garantirsi un altro flusso di entrate ed è una sfida diretta a YouTube e alla televisione.
In termini di ricavi pubblicitari, Facebook ha superato le società di media tradizionali negli Stati Uniti per la prima volta nel novembre 2016. La monetizzazione sui video potrebbe allargare ulteriormente questo divario. L’azienda di Menlo Park sta testando le interruzioni pubblicitarie nei video live da un paio di mesi. Il programma si è esteso per includere più creator di contenuti o editori che abbiano almeno 2.000 o più seguaci e abbiamo recentemente raggiunto almeno 300 spettatori in un video dal vivo.
Facebook, annunci nei video live
I creator e gli editori che partecipano al test vedranno l’icona di un dollaro apparire nella finestra del loro video live quando questo ha raggiunto almeno 300 spettatori ed è stato live per almeno 4 minuti. A questo punto i partecipanti potranno toccare l’icona ogni cinque minuti e vedere un annuncio video della durata massima di 20”. A differenza di YouTube, Facebook non mostrerà gli annunci prima dell’inizio del video. I ricavi generati da questi annunci verranno divisi tra Facebook e l’editore, che dovrebbe ottenere il 55%, secondo Business Insider.
Annunci per i video pre-registrati
Facebook ha appena iniziato a testare anche gli annunci per il video pre-registrati con pochi selezionati partner, che potranno inserire gli annunci nei video che caricano o nei video glia esistenti nella loro library. “Nei prossimi mesi lavoreremo con questi partner per analizzare, imparare e ripetere la prima versione di questa funzionalità. Ci auguriamo di poter estendere il test ad altri partner in futuro”, dice la società. Il social network ha anche annunciato che gli editori prescelti saranno in grado di monetizzare i loro annunci video anche sulle app al di fuori di Facebook e sui siti attraverso Audience Network. Gli annunci sono disponibili solo per gli Stati Uniti, ma Facebook dice che spera “di espandersi in altri paesi in futuro”.
Via DailyOnline
Un incremento a doppia cifra per il mercato italiano della smart home, che stando agli ultimi dati dell'Osservatorio IoT del Politecnico di Milano nel 2016 mette a segno un +23%, per un giro d'affari pari a 185 milioni di euro. Il potenziale è ancora tutto nascente e per il 2017 sono attesi grandi sviluppi, considerato lo sbarco nel settore di colossi come Google e Amazon.
Nel nostro Paese l'82% del mercato è ancora legato alla filiera tradizionale, composta da installatori e distributori di materiale elettrico, ma cresce la quota dei “nuovi” canali come retailer, e-tailer e assicurazioni che insieme rappresentano il 18% (circa 30 milioni di euro).
I possibili impieghi sono molti e variegati, però la maggioranza delle oltre 290 soluzioni per la casa connessa censite in Italia e all’estero (il 31%) è dedicata alla sicurezza - tra videocamere di sorveglianza, serrature, videocitofoni connessi e sensori di movimento - seguita dalla gestione energetica, come le soluzioni per il controllo remoto degli elettrodomestici (10%), la gestione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento (8%), il monitoraggio dei consumi dei dispositivi elettrici (10%).
L'offerta di prodotti per la smart home è in continua evoluzione. Il 68% delle soluzioni sul mercato è “Do It Yourself”, con un processo di installazione semplificato, anche se non tutti gli utenti sono in grado di fare a meno del tecnico: il 70% di chi ha acquistato prodotti connessi si è rivolto a installatori o piccoli rivenditori. Il 52% delle soluzioni oggi è offerto da startup, che spesso sviluppano proposte complementari a quelle dei brand affermati.
I canali di vendita – Nel 2016 per la prima volta sono nate aree dedicate alla smart home nei negozi di elettronica, sono state lanciate le prime proposte nel mondo della gdo, mentre si nota una discreta diffusione nei negozi del fai-da-te e sono visibili sezioni di vendita nei siti online dei principali eRetailer. Nonostante volumi ancora limitati (20 milioni di euro circa, il 13% del mercato), retailer e eRetailer hanno un ruolo importante potendo fungere da vero e proprio showroom dei prodotti
Il 26% dei consumatori italiani dispone di almeno un oggetto intelligente e connesso nella propria abitazione e il 58% ha intenzione di acquistarli in futuro. Il 50% degli stessi, tuttavia, pensa che le tecnologie non siano ancora abbastanza mature e il 67% teme rischi per sicurezza dei propri dati personali.
Via Mark Up
Aol presenta i nuovi risultati sul comportamento del consumatore, ottenuti grazie alla Mobile Video Research, condotta in sette mercati: Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Francia, Giappone, Australia e Sud-Est Asiatico.
Lo studio indica come la scelta di utilizzare gli smartphone per visualizzare i video sia in continua crescita, rivaleggiando sempre più con i desktop. A livello globale ogni giorno in media, il 57% dei consumatori guarda video su un telefono cellulare, mentre il 58% lo fa sul proprio laptop o desktop. Il 40% degli utenti invece sottolinea che non può vivere senza il proprio smartphone. Un comportamento che conferma il raggiungimento del punto di non ritorno: il cellulare sarà presto il principale schermo per la fruizione dei video.
Ulteriori risulati indicano come ogni anno gli utenti guardino sempre più video digitali, ma è il consumo dei video brevi ad essere in continua crescita. Il 34% dei consumatori quotidianamente guarda video della durata di 1 minuto (anche meno) a discapito di video di durata maggiore, a cui corrisponde un minor numero di utenti.
La velocità con cui i consumatori stanno adottando formati video immersivi varia nei diversi paesi presi in analisi. Per esempio il 31% degli utenti statunitensi e il 21% di quelli del Sud-Est asiatico prevedono di aumentare la fruizione di video in realtà virtuale nei prossimi 12 mesi. Percentuale che scende al 9% tra canadesi e britannici. Quando si parla di video in diretta, una media globale del 66% li guarda dal proprio smartphone. A registrare la percentuale maggiore è il Sud-Est Asiatico con il 76%.
Come riporta la nota stampa, per stare al passo con la domanda le aziende continuano ad aumentare la spesa in video mobile, tanto che in tutto il mondo sia gli inserzionisti sia gli editori aumentano il budget sul mobile:
● il 47% degli investitori prevede di aumentare la spesa pubblicitaria mobile di almeno il 25% nel 2017
● il 57% degli editori si aspetta che gli investimenti in mobile adv aumentino di almeno 25 punti percentuali quest’anno.
Gli inserzionisti sostengono l’aumento della spesa in advertising video su mobile sottraendo budget precedentemente destinati alla TV, tanto che gli investimenti in video per mobile stanno raggiungendo quelli per desktop. Analizzando lo spostamento dei budget dalla TV al video digitale, è emerso che il 63% dei partecipanti alla ricerca sta riversando questi budget nel video mobile e il 70% dei partecipanti nel video desktop.
La nuova ricerca internazionale di Aol analizza quindi l’interazione dei consumatori con il video digitale, e delinea i contorni dell’imminente futuro del settore pubblicitario ed editoriale. Aol ricorda l’inserimento di una novità rispetto ai report precedenti, cioè l’analisi relativa a come i comportamenti e le abitudini di advertiser e publisher siano cambiati nel tempo.
Via Prima Comunicazione
Sono 44,1 milioni i lettori italiani che leggono un titolo di stampa, vale a dire l’83% della popolazione adulta dai 14 anni in su, in forma cartacea o digitale. Quest’ultima modalità è adottata da circa 1,9 milioni di lettori, il 3,6% della popolazione. Lo dice la rilevazione Audipress 2016/III, l’ultima prima dell’adozione di un’unica single source per quotidiani e periodici a partire dalla rilevazione di gennaio di quest’anno. La frequenza di lettura presso i consumatori dei quotidiani è alta raggiunge il 66%, mentre nei settimanali arriva al 43,1%, e nei mensili si ferma al 26,8%.
I lettori dei quotidiani
I lettori dei quotidiani sono 17,7 milioni, il 33,4% della popolazione adulta, di cui il 62,3% uomini e il 37,7% donne. In prevalenza, il lettorato dei quotidiani possiede un diploma di scuola media superiore (41%), mentre i laureati sono il 17,9%.
Nel periodo preso in considerazione, va a dire 38 settimane dall’11 gennaio all’11 dicembre 2016, per un totale di 47.503 interviste personali, il quotidiano più letto è sempre La Gazzetta dello Sport con quasi 3,2 milioni di lettori, seguito dal Corriere della Sera a quota 2,2 milioni circa, e la Repubblica che ne totalizza oltre 2,1 milioni. Il quarto quotidiano più letto è ancora uno sportivo, il Corriere dello Sport con più di 1,4 milioni di lettori. Seguono La Stampa (1,5 milioni circa), Il Messaggero (1,1 milioni), QN Il resto del Carlino (oltre 1 milione), Il Sole 24 Ore (829mila), Tuttosport (772mila) QN La Nazione (712mila). Tra i supplementi dei quotidiani a pagamento svetta Il Venerdì, che supera gli 1,3 milioni di lettori.
I settimanali
La situazione si ribalta nella periodicità settimanale, con la readership femminile al 64,5% e quella maschile al 35,5% su un totale di 15,6 milioni di lettori tra cartaceo e digitale. Si tratta del 29,4% della popolazione adulta, e anche in questo caso prevale un livello di istruzione a livello di diploma superiore (37,9%) mentre la laurea è a quota 14,2%.
Nella periodicità settimanale il leader è sempre Sorrisi e canzoni Tv, a quota 2,6 milioni di lettori. Segue ancora una testata Mondadori, Chi, con una readership di quasi 2,2 milioni di persone. Poi arriva la Cairo Editore, con Settimanale DiPiù (oltre 2 milioni) e DiPiù Tv che supera quota 1,8 milioni. Oggi sfiora i 1,8 milioni, Gente si avvicina ai 1,6 milioni. Seguono a stretto giro Donna Moderna (1,56 milioni) e L’Espresso (circa 1,5). Famiglia Cristiana si avvicina ai 1,3 milioni di lettori, seguito da Panorama a poco più di 1,1 milioni.
I mensili
I mensili possono contare su 14,4 milioni di lettori, il 27,1% della popolazione, ben distribuiti tra donne (51,9%) e uomini (48,1%). Il livello di istruzione superiore arriva al 45,1% mentre la laurea raggiunge il 18,9%.
Per quanto riguarda la readership, il primo è Focus con oltre 4,7 milioni di lettori. Al secondo posto c’è Quattroruote, che supera i 2,6 milioni, seguito da Al Volante (1,8 milioni), National Geographic Italia (1,4) Cose di Casa e Cucina Moderna (ex aequo 1.117.000). Vogue Italia è il settimo mensile italiano con 843mila lettori, seguito da La Cucina Italiana (sempre Condé Nast) a quota 833mila, Sale & Pepe (807mila) e Bell’Italia (773mila)
Via DailyOnline
Durante il convegno Altagamma Consumer and Retail Insight, il 16 febbraio, Altagamma presenta i risultati della quarta edizione del True-Luxury Global Consumer Insight, condotto con The Boston Consulting Group, e della quinta dell’Altagamma Retail Evolution condotto con Exane Bnp Paribans. Le evidenze degli studi sono state commentate da Raffaella Banchero, managing director Italy and Spain di Tiffany & Co., Arrigo Berni ceo di Moleskine, Armando Branchini, vice presidente Fondazione Altagamma, Simone Dominici, executive vice president global markets di Bottega Veneta, Michele Norsa, strategic advisor, Dario Rinero, ceo di Poltrona Frau Group e Riccardo Sciutto, group ceo di Sergio Rossi.
Nella nota stampa vengono riportate le sintesi delle ricerche: l’indagine True-Luxury Global Consumer Insight, presentata da Armando Branchini, Nicola Pianon (senior partner e managing director di Bcg) e Federico Bonelli (principal di Bcg), ha aumnetato la qualità degli intervistati, analizzando più di 12.000 consumatori di 10 diverse nazionalità, con spesa media annuale intorno ai €36.000. Nel 2016 i consumatori di alta gamma nel mondo sono stati 415 milioni e hanno speso €860 miliardi, includendo prodotti unbranded ed escludendo automobili e yachts. Il numero di consumatori totali è previsto crescere fino a 490 milioni nel 2023, quando arriveranno a spendere €1.185 miliardi. Focus dello studio sono i consumatori True-Luxury, 17 milioni di persone che hanno speso nel 2016 €250 miliardi: il 4% dei consumatori del lusso è responsabile del 30% dei consumi totali.
“I consumatori True-Luxury continuano ad avere un forte appetito e un trend di crescita sano e stabile, resistente nonostante lo slow down del mercato complessivo ” commenta Nicola Pianon, senior partner and managing director di Bcg, responsabile della Practice Fashion and Luxury di Bcg in Italia. “A rallentare è la parte di consumatori aspirazionali che sta contraendo il passo, soprattutto negli acquisti di beni di lusso personale”, prosegue.
Il comunicato stampa riporta alcune evidenze dell’edizione 2017 • Se il mercato lusso in generale rallenta, la parte più alta della piramide, trainata da cinesi e americani, mostra una crescita stabile sia nei beni personali sia nel consumo esperienziale (+6-7%). Questi consumatori prevedono in futuro di incrementare la spesa in calzature, borse, profumi e Cosmetici, e di diminuirla in piccola pelletteria e in cravatte e foulard di seta.
• Crescono i consumi locali per i true-luxury consumers. I cinesi in particolare passano dal 39% del 2014 al 65% del 2016 come percentuale di acquisti fatti nel mercato domestico.
• Il 50% dei consumatori, soprattutto millennials e americani, percepisce in misura crescente un disallineamento tra prezzo e valore del prodotto, dovuto ad aumento dei prezzi, ma anche a diminuzione della qualità e a una perdita di esclusività dei brand e dei prodotti. Una percezione che indurrà un consumatore su due a non comprare più il brand in questione. Il 50% dei consumatori True-Luxury trova che non vi sia più equilibrio tra prezzo pagato e valore del prodotto. “Significa”, commenta Nicola Pianon, “che la qualità offerta e l’esclusività non sono più considerate adeguate ai livelli di prezzo richiesti. La reazione è la rinuncia all’acquisto, la ricerca di prodotti off-price sui canali fisici o digitali che lo consentono, o il trading down, verso i prodotti offerti da marche premium o addirittura verso fast fashion come Zara o H&M”.
• Il consumatore true luxury vira verso il casual. Forte crescita di appeal del casualwear tra i consumatori del lusso, sempre più accettato anche in occasioni “formali”o importanti. Una crescita che non va tuttavia a detrimento del mercato del lusso. Due esempi chiari del fenomeno sono il boom delle sneaker di lusso e delle luxury down-jackets.
• La customizzazione dei prodotti, richiesta sempre più forte da parte dei consumatori del lusso, che cercano esclusività, differenziazione e un legame più personale con il prodotto.
• Made in Italy. l’Italia è considerata in tutto il mondo il primo Paese per qualità della manifattura di beni di lusso personale.
• Canali distributivi. Diminuiscono le vendite imputabili integralmente al negozio fisico. Il vero trend è la multicanalità (ricerca online e acquisto in negozio e inverso). Per il consumatore, multicanalità significa coerenza nell’immagine, servizi integrati per la consegna, riconoscimento del proprio status di cliente privilegiato su tutti i canali. Il 61% degli acquisti è influenzato dal digitale, con la punta del 72% per gli Stati Uniti. Il retail monomarca registra un calo di traffico e di vendite, soprattutto a causa di una shopping experience non soddisfacente e del troppo lento rinnovamento degli assortimenti, ma resta comunque il cuore di un processo di acquisto sempre più multicanale.
• Il passaparola è il primo fattore di influenza all’acquisto, grazie soprattutto ai social media, usati dal 72% dei consumatori True-Luxury per dialogare con i brand, con una frequenza elevatissima.
• Per quanto riguarda i profili dei consumatori, il 90% della crescita è a carico dei primi 3 segmenti comportamentali: gli absolute luxurer (top spender, connoisseur raffinati ed eleganti, contano per il 27% dei consumi totali), megacitier (millenial delle grandi mega-city, trendy, contano per il 17% dei consumi totali), e i social wearer (attenti alla sostenibilità sociale ed ambientale, 7% dei consumi totali). Le interviste svolte mostrano come un’attività mirata di marketing da parte delle aziende sui singoli segmenti ripaghi in termini di attrazione dei consumatori verso il brand e di crescita nettamente al di sopra della media del mercato.
Come ricordato dal comunicato stampa, l’Altagamma Retail Evolution, presentata da Luca Solca, managing director global luxury goods di Exane BNP Paribas, indaga l’evoluzione e le prospettive delle strategie retail delle imprese lusso considerando più di 16.000 punti vendita. I brand del lusso stanno consolidando le reti distributive, con pochissime nuove aperture e una sempre maggiore integrazione tra retail fisico e digitale: un processo che conduce a negozi più piccoli e con maggiore produttività. Rispetto al modello omologato di store monomarca finora in uso, si prefigura un trend di contro-standardizzazione dei format retail, che tenga conto della frammentarietà del profilo del consumatore e delle sue diverse esigenze e capacità di spesa. Luca Solca, commenta: “L’era della crescita facile fatta di aperture di negozi e aumenti di prezzo é ormai dietro di noi. Le priorità nel retail di lusso oggi sono l’aumento della produttività, ottenuta con innovazione di prodotto più rapida, integrazione dell’offerta digitale al punto di vendita e negozi più compatti. Il negozio diventerà molto di più che uno sfoggio di dimensioni e materiali, ma un modo per il marchio di esprimere e confermare i propri valori e la propria unicità.”
Armando Branchini, vice presidente di Fondazione Altagamma, sottolinea che “il consumatore True-Luxury evolve sempre più senza strappi, ora che i componenti della Generazione Y, i milllenial, sono responsabili della metà dei consumi mondiali del lusso. Non significa che tutto procede as usual. Al contrario stiamo vivendo una fase di contro-standardizzazione sia relativamente alla customer experience che alla in-store experience.”
Via Pr imissima.it
Qual è lo stato del rapporto tra italiani e mondo online a fine 2016? Prova a rispondere la fotografia scattata da comScore, dalla quale emerge uno scenario chiaroscuro. "Il ritardo che continuiamo a scontare nei livelli di penetrazione di utilizzo della rete rispetto ai Paesi più evoluti da un lato rappresenta un problema importante per lo sviluppo della nostra economia digitale, dall’altro indica un potenziale di crescita ancora significativo", sottolinea Fabrizio Angelini Ceo di Sensemakers.
1 - La penetrazione di internet in Italia calcolata sui maggiorenni e su base mensile si arresta al 64%, evidenziando un differenziale ancora piuttosto rilevante rispetto a quella dei Paesi digitalmente più evoluti sia da desktop che da mobile (si vedano i 5 trend della trasformazione mobile in Italia). Secondo lo studio un italiano su tre sopra i 18 anni non accede infatti alla rete nel corso del mese.
2 - I giovani sono sempre più "mobile-only". Nonostante l’utilizzo del mobile sia largamente complementare a quello del desktop, infatti, una componente sempre più consistente di chi naviga in rete accede ormai esclusivamente con device mobili (gli utenti “mobile only” rappresentano oggi circa un terzo di chi accede da desktop) e tale fenomeno è proporzionalmente più pronunciato sulle fasce d’età più giovani.
3 - Social e messaging dominano il tempo speso online nel nostro Paese, mentre in Usa e Regno Unito la categoria di contenuto con il più alto tasso di utilizzo è l’entertainment. Le app sono a loro volta dominanti: assorbono circa il 90% del tempo da dispositivi mobili e quindi il 57% del totale del tempo speso in rete. Tra queste ultime la concentrazione è alta, con circa il 60% del tempo totale che viene infatti trascorso sulle due app più utilizzate (WhatsApp e Facebook) mentre in termini di penetrazione sugli utilizzatori di smartphone tutte le prime 10 app appartengono a Google o Facebook. Questo, tra l'altro, rende la barriera all'ingresso piuttosto alta per le nuove app.
4 - Il potenziale crescente dei video (e di un futuro di entertainment online). A dicembre 2016 sono stati 28 milioni gli italiani che hanno visto un video online attraverso il desktop e 18 quelli che hanno dichiarato di farlo con uno smartphone. La crescita delle visualizzazioni da smartphone in Italia (+15% nel 2016) è seconda solo a quella registrata in Germania (+19%) e conferma il grande potenziale della fruizione di video online in mobilità. Oggi oltre la metà (55,5%) dei possessori di smartphone italiani dichiara di aver visto un video utilizzando il proprio device, e lo fa con sempre maggiore frequenza: crescono del 34% (da 3,3 a 4,4 milioni) gli utenti che guardano video quasi ogni giorno. In futuro, l’utilizzo della rete come piattaforma di entertainment potrà diventare sempre più rilevante nella dieta mediatica degli italiani. Le fasce di età più giovani utilizzano fino a metà del proprio tempo online tramite desktop per guardare video editoriali. Il record spetta alla fascia 15-24 (52%) seguito da quella 6-14 (46%), mentre per le fasce d’età più adulte il dato si assesta a poco più di un terzo del tempo totale (tra 34% e 36%).
5 - Il fenomeno dell’ad-blocking in Italia è contenuto e stabile: solo il 13% degli utenti unici che navigano da desktop in Italia ha installato un software ad-block mentre la penetrazione su mobile è ancora marginale. Il livello medio di traffico “non umano” rimane contenuto (pari all’1,16% del totale delle impression erogate) ma si registra un aumento delle rilevazioni di traffico non umano su un numero crescente di editori: su 107 editori monitorati nell’ultimo trimestre del 2016, 14 (ovvero il 13% del totale) hanno riportato almeno una volta una percentuale di traffico “non umano” superiore al 5%. I dati medi di viewability (ovvero l’effettiva visualizzazione del contenuto pubblicitario) e del target socio-demografico pianificato in Italia sono allineati a quelli dei paesi con le più alte performance: la viewability si attesta al 54% (pari a Usa e Spagna) l’in-target al 47% (dato eguagliato solo in Usa).
Via Mark Up
Il semestre freddo non è ancora finito, ma il mondo del fashion gioca sempre d’anticipo e nella Capitale italiana della Moda sono già quasi pronte le passerelle per la Milano Fashion Week. Il 22 febbraio verrà inaugurato il periodo delle sfilate, che mostreranno ai fashion addicted e a chi lavora nel settore le nuove collezioni autunno-inverno 2017-18.
Una grande vetrina, con risonanze internazionali, per un settore che rappresenta un fiore all’occhiello del Made in Italy. Un’occasione che verrà immortalata dagli smartphone degli influencer, dei brand, delle modelle, dei modelli e degli appassionati che saranno così fortunati da riuscire a partecipare agli eventi. La moda, per sua natura, ha imponenti radici estetiche, e i social sono le destinazioni più immediate per ogni scatto o esperienza vissuta a bordo passerella. Sono anche le piattaforme su cui si diffondono le notizie, i commenti, le impressioni. Per questo motivo, Facebook ha organizzato una colazione a Milano, in cui ha mostrato alla stampa le principali attività che avvengono sulle sue property in quel periodo.
Fashion lovers e device Stando una ricerca condotta dallo stesso social network in Italia, il 92% dei fashion lovers possiede uno smartphone. Ma questo non è il device più diffuso: il 93% infatti possiede un pc. Insegue il tablet (63%). I telefoni connessi, però, rappresentano il dispositivo più utilizzato per seguire la Fashion Week (43%), con poco scarto dal pc (42%) e molto dal tablet (15%).
I canali preferiti per seguire l’evento I social sono i canali più ricercati per seguire gli eventi, con Facebook (61%) e Instagram (37%) separati solo dalla Tv (45%). Seguono le News Online (28%) e la Stampa (9%). Facebook è anche la piattaforma preferita dall’87% del campione, ed è utilizzato dal 76% degli appassionati per parlare e leggere di argomenti relativi alla moda. Youtube è promosso da poco meno della metà (48%), così come Instagram (41%), che però ispira l’86% degli utenti a conversare sul fashion. A fare la differenza, secondo il 44% del campione, è la possibilità di fruire di foto, video e contenuti unici. Anche i brand sono molto seguiti dagli amanti della moda: il 64% ha messo like ad almeno un marchio su Facebook e il 61% su Instagram.
I contenuti preferiti Proprio i post dei brand e i video (live o normali) sono due dei contenuti maggiormente richiesti sui due social di Zuckerberg. Addirittura, il 52% dei fashion lovers ha interagito su Facebook guardando video e live dei brand di moda. La MFW e la sua abbondanza di contenuti, secondo la ricerca condotta dal social, ha portato il 52% del campione a seguire un brand durante il periodo della manifestazione, generando al contempo la propensione (dell’85% del totale) all’acquisto di capi proposti dagli account seguiti.
Il target Gli appassionati di moda che compongono il campione (tratto dagli utenti di Instagram) sono prevalentemente 25-44enni, in maggioranza donne (61%). Tra i 25 e i 34 anni si registra un picco (32%) di profili attinenti ai requisiti per la ricerca. Pochi invece gli under 24 (13%), superati perfino dai 45-54enni (15%). Gli utenti di Instagram attivi mensilmente a livello globale hanno superato i 600 milioni (di cui 9 italiani), e 400 di questi sono daily user. Tra questi, gli appassionati di moda sono un gruppo molto attivo, capace di accedere al social 23 volte al giorno. Gli europei accedono al feed 7 giorni alla settimana e hanno seguito, in media, 353 account di high street fashion (dato 2,5 volte maggiore della media degli instagrammer). Per Nicole Barclay, global head of social di Net-A-Porter, Instagram “funziona come un megafono, permettendo alla audience globale di creare e amplificare i trend del fashion”. In questo scenario, i brand diventano un’ispirazione per gli utenti che li seguono (il 70% del totale), specialmente per il 45% dei fashionistas europei che li considerano un’ispirazione per il loro modo di vestire. Questi dati, sfruttati all’interno di una campagna come nel caso di John Lewis, hanno creato un aumento dell’intenzione d’acquisto del 14% (nelle donne 25-34), +10% di ad recall, +3% di brand favorability (tra le donne 18-24). Più in generale, invece, Instagram incide sui risultati delle campagne a performance con + 70% di azioni nel direct response, +78% di installazioni app e +58% di website conversion, con annessa crescita di vendite online.
Nuove soluzioni: le ADS IN Stories L’implementazione della funzione Stories è stata lanciata poco tempo fa, ma sono già 150 milioni a utilizzarla. La novità, raccontata ieri nella sede milanese di Facebook, è che presto saranno disponibili ads al loro interno. «La fase beta è iniziata due settimane fa con 30 brand partner. Sono Stories full screen, che partono con l’audio attivo tra una Storia e l’altra. Stiamo facendo le ultime verifiche tecniche e lavorando al minutaggio, che sarà tra i 10 e i 15 secondi. A breve verranno rese disponibili per tutti i brand», spiega Valerio Perego, sales manager di Facebook. Le aziende potranno quindi inserire (a pagamento) brevi storie tra quelle proposte dagli utenti, rivolgendosi all’user in un momento di grande coinvolgimento.
Via D ailyOnline
Il CES di Las Vegas rappresenta sempre un’occasione unica per osservare in pochi giorni tutto quello che esiste e che sarà sul mercato tecnologico consumer nel corso dell’anno successivo. Questo evento è tuttavia ugualmente unico per capire i trend di sviluppo a medio-lungo termine nel mondo ICT a 360° oltre che portare a casa innovazioni “pronte all’uso” e giocare quindi d’anticipo sui tempi naturali di diffusione dell’innovazione stessa. Fondamentale oggi per ogni azienda credere fortemente nella contaminazione delle idee e degli ambiti in cui queste nascono, al fine di creare soluzioni realmente innovative connettendo tutte le peculiarità di ciascuna tecnologia e cercando di aggiungere valore al nostro modo di lavorare.
Ed ecco allora 5 interessanti novità “osservate” al CES 2017.
1. Bot e assistenti Vocali
Una delle evoluzioni più interessanti di quest’anno è legata alle modalità di interazione dei dispositivi di nuova generazione: all’interno di molti prodotti sono stati inseriti intelligenza artificiale e bot vocali per consentirne l’interazione mediante il semplice utilizzo della propria voce.
Al momento le funzionalità sono già ricche e le prove fatte sul campo mostrano come in particolare Amazon Alexa (presente nella maggior parte dei prodotti) sia abbastanza affidabile per il riconoscimento del linguaggio (anche da non madrelingua) e efficace nell’integrazione di prodotti e servizi (in particolare quelli di Amazon, ma non solo).
Le tematiche relative ai BOT sono oggetto di studio e sperimentazione in ogni loro declinazione da molto tempo da parte dell’azienda in cui lavoriamo, Cefriel. Il primo degli obiettivi che ci siamo posti è stato semplificare l’interfaccia di accesso ad ecosistemi digitali complessi (API ecosystem). Primo grande risultato di tali sperimentazioni è stato constatare come la semplicità e la naturalezza dello strumento di interazione via text chat abbia già sdoganato nuovi paradigmi di interazione con i “roBOT” su canali abitualmente frequentati da utenti umani, aprendo ovviamente all’utilizzo di ulteriori meccanismi di interazione ancor più naturali come ad esempio la voce o i gesti. È quindi molto probabile che con il raggiungimento della maturità di queste tecnologie si assisterà davvero a una rivoluzione nel modo con cui interagiamo con i dispositivi di utilizzo comune ed i nuovi e sempre più pervasivi oggetti IoT che ci circonderanno nella vita quotidiana.
2. Internet of things @ home
L’Internet of Things sta diventando mainstream. Quasi tutti gli elettrodomestici che saranno distribuiti nel prossimo periodo saranno connessi a Internet e potranno beneficiare di numerose funzionalità aggiuntive che spaziano dal controllo remoto alla personalizzazione dei servizi, effettuata per mezzo della raccolta e analisi dei dati di utilizzo.
IoT e data analytics sono temi che in Cefriel approfondiamo da tempo, evidenziando tutte le potenzialità di collegamento e interazione tra i due ambiti. Il prossimo passo per migliorare ulteriormente l’IoT sarà infatti probabilmente legato all’utilizzo dei dati raccolti dai dispositivi connessi in rete per creare servizi a valore aggiunto che consentiranno di migliorare la profilazione dell’utente, il funzionamento del dispositivo a fini diagnostici e per ottimizzarne i consumi. Siamo nell’era degli ecosistemi di oggetti connessi e ciascuno di essi produce quantità considerevoli di dati prelevandoli dall’utilizzo quotidiano che ne facciamo (es. wearable) piuttosto che da valori che misurano il contesto di utilizzo (es. sensori IoT di diversa natura). La sfida attuale in questo ambito diventa quindi l’utilizzo di tali dati per creare modelli di business “utili” prima che “sostenibili”.
Quasi in ogni angolo della Fiera qualcuno indossava un visore ed era immerso in una realtà virtuale. Uno scenario che può apparire in parte “inquietante”, ma che denota un trend interessante sulla realtà virtuale per scopi vari: gaming il più evidente, ma anche per intrattenimento e visualizzazione di immagini o video.
In ambito enterprise, invece, la realtà aumentata è la tecnologia che si sta aspettando da parecchio tempo e che, forse, ora può finalmente iniziare a diventare “realtà” vera. Lavoriamo su questo tema realizzando proof of concept degli scenari d’uso più consueti legati soprattutto alle operazioni di manutenzione. Purtroppo le implementazioni degli scenari d’uso più comuni sono ancora strettamente dipendenti dalle specificità tecnologiche dei device utilizzati e questo riduce ovviamente sia la completezza delle soluzioni implementate che l’universalità delle stesse applicazioni in termini di portabilità. Stiamo tuttavia riscontrando un interesse crescente da parte dei produttori nel colmare il gap tra limiti degli strumenti e potenziamento degli stessi sulla base dei feedback degli utilizzatori e degli sviluppatori di soluzioni AR, tanto che nei dispositivi di nuova generazione riscontriamo già alcune modifiche richieste dal mondo enterprise e ci avviciniamo a prodotti che consentiranno di far apprezzare i veri vantaggi della realtà aumentata anche in contesti professionali.
Questo cambio di rotta è in parte limitato a un approccio molto focalizzato alla vendita dei dispositivi hardware piuttosto che alla realizzazione di soluzioni e use case “pronti all’uso”. Tuttavia, alcuni grossi player nell’ambito dell’elettronica e dell’informatica si stanno muovendo verso l’ideazione di ecosistemi completi per favorire lo sviluppo di soluzioni software legate alla realtà aumentata mediante la creazione di framework e piattaforme standard per lo sviluppo e linee guida per la realizzazione delle interfacce utente.
4. Droni
Negli spazi espositivi non sono mancati oggetti volanti di vario tipo, a cui si possono aggiungere alcuni esempi di droni subacquei e prototipi per fare le consegne a domicilio. L’evoluzione dei droni sta proseguendo a ritmi elevati e lo dimostra l’alto numero di differenti soluzioni presentate che copre sia l’ambito consumer che quello enterprise. Infatti, esistono tipologie di droni di tutti i tipi: droni utilizzati per il gaming (es. caccia al drone, o gare tra droni), droni per uso personale (es. fare selfie o brevi video), droni per ambito enterprise, pensati per operazioni di manutenzione (es. alcuni includono già fotocamere termiche), operazioni specifiche (es. distribuire fertilizzante nei terreni agricoli, o dipingere un muro), o per riprese professionali.
Interessante immaginare come i droni possano essere usati per semplificare compiti prima complessi, aumentare il livello di sicurezza e di precisione di alcune operazioni, rendere possibile l’elaborazione e l’acquisizione di informazioni altrimenti non disponibili.
5. Self Driving & Connected Cars
Tra prototipi futuristici e auto già pronte (o quasi) per essere sul mercato, il settore automotive ha presentato parecchie novità tecnologiche che vanno dalla riduzione degli impatti ambientali all’introduzione di intelligenza artificiale e alla connessione delle auto ad internet.
Per quanto riguarda la maturità delle soluzioni, sulla base delle presentazioni delle varie case automobilistiche, si è portati a pensare che entro un paio d’anni anni le auto saranno in grado di parcheggiare completamente da sole e di assistere alla guida in situazioni “semplici”, come il viaggio in autostrada. Per la vera guida assistita ci vorrà invece ancora del tempo: presumibilmente, nell’arco di 4-5 anni, si potranno cominciare a vedere le prime auto completamente connesse che potranno assolvere a tutti gli effetti al ruolo di assistenti virtuali per supportare la guida autonoma.
L’obiettivo per questo tema in particolare è quello di studiare e realizzare degli Smart Ecosystem composti da auto e servizi sulla rete che completano la visione autonoma dell’ambiente da parte delle connected cars a guida autonoma. Seppur in grado di muoversi autonomamente nello spazio, le auto hanno sempre più bisogno di capire l’ambiente e adattarsi ad esso per migliorare non solo il confort di guida, ma anche la sicurezza, l’ottimizzazione dei tempi e la conoscenza di tutti i servizi disponibili sul territorio nell’ottica di integrarsi sempre più con le future Smart Cities.
Via Tech Economy
Nel 2016 l’online risulta disponibile per 42,6 milioni di italiani, l’88,7% della popolazione tra gli 11 e i 74 anni che dichiara di accedere a internet da qualsiasi luogo e strumento. Il 75,8% degli italiani – 36,4 milioni – dichiara di accedere a internet da telefono cellulare, +11,5% rispetto al 2015. La total digital audience nel 2016 ha registrato un valore medio di 29 milioni di utenti unici nel mese e di 22,1 milioni nel giorno medio, con un incremento dell’8,1% dell’audience quotidiana da mobile. Nell’ultimo mese di rilevazione, dicembre 2016, hanno navigato almeno una volta dai device rilevati (PC e mobile smartphone e tablet) 30,6 milioni di utenti unici, 23,1 milioni nel giorno medio. Lo dicono i nuovi dati Audiweb, diffusi il 13 febbraio.
Sintesi dei dati sulla diffusione dell’online in Italia – Audiweb Trends, dati cumulati dicembre 2016 In base ai nuovi dati cumulati della Ricerca di Base, nel 2016 la diffusione dell’online in Italia ha raggiunto l’88,7% della popolazione tra gli 11 e i 74 anni, 42,6 milioni di italiani che dichiarano di poter accedere a internet da location fisse (da casa, ufficio o da un luogo di studio) o da mobile (smartphone e tablet). I dati sulla disponibilità di accesso a internet dai vari device e dalle singole location esaminati, oltre a confermare una capillare diffusione del mezzo tra i diversi segmenti socio-demografici, registrano l’evidente l’affermazione degli smartphone con accesso a internet (36,4 milioni di individui tra gli 11 e i 74 anni, pari al 75,8% dei casi) sulla disponibilità di accesso tramite computer da casa (35,4 milioni, pari al 73,8% dei casi).
Più in dettaglio, la disponibilità di accesso a internet tramite smartphone presenta ancora margini di crescita, registrando un incremento dell’11,5% rispetto ai dati cumulati del 2015, così come i dati sulla diffusione di televisori connessi, disponibili per 5 milioni di individui (il 10,5% della popolazione di 11-74 anni), che presenta un incremento di circa il 13% in un anno.
Sintesi dei dati dell’audience totale di internet – Audiweb Database Media 2016 e rilevazione della total digital audience del mese di dicembre 2016
Dai dati dell’Audiweb Database, il nastro di pianificazione sui dati della effettiva fruizione di internet – total digital audience -, risulta che nel 2016 hanno navigato mediamente 29 milioni di utenti unici nel mese e 22,1 milioni nel giorno medio. L’audience media quotidiana nel 2016 ha raggiunto 19 milioni di utenti unici da mobile (smartphone e/o tablet), +8,1% rispetto al dato medio dell’anno precedente e circa 11 minuti in più per persona dedicati alla navigazione nel giorno medio, confermando l’affermazione del mobile surfing sul pc che, con 10,7 milioni di utenti, registra un calo di accessi dell’11,2%.
Per quanto riguarda i dati di fruizione relativi all’ultimo mese di rilevazione, dicembre 2016, risulta che hanno navigato almeno una volta dai device rilevati (PC e mobile smartphone e tablet al netto delle sovrapposizioni) 30,6 milioni di utenti unici, il 55,6% della popolazione dai 2 anni in su, collegati complessivamente per 52 ore e 37 minuti (pari a 2 giorni, 4 ore e 37 minuti). La total digital audience nel giorno medio a dicembre 2016 ha raggiunto complessivamente 23,1 milioni di italiani, collegati per 2 ore e 15 minuti per persona: 20,2 milioni da mobile (il 45,8% degli italiani tra i 18 e i 74 anni) e 10,2 milioni da PC (il 18,6% degli italiani dai 2 anni in su). Nel giorno medio a dicembre hanno navigato esclusivamente da mobile 12,8 milioni di utenti unici.
Sono online nel giorno medio il 61,5% dei 18-24enni e il 62,2% dei 25-34enni, tre giovani su cinque, ma anche per la fascia più matura della popolazione, i 35-54enni, si registra un dato significativo nella fruizione quotidiana di internet (59,5%). L’uso abituale della rete raggiunge solo il 31,7% dei 55-74enni, anche se presenta valori in crescita nella fruizione di internet da mobile nel giorno medio, pari al 56,5% in più rispetto al mese di dicembre del 2015.
Per quanto riguarda la distribuzione del tempo trascorso online, nel mese di dicembre risulta che il 77,2% del tempo totale online è stato generato dalla navigazione da mobile (smartphone e tablet) e, più in dettaglio, l’88,8% del tempo totale da mobile è stato generato da mobile applications, con un incremento del 36,8% rispetto al mese di dicembre 2015.
La navigazione da mobile è preferita dalle donne maggiorenni che spendono l’84% del proprio tempo online da questi device. Anche i giovani, in particolare i 18-24enni, prediligono la fruizione di internet da mobile, dedicandovi, a dicembre, l’87% del tempo complessivo online.
Più in dettaglio, rispetto allo scorso anno le donne hanno navigato 22 minuti in più nel giorno medio, dedicando all’online 2 ore e 25 minuti al giorno, lo stesso tempo di fruizione dei 18-34enni. Risulta interessante il dato del tempo speso nel giorno medio dagli over 55 che, sebbene non raggiungano ancora una quota rilevante online, hanno dedicato 25 minuti in più alla navigazione rispetto all’anno scorso, sfiorando le due ore per persona (1 ora e 56 minuti nel giorno medio).
Dai dati di consumo sulla fruizione mensile di internet, risultano confermate le principali categorie di siti: “Search”, siti o applicazioni di ricerca che raggiungono il 92,8% degli utenti online, “General Interest Portals & Communities”, portali generalisti, con l’89,6% degli utenti online, “Internet tools / web services”, siti che offrono servizi e tool online, con l’85,9% degli utenti e “Member communities”, i social network, che raggiungono l’85,8% degli utenti online Rispetto all’anno scorso, registrano interessanti sviluppi dell’audience da mobile per alcune categorie di siti dedicati all’intrattenimento o a contenuti e servizi vari. Crescono, ad esempio, del 14% rispetto al mese di dicembre 2015 la mobile audience della categoria Video/Movies, dell’11,6% i siti della categoria “Mass merchandiser” (ecommerce) e del 20,5% i siti della categoria “Corporate information”. I siti della categoria “Current events & global news” registrano un dato pressoché stabile da mobile, con un incremento della mobile audience dell’1,7%, confermandosi ancora quale categoria di siti fruiti principalmente da PC. Il 61,4% del tempo online sui siti di questa categoria, infatti, è generato dalla fruizione da postazioni fisse.
Via Prima Comunicazione
L’e-commerce in Italia nel 2016: bene ma non benissimo. È questa la fotografia che emerge dallo studio realizzato dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese.
Utenti Internet che negli ultimi 3 mesi e hanno ordinato/comprato online per tipo bene/servizio e sesso
(Anno 2016 – per 100 persone di 15 anni e più – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
Nel 2016 % la quota di utilizzatori di internet che hanno effettuato ordini o acquisti online di beni e servizi è del 50,5, con un aumento di 1,8 punti rispetto alla quota dell’anno precedente. In valore assoluto gli acquisti online vengono effettuati da 16.123.000 utenti internet di 15 anni ed oltre e nell’ultimo anni gli acquirenti online sono saliti di 1.347.000 unità, pari al 9,1% in più. In particolare il 28,7% ha ordinato o comprato merci o servizi negli ultimi tre mesi, il 12,0% nel corso dell’anno e il 9,7% più di un anno fa.
Utenti Internet che negli ultimi 3 mesi e hanno ordinato/comprato online per per regione
(Anno 2016 – per 100 persone di 15 anni e più – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
A fare la parte del leone sono quei beni e soprattutto quei servizi che ormai hanno nell’online il canale di distribuzione principale come Viaggi e trasporti (40,9%), Informatica e tecnologia (31,5%), Libri, giornali, riviste (inclusi e-book), materiale per la formazione a distanza (28,5%) e Film, musica, biglietti per spettacoli (25,8%). Anche i prodotti del Made in Italy che maggiormente interessano l’offerta delle imprese artigiane registrano tassi di crescita a doppia cifra degli acquirenti online: quelli di Prodotti alimentari salgono del 31,9%, con una variazione di 1,3 punti della quota di 7,3% del 2015, gli acquirenti di Abbigliamento sono in aumento del 18,2% (+2,3 punti di quota), quelli di Articoli per la casa in aumento del 17,8% (+1,7 punti la quota).
Dal punto di vista della distribuzione territoriale, si evidenzia come le regioni più attive sul fronte degli acquisti online siano innanzitutto quelle periferiche del Nord, nelle quali è possibile immaginare una buona capacità di spesa non supportata però da adeguata offerta fisica di beni e servizi. La regione con la più elevata propensione ad effettuare acquisti di e-commerce è la Valle d’Aosta con il 64,4%, Trento con 62,7%, Friuli-Venezia Giulia con 58,0%, Toscana con 57,7%, Veneto con 56,3%, Sardegna con 56,2%, Bolzano con 56,1% e Liguria con 56,0%. A riprova che il commercio elettronico è però ormai un canale consolidato e in costante crescita, si evidenzia nel 2016 un forte dinamismo anche da parte di altre regioni come in Abruzzo dove nell’ultimo anno sale di 7,2 punti, seguito dal Veneto (+6,9 punti), Lazio (+4,6 punti), Sicilia (+4,2 punti).
Imprese che hanno effettuato vendite online per regione
(Anno 2016 – % imprese con 10 addetti ed oltre – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
Ancora molto sviluppato è un fenomeno tipico dei mercati che si approcciano al commercio elettronico, il cosiddetto ROPO (Research online, purchase offline), ossia la ricerca sul web delle condizioni migliori per fare poi fisicamente gli acquisti offline, che in Italia riguarda 9 milioni 318mila persone, pari al 40,9% degli internauti che effettuano una ricerca online di informazioni su merci o servizi e/o usato il canale online per la vendita di beni. Queste attività di info-commerce possono svolgersi anche a ridosso dell’acquisto dato che il 42,1% degli utenti internet usa uno smartphone per connettersi fuori casa o lontano dal posto di lavoro.
Più critica rimane ancora oggi la situazione dell’offerta, soprattutto rispetto alle micro e piccole imprese, ferma all’11% , quasi la metà del 20% della media UE. Fra le regioni più avanzate, e con valori superiori alla media Ue, Valle d’Aosta (23,2%) e Bolzano (20,9%); seguono Trento (18,3%), Sardegna (17,0%), Liguria (13,5%), Campania (12,6%), Friuli-Venezia Giulia (12,5%) e Sicilia (12,0%).
Secondo lo studio di Confartigianato, l’ancora bassa propensione delle imprese italiane ad effettuare vendite mediante è determinata dalla persistenza di troppe barriere all’accesso a questo mercato.
Imprese per comportamento di vendita via web e ostacoli alle vendite
(% sul totale delle imprese che hanno venduto/non hanno venduto via web – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
Significativamente, il 20,2% delle imprese attive nel commercio via web indica fra le condizioni ostative i costi connessi all’avvio dell’e-commerce superiori ai benefici attesi, la logistica (10,8%), il quadro legislativo di riferimento (10,3%) e i problemi dei pagamenti online (9,1%).
Per il 53,2% delle imprese che non hanno effettuato vendite via web nel corso dell’anno precedente, i loro prodotti non erano adatti alla vendita online ma fra le imprese che sono escluse dall’e-commerce pesano molto la logistica nel 29,4% dei casi, il rapporto costi/benefici nel 27,4%, i problemi relativi ai pagamenti online nel 21,9% dei casi, la sicurezza informatica e la protezione dei dati nel 18,5% dei casi e il quadro legislativo di riferimento nel 17,9% dei casi.
Utenti Internet che negli ultimi 3 mesi e hanno ordinato/comprato online per tipo bene/servizio
(Anno 2016 – per 100 persone di 15 anni e più – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
Bene dunque il commercio elettronico in Italia ma non benissimo, perché se da un lato si cresce, dall’altro il digital divide è ancora molto forte in termini di acquirenti e ancora di più in termini di imprese che vendono online.
Bene perché anche le imprese che non praticano il commercio elettronico lo riconoscono come strumento, non benissimo perché per gli intervistati permangono ancora ostacoli strutturali come l'adeguatezza dei prodotti e la logistica che potrebbero, anzi dovrebbero essere affrontati e risolti a livello di sistema.
È un vero peccato che il lodevole intento pragmatico e riformista di Industria 4.0 non abbia alla prova dei fatti prodotto sufficiente impegno sulle componenti soft del processo di digitalizzazione delle imprese, tra le quali l'approdo ad ogni mercato possibile interno ed esterno, fisico e virtuale, la fa da padrone.
Anche dove non si acquista un oggetto per poi riceverlo a casa grazie ad un corriere, ma si trattano macchinari molto complessi tra un'impresa e un'altra o si prenota il parrucchiere, la presenza digitale come sbocco di mercato è ormai un dato di fatto.
Lo è ancora di più per le imprese in Italia, che associano un mercato interno già ristretto e asfittico ad una grande reputazione esterna. Oggi c’è fame di prodotti italiani che non è immaginabile soddisfare esclusivamente in modalità tradizionali.
Se questo è lo scenario cosa manca?
Innanzitutto mancano degli strumenti che possano concretamente ridurre il gap tra le nostre imprese e il resto d’Europa, consci che l’aspetto qualitativo della sfida (per cui non si devono solo “fare i numeri” ma portare il meglio del Made in Italy a nuovi mercati) la rende ancora più urgente e interessante.
Sicuramente i marketplace come Amazon e Alibaba mettono a disposizione strumenti e servizi che semplificano lo sbarco online. In particolare, Amazon Made in Italy offre oggi una vetrina molto interessante proprio alla platea delle imprese artigiane e la cinese Alibaba promette di seguire presto la stessa via su un mercato come quello asiatico che potrebbe essere una Mecca per le nostre produzioni di qualità.
Al di là del dispiacere “nazionalista” di vedere il valore prodotto dalle nostre imprese nel sesto continente del mercato digitale abbandonare la nostra economia, è evidente come questi enormi marketplace non possano essere la panacea per tutti i mali. Restano infatti escluse da un lato le produzioni B2B anche in settori chiave come la meccanica fine, dall’altro tutte quelle imprese che, dalla moda alle biciclette, tengono alto il nome dell’Italia nella crescente economia del su misura.
Come nella “notte in cui tutte le vacche sono nere”, i grandi marketplace non distinguono qualitativamente i propri prodotti, o lo fanno in modo comprensibilmente superficiale. Sono uno straordinario veicolo di traffico e hanno bisogno di prodotti semplici, standard e affidabili. Né Amazon né Alibaba avranno mai interesse a raccontare una camicia su misura, a proporre un salame di piccolissima produzione o a mettere a disposizione un configuratore per personalizzare un telaio di bicicletta. Sono ottime palestre e necessari punti vendita per prodotti di qualità ma semplici.
Molto del Made in Italy però non è “semplice” e la sfida è raccontarlo a Singapore, a Dubai e a New York, trasferirne le emozioni senza poter disporre di un negozio sulla V Strada, permettere a un australiano di indossare le nostre camicie artigianali e bere i nostri vini senza compromessi sulla qualità e senza investimenti impossibili da parte degli artigiani.
Chi produce e vende emozioni particolari dovrà, magari a fianco allo store su Amazon, dotarsi di un proprio racconto e soprattutto di una propria strategia di marketing digitale che arrivi fino alla costruzione di un e-shop coerente con il proprio posizionamento, stand-alone o magari immaginandosi di mettere assieme un produttore di splendide tavole da surf a Teramo con un artigiano delle chitarre di Milano e insieme conquistare la California.
Il costo delle piattaforme di commercio elettronico stand-alone come Shopify è oggi così contenuto da non rappresentare davvero un ostacolo, mentre aziende come il produttore di t-shirt su misura olandese Son of a Tailor offrono un algoritmo che permette di identificare la propria vera taglia sulla base di quattro semplici informazioni.
Se dunque il mercato offre ingredienti semplici e a buon mercato, continuano a mancare i cuochi che li sappiano organizzare e utilizzare, offrendo una cucina buona e sana anche a chi non si può permettere un ristorante stellato.
Se, come si spera, Industria 4.0 non esaurirà tutte le risorse economiche e politiche per la digitalizzazione, parte delle rimanenti dovrebbero essere dedicate a una rivoluzione delle competenze che aspiri all’obiettivo di avvicinare quella soglia europea del 18% circa di imprese sull’e-commerce attraverso il giusto mix di offerta di servizi (dalle fotografie dei prodotti al marketing) e incentivi all’apertura di canali digitali.
Nel concreto si immagina di recuperare il voucher di 10.000 euro per i servizi digitali alle micro e piccole imprese promesso e mai attuato e di detassare almeno per un anno i proventi da commercio elettronico sempre per le MPMI che vi si accostano.
Troppo costoso? Certamente non si tratta di misure a costo zero, ma gli interventi strutturali non lo sono quasi mai. Soprattutto sarebbe ora che gli interventi sull’ammodernamento del nostro sistema economico non fossero misurati solo con il metro della contingenza ma con un occhio più rivolto al futuro, e in questo caso parametrati al costo del non fare nulla o, peggio, del vedere i proventi del Made in Italy farci “ciao ciao” e finire a Pechino o in Lussemburgo.
Via Agenda Digitale
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