Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il Mobile ha conquistato una posizione di primo piano in tutto il mondo: conta per oltre la metà dei minuti complessivi spesi online in 13 Paesi, con quote che superano il 75% in Messico, India e Indonesia. In Italia questa percentuale si ferma al 62%, in linea con i dati di USA e Regno Unito.
Tuttavia, una percentuale significativa della popolazione internet italiana è fortemente dipendente dai dispositivi mobili. Le persone che accedono al web esclusivamente da Mobile sono il 26% della popolazione italiana, una percentuale molto più alta di paesi come Germania, Regno Unito e Stati Uniti (rispettivamente 4%, 8% e 12%), mercati in cui la maggioranza accede da più piattaforme.
L’Italia risulta anche il mercato più polarizzato in assoluto per quanto riguarda l’utilizzo di app: oltre l’87% del tempo trascorso via mobile è infatti speso all’interno di un’app, ma in termini di reach in Italia solo 11 app riescono a raggiungere un livello di audience abbastanza consistente attorno al 20% di penetrazione (contro le 20 degli USA o le 17 del Regno Unito). Queste alcune delle evidenze provenienti dalla relazione internazionale sull’uso dei dispositivi mobili per il 2017 di comScore, intitolata “Global Mobile Report”.
Questo nuovo studio si propone di esaminare le audience mobile, le categorie di contenuti e le applicazioni che stanno modificando il panorama digitale globale. La relazione si basa su dati multi-piattaforma relativi a 14 mercati internazionali (Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Argentina, Brasile, Messico, Cina, India, Indonesia e Malesia) allo scopo di evidenziare trend globali e differenze regionali nell’utilizzo dei dispositivi mobili.
“L’adozione del mobile avviene in maniera tutt’altro che uniforme a livello globale”, commenta Will Hodgman, Executive Vice President of international sales presso comScore. “Questa relazione dimostra che identificare le aree in cui il consumo digitale tende a concentrarsi sulle piattaforme mobili permette a proprietari di media, inserzionisti e relativi centri media di portare alla luce nuove opportunità potenziali in termini di audience e contenuti. Con l’ampliamento della misurazione delle audience mobile a livello granulare e basata su dati panel, comScore intende perseguire l’intento di individuare nuovi trend da azionare.”
Il Global Mobile Report si concentra sulle seguenti tematiche: • La percentuale del tempo digitale complessivo dedicato al mobile (e alle app) con le relative quote di audience, approfondendo anche l’influenza dei modelli di utilizzo “mobile-only” sul panorama digitale; • Le dinamiche a livello delle singole categorie di contenuti, identificando le categorie maggiormente caratterizzate da comportamenti “mobile first”; • I comportamenti dei consumatori in relazione alle transazioni da mobile; • I brand e le applicazioni mobile che hanno conquistato posizioni dominanti nelle categorie di Messaggistica Istantanea, Notizie, Retail e Social Media; • La maturità del mercato globale delle app, con identificazione delle categorie che registrano una crescita costante. I panel mobile migliorati in Germania, accanto a quelli di Francia e Argentina, hanno l’effetto di ampliare le già avanzate soluzioni comScore per la misurazione dell’universo mobile, le quali oggi si concentrano su ben 14 mercati globali. comScore è intenzionata a espandere ulteriormente le proprie capacità di misurazione del mobile a livello globale.
Via Spot and Web
- Internet parallele come monopòli: Amazon, Booking, Airbnb, Whatsapp, Facebook, Netflix. Le persone ahimè sono pigre, scelgono pochi strumenti, e usano sempre gli stessi per eseguire la maggior parte delle loro attività. L’importante (per la digital strategy) è saperlo, e sfruttare la pigrizia.
- Mobile: la app mania è finalmente finita. Non siete diventati ricchi a botte di un euro a download. La app della vostra azienda se la sono scaricata solo gli sviluppatori. È il momento di pensare al mobile come a un layer permanente, non come a un canale, o peggio a uno strumento. Cosa siete disposti a dare per entrare nei loro smartphone?
- Social: ehi, vi ho già detto che il piano editoriale è morto? E che Facebook sfrutterà sempre di più il proprio monopolio? E che non ci potete fare niente se non gioire e pagare (bene) e/o distinguersi dagli altri?
- Programmatic: chi sarà il primo a fare la domanda “quanto costa rispetto a quanto rende“? Chi ci guadagna nel mezzo? E poi: tre cookie profilanti non faranno spiccare un banner, che è un formato fuori dagli occhi (figurati dal cell, figurati dal cuore) dei millennial (e non solo), soprattutto in mancanza del punto 6.
- Creatività digitale: ancora adesso partiamo dal concept. Brainstorming intersecano ciò vogliamo comunicare, sinonimi e contrari, e ardite metafore e poi la battuta. Chi è di solito assente al tavolo? Il micro-segmento di persone a cui vogliamo dire qualcosa, la loro ricompensa per starci a sentire. Il concept creativo monolito (la “big idea”) per tutti ha ancora senso nell’era digitale (vedi il punto 6)? O forse meglio un algoritmo che faccia 5000 variazioni diverse per coprire 5000 microsegmenti?
- Rilevanza: la pubblicità digitale, nonostante tutte le tracce che lasciamo in rete, viene concepita come ai tempi della TV, un messaggio uguale per tutti, e che in più interrompe senza niente in cambio. Quindi, non è davvero rilevante per nessuno. E questo provoca il punto 10.
- Stories: le stories sono ormai un linguaggio autonomo. Instagram ha in mano il futuro dei social, che sarà verticale, creativo e pop. Sarà più spontaneo ed effimero. Chi ci perde, oltre a Snapchat? I fotografi influencer patinati di Instagram, forse?
- Content: sempre più contenuti, sempre più affollamento. È il dilemma del prigioniero: sarebbe meglio per tutti che se ne facessero meno e migliori, “ma se poi io ne faccio meno e lui di più, io perdo e lui vince”. Così perdiamo tutti, e amen.
- Influencer: se servono per aumentare awareness, reputation e vendite, perché non misuriamo nessuno dei tre? Semplice: perché con i fondi di magazzino del budget digital si fa prima a cacciare mille euro a post di Instagram e sperare che succeda qualcosa. Finché dura.
- Adblock ed editori: ci sono molti motivi perché le persone bloccano i banner, e nessuno di questi è la cattiveria verso gli editori. Il motivo è il punto 6. E gli editori continuano a vendere i dati dei propri utenti per pochi euro a CPM che non salveranno il settore. Iniziassero a vendere prodotti per cui (una minoranza) di persone sono disposte a spendere sarebbe una internet migliore per tutti.
Via [mini]marketing
Rallenta la flessione del giro d’affari dell’editoria in Italia, anche se il comparto, su scala internazionale continua ad essere in affanno. E’ questo il dato che emerge dal focus che R&S Mediobanca ha dedicato al settore, analizzando la situazione dei nove principali gruppi editoriali del Paese cui fanno capo i maggiori quotidiani nazionali d’informazione, attraverso i conti nel periodo 2012-2016 (inclusi i primi nove mesi 2017). Lo studio comprende il confronto con i maggiori editori di quotidiani in Europa e un’analisi del settore editoriale a livello mondiale.
Dall’analisi emerge che il giro d’affari mondiale dell’industria dell’informazione è in diminuzione, attestandosi nel 2016 a 153 miliardi di dollari, in calo dell’8,4% sul 2012. La riduzione, però, riguarda esclusivamente i ricavi da pubblicità cartacea (-26,9% nel 2012-16), mentre aumentano quelli da diffusione cartacea (+3,4%), da diffusione digitale (un notevole +254,4%) e da pubblicità digitale (+32%). Nonostante la crescita del digitale, nel 2016 il 91,6% del giro d’affari mondiale proviene ancora dalla carta stampata, segno di come a livello globale la gran parte degli investimenti pubblicitari e delle vendite si concentri ancora sui canali tradizionali.
Nel mondo dell’editoria mondiale – le cui tre piazze principali sono USA, Giappone e Germania – sta cambiando il modello, passando da un paradigma centrato sulla pubblicità a uno focalizzato sulla vendita. Continua infatti l’inversione di tendenza iniziata nel 2014, quando i proventi da diffusione hanno superato quelli pubblicitari: nel 2016 il 56% del giro d’affari mondiale dell’industria dei quotidiani proviene dai ricavi diffusionali. In questo contesto la pubblicità digitale garantisce all’industria dell’editoria margini di guadagno esigui: su ogni euro speso in pubblicità digitale, ben 61 centesimi vanno alle cosiddette “advertising tech companies”, soprattutto alle BigWeb companies: Google, con €75mld nel 2016, si accaparra la maggiore quota di ricavi da pubblicità digitale (principalmente attraverso Google Search e YouTube), seguita da Facebook, con €26mld; al terzo e quarto posto le cinesi Baidu (€9mld) e Tencent (€4mld).
Diffusione e prezzi dei quotidiani in Italia e negli altri Paesi Nel 2016 in Italia la diffusione cartacea complessiva è diminuita di circa 300mila unità, passando da 2,9 a 2,6 milioni di copie medie al giorno (-33,3% rispetto al 2012). In Europa le cose non vanno molto meglio: la diffusione cartacea registra un -20,5% sullo stesso periodo. A livello globale il calo risulta invece più contenuto in Nord America (-11,6%) e in America Latina (-12,1%), mentre l’Oceania è il continente che registra la diminuzione maggiore (-30,7%). In Asia invece la diffusione aumenta, grazie soprattutto all’apporto dell’India, e segna ben +40,1% nel quinquennio in esame. Quest’ultimo dato incide fortemente sulla dinamica diffusionale mondiale, portandola in segno positivo a +21%.
(Infografica elaborata da R&S Mediobanca)
Nel 2016 la diffusione dei quotidiani italiani (2,6 milioni di copie) corrisponde a poco più di quanto fatto registrare dai soli primi due tedeschi (Bild e Frankfurter Allgemeine, la cui diffusione aggregata è di poco inferiore a due milioni e mezzo di copie) e inferiore a quella dei primi due britannici (la somma della diffusione di The Sun e Daily Mail arriva a 3,3 milioni di copie).
(Infografica elaborata da R&S Mediobanca)
La top 10 dei quotidiani d’informazione più diffusi in Italia nel 2016 per copie medie al giorno (dati ADS): al primo posto il Corriere della Sera (268mila), a cui segue La Repubblica (232mila), La Stampa (161mila), Il Sole 24 ORE (131mila), Il Messaggero (113mila), Avvenire (108mila), QN-Il Resto del Carlino (105mila), QN-La Nazione (80mila), Il Giornale (72mila) e Il Gazzettino (56mila).
Capitolo a parte è quello relativo ai prezzi: i quotidiani europei sono mediamente più cari di quelli italiani: ad esempio la singola copia del francese Le Monde costa €2,40, quella del tedesco Handelsblatt €2,80. Bild, The Sun e Daily Mail costano meno della metà degli altri quotidiani di informazione, ma hanno una diffusione di circa cinque volte superiore.
(Infografica elaborata da R&S Mediobanca)
Qual è lo scenario dei principali gruppi editoriali italiani? I ricavi aggregati dei nove principali Gruppi editoriali italiani continuano a diminuire, attestandosi nel 2016 a €3,7mld (-25,7% sul 2012). Tuttavia il confronto 2016-2015 indica un rallentamento della flessione del giro d’affari. La top 3 per fatturato nel 2016 è composta da Mondadori (€1,26mld), RCS MediaGroup (€968mln) e L’Espresso (€586mln).
(Infografica elaborata da R&S Mediobanca)
(Infografica elaborata da R&S Mediobanca)
Anche l’occupazione si riduce. Considerando le 3.422 unità perse nel periodo 2012-16, la forza lavoro del comparto si attesta a quota 13.038 dipendenti nel 2016 (-20,8% sul 2012). Nel corso del quinquennio, solo Cairo Editore ha aumentato gli organici (+6,4%).
(Infografica elaborata da R&S Mediobanca)
Passando ai conti, i maggiori Gruppi editoriali italiani hanno cumulato nel periodo 2012-16 perdite nette per €2mld; solo Cairo Editore e L’Espresso hanno sempre chiuso in utile. Anche la redditività industriale è stata negativa nel quinquennio, pur con una forte dispersione fra i singoli Gruppi: la classifica per ebit margin 2016 vede al primo posto Cairo Editore (14,3%), al secondo Mondadori (5,2%) e al terzo L’Espresso (4,7%); in coda Il Sole 24 ORE (-15,4%) e Class Editori (-21,8%).
(Infografica elaborata da R&S Mediobanca)
Nel 2016 la struttura finanziaria resta mediamente solida, ma molto eterogenea, con i mezzi propri che rappresentano in media 1,4 volte i debiti finanziari. I più solidi nel 2016 sono Cairo Editore (senza debiti finanziari) e Caltagirone Editore, mentre i più fragili sono Il Sole 24 ORE e RCS MediaGroup. Sul fronte investimenti si registra un forte ridimensionamento: gli €24mld del 2016 segnano un calo del 69% sul 2012.
Il confronto con l’Europa Escludendo l’Italia, i Gruppi editoriali europei con il maggior fatturato per il 2016 sono il tedesco Axel Springer (€3,29mld) che edita i quotidiani Bild e Die Welt, e due società del mercato UK: l’Associated Newspapers Ltd. (€759mln) a cui fa capo il Daily Mail e il News Group Newspapers Ltd. (€521mln) che edita il The Sun.
(Infografica elaborata da R&S Mediobanca)
Come vanno i big player dei principali Paesi europei? Il confronto tra Italia, Francia, Germania e UK vede il nostro Paese e la Francia capofila per contrazione del giro d’affari nel 2016-15, con Germania e UK che segnano invece un leggero aumento, e fanalino di coda per quanto riguarda la solidità finanziaria; Italia ultima per tasso di investimento nel 2016. La migliore redditività industriale è registrata dalla Germania con un ebit margin del 7,4% nel 2016, mentre Italia (-1,3%) e Francia (-3%) sono in negativo. Nel periodo 2015-16 sono scesi mediamente dell’1,8% i ricavi delle società editoriali europee prese in esame a cui fanno capo i quotidiani d’informazione, mentre sono in controtendenza i ricavi delle società che editano testate economiche (+2,7% medio).
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Via Prima Comunicazione
Le ultime vicende che hanno visto YouTube protagonista, riguardanti la circolazione di materiale inappropriato, spesso inavvertitamente affiancato a pubblicità, ha spinto molti brand a congelare i propri investimenti in advertising sul sito e alla piattaforma ad avviare politiche molto restrittive nel tentativo di arginare il problema. YouTube ha, infatti, eliminato la pubblicità da centinaia di migliaia di video in un processo che sta chiamando de-monetizzazione, compresi quelli di youtuber molto seguiti come PewDiePie, uno dei canali più popolari del sito che ha offeso i telespettatori e gli inserzionisti con materiale antisemita all’inizio di quest’anno. I suoi guadagni sono scesi del 20% a 6,12 milioni di dollari, rispetto ai 15 milioni dell’anno scorso.
Le vittime collaterali
Il risultato collaterale è stato che molti Youtuber sono stati privati di gran parte del proprio business, anche se non necessariamente promotori di contenuti offensivi. Alcuni creator hanno perso fino all’80% dei propri introiti mensili, un colpo proprio alla gente che contribuisce maggiormente a rendere il sito il posto più popolare dove guardare video online. Molti di essi, hanno persino abbandonato la piattaforma ripiegando su altri siti rivali, come Twitch, la social tv di Amazon che continua a rivelarsi un avversario temibile per il business di Google. YouTube stesso ha detto che sta lavorando per rispondere alle preoccupazioni degli utenti, riconoscendo in una dichiarazione che “è stato un anno difficile per i creator”.
Calo dei ricavi
Il servizio video ha costruito una delle più grandi aziende media nel mondo, con miliardi di dollari di ricavi annuali. L’incentivo per gli utenti è di costruire un pubblico e di condividere la pubblicità in funzione dell’aumento del numero di spettatori. Ma alcuni youtuber stanno riconsiderando le loro posizioni avendo visto un calo dei benefici a seguito delle recenti vicende. Quanto emerso è chiaro anche da una serie di interviste che Bloomberg ha rivolto ad alcuni famosi youtuber come Joe Taylor, “ho dovuto cambiare tutta la mia vita”, ha dichiarato dopo che il suo canale dedicato alle moto chiamato JoeGo101 ha visto un immenso calo dei guadagni che sono scesi da 6.000 dollari al mese a circa 1.000, non abbastanza per pagare le bollette del 37enne.
I numeri dei creator
Complessivamente, le 10 stelle YouTube più pagate al mondo, individuate da Forbes, hanno guadagnato 127 milioni di dollari tra il 1° giugno 2016 e il 1° giugno 2017, al lordo delle tasse e delle spese di gestione. Le cifre si basano sui dati di YouTube, Social Blade e Captiv8, così come sulle interviste con agenti, manager, pubblicitari, produttori e avvocati. Il guadagno complessivo è aumentato dell’80% rispetto ai 70,5 milioni di dollari delle prime 10 stelle di YouTube dello scorso anno. In gran parte, questo è grazie alle views, che si traducono facilmente in dollari pubblicitari. Inoltre, man mano che YouTube è maturato, le sue star sono divenute più sofisticate nel marketing stesso, il che si è tradotto in tour da sold out, ospitate offerte di creazione contenuti di marca più lucrative e maggiori vendite di merci.
Le soluzioni proposte da YouTube
“Abbiamo bisogno di un approccio che ci permetta di fare un lavoro migliore nel determinare quali canali e video dovrebbero essere idonei per la pubblicità e rendere il nostro ambiente pulito e sicuro”, ha scritto il CEO di YouTube Susan Wojcicki in un blogpost. “Abbiamo ricevuto molte richieste dai nostri creator che ci chiedono di essere più accurati quando si tratta di rivedere i contenuti, in modo da non smonetizzare i video per errore”. Nonostante le nuove sfide, dunque, i canali di YouTube prosperano con cifre a sei zeri nel fatturato e sono in crescita del 40% rispetto allo scorso anno, secondo l’azienda. I creator hanno anche nuovi modi per fare soldi attraverso abbonamenti, sponsorizzazioni e altri strumenti, ha detto YouTube.
La sfida
Altri creator che sono riusciti a mantenere i propri guadagni inalterati, si dichiarano comunque frustrati dalla mancanza di trasparenza e comunicazione del sito. “L’azienda deve ancora condividere una serie di standard di quello che è accettabile per gli inserzionisti pubblicitari e se ti de-monetizza non ti spiega perché arrecandoti spesso per errore un danno enorme”, dichiara uno di loro. Il problema della comunicazione è facilmente riconducibile all’ampiezza del network, difficile da controllare e altrettanto da gestire in maniera integrata. La sfida per YouTube, dunque, è bilanciare le esigenze di youtuber, inserzionisti e fan poiché ognuno di questi gruppi è essenziale per l’ecosistema creativo di della piattaforma – nessuno può prosperare su YouTube senza l’altro.
Via 360com
In un post precedente avevo provato a chiarire il significato di due termini molto usati, spesso a sproposito, dai marketer: reach e impression. Ora, in vista di cambiamenti rilevanti, mi sembra necessaria una precisazione meno astratta e più pratica legata al significato, attuale e futuro, di reach secondo il social network più grande del mondo.
Cosa significa la reach di Facebook? Facebook intende con reach organica di un contenuto, portata in italiano, il numero di persone raggiunte da un certo post ossia quelle nel cui News Feed è apparso il post. Può capitare, però, che tale contenuto, pur apparendo nel News Feed, non venga effettivamente visto dall’utente. Ad esempio il post viene distribuito nel flusso di notizie, ma l’utente dal suo smartphone potrebbe non scorrere fino al punto di visualizzarlo. Per i post sponsorizzati il calcolo della reach viene effettuato diversamente, in maniera più restrittiva e realistica. Il sistema calcola la persona raggiunta solo quando il post entra nella parte di News Feed visibile dall’utente.
Come cambia il calcolo della reach su Facebook? Un anno fa il social network annunciò un cambiamento nel calcolo della reach organica, che dovrebbe diventare realtà nelle prossime settimane (secondo quanto detto da un rappresentante di Facebook). In pratica accadrà che il calcolo della reach organica si uniformerà a quello della reach a pagamento ossia dei post sponsorizzati. Dunque il sistema calcolerà le persone che avranno visualizzato il post nella porzione di schermo a disposizione. Questa modifica dovrebbe determinare un calo di circa il 20% della portata della singola pagina. Una notizia non piacevole, ma che restituirà un’immagine più realistica degli sforzi di comunicazione fatti.
Via V incos Blog
Il Mobile ha conquistato una posizione di primo piano in tutto il mondo: conta per oltre la metà dei minuti complessivi spesi online in 13 Paesi, con quote che superano il 75% in Messico, India e Indonesia. In Italia questa percentuale si ferma al 62%, in linea con i dati di USA e Regno Unito.
Tuttavia, una percentuale significativa della popolazione internet italiana è fortemente dipendente dai dispositivi mobili. Le persone che accedono al web esclusivamente da Mobile sono il 26% della popolazione italiana, una percentuale molto più alta di paesi come Germania, Regno Unito e Stati Uniti (rispettivamente 4%, 8% e 12%), mercati in cui la maggioranza accede da più piattaforme.
L’Italia risulta anche il mercato più polarizzato in assoluto per quanto riguarda l’utilizzo di app: oltre l’87% del tempo trascorso via mobile è infatti speso all’interno di un’app, ma in termini di reach in Italia solo 11 app riescono a raggiungere un livello di audience abbastanza consistente attorno al 20% di penetrazione (contro le 20 degli USA o le 17 del Regno Unito). Queste alcune delle evidenze provenienti dalla relazione internazionale sull’uso dei dispositivi mobili per il 2017 di comScore, intitolata “Global Mobile Report”.
Questo nuovo studio si propone di esaminare le audience mobile, le categorie di contenuti e le applicazioni che stanno modificando il panorama digitale globale. La relazione si basa su dati multi-piattaforma relativi a 14 mercati internazionali (Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Argentina, Brasile, Messico, Cina, India, Indonesia e Malesia) allo scopo di evidenziare trend globali e differenze regionali nell’utilizzo dei dispositivi mobili.
“L’adozione del mobile avviene in maniera tutt’altro che uniforme a livello globale”, commenta Will Hodgman, Executive Vice President of international sales presso comScore. “Questa relazione dimostra che identificare le aree in cui il consumo digitale tende a concentrarsi sulle piattaforme mobili permette a proprietari di media, inserzionisti e relativi centri media di portare alla luce nuove opportunità potenziali in termini di audience e contenuti. Con l’ampliamento della misurazione delle audience mobile a livello granulare e basata su dati panel, comScore intende perseguire l’intento di individuare nuovi trend da azionare.”
Il Global Mobile Report si concentra sulle seguenti tematiche: • La percentuale del tempo digitale complessivo dedicato al mobile (e alle app) con le relative quote di audience, approfondendo anche l’influenza dei modelli di utilizzo “mobile-only” sul panorama digitale; • Le dinamiche a livello delle singole categorie di contenuti, identificando le categorie maggiormente caratterizzate da comportamenti “mobile first”; • I comportamenti dei consumatori in relazione alle transazioni da mobile; • I brand e le applicazioni mobile che hanno conquistato posizioni dominanti nelle categorie di Messaggistica Istantanea, Notizie, Retail e Social Media; • La maturità del mercato globale delle app, con identificazione delle categorie che registrano una crescita costante. I panel mobile migliorati in Germania, accanto a quelli di Francia e Argentina, hanno l’effetto di ampliare le già avanzate soluzioni comScore per la misurazione dell’universo mobile, le quali oggi si concentrano su ben 14 mercati globali. comScore è intenzionata a espandere ulteriormente le proprie capacità di misurazione del mobile a livello globale.
Via Spot and Web
L’economia digitale è sempre più strategica per l’Italia: secondo la ricerca realizzata da IAB Italia e EY, per il secondo anno, vale ben 58 miliardi di euro (+9% rispetto allo scorso anno) e occupa 253.000 persone (con una crescita del 15%). Allargando l’orizzonte e andando a prendere in considerazione il valore che il digitale porta alla vita reale in termini di aumento nei consumi e di investimenti da parte dei player digitali su altri canali, arriviamo a un valore complessivo di 80 miliardi di euro, con oltre 600.000 persone occupate nel settore stesso o in altri servizi direttamente connessi. Restringendo il campo alla sola pubblicità digitale, si nota che gli investimenti tornano a crescere a doppia cifra e registrano un aumento del 12%, raggiungendo in totale i 2,65 miliardi di euro.
Mercato sano
Sono questi i principali risultati annunciati dal palco di IAB Forum, il più importante evento italiano sulla comunicazione digitale, che termina oggi al MiCo di Milano. “Il digitale, in Italia, è in grado di creare valore e, soprattutto, di creare occupazione: i risultati che abbiamo visto oggi ce lo confermano ancora una volta. Anche gli investimenti pubblicitari ci mostrano un mercato dell’advertising online sano e in crescita e questo è un ottimo segnale, sia per il nostro presente che per il nostro futuro. Come associazione a rappresentanza di una delle principali Industry che trainano il Pil italiano, siamo fortemente impegnati a promuovere soprattutto la professionalità e la qualità, a beneficio dei brand, degli utenti, e, non da ultimo, delle aziende, grandi e piccole, che fanno il successo di questo settore”, ha dichiarato ieri dal palco Carlo Noseda, attuale presidente di IAB Italia.
La ricerca IAB / EY sul valore dell’economia digitale in Italia
Sempre in un’ottica di scenario, vale la pena sottolineare che l’economia digitale in Italia è in grado di generare un indotto di 25 euro per ogni euro investito, con effetti benefici sull’economia e sull’occupazione. Il valore del digitale a perimetro ristretto, vale a dire considerando solo gli investimenti in attività del tutto digitali, è di 58 miliardi di euro e aumenta del 9% rispetto all’anno precedente. La pubblicità online, assieme all’ecommerce, sono i due comparti che stanno maggiormente contribuendo alla crescita dell’intero settore, con un accrescimento, rispettivamente, del 19% e del 10% rispetto allo scorso anno.
Approccio integrato tra customer journey, multicanalità, branding e advertising
Ha commentato Andrea Paliani, mediterranean advisory services leader di EY: “Il digitale è un alleato prezioso per il marketing e la comunicazione; quest’anno gli investimenti media nel digitale sono, infatti, in forte crescita rispetto al 2016. Crea valore chi è in grado di veicolare contenuto rilevante e coerente nell’interazione multicanale, chi crea ingaggio attraverso una relazione biunivoca di lungo termine con i consumatori, i follower, gli influencer e con le community; e chi ne capitalizza in real-time i feedback. Sono fermamente convinto che occorra, quindi, avere un approccio integrato tra customer journey, multicanalità, branding e advertising. Come emerge dalla ricerca IAB/EY, l’attuazione di tali strategie genera un incremento di brand perception (fino a +15%), di vendite (fino a +5%,) di maggiore capacità nel rispondere a esigenze di servizio dei consumatori (fino a +70% claim risolti tramite i social) e investimenti più efficienti (fino al +20%) anche in innovazione di prodotto e servizio”.
Numero degli occupati in aumento consistente
Ciò che cresce maggiormente è il numero degli occupati nel digitale, che passa (sempre considerando il perimetro ristretto) da 220.000 a 253.000, con un aumento del 15%. L’occupazione ha un aumento maggiore rispetto al valore economico, perché il processo di digitalizzazione delle competenze è più veloce e leggermente anticipato rispetto a quello dei ricavi.
Un’economia che vale 80 miliardi
Se si considera che il digitale ha una forte influenza sui consumi, in quanto è in grado di creare nuove abitudini e bisogni – basti pensare al mondo delle app per la consegna di cibo – e che le imprese del settore digitale stanno estendendo i propri investimenti pubblicitari anche al di fuori dei canali online (ad esempio alla tv e alla radio), si può fare una valutazione più veritiera, a perimetro allargato. Il valore dell’economia digitale sale, quindi, a 80 miliardi e si stima un’occupazione per 600.000 persone, con professionalità anche non digitali ma che con il loro lavoro contribuiscono allo sviluppo del settore. E proprio il settore del digitale, a perimetro ristretto, vale quasi quanto il settore dell’automotive mentre, considerando il perimetro allargato, si avvicina al valore del comparto dell’energia, due ambiti storicamente fondamentali per il sistema economico del nostro Paese.
Gli investimenti in pubblicità online, i dati dell’Osservatorio Internet media del Politecnico di Milano e IAB Italia
A spingere l’incremento a doppia cifra della raccolta pubblicitaria online è l’advertising sui social network e, in particolare, l’advertising video sui social, che pesa ora quasi la metà del totale su questo canale. La pubblicità su smartphone progredisce ancora molto (circa del +40%), ma raccoglie meno del 40% del mercato totale dell’internet advertising, a fronte di una quota di tempo speso sul canale mobile attestata a quota 64%.
Comandano sempre Google e Facebook
È un mercato sempre più concentrato, con un peso fortissimo dei grandi player internazionali (Google e Facebook in primis), che hanno il vantaggio di avere enormi quantità di informazioni sugli utenti online e di riuscire a raggiungere grandi audience.
I formati: display sempre in pole position
Dal punto di vista dei formati pubblicitari, la display advertising rappresenta la parte più importante, con un peso pari al 60% dell’intero settore, un valore complessivo di circa 1,6 miliardi e una crescita del 17% rispetto al 2016. Segue la search, con il 29% sul totale e un valore di 770 milioni di euro (+5% vs 2016). Il terzo formato più diffuso è il classified advertising (8% sul totale) che supera i 210 milioni di euro (+ 7% vs 2016). Tra le altre componenti spiccano l’email advertising, che vale poco più di 30 milioni di euro (+ 3% sul 2016) e il native advertising che, nelle sole componenti di Recommendation Widget e In-feed Unit (social network esclusi), è pari a circa 40 milioni di euro (+27% vs 2016).
Programmatic tv, forte spinta dai video
Il mercato del programmatic advertising è cresciuto, con un peso sul totale degli investimenti online advertising che passa dal 13% al 15% e un valore del 25% sul totale display advertising (nel 2014 era solo il 10%). Il programmatic, dunque, vale circa 400 milioni di euro e vede una forte spinta soprattutto grazie agli spazi video, che dal 2017 sono stati venduti in maniera importante sulle piattaforme programmatiche, arrivando a pesare ben oltre il 30% del valore complessivo del mercato.
Via 360com
TheFork, tra le principali app di prenotazione online dei ristoranti a livello globale, ha realizzato una ricerca su tecnologia e ristorazione, cercando di analizzare il sentiment degli utenti italiani riguardo l’utilizzo di strumenti tecnologici prima, durante e dopo l’esperienza gastronomica fuori casa.
“Anche in Italia si assiste a una crescita dell’utilizzo di strumenti digitali nell’ambito della ristorazione e la crescita di TheFork ne è un chiaro esempio. Talvolta, il timore dei ristoratori riguardo l’utilizzo di questi strumenti è privare i commensali dell’aspetto umano dell’esperienza. Questo sondaggio dimostra che strumenti tecnologici che semplificano aspetti come la prenotazione e le liste d’attesa sono apprezzati dagli utenti, che giustamente continuano a preferire e valorizzare la componente umana nel corso del servizio”, commenta Almir Ambeskovic, Regional Manager di TheFork.
Ecco i principali risultati emersi.
PRIMA DEL PASTO
- Gli utenti apprezzerebbero che prima ancora di prenotare e consumare l’esperienza gastronomica, il gestore ricordasse il tavolo preferito (88%), ma anche date speciali e compleanni (57%), numero di volte in cui si è stati in quello stesso ristorante (40%) ed esigenze alimentari (71%). Il tutto però senza cercare informazioni in rete sul cliente stesso, cosa che risulterebbe negativa per il 78% dei rispondenti.
- Ben l’89% degli utenti intervistati guarda di buon occhio la ricezione di promozioni, menù e offerte prima della prenotazione.
- Oltre a prenotare il ristorante online, i clienti sarebbero felici di prenotare via app i posti in lista d’attesa in quei ristoranti dove è difficile trovare posto (87%).
- La maggior parte degli utenti (59%) preferisce ordinare direttamente al cameriere e non con un app prima del pasto né vorrebbe pagare con carta di credito al momento della prenotazione (85%).
DURANTE IL PASTO
- Nel corso del servizio, i clienti intervistati affermano di preferire il contatto umano. Solo il 27% sarebbe soddisfatto se vi fosse un robot in cucina o in sala.
- L’uso di smartphone durante i pasti è ritenuto fastidioso da metà dei rispondenti, mentre il 24% lo ritiene accettabile solo se legato all’esperienza (foto, condivisione social ecc.). Del resto solo il 20% afferma di non scattare mai una foto al ristorante. Infine, i telefonini sono ammessi a tavola quando si è da soli. Il 9% dice di farne sempre a meno, per gli altri è lecito.
- Quanto all’ordinazione, pollice verso per i touch screen o altri dispositivi elettronici simili per oltre il 56% dei rispondenti.
DOPO IL PASTO
- Dopo un’esperienza gastronomica positiva al ristorante, metà degli utenti ne scaricherebbe la app.
- Il 62% dei rispondenti dichiara di non restare aggiornato tramite newsletter sulle attività di un ristorante.
Via Tech Ecopnomy
Dalla combinazione di mobile ed header bidding, due dei trend che crescono con l’acceleratore a tavoletta, non potevano che arrivare dati positivi. Molto positivi. L’acquisto delle inventory attraverso la modalità di programmatic – stando ai risultati del Quarterly Mobile Index di Pubmatic, cresce stabilmente sia su mobile sia su desktop, tenendo ritmi vertiginosi, grazie alle opportunità offerte dai PMP, dalla monetizzazione in app e dal mobile video.
Il percorso unico di acquisto su mobile e desktop ha favorito la crescita globale
Nel terzo trimestre del 2017, sono il 220% in più dello stesso periodo dello scorso anno le impression veicolate attraverso l’header bidding a livello globale, con una forte spinta del mobile, che tocca quota +252% YoY. Anche il desktop ha fatto passi da gigante (+214%), sottolineando la costanza con cui i marketer reputano importanti entrambi i media. L’area APAC è quella che ha registrato il maggior incremento di volumi, moltiplicando di 47 volte i risultati dello scorso anno. Il minore, invece, è quello americano che ha segnato un 1.3x. L’EMEA si colloca a metà tra le due aree precedenti, con una vendita di impression in header bidding 7 volte maggiore del terzo trimestre del 2016 per quanto riguarda il desktop e di 5 volte per il mobile.
La curva di adozione può essere commisurata con l’ampiezza del mercato americano rispetto a quello mondiale, che nel 2016 rappresentava l’82% dell’header bidding mentre ora ne vale il 54%. L’Europa invece ha assunto un certo peso, superando il 17% dello scorso anno per attestarsi al 28%.
Cresce, poi, il valore dei CPM sia in EMEA sia in America, mentre cala drasticamente (-23%) in APAC, probabilmente a causa della forte espansione in quell’area geografica. Globalmente, il CPM si è abbassato di circa il 4%.
“L’header bidding ha dato agli editori la possibilità di riprendere il controllo sulle decisioni pubblicitarie. Negli anni scorsi abbiamo visto i publisher affilare le armi grazie a questa tecnologia”, spiega Jeff Hirsch, CMO e head of US publisher development di PubMatic.
Gli advertiser stanno aumentando la qualità degli investimenti attraverso un maggiore utilizzo dei PMP
Il volume di impression monetizzate attraverso PMP è cresciuto, per la settiman volta consecutiva, del 75% nel trimestre. Il motivo è una continua ricerca, da parte dei brand, di ecosistemi sicuri per il marchio e trasparenti sui prezzi. Un dato che si lega a quello estratto dalla ricerca di eMarketer, secondo cui circa un quarto delle divisioni programmatiche americane hanno intenzione di spostare i budget dagli open marketplace ai PMP.
Potranno gioirne i publisher, dal momento che le previsioni indicano un possibile rialzo dei CPM dai PMP mobile.
Mobile: i volumi di browser e app
Il digital advertising sta diventando mobile first, e così le opportunità che si annidano nel programmatic mobile crescono costantemente. Le stime di Magna Global considerano che alla fine dell’anno il 52% delle impression display sugli smartphone saranno consegnate attraverso il programmatic. Una cifra che rappresenta il 42% del totale delle compravendite effettuate sulla tecnologia.
Ma il mobile è formato da due canali che vanno entrambi analizzati: app e browsing. Secondo lo studio di Pubmatic, l’attività pubblicitaria si sta spostando con decisione sull’ecosistema delle app, dove viene erogato il 65% delle impression mobile. Un anno fa la percentuale non superava i 27 punti.
Il mobile web, però, non sta affatto morendo. APAC e EMEA ne rappresentano il 66% del volume globale, confermando che il mercato è ancora molto ambito. La situazione è diversa in America, dove la tendenza è abbandonare la long tail per destinazioni premium, e di conseguenza si è assistito a una riduzione di tre quarti della sua consistenza ma al contempo di una crescita del CPM annuale del 98%. APAC ed EMEA invece hanno portato a casa risultati più esigui, stabilendo un tasso di crescita del CPM globale del 50%.
APAC ed EMEA: grande espansione sul versante video
Nonostante lo scettro delle monetizzazioni rimanga nelle mani del desktop, Pubmatic ha notato forti opportunità sul mobile video. I premium publisher continuano a fare perno sulle inventory video, materia su cui il mobile dovrebbe esplodere quest’anno assorbendo circa il 50% del viewing time degli utenti americani. Queste condizioni sono molto promettenti per gli editori del continente, che ora si aspettano un superamento del costo dei CPM video mobile di 8 punti percentuali sul desktop. I volumi crescenti delle video impression in APAC e EMEA contribuiranno all’espansione del segmento.
Via 360com
Ferrero, Samsung, Huawei e Mulino Bianco. Sono questi i primi classificati nelle quattro categorie di ranking di Best Brands Italia, appuntamento annuale con la ricerca condotta da GfK e Serviceplan che misura l’importanza delle marche in Italia, rivelando quali sono le più amate e rilevanti del 2017.
Non parliamo di un premio, non ci sono iscrizioni né giurie: è un’indagine condotta con interviste dirette tra 4.500 consumatori sull’appeal del marchio nella percezione delle persone (share of soul) che viene mixata da un algoritmo esclusivo di GfK con l’effettivo ruolo economico sul mercato.
"Oggi Best Brands è presente anche in Germania, Belgio e Cina ed entro il 2018 lo sarà anche in Russia e in Francia", sottolinea Giovanni Ghelardi, Ad di Serviceplan Group Italia.
I risultati della ricerca sono ripartiti in tre classifiche principali: Best Corporate Brand, Best Product Brand, Best Growth Brand, quest’ultima dedicata alle marche che sono cresciute di più nel corso dell’anno. Questa edizione della ricerca ha avuto un focus speciale: i Best Millennials Brand.
Ecco tutte le classifiche con i top 10
Via Mark Up
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