Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La continua crescita dell’urbanizzazione è una sfida sempre più complessa per la pubblica amministrazione che ha il compito di bilanciare costantemente il problema delle risorse limitate rispetto alle controversie e le difficoltà legate alla sostenibilità ambientale. Gartner stima che oltre 1,1 miliardi di “oggetti connessi” saranno usate nel 2015 dalle smart city, con una crescita prevista di 9,7 miliardi entro il 2020.
Le case intelligenti e gli edifici commerciali “smart” rappresenteranno il 45% del totale dei connected device in uso nel 2015, grazie ai forti investimenti previsti e alle opportunità che si profilano: Gartner stima che questa percentuale salirà fino all’81% entro il 2020. “Le smart city rappresentano una grande opportunità di guadagno per la tecnologia e per i fornitori di servizi, ma questi ultimi devono iniziare a pianificare, testare e posizionare bene le loro offerte già da oggi “, ha dichiarato Bettina Tratz-Ryan di Gartner.
Gartner definisce una città intelligente come una zona urbanizzata dove più settori collaborano per raggiungere risultati sostenibili attraverso l’analisi del contesto, che avviene attraverso la produzione e la distribuzione di informazioni in real time condivise tra sistemi informativi e tecnologici per ogni specifico settore. “La maggior parte degli investimenti sull’Internet of Things per le smart city verranno dal settore privato. Questa è una buona notizia per i fornitori di servizi dato che il settore privato possiede ritmi più veloci e più scanditi rispetto al settore pubblico“, ha proseguito Tratz- Ryan.
Le zone residenziali svolgeranno progressivamente un ruolo di apripista all’interno delle smart city, investendo in varie soluzioni per la smart home: con una maggiore penetrazione nel mercato e con un costante aumento del numero delle cose connesse utilizzate all’interno delle case intelligenti, Gartner stima che il numero reale di unità supererà il miliardo nel 2017.
Gli oggetti connessi includono l’illuminazione intelligente a LED, il monitoraggio sanitario, le serrature intelligenti e i vari dispositivi basati sulla sensoristica, come il rilevamento del movimento o della percentuale di monossido di carbonio presente nell’aria. L’ illuminazione intelligente a LED registrerà la più alta crescita per l’internet of Things: da 6 milioni di unità nel 2015 a 570 milioni entro il 2020. La luce subirà un cambiamento sostanziale: dall’essere una semplice fonte di illuminazione ad un vettore di comunicazione che incorpora la sicurezza, la salute, la rilevazione dell’inquinamento e vari servizi personalizzati.
Oltre agli investimenti sull’Internet of Things per la smart home, Gartner osserva che la crescita avverrà in modo interessante anche per i servizi automobilistici e per la misurazione del flusso di traffico nelle strade: uno degli obiettivi di cui si parla spesso per le smart city è proprio la riduzione della congestione del traffico. In California e nel Regno Unito sono già in corso di sperimentazione alcuni sensori incorporati in alcune zone autostradali per diagnosticare le condizioni del traffico in real time.
In generale, gli investimenti per l’hardware legato all’IoT è fondamentale per le smart city, ma la vera opportunità di guadagno per i fornitori è nel settore dei servizi e di analisi. “Ci aspettiamo che entro il 2020, i ricavi dei fornitori che hanno investito in hardware, cresceranno attraverso i servizi e i software di oltre il 50 per cento”, ha dichiarato ancora Tratz-Ryan. ”Gartner stima che il settore della sicurezza rappresenterà il secondo più grande mercato per fatturato entro il 2017 e che entro il 2020 l’assistenza sanitaria, il settore del fitness smart cresceranno verso un fatturato di quasi 38 miliardi dollari.“
“Ci aspettiamo varie implementazioni commerciali dell’internet of things all’interno di diversi settori, tra i quali l’energia intelligente, i servizi ambientali o la pianificazione dei tratti di percorrenza urbanistica, che offriranno l’opportunità ai fornitori di monetizzare dagli oggetti connessi grazie alla costruzione di nuovi modelli di servizio“, ha concluso Tratz-Ryan.
Connected things all’interno delle smart city (in milioni):
Settore
|
2015
|
2016
|
2017
|
Sanità
|
9.7
|
15.0
|
23.4
|
Servizi pubblici
|
97.8
|
126.4
|
159.5
|
Edifici commerciali smart
|
206.2
|
354.6
|
648.1
|
Abitazioni smart
|
294.2
|
586.1
|
1,067.0
|
Trasporti
|
237.2
|
298.9
|
371.0
|
Servizi
|
252.0
|
304.9
|
371.1
|
Altro
|
10.2
|
18.4
|
33.9
|
Total
|
1,107.3
|
1,704.2
|
2,674.0
|
Via Tech Economy
Quali sono le principali tecnologie e innovazioni che caratterizzeranno il mercato nei prossimi 12-18 mesi? A questa domanda ha provato a rispondere Deloitte con una serie di Prediction che, per il 2015, “anticipano una rivoluzione nelle vendite al dettaglio paragonabile all’avvento dell’e-commerce – spiega Alberto Donato, Partner Deloitte e responsabile italiano Technology, Media & Telecommunication (TMT) – Saranno rivoluzionate le modalità di consegna degli acquisti online, ritirati quando e dove il cliente desidera, e i pagamenti in negozio, sempre più spesso effettuati con il cellulare.”
Ecco le “TMT Predictions 2015” che assumeranno particolare rilevanza nel mercato italiano:
La corsa all’ultimo smartphone coinvolgerà 1,4 miliardi di persone nel 2015 Si venderanno più smartphone che tv, tablet, pc e videogiochi messi insieme con ricavi per oltre 300 miliardi di dollari. Lo smartphone sarà l’oggetto tecnologico più desiderato dal grande pubblico nel 2015. Si stima infatti che saranno venduti circa 1,4 miliardi di nuovi smartphone in tutto il mondo, di cui un miliardo sarà acquistato dopo soli 18 mesi dall’acquisto dello smartphone precedente. Gli acquisti di nuovi smartphone nel 2015 porteranno, per la prima volta, il numero di possessori oltre la soglia dei 2 miliardi. I principali fattori che spingeranno alla scelta di un modello piuttosto che un altro saranno la varietà di nuove funzionalità offerte (come il riconoscimento con impronte digitali), le capacità della fotocamera ed il look accattivante.
La batteria dello smartphone continua a essere insufficiente Ma se i telefoni stravincono gli investimenti nella ricerca per realizzare batterie più efficenti non produrranno i risultati sperati: nel 2015 la carica durerà in media solo il 5% in più del 2014. La difficoltà consiste nel trovare un sostituto al litio, materiale attualmente utilizzato, che oltre a durare di più abbia anche le stesse caratteristiche di sicurezza, economicità e adattabilità. In Italia, la necessità dilagante di disporre di uno smartphone sempre carico ha dato vita al mercato molto diffuso delle batterie esterne.
Pagamenti via smartphone I presupposti ci sono tutti: Mastercard e Visa si sono preparate ai pagamenti in negozio con gli smartphone mentre per Apple è già realtà. La fine del 2015 segnerà il punto di svolta per l’uso dei telefoni cellulari come alternativa agli strumenti di pagamento tradizionali, avviando di fatto il processo per il quale lo smartphone diventerà un vero e proprio portafogli. Nel 2015, circa il 5% degli smartphone in tutto il mondo verrà utilizzato per effettuare un pagamento in un negozio, almeno una volta al mese. Percentuale oggi ferma allo 0,5%.
Compri Online e ritiri dove vuoi Scuole, parcheggi, banche e stazioni della metropolitana: i luoghi in cui il consumatore online potrà scegliere di ritirare i propri acquisti. Un cittadino europeo su due effettua acquisti online, richiedendo miliardi di consegne ogni anno di cui non è soddisfatto. Perché aspettare ore a casa l’arrivo del corriere quando è possibile scegliere dove e quando ritirare il proprio acquisto? Il 2015 vedrà il boom del “click & collect”, cioè la diffusione degli acquisti online consegnati in armadietti, stazioni ferroviarie e negozi, dove saranno gli utenti stessi a ritirare la merce. Si raggiungerà il mezzo milione di location ad hoc in Europa, con un aumento del 20% rispetto al 2014. Con il 67% delle preferenze, i luoghi più gettonati per la consegna saranno gli armadietti (dislocati in Italia per lo più vicino a scuole, banche e parcheggi), seguiti dalle stazioni e dai negozi. Proprio per i negozi le nuove modalità di spedizione potranno rappresentare un’opportunità ma anche un onere: se da una parte il cliente che entra a ritirare il pacco può essere invogliato ad effettuare acquisti tradizionali, dall’altra sarà necessario progettare negozi predisposti ad accogliere la merce da ritirare e a gestire i resi.
IoT: un affare per le aziende Non solo smartphone e tablet, nel 2015 saranno connessi a internet un miliardo di nuovi oggetti come elettrodomestici e automobili, con una crescita del 60% rispetto al 2014. Nonostante l’attenzione dei media sia concentrata sui benefici per i consumatori finali, gli oggetti connessi alla rete faranno guadagnare soprattutto le aziende, con ricavi fino a 10 volte superiori ai risparmi per i consumatori. Quali i settori per primi renderanno i loro oggetti “intelligenti”? In primo luogo quello energetico: i nuovi contatori saranno capaci non solo di rilevare cortocircuiti o disservizi, ma anche di abilitare un’analisi della domanda di energia nei periodi di picco evitando la costruzione di nuove centrali. Anche gli elettrodomestici intelligenti porteranno grandi vantaggi, fornendo in tempo reale dati mai raccolti prima sia sullo stato di usura che sulle modalità di utilizzo. Internet rappresenta il futuro anche del settore automobilistico: si stima che nel 2015 verranno vendute in tutto il mondo circa 16 milioni di automobili intelligenti (pari alle previsioni di vendita 2015 di tutto il mercato USA), con enormi ritorni economici per le compagnie di assicurazione.
Aumenta la velocità di navigazione del 20% 725 milioni di case saranno connesse alla banda larga, ma la vera rivoluzione sarà nelle performance e nella varietà dell’offerta. A livello globale, nel 2015 le case con una connessione a banda larga aumenteranno del 2% rispetto al 2014, raggiungendo 725 milioni. La rivoluzione non sarà nel numero di nuovi utenti ma nella crescita delle performance della connessione disponibile nelle case, con un aumento della velocità media di navigazione del 20%. Il mercato offrirà sempre maggiori tipologie di banda larga, diverse per prezzo e performance, facendo crescere il divario tra coloro che hanno accesso ad una connessione super veloce e quelli che preferiscono una connessione standard. Il divario sarà particolarmente evidente per chi usa funzionalità che consumano molta banda come lo streaming dei video.
Libro VS e-book: vince la carta Il paradosso della carta: i libri stendono gli e-book mentre le librerie sono messe KO dall’ e-commerce. CD, DVD e giornali sono stati ormai largamente sostituiti dai loro cugini digitali mentre il buon vecchio libro resisterà saldamente alla diffusione dell’e-book, generando l’80% dei ricavi del settore nel 2015. Lettori di tutte le età dichiarano di preferire libri stampati a quelli elettronici. Il libro cartaceo resta il preferito da circa il 60% degli intervistati non solo per l’innegabile fascino legato al tatto, alla vista e all’olfatto della carta stampata, ma anche perché facilita la memorizzazione dei contenuti. È apprezzata, inoltre, la copertina del libro tradizionale che trasmette una serie di informazioni impossibili da veicolare tramite un libro elettronico. Se nella lettura la tradizione prevale sui libri digitali, la stessa cosa non si può dire per le modalità di acquisto: dal 2009 le librerie continuano a chiudere battenti perché i libri, ormai, si comprano online.
Via Tech Economy
Oggi il fenomeno della smart home e dei dispositivi integrati si declina soprattutto in termini di fitness, tra strumenti intelligenti per la palestra casalinga abbinati a terminali indossabili. Entro cinque anni, tuttavia, la prospettiva muterà drasticamente: saranno i frigoriferi ad avere la meglio. È quanto dimostra una recente analisi di Acquity Group, sui desideri e le esigenze dei consumatori.
Stando a un’indagine condotta sui consumatori a stelle e strisce, il gruppo ha rilevato come solo il 10% dei consumatori si consideri informato sui prodotti e i servizi connessi alla smart home. Ma entro il 2019 ben due terzi di tutti gli acquirenti pianificherà l’acquisto di un prodotto intelligente per la casa. E mentre ora l’accento è sul fitness, in futuro sarà su frigoriferi, termostati, cucine, rilevatori di fumo, dispositivi per il giardinaggio e molto altro ancora.
Stando alle previsioni dell’azienda, in 5 anni il 70% dei consumatori sarà possessore di un termostato smart, mentre il 60% si avvarrà di un sistema di sicurezza integrato e connessi in Rete. Questo perché la smart home sembra rispondere a due delle esigenze primarie della famiglia statunitense: risparmiare denaro sulle bollette ed evitare i furti. Ben disposti a pagare di più rispetto alle classiche alternative di mercato, il 59% dei consumatori afferma come sia pronto a sborsare qualche centinaio di dollari in più per godersi un frigorifero tecnologico, sempre connesso a Internet e pronto ad avvisare il proprietario della scarsità di alcuni alimenti. O, fatto ancora più futuristico, in grado di effettuare direttamente gli ordini per il supermercato.
Si tratta di un’esplosione di settore davvero importante, poiché rappresenta il trend tecnologico di più ampia crescita. Nello stesso periodo di riferimento, infatti, solo il 50% dei potenziali clienti avrà acquistato un dispositivo wearable e, non ultimo, solo il 40% dei vestiti tecnici e tecnologici.
In definitiva, la casa sta diventare un perfetto hub digitale per tutte le esigenze della famiglia, dall’intrattenimento all’alimentazione, passando per energia, riscaldamento, salute e benessere.
Via Webnews
Il 10 dicembre sono stato all’interessante conferenza conclusiva dell’Osservatorio Big Data e Business Intelligence del Politecnico di Milano e le impressioni che ho avuto sono all’origine di questo post.
Il big data è ormai un concetto con un buzz molto forte nella business community, fino a far temere perfino un effetto hype prima ancora di diventare concreto. Io trovo che invece sia un altro di quei casiin cui la tecnologia corre più veloce della sua comprensione.
L’interesse c’è, eccome
A vedere i dati della ricerca il tema è bello caldo: il big data analytics rappresenta la principale priorità di investimento per il 56% dei CIO per il 2015, con un budget in crescita del +23% rispetto al 2013. Sebbene per l’83% sia dedicata ancora a soluzioni di Performance Management & Basic Analytics e solo il 17% ad Advanced Analytics queste ultime crescono in modo maggiore (+34%) rispetto a quella in Performance Management & Basic Analytics (+23%). Un mercato in grande fermento quindi, dove spesso a tirare la volata verso l’adozione è il marketing. Probabilmente poi c’è un po di confusione sulla definizione se solo il 16% dei dati analizzati sono diprovenienza esterna all’azienda, ma alcuni trend, come la crescita dei dati destrutturati (+31% vs. 21% degli strutturati), sono comunque incoraggianti.
Mancano le competenze
Che cosa impedisce allora di far partire le iniziative? Il budget sicuramente non rispecchia l’attenzione dimostrata nelle dichiarazioni: gli investimenti previsti in Marketing Analytics in Italia rappresentano ancora solo il 2% del budget Marketing 2014 (negli Stati Uniti media il 5%). Il problema più grande di pone però nelle competenze richieste.
Solo il 17% delle aziende lamenta infatti carenze di software adeguati, mentre nel convegno e nella ricerca si parla molto di Data scientist e Chief Data Officer, che però non sono previsti nemmeno nel futuro dal 73% delle organizzazioni e hanno invece un ruolo formalizzato nel 2% (è presente in qualche modo in altro 11%).
Un salto troppo grande? Sì e no…
Il salto da fare non è banale. La verità infatti è che per molte aziende si vuole oggi passare dal non usare i dati, anche i più basilari, ad un super uso evoluto e cross channel. La prima domanda da porsi quindi è: siamo sicuri che le nostre fonti dati siano già mappate e gestite, o piuttosto c’è da costruire una logica coerente e aperta su cui innestare il futuro?
Inoltre dai dati bisogna farsi guidare, ovviamente con raziocinio. I dati vanno gestiti, selezionati, analizzati per trovare correlazioni nascoste e anche presentati in un modo che sia comprensibile e con valore aggiunto reale. Pochi giorni fa poi ho scritto un post sul data driven marketing, in cui ribadivo il fatto che c’è una certa ritrosia di molti marketer rispetto alla tecnologia, tecnologia che a sua volta è ancora spesso ostacolata dalla presenza di silos chiusi di dati e da una governance del digital carente.
Durante l’incontro ho ascoltato poi volentieri i vendor, competenti, che sono stati protagonisti delle tavole rotonde e mi sono però chiesto: riescono a farsi comprendere dalle persone di business? E soprattutto, quante persone non addette ai lavori ci saranno in questa sala? Di nuovo, il salto organizzativo e culturale che chiedono questi temi è forte e non basta essere solo tecnici o solo “commerciali”: serve scambio e comprensione del cambiamento a 360 gradi.
Un argomento così tecnologico e insieme così accattivante per il business come il big data può essere un’ottima occasione per iniziare questo processo di collaborazione fra diverse competenze, che ne dite?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
I braccialetti per il fitness stanno per diventare scatole nere che rivelano dati sul nostro corpo, a fini legali o assicurativi. A nostro vantaggio…o contro noi stessi. È uno scenario che sta prendendo forma rapidamente. Negli Usa è in corso il primo processo dove i dati di un fitness tracker (il Fitbit) sono addotti come prova per ottenere un risarcimento assicurativo. Nel contempo, è appena nata la prima app connessa a un’assicurazione sanitaria. Si chiama Pact e permette di aumentare o abbassare la franchigia di un’assicurazione a seconda se facciamo poca o molta attività fisica, monitorata da uno strumento come Jawbone Up o Fitbit.
L’idea di portare i dati a un processo è venuta a uno studio legale che sta assistendo una giovane personal trainer, per una causa assicurativa. La ragazza ha avuto un infortunio. I dati del Fitbit (confrontati prima e dopo l’evento) provano che ha dovuto ridurre di molto la propria attività fisica e ha così diritto a un adeguato risarcimento dall’assicurazione. Lo studio legale ha fatto subito sapere che l’idea si sta diffondendo: gli stanno arrivando numerosi clienti che vogliono usare i dati di un fitness tracker a supporto delle proprie cause, per un motivo o per l’altro.
Per ora è una cosa volontaria, domani chissà: alcuni giuristi americani (come Neda Shakoori dello studio McManis and Faulkner) già prevedono un giorno in cui un giudice obbligherà qualcuno a svelare, al processo, i dati del proprio braccialetto. Proprio come si fa con le scatole nere degli aeroplani in caso di incidente. Lo stesso può avvenire con le assicurazioni. Per ora solo Pact consente ai datori di lavoro di legare l’attività fisica dei propri dipendenti a una copertura assicurativa più o meno vantaggiosa. Ma se questa soluzione si rivelerà più competitiva, sarà imitata da altre assicurazioni e quindi non sarà più una libera scelta.
Insomma, man mano che i fitness tracker si diffondono, se ne rivelano le implicazioni sociali e legali. Smettono quindi di essere strumenti (solo) personali e cominciano ad avere una ricaduta sui propri rapporti con il mondo, le leggi, le istituzioni.
Ma può succedere solo negli Usa, dove i valori della privacy sono meno stringenti? «In Italia non ci sarebbero grandi difficoltà a utilizzare in giudizio anche questo genere di dati proprio come si utilizzano già tanti dati acquisiti dai dispositivi mobili o dai computer di bordo delle auto o dai social network – risponde Guido Scorza, avvocato tra i massimi esperti di diritti digitali -. Nel caso in cui il monitoraggio dell’attività fisica divenisse sistematico, invece, mi sembra un po’ diverso».
«È davvero libero – mi chiedo – il mio consenso a permettere all’assicurazione un trattamento tanto invasivo dei miei dati personali, a fronte di uno sconto importante?». E ancora: «Che cosa ci farebbero gli assicuratori con una quantità di dati tanto preziosi? Siamo sicuri che, con un apposito consenso, non finirebbero per utilizzarli anche commercialmente? Chi assicurerebbe e a che condizioni le persone più a rischio?».
«Nella sostanza – aggiunge Scorza – l’idea non mi piace e mi sembra muovere da una concezione della privacy – addirittura quella legata ai dati sensibili – un po’ troppo business oriented. Il diritto alla privacy dovrebbe essere meno disponibile di quanto in genere si pensa».
Via IlSole24Ore.com
Secondo il Pew Research Center il 90% degli americani usa il proprio smartphone per qualsiasi tipo di comunicazione, sia privata, sia pubblica. Grazie a tali dati i funzionari governativi hanno capito che proprio tramite la velocità delle comunicazioni via mobile i residenti erano in grado di mettersi in contatto con i vari operatori urbani. Città, quindi, come Atlanta, Philadelphia e Chicago stanno tentando di attingere alle potenzialità tecnologiche e alle varie app per ristabilire e creare un rapporto co-partecipativo con i cittadini.
In questa rete di stategiche esplorazioni e scoperte, Boston pare sia la metropoli più smart, tecnologicamente adulta. Citizen’s Connect, infatti, è un’applicazione municipale approvata e sostenuta dal sindaco che funziona come una sorta di numero verde, disponibile 24 ore su 24, attraverso cui i residenti possono segnalare problemi come buche, graffiti abusivi, semafori malfuzionanti, segnaletica stradale inesistente, incidenti che mettono in pericolo la vita urbana. Gli utenti, attraverso l’applicazione (sia per Android sia per IOS), scattano una foto e la inviano al centro di monitoraggio che codifica la posizione e manda soccorsi. Oltre all’utilizzo della app è possibile usare il servizio via web e comunicare via chat con un operatore. La risposta è garantita. Per facilitare le operazioni, infatti, il comune ha assunto una serie di City Workers che aiutano gli impiegati municipali a raccogliere data e vigilare costantemente sulle varie attività.
Citizen’s Connect è stata sviluppata dal team di Nigel Jacob, co-presidente del Dipartimento di New Urban Mechanics: una sorta di una società di consulenza digitale strettamente legata al comune che ha l’obiettivo di instaurare relazioni solide e di fiducia con i cittadini, al fine di scoprire quali sono i reali bisogni di ogni individuo e come la partecipazione attiva dei residenti possa sviluppare e migliorare l’efficienza urbana. Con questa iniziativa, quindi, Boston, si è aggiudicata il titolo di città “tech savy” e presa dall’entusiasmo dei risultati positivi ottenuti, ha recentemente istituito Darg (Design Action Reserach with Government), una sorta di laboratorio di ricerca che si avvale di tecnologie civiche per migliorare la sicurezza cittadina. Per tale progetto il comune di Boston ha collaborato con Eric Gordon, direttore del Game Engagement Laboratory dell’Emerson College, che esamina come i giochi e social media possono influenzare la vita urbana. Attraverso Darg, il team di Gordon analizzerà i vari sistemi messi a disposizione dal comune per capire quale comportamento civico ha bisogno di un cambiamento radicale e quali sono gli strumenti migliori per raggiungere tale scopo. “E’ tutta una questione di porre le domande giuste prima di distribuire una applicazione civica, in modo che l’attenzione, non tanto sul successo assoluto o il fallimento, sul trovare un sistema e un meccanismo che i residenti possano usare”, ha detto Gordon in un comunicato pubblicato sul sito del comune. Per essere più efficaci in questa ricerca Darg ha promosso “Via Cred”, un’applicazione che misura l’ impegno civico degli utenti in base a un sistema di punteggi che vengono dati secondo la loro partecipazione al benessere urbano.
Via IlSole24Ore.com
Premessa: i rapporti sulla poduttività delle tecnologia tendono a essere molto ottimistici. Secondo una analisi di Frost & Sullivan nel corso dei prossimi cinque anni, le 50 tecnologie più importanti a livello globale genereranno un potenziale di mercato complessivo di 2,8 trilioni di dollari. Soltanto nel 2013, l'investimento globale in ricerca e sviluppo per queste 50 tecnologie ha superato i 120 miliardi di dollari. L’analisi si basa sul programma TechVision di Frost & Sullivan pensato su misura per identificare le tecnologie specifiche che possono influenzare e rafforzare il business di un'azienda. Afferma Ankit A. Shukla, Practice Director del gruppo Technical Insights (Europa) di Frost & Sullivan: «Abbiamo creato un programma specifico per tenere traccia delle nuove tecnologie e sfruttare le opportunità di diversi miliardi di euro che nascono dalla possibile convergenza tecnologica».
Le previsioni
Il valore quindi è generato dalla convergenza che genera (o dovrebbe generare nuovi mercati). Per esempio, secondo gli analisti emergeranno delle opportunità collegate alle infrastrutture oil & gas “self-healing” (o autoriparanti) come risultato della convergenza dell'elettronica flessibile e dei rivestimenti superidrofobici. Le tecnologie di realtà aumentata assimilate all'elettronica indossabile offriranno una migliore user experience per i settori consumer, difesa, istruzione e videogiochi. Il settore della sanità trarrà vantaggio dalla tecnologia di stampa 3D, rendendo possibile la guarigione personalizzata delle ferite grazie alla pelle artificiale stampata in 3D. Queste tecnologie registreranno un tasso di adozione significativo intorno al 2019-2020.
Ecco le 50 tecnologie più innovative. Le 50 tecnologie più innovative identificate da Frost & Sullivan spaziano in nove diversi settori, tra cui: ict, tecnologie per dispositivi medici e di imaging, manifattura avanzata e automazione, sensori e controlli, materiali e rivestimenti, microelettronica, tecnologie “green” per l'ambiente, energie sostenibili, salute e benessere. Qui il pdf con la mappa delle tecnologie. A questo indirizzo invece il motore per trovare le 50 tecnologie emergenti.
Via IlSole24Ore.com
Apple mira a controllare l'universo dei pagamenti mobili, diffondendoli, a scapito di Google e degli operatori mobili: grazie a un mix speciale di sicurezza e usabilità. È questa la lettura che un po' tutti gli esperti stanno dando ad Apple Pay, sistema annunciato il 9 settembre con l'iPhone 6 e l'Apple Watch. Per ora è previsto solo negli Stati Uniti (a ottobre), ma è quasi certo che il sistema arriverà in Europa e quindi (forse) anche in Italia. E sarà così: avviciniamo il nuovo iPhone (il sesto) al Pos del negoziante, poggiamo il dito sul lettore di impronte digitali integrato e usciamo, senza fare altro.
Abbiamo già pagato: con la carta di credito ospitata, in modo criptato, su un chip speciale del cellulare (il Secure Element); lo scambio di informazioni con il Pos avviene tramite onde radio (tecnologia Nfc). Ma con l'impronta digitale e Apple Pay potremo comprare anche online, al posto di digitare password o numeri di carta, come già possibile con Samsung. Certo, Apple non ha inventato nulla di nuovo. «Ma a dispetto dell'opinione comune, Apple non inventa mai un mercato. Piuttosto, si inserisce in quelli esistenti per ridefinirli, riuscendo a portarli verso il pubblico di massa», dice Ian Fogg, analista di Ihs.
È stato così con le app e gli smartphone. Forse Apple riuscirà nell'impresa anche con i pagamenti mobili di prossimità (Nfc), che finora sono rimasi in una nicchia. Gli utenti stentano ad adottarli anche negli Usa, dove c'è da tempo Google Wallet. I motivi principali, notano vari analisti (tra cui Gartner) sono due: dubbi sulla sicurezza del sistema e usabilità non eccelsa. Gli utenti cioè non colgono davvero il vantaggio a pagare in questo modo, in termini di comodità e risparmi di tempo, rispetto all'uso della carta fisica. Ecco perché Apple si focalizza su usabilità e sicurezza. Sulla prima perché fa pagare senza bisogno di app dedicate (che ci saranno ma saranno facoltative) e senza nemmeno bisogno di guardare il display (una vibrazione conferma l'avvenuto pagamento).
Sulla seconda perché Apple Pay fa tutto con crittografia e non usa mai i veri dati dell'utente. Sull'iPhone la carta è rappresentata da un Device Account Number, assegnato dal servizio, unico per ogni utente. Quando l'utente paga, viene scambiato con il Pos il Device Account Number insieme con un codice di sicurezza dinamico, specifico per quella transazione. Tecnicamente, è un «pan dinamico con tokenizzazione». Apple non ospita i dati sui propri server, a differenza di Google Wallet che usa il cloud. I servizi degli operatori mobili e le banche italiane hanno nella sim, invece, il secure element e poi fanno pagare con un'app dedicata. Di fatto però solo quest'anno i servizi arriveranno a maturità.
È recente l'arrivo di Tim Wallet e Vodafone Wallet, mentre per Wind dovremo aspettare il 2015; per 3 Italia fine anno o inizi del prossimo. Per di più, Tim Wallet funziona solo con carte di credito della banca Mediolanum e la prepagata della stessa Tim. Quello di Vodafone solo con la sua prepagata e, a breve, con Mediolanum. L'analogo servizio di Poste Italiane è vincolato ai conti Bancoposta. L'app di Intesa San Paolo funziona invece solo con le sim di Tm e di Noverca. Tutti gli attori lavorano ad accordi per ampliare il servizio a partire già dai prossimi giorni. «Bisognerà vedere l'impatto di Apple Pay sul mercato italiano e come reagiranno le banche, che hanno già investito su proprie app», dice Valeria Portale, che si occupa di pagamenti mobili presso gli Osservatori digital innovation del Politecnico di Milano. Apple Pay, a differenza di quanto si pensava, non dovrebbe scavalcare le banche: negli Usa funziona solo con le carte di credito di banche con cui Apple ha fatto accordi. «Il motivo è forse che c'è bisogno della collaborazione della banca, durante il pagamento, per confermare che il dato criptato corrisponde effettivamente a quella carta di credito», dice Portale. «Le banche italiane però non potranno opporsi al servizio di Apple, poiché grazie agli iPhone possono diffondere il nuovo metodo di pagamento», aggiunge. I principali sconfitti rischiano di essere insomma gli operatori mobili. Scontano ora di aver indugiato troppo per il lancio dei servizi, attendendo di accordarsi con le banche.
Via IlSole24Ore.com
Con l’ampliamento delle tecnologie digitali, i rivenditori hanno a disposizione potenzialità inedite per creare applicazioni ad hoc per conquistare la clientela. È quanto emerge dal rapporto Accenture Retail Technology Vision 2014 che esamina le principali tendenze della tecnologia in questo campo e delinea il loro impatto sul settore retail.
Gli ultimi cinque anni hanno cambiato il panorama delle vendite al dettaglio: oggi, ogni cliente è un cliente digitale, con delle crescenti aspettative circa la qualità e l’ubiquità della sua esperienza di shopping che dalla dimensione online si protrae fino alle attività in-store. È un cliente consapevole, che sa come gestire le transazioni e ne conosce ogni aspetto. Diventa quindi necessario mettere in campo risorse aggiuntive per conquistare il cuore di una clientela sempre più spesso corteggiata da un numero sempre crescente di operatori.
Allo stesso modo, le nuove forme di analisi e raccolta delle informazioni messe a disposizione dalle tecnologie stanno aumentando il livello di comprensione dei comportamenti dei clienti. Il continuo miglioramento delle infrastrutture permette infatti di supportare enormi quantità di dati e di analizzarli ed elaborarli in tempo reale. I rivenditori che vedono queste tendenze come opportunità hanno la possibilità di impostare il proprio business su più elementi: oltre a rafforzare le loro relazioni con i clienti, possono sfruttare efficacemente i dati a disposizione e ottimizzare le risorse professionali.
Secondo lo studio sono tre i fattori abilitanti che possono fare la differenza in questo campo.
La crescita dei device. La popolarità di tablet e smartphone è innegabile – di fatto, nel giorno medio il 79% dei consumatori parla al telefono o lo ha vicino per due ore nell’arco della loro giornata – e insieme a questo andamento positivo si registra un aumento dell’interesse dei consumatori intorno ai dispositivi indossabili come gli smart watch e i Google Glass.
Considerato questo radicamento dei dispositivi mobile nella vita quotidiana, i rivenditori hanno la possibilità di investire in applicazioni ad hoc al fine di fornire un “ponte”, senza soluzione di continuità, per consentire ai clienti di continuare le proprie esperienze di acquisto dallo shopping generico on-line a quello condotto all’interno di applicazioni brandizzate. Questo permetterà ai retailer di costruire relazioni più personalizzate e meglio differenziarsi dalla concorrenza.
Il ruolo dei social media. I rivenditori leader del settore utilizzano i dati sociali per analizzare i mercati locali su ampia scala, seguire le tendenze, identificare gli influencer e rispondere in modo intelligente alle diverse esigenze di pubblici eterogenei. Ma questo è solo il punto di partenza. Un uso intensivo dei social media può permettere di prevedere la domanda di determinati prodotti e influenzare la propria presenza sugli store on line per creare offerte più convenienti e personalizzate.
Gli store tecnologicamente avanzati. La presenza di store online costituisce una fortissima concorrenza per gli store “fisici” ma grazie alle nuove tecnologie i rivenditori possono arricchire l’esperienza di shopping nei propri negozi. Stampa 3D, tecnologie immersive, come la realtà virtuale, e applicazioni mobili possono trasformare rapidamente l’esperienza di acquisto e contribuire ad una differenziazione dei differenti venditori.
Saranno queste la chiavi del successo? La presenza di negozi, off line e on line, che offrono un servizio rapido, coerente, senza soluzione di continuità e attraverso canali multipli. In caso contrario, un altro rivenditore è solo ad un clic di distanza.
Via Tech Economy
Spendiamo di più e sappiamo quello che vogliamo da device, smartphone e tablet. È quanto risulta dall’indagine Samsung dedicata al rapporto lifestyle-tecnologia in Europa Gli italiani riservano un budget di 559 euro per comprare elettrodomestici e device mobili, per uso ricreativo e social, contro i 360 euro degli spagnoli. Più parsimoniosi invece i tedeschi che spendono circa 323 euro, seguiti dagli inglesi con 274 euro e dai francesi con 223 euro.
Dalle stime del Technomic Index di Samsung, emerge anche che in media nelle famiglie italiane si attestano 16 dispositivi mobili, in linea con la media europea di 18 e che passiamo in media 8 ore davanti ai display di tablet, smartphone. Secondo le preferenze del campione italiano di intervistati, tra i 18 e i 65 anni, è la Tv la protagonista dei salotti (80%), seguita poi dalle lavatrici utilizzate almeno una volta alla settimana (76%), e dagli elettrodomestici per la cucina (81%). Inoltre, secondo i dati dello studio condotto, gli italiani non possono fare a meno di: tablet (50% in rapporto al 53% degli altri paesi intervistati), che risulta il device più regalato (16%); fotocamere (35% vs il 26% in Europa), le preferite per scattare foto.
Per gli smartphone abbiamo gusti precisi: secondo Samsung, ci aspettiamo che siano performanti e all’avanguardia (26%) e veloci ed efficienti (32%). Poi siamo molto sensibili al fattore mobilità per device: scegliamo nuovi tablet (19%) o macchine fotografiche (15%) perché più leggeri e più piccoli. Pc, tablet e smartphone li impeghiamo per navigare nella Rete (91%), per utilizzare app (79%), scattare foto (79%), per fare shopping online (70%), per vedere un film o ascoltare musica in streaming (58%), per social network (71%) e messaggistica istantanea (72%). Infine, per operazioni di online banking preferiamo il pc (98%) o il cellulare (70%).
Infine la tecnologia ha un ruolo importante per le nostre relazioni sociali, permettendoci di restare in contatto con i nostri familiari (80%) e di aumentare amicizie e relazioni con l’instant messaging (70%), tendenza in linea con la media europea.
Via Business People
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