Sempre alla ricerca di nuove modalità di monetizzazione,Facebookha ora iniziato in via sperimentalea permettere agli amministratori di alcuni gruppi di far pagare un abbonamento mensile,che va dai 4,99 ai 29,99 dollari al mese,per permettere l’accesso ai sottogruppi con contenuti speciali e di maggior qualità.Al momento Menlo Park non prenderà una commissione su questi abbonamenti, ma è facilmente immaginabile che questo avverrà nel momento in cui l’operazione sarà lanciata ufficialmente, se l’esito dei test ora avviati sarà positivo.
Facebook sottolinea in unblog postche la decisione nasce anche dalla richiesta, proveniente da molti amministratori, di individuare forme di guadagno che permettano loro di investire di più sui gruppi. In questo mondo, spiega Alex Deve, Product Manager di Facebook Groups, “aiuteremo gli amministratori ad offrire contenuti di maggior qualità ai loro membri e a continuare a investire nelle loro comunità”
Declutter My Home, il gruppo amministrato da Sarah Mueller, dedicato alla condivisione di suggerimenti per organizzare meglio il proprio appartamento utilizzando meglio gli spazi a disposizione, ha dato vita in poco tempo ad una comunità di migliaia di persone sparse in tutto il mondo. Grazie alla creazione del sottogruppo a pagamentoOrganize My Home, spiega Muelle, “potrò ora proporre alla mia comunitàstrumenti più interattivi, come ad esempio video tutorial, corsi di formazione, sfide di gruppo e sessione di domande e risposte in diretta”, mantenendo il gruppo originale come area dove ottenere consigli gratuitamente. I test riguardano al momento anche gruppi che si occupano dell’ammissione ai college, come Grown and Flown Parents, e della pianificazione della spesa settimanale per la famiglia, come Meal Planning Central Premium.
Macome funziona il nuovo sistema?Agli utenti del suo gruppo, l’amministratore potrà dunque ora fornire una serie di opzioni di abbonamento e inviare loro l’invito a sottoscriverlo. I membri del gruppo potranno valutare il sottogruppo a pagamento vedendo le schede di anteprima che riporteranno i contenuti proposti e i costi dell’abbonamento. L’amministratore dovrà accettare la richiesta di iscrizione dell’utente, chiamato a quel punto a pagare la tariffa mensile.Gli abbonamenti saranno gestiti attraverso le applicazioni di Facebook per iOS e Android.
Facebookcontinua a spingere sulla monetizzazione di una delle sue property ancora poco affollata di pubblicità: l’appMessenger. Sul programma di messaggistica, infatti,arriva per la prima volta la pubblicità video. La novità è stata annunciata dal social network in occasione del Festival della Creatività Internazionale di Cannes.
Gli annunci video su Messengerappariranno nella schermata dei messaggi in arrivo, dove le persone visualizzano la lista delle chat avviate con amici e altri contatti, e dove già era possibile trovare i formati Sponsored Post. Gli spotpartiranno automaticamente quando un utente scorre sopra di essi, ed avranno l’aspetto degli stessi formati video già presenti sulla bacheca di Facebook o su Instagram.
Messenger è un contenitore pubblicitario relativamente nuovo per Facebook: i primi annunci sull’app, infatti, risalgono a soloun anno fa. Quanto alla pubblicità video, gli spot in autoplay hanno fatto il loro debutto sulla bacheca di Facebooknel 2014, a cui si sono poi aggiuntida quest’annoi primi pre-roll ospitati all’interno di contenuti video caricati sulla piattaforma, come quelli prodotti da media partner all’interno della nuova sezione Watch.
Gli spot su Messenger sarannoacquistabili all’interno di pacchetti di campagne pianificate su Facebook. Questo significa che non sarà possibile diffondere una campagna esclusivamente sull’app di messaggistica. I primi spot hanno iniziato ad essere erogati questa settimana.
Facebook, novità per i creatori di contenuti
Intanto, sempre oggi Facebook ha annunciato anchealtre novità, dedicate ai creatori di contenuti: dallancio ufficiale di Brand Collabs Manager, il motore di ricerca per mettere in contatto le aziende con gli influencer più adatti alle loro campagne (ne avevamo parlato inquesto articolo), anuove funzionalità per i video interattivie all’apertura, anche ai creator, del contenitore video Watch.
Di Max Da Via' (del 15/06/2018 @ 07:20:40, in Mercati, linkato 2156 volte)
Secondo l’Osservatorio mensile Findomestic la spesa media pro capite è di 1.460 euro, anche se 3 su 4 non sforeranno i 1000 euro. Più che raddoppiati i B&B (+110%) e boom per le prenotazioni online (+22%)
Vacanze estive più brevi ma più ricche per gli italiani rispetto allo scorso anno. Stando ai dati del nuovo Osservatorio mensile di Findomestic, realizzato in collaborazione con Doxa, si alza il budget di spesa per un italiano su quattro (la metà di questi è pronta a sborsare fino al 30% in più), anche se la durata media della villeggiatura si abbassa da 12,8 a 12,4 giorni.
Tra glialtri trendemerge la netta preferenza per le località di mare (64,9%), il boom dei B&B (+110%) e delle prenotazioni online (+22%) ma anche il ritorno delle vacanze itineranti soprattutto tra gli under 25. Ma vediamo i risultati nel dettaglio.
NIENTE VACANZE PER UNO SU CINQUE Secondo lo studio della società di credito al consumo del Gruppo Bnp Paribas le vacanze sono una certezza per due italiani su tre (64%), ma quasi uno su cinque (18%) resterà a casa, soprattutto per motivi economici (53%). Un altro 18%, invece, non ha ancora deciso se partirà o meno. La destinazione preferita resta il mare, scelto dal 65%, in linea con il dato del 2017. Aumentano i viaggi itineranti (13% contro il 10% dell’anno scorso), calano gli amanti della montagna (dal 10% al 7%), stabili invece quelli che optano per le città d’arte (7%). Gli italiani continuano a preferire l’Italia come meta delle proprie vacanze: quasi 6 intervistati su 10 (56%, erano il 58% nel 2017) hanno fatto questa scelta, soprattutto chi ha almeno un figlio (62%).
SPESA MEDIA DI 1.460 EURO Il 42% si concede al massimo una settimana di vacanza (era il 44% nel 2017) e altrettanti fino a 2 settimane. Solo il 16% trascorrerà un periodo di villeggiatura superiore ai 15 giorni. Se la spesa media prevista è di 1.460 euro, secondo Findomestic, tuttavia tre vacanzieri su quattro mettono a budget un massimo di 1.000 euro. E, in particolare, il 40% di questi spenderà non più di 500 euro a persona (tra i 18-34enni la percentuale sale al 47%), il 33% fino a 1.000 euro e il 21% dai 1.500 euro in su a persona. Il 24,1% spenderà più dell’anno passato, mentre il 18,6% è convinto di abbassare la propria soglia di spesa. In ogni caso la voglia di vacanze ha raggiunto livelli record: nell’ultimo anno il numero di italiani intenzionati a prenotare un periodo di villeggiatura è cresciuto del 4,5% secondo le rilevazioni dell’Osservatorio mensile di Findomestic.
CRESCONO LE PRENOTAZIONI ONLINE Il 31% dei villeggianti sceglie come sistemazione un albergo/hotel (percentuale che sale al 36% tra le donne), il 19% affitta una casa, il 12% preferisce un villaggio turistico (erano il 9% lo scorso anno). Un ulteriore 11% alloggia presso l’abitazione di amici e parenti e altrettanti optano per un B&B o una pensione (soprattutto gli uomini: 14% contro l’8% delle donne). L’Osservatorio Findomestic dimostra che ormai due italiani su tre (67%) si affidano a Internet per prenotare: il 41% lo fa attraverso siti dedicati come Booking e Tripadvisor (soprattutto i 18-34enni), il 13% attraverso il sito della struttura e altrettanti tramite le agenzie di viaggio online. Il 22% invece contatta la struttura telefonicamente e l’8% preferisce ancora recarsi in agenzia di viaggio.
ANCORA POCO DIFFUSO L’ACQUISTO RATEIZZATO DELLE VACANZE La rateizzazione del costo di una vacanza rimane una pratica poco diffusa: solo il 7% degli italiani ha già acquistato a rate una vacanza o ha intenzione di farlo in futuro (dato in linea con quanto rilevato a partire dal 2014). Il 20% degli intervistati ha dichiarato di non aver mai pensato alla possibilità di acquistare a rate una vacanza.
ITALIANI A CACCIA DI SCONTI SULLE PRENOTAZIONI (IN ANTICIPO O LAST MINUTE) Quando si tratta di prenotare una vacanza, gli italiani cercano le occasioni. Particolarmente apprezzati gli sconti sulle prenotazioni (il 42% cerca gli sconti per prenotazioni anticipate e il 23% per quelle «last minute») e i servizi extra inclusi nel prezzo (34%). Da segnalare come le donne, più degli uomini, valutano positivamente la presenza di transfer dalla stazione/aeroporto all'albergo: 16% contro il 10% degli uomini. Infine, chi ha figli è interessato a sconti/riduzioni per il loro soggiorno (31% contro il 19% del totale campione) o per il viaggio (13% contro il 9% del totale campione).
Stilare un Social Media Plan professionale ed efficace è un’attività tutt’altro che semplice; richiede tempo, esperienza, analisi e un’approfondita conoscenza del mondo digitale, oltre che di quello social.
D’altro canto, come è possibile attribuire il giusto ruolo e obiettivi a un canale se non si conosce l’ecosistema in cui va inserito?
In questo post vedremo insieme gli step principali per creare un plan di successo, tenendo conto che più il brand è strutturato, maggiore è la complessità del piano e che chiaramente redigere un piano per un piccolo negozio di provincia richiede molto meno effort rispetto al farlo per una multinazionale, magari con più divisioni.
1. L’analisi per iniziare con il piede giusto
Purtroppo spesso e volentieri ho visto fare piani partendo dalla fase strategica o, peggio, operativa: niente di più sbagliato. Come posso decidere dove andare e come arrivarci se non so da dove parto?
È fondamentale iniziare con un’analisi approfondita, sia interna che esterna.
Interna per verificare e comprendere l’identità del brand, il posizionamento voluto, gli obiettivi generali e i desiderata rispetto all’attività social, le risorse economiche e umane a disposizione, eccetera.
Esterna per valutare lo status quo della presenza del brand sui social, ciò che è stato fatto fino ad adesso e con quali risultati (in modo da non ripetere eventuali errori o reiterare le pratiche di successo) sia in ambito paid che organic, ma non solo; dove si parla del brand e dei prodotti/servizi a esso collegati? Come se ne parla? Chi ne parla?
Rilevare la reputation online del brand in questione è importantissimo, così come lo è capire dove se ne parla e chi ne parla, in modo da valutare l’attivazione di presidi ufficiali nei canali di riferimento e prendere contatti con eventuali influencer.
È anche di centrale importanza analizzare le attività dei competitor, per farsi un’idea dello scenario competitivo in cui il brand è inserito e imparare da errori e best practice di chi lavora nel nostro stesso settore.
Per queste attività sono fondamentali sia i tool di Social Media Listening che quelli di Analysis; il mio consiglio, per snellire i tempi e ottenere risultati chiari e facilmente condivisibili è quello di utilizzare strumenti ad hoc.
In caso non ci sia abbastanza budget, si può procedere con un’analisi e reportistica manuale, tenendo ben presente che spesso la quantità di tempo e sforzo che richiede è tanto che l’acquisto di un buon tool sarebbe sicuramente la scelta migliore (provate a raccogliere e catalogare decine, centinaia di menzioni tra tutti i vari canali e fatemi sapere!).
Una volta che si ha una chiara panoramica possiamo passare alla fase successiva.
2. Obiettivi: cosa vogliamo fare e come intendiamo misurarlo
Perché siamo presenti/vogliamo essere presenti sui Social? Come intendiamo misurare il raggiungimento dei nostri obiettivi?
Poiché non vogliamo andare a ingrossare le fila delle aziende che hanno aperto account sui vari social network per una non meglio specificata “visibilità” o che ancora valutano la riuscita della loro presenza solo a suon di like, commenti e condivisioni, dobbiamo aver ben chiaro che risultati vogliamo raggiungere e a quali metriche associarne il raggiungimento.
A ogni obiettivo, i suoi KPI; se vogliamo aumentare la nostra brand awareness, allora dati come il numero di persone raggiunte, le impression generate, le visualizzazioni dei video, la portata virale e affini ci saranno molto utili per misurare i nostri sforzi.
Viceversa, se vogliamo aprire un presidio di Social Care, dati come il numero di richieste di assistenza ricevute, i tempi di risposta, il tasso di soddisfazione degli utenti, etc, saranno centrali; ovvio, saranno importanti (con possibilità e volumi variabili di settore in settore) anche quante richieste di contatto e vendite (dirette e indirette) i social ci permettono di raggiungere, quanto riusciamo ad agire in termini di consideration (es. traffico al sito web), gli indicatori di performance vanno scelti con cura e attenzione, proprio in base ai nostri obiettivi reali.
Definire gli obiettivi ci aiuterà anche a scegliere in maniera più ponderata su quale social investire.
3. Strategia e tattiche per definire come muoverci nei Social Media
Quale tone of voice caratterizzerà il brand? Quale sarà la policy interna ed esterna da prevedere? Quale linea editoriale seguiremo? Quali contenuti andremo a utilizzare per raggiungere i nostri obiettivi? Quanto budget è previsto, per quali obiettivi e come verrà splittato sui vari canali?
Sono tutte domande alle quali la nostra parte strategica e tattica dovrà rispondere in modo dettagliato, con tanto di definizione dell’identità del brand, piano editoriale, budget media previsti, declinazione dei contenuti per social (mica vorremo pubblicare la stessa identica cosa in tutti i canali, vero?), persone coinvolte, responsabilità, flussi di lavoro.
In questa sezione sarà importante anche chiarire le eventuali azioni previste in caso di crisi, come il brand si approccerà alle varie richieste dei clienti e quali processi sono previsti da seguire in alcune circostanze frequenti (es. richiesta di assistenza, dove va reindirizzata? Cosa fare invece in caso di lamentela? Gli eventuali suggerimenti a chi vanno riportati?).
Ovviamente in questo caso sia la parte strategica che quella esecutiva andranno pensate per essere “elastiche”.
Come ben sa chi lavora con i social da tempo, strumenti, funzionalità, policy cambiano dal giorno alla notte, bisogna essere pronti a rivedere velocemente i propri piani alla luce delle novità e non risiedere troppo su certi tool proprietari che alcuni social mettono a disposizione e che si riservano di togliere dall’oggi al domani, senza preavviso, sia su base organica che paid (es. molte aziende che facevano advertising su Facebook nel B2B si sono visti togliere l’anno scorso moltissime opzioni di targeting per titolo lavorativo ed educazione e reintegrarne in seguito solo una parte).
Consiglio anche di prevedere sempre un canovaccio di risposte alle domande più frequenti, in modo da snellire il processo di risposta e ridurre il rischio di dare risposte errate; un’altra cosa da tenere in considerazione è la tipologia di formati e quindi di creatività richieste in base agli obiettivi.
La parte visual è sempre più importante in tutti i social, per cui si dovranno prevedere delle creatività ad hoc per ogni canale, ottimizzate per le dimensioni che ognuno offre.
Dovremo inoltre porre particolare attenzione a ciò che riguarda il budget pubblicitario: come verrà allocato? Dove, in quale proporzione? Come verrà diviso mensilmente in base agli obiettivi/tipologia (es. interazione, traffico al sito, lead, vendita, retargeting..)? Quali risultati ci aspettiamo per mese/trimestre/anno?
Probabilmente in fase iniziale, se il brand è nuovo al panorama social, una parte più consistente del budget verrà destinata alla creazione di una base fan/follower e all’interazione “spicciola”, andando avanti nel tempo il budget verrà spostato più su obiettivi performance e sicuramente ci sarà una distribuzione diversificata in base ai vari periodi dell’anno.
4. Gli strumenti che verranno utilizzati (o che vengono suggeriti)
Un aspetto da non sottovalutare è la scelta degli strumenti da associare all’attività di Social Media Management e Social Media Advertising.
Soprattutto nel caso di brand strutturati o che gestiscano la presenza in più social network, scegliere gli strumenti di supporto giusti per ottimizzare le attività, consentire una gestione semplificata e generare una reportistica efficace è davvero molto importante.
Si prevede di gestire una gran mole di commenti/messaggi/menzioni? In tal caso si dovrà mettere a budget un tool centrato sulla parte di management, flagging dei contenuti e assegnazione delle risposte; se invece si necessita di programmare molti contenuti o su più canali, sarà fondamentale selezionare uno strumento in grado di semplificare la pianificazione dei post e personalizzare le varie didascalie e specifiche.
In alcuni casi invece grande importanza ricopre la gestione del budget media, quindi si sente l’esigenza di investire in un tool che permette di gestirli e ottimizzarli al meglio.
Fare un Social Media Plan che si rispetti non è cosa semplice, ma fidati se ti dico che un documento di questo tipo, se fatto bene, può essere il tuo migliore alleato!
I post che vediamo su Instagram, da tempo oramai, non sono più mostrati in ordine cronologico. Come avvenuto anche per Facebook, col crescere della community, è stato introdotto unalgoritmoche ha la funzione di regolare la visibilità di foto e video sulla base di una serie di fattori.
I 3 fattori principali su cui si basa l’algoritmo di Instagram sono:
Interest: il sistema valuta i contenuti che potrebbero piacerci sulla base dell’interesse dimostrato in passato verso determinati elementi (like e commenti lasciati, video visti, ecc…). Questa previsione è basata su tecniche di machine learning e di machine vision per l’analisi dei contenuti multimediali.
Timeliness: viene premiata la freschezza dei contenuti, per cui vengono mostrati per primi i post condivisi più di recente dai nostri contatti, rispetto a quelli più datati
Relationship: maggior rilievo viene destinato ai contenuti condivisi da persone che il sistema interpreta come vicine, magari perché in passato ci hanno taggati in un post o abbiamo scambiato messaggi diretti
Insieme a questi fattori principali di posizionamento, vengono considerati anche altri segnali che influenzano l’ordinamento dei contenuti:
Frequency: la nostra frequenza di apertura di Instagram incide sull’algoritmo spingendolo a mostrarci per primi i migliori post pubblicati dalla visita precedente
Following: il numero delle persone seguite influenza i post visibili, quindi se seguite molti contatti il sistema vi mostrerà meno contenuti di una persona specifica in modo da farvi vedere contenuti più vari, ossia di altri
Usage: il tempo trascorso nell’app influisce sui post mostrati, se la usiamo per un breve periodo il sistema sarà obbligato ad operare una selezione più profonda
Alcuni miti su Instagram
– L’algoritmo non nasconde i video e le foto pubblicate dalla vostra rete, ma ne modifica solo l’ordine algoritmicamente. Quindi continuando a scollare saranno tutti visibili.
– Non c’è un formato che ha un peso maggiore nella “ricetta” algoritmica. Ciò che incide sulla priorità di visualizzazioni è solo l’interesse mostrato in passato verso un certo formato.
– Non c’è una preferenza verso i contenuti degli utenti che usano Storie, Live o altre funzioni particolari dell’app
– Instagram non penalizza gli utenti che pubblicano frequentemente, ma se un contatto inizia a pubblicare molti post in un arco di tempo limitato, l’algoritmo provvederà ad inframmezzare contenuti di altri per “spezzare” la pubblicazione a raffica
– Neanche chi usa molti hashtag o fa altre azioni viene penalizzato
– Instagram non garantisce più reach a chi ha un account business rispetto ad uno personale e viceversa.
Ovviamente queste regole potranno cambiare nel corso del tempo, ma per ora possono essere molto utili per guidare le tattiche di pubblicazione di singoli e aziende, soprattutto se usati tenendo presente anchei fattori di posizionamento di Facebook.
Google, Apple, Amazon: è loro il podio 2018 della classificaBrandZ Top 100 Most Valuable Global Brands, l’analisi annuale di Wpp e Kantar Millward Brown suibrand a maggior valore, che tiene conto dell’impatto della marca nel portare fatturato, crescita e capitalizzazione di mercato.
Ancora una volta, a dominare la graduatoria è la tecnologia: otto dei brand presenti nella top 10 provengono da questo settore. Dietro a Google, a quota 302,1 miliardi di dollari, con un aumento del 23% rispetto allo scorso anno, Apple, con 300,6 miliardi di dollari (+28%) e Amazon, con 207,594 (+49%), troviamo colossi hi-tech del calibro diMicrosoft, Tencent, AlibabaeNetflix. A fare la differenza, secondo gli esperti, sono l’implementazione crescente di tecnologie data-driven (come l’intelligenza artificiale), approcci di marketing creative, contenuti personalizzati e brand experience eccezionali.
BrandZ Top 100: crescono i Paesi asiatici
Per la prima volta, nella classifica BrandZTM i brand non americani sono cresciuti più di quelli americani. Basti pensare che se nella Top 100 del 2016 era presente un solo marchio cinese (China Mobile), oggi ne sono presenti 14. Non solo. Proprio ibrandcinesidominano la classifica dei Top 10 Brand in maggior crescita quest’anno: JD.com(59° nella classifica generale) è in testa con un +94% di crescita del brand value;Alibaba(9° nel ranking mondiale) è secondo con un 92% di incremento; eMoutai (34° nel ranking globale) è terzo, con un 89% di crescita. Anche altri Paesi del mondo mostrano forti crescite, in primis l’India. C’è da segnalare anche l’entrata del primo brand indonesiano, la banca Bca, al n. 99.
Il rituale della prova in negozio, del toccare con mano la merce, con tutte le lusinghe della compravendita tradizionale, sarà spazzato via dal cerimoniale dell’e-commerce, più informale e ponderato al contempo? Quello che possiamo dire è negli ultimi mesi si è verificata una rapida accelerazione, particolarmente significativa nel settore dell’Alta orologeria. Se nella moda la transizione dalla boutique tradizionale a quella virtuale si poteva immaginare imminente, chi conosce il conservatorismo che connota l’industria delle ore conservava ragionevoli riserve. E le perplessità sono ancora legittime, perché dal nostro approfondimentosi riscontrano significative resistenze al trend, che pure ha preso un impulso coinvolgente.
Alta orologeria: un settore sempre più online-oriented
Mentre scriviamo siamo di ritorno da Ginevra, dove si è svolto ilSalone Internazionale dell’Alta orologeriadedicato alle Maison del GruppoRichemont, a quelle del GruppoKeringe a grandi manifatture indipendenti comeAudemars Piguet,Richard Mille,Parmigiani-Fleurier,Greubel Forseyoltre all’altissimo artigianato della sezione Carré des Horlogers. Ma a Ginevra, nei più esclusivi alberghi lungolago, sono stati presentati alla stampa anche alcuni modelli pre-Basilea di quelle Case che esporranno a marzo proprio in quel diBaselworld. Un defining moment annuale che permette di intercettare la direzione dell’industria. Ebbene, la rotta porta verso un orizzonte sempre più online-oriented. Poche ore dopo la conclusione del SIHH, il Gruppo Richemont, già azionista di maggioranza di Yoox Net-A-Porter (titolo Ynap), avrebbe infatti lanciato un’Opa totalitaria per acquistare l’intera società fondata da Federico Marchetti con un esborso totale di 2,7 miliardi di euro. Una scelta strategica chiara.
A tal proposito, emblematica la dichiarazione del fondatore e chairman di Richemont,Johann Rupert: «Oltre un secolo or sono, il celebre aviatore Alberto Santos-Dumont si lamentava con il suo amico Louis Cartier a proposito delle difficoltà di controllare il suo orologio da tasca mentre era in volo. Dovendo preoccuparsi di tenere le mani ben salde sui comandi del velivolo, non poteva certo mettersi ad armeggiare! Cartier prestò attenzione alle sue esigenze e poco dopo… Eureka! Era nata un’idea che fece del Santos-Dumont da polso il primo pilot watch. Da allora, i successi di tutte le nostre Maison passano dal fornire ai nostri clienti i migliori prodotti e il miglior servizio per le loro esigenze. L’ossessione per la centralità del cliente ci ha portato a investire in strade alternative. Il canale digitale sta diventando decisivo per soddisfare i bisogni dei clienti del luxury e con questo step intendiamo rafforzare ulteriormente la nostra presenza e i nostri servizi». Parole che avevano trovato eloquente indizio nella presentazione delnuovo Santos de Cartier. Quella che abbiamo provato a Ginevra, infatti, ci è apparsa come una variazione concepita per l’e-commerce. Questa nuova edizione è una riprogettazione funzionale che mira a migliorare la qualità della vita del cliente che lo ordina da casa. La novità di maggior rilievo è data dall’ingegnoso sistema di fissaggio rapido del cinturino/bracciale, chiamatoCartier QuickSwitch System(brevetto depositato). Un meccanismo celato e integrato nel cinturino/bracciale che permette di inserirlo direttamente nella cassa con una semplice pressione. Inoltre, e questa è una soluzione ancor più illuminante, grazie a un altro brevetto, loSmart-Link System, il bracciale si potrà regolare con facilità e senza dover ricorrere a un orologiaio, grazie ai pulsantini presenti in ogni singola maglia. Soluzioni pratiche e lungimiranti, finalizzare a plasmare un business to consumer sartoriale. Coerentemente con queste soluzioni ingegneristiche e questa dimensione commerciale, le possibilità di combinazione sono numerose, con una stuzzicante varietà di cromie per i cinturini in pelle e per i materiali di casse e bracciali.
roseguendo con altri big,Jaeger-Le-Coultrein Svizzera è conosciuta come La Manifattura o la Grande Maison, tale è il suo prestigio. Innumerevoli le invenzioni, i brevetti, i calibri, le referenze JlC che dal 1833 sino ai giorni nostri hanno scritto la storia dell’orologeria. Un giacimento culturale che è sempre stato raccontato e continua a essere raccontato con orgoglio nelle boutique monomarca e dagli storici concessionari. Eppure, qualcosa è cambiato. Quest’anno a Ginevra era possibile ammirare i nuovi modelli dellaCollezione Polarise quindi acquistarli in tempo reale con il servizio “Order” presente sul sito ufficiale della Casa di Le Sentier. «Se solo pochi anni fa mi avessero detto che presto sarebbe stato possibile inserire uno Jaeger-LeCoultre in una shopping bag digitale e acquistarlo su Internet non ci avrei creduto», ci confessaClaudio Angé, direttore di Jaeger-Le-Coultre Italia. «Eppure oggi è realtà. Ma considero questa nuova cultura dell’acquisto comequalcosa che andrà ad affiancare il retail tradizionale, non a soppiantarlo. Per noi il cliente è al centro. Vogliamo circondarlo delle attenzioni necessarie e offrirgli tutte le opportunità. Sarà poi lui a decidere come arrivare a noi, se con un click da casa o di persona».
AncheIwcè da anni attiva sull’online. Protagonista su Mr Porter e Net-A-Porter dal 2016, nel novembre scorso la Manifattura di Schaffhausen ha lanciato un progetto in collaborazione conSantoniper la piattaforma digitale. Una gift box che conteneva unPilot’s watch Cronograph Iwce accessori di alta pelletteria Santoni. Quanto all’e-commerce vero e proprio, dalla primavera 2017 è attivo per gli Usa dal sitoiwc.come nel 2018 si prevede di estendere il servizio ad altri Paesi. E i marchi che credono in questa nuova frontiera sono molti altri, daAudemars PiguetaOris, daZenithaOmega, daMontblancfino a realtà più piccole ma vivaci comeGagà MilanoeBell & Ross; il brand francese fu avanguardista, esordendo con l’e-commerce addirittura nel 2009 e con un sito che oggi permette una certa libertà di interazione. Da questa prospettiva, già in passato abbiamo segnalato come a nostro giudizio il configuratore sia destinato a imporsi nell’orologeria; e gli stessi che obiettano come risulti improbabile per questioni di economie di scala e rigidità produttive, sono gli quelli che lo dicevano anche per le auto.
Sul piano del bespoke, a spiccare sonoBreitling, con la sezione dedicata “il mio Breitling su misura” del sito, eVacheron Constantin, che con la collezione Quai de l’Ile fu la prima a creare una linea concepita per essere personalizzata. Sempre Vacheron Constantin,Tag Heuer,RessenceeSwatchsi sono spinti anche in una direzione parallela, realizzando modelli speciali o serie limitate per il celebre sitoHodinkee, un magazine online fondato nel 2008 a New York, divenuto riferimento internazionale di gusto orologiero. Alle spalle di questo slancio verso l’e-commerce, ci sono giganti silenziosi, comeRolex,Patek PhilippeeHublot, che osservano. Pienamente gratificati dai riscontri in essere e dai canali di vendita tradizionali, per ora non sembrano intenzionati a buttarsi nell’agone digitale. Ma non poco del mercato dipenderà da come decideranno di muoversi in futuro.
ualcosa sta cambiando nelle abitudini di condivisione degli oltre 2 miliardi di persone che usano i servizi social. Il modello News Feed inventato da Facebook nel 2006 inizia a mostrare la sua debolezza ora che la piattaforma è diventata un moloch in cui 1,45 miliardi di persone ogni giorno produce una mole impressionante di contenuti. Secondo i calcoli di Menlo Park ciascuno di noi segue in media oltre 200 amici, per cui ad ogni accesso il nostro News Feed si riempirebbe di 1500 post, se non intervenisse il misterioso algoritmo filtro (qui qualche elemento sul suo funzionamento). Naturalmente ognuno di noi può migliorare la formula magica, decidendo chi silenziare, chi vedere per prima o anche scegliendo di vedere solo i più recenti contenuti anziché la selezione algoritmica dei “migliori”. In ogni caso, anche se l’algoritmo tende a migliorare nel tempo, imparando dalle nostre interazioni quotidiane, difficilmente riscirà a offrirci un mix di cose che amiamo vedere ed elementi inaspettati (evitando la trappola dell’echo chamber).
In attesa dell’algoritmo perfetto si vanno facendo strada due nuove modalità di condivisione, che potrebbero mettere in crisi il modello News Feed: quella privata e quella attraverso le Storie.
Condivisione privata L’attitudine alla condivisione privata è testimoniata dal successo di WhatsApp (1,5 miliardidi utenti attivi al mese) e Facebook Messenger (1,3 miliardi).La facilità d’uso e l’immediatezzadi comunicazione (pseudo asincrona) abilitata da questi strumenti ha stimolato le persone a (ri)scoprire il valore della comunicazione personale (o di gruppo) privata. Per particolari occasioni (che si sono rivelate essere la maggioranza) e per contenuti che non riceverebbero l’attenzione desiderata, abbiamo capito che non ha senso la diffusione di massa teoricamente abilitata dai social media. Inoltregli Instant Messenger eliminano lo stress della pressione sociale e spingono ad una risposta(anche emotiva) immediata (l’engagement è forzato perché è quasi impossibile non rispondere ad un messaggio diretto). Infinela messaggistica privata funziona bene per tenere a bada l’overload informativo.Anche se un nostro contatto o un gruppo si dovessero rivelare troppo invadenti, rimarrebbero sempre relegati ad un flusso informativo separato, silenziabile all’occorrenza. Per queste ragioni oggi ogni servizio social ha provveduto ad aggiungere o potenziare la funzione di messaggistica privata.
Le Storie Il formatoStorie, inventato da Snapchat e diffuso alle masse da Zuckerberg, consente di raccontare la propria giornata attraverso un patchwork di video, foto, emoticon, disegni, resi disponibili per sole 24 ore. Hanno il vantaggio di permettere la compressione di eventi accaduti in momenti diversi all’interno di una unità di tempo più breve e dunque più fruibile. In più la produzione di una Storia non richiede molta cura, libera dal fardello della qualità per servire il momento. Anche le Stories funzionano bene per combattere l’overload informativo del news feed perché il creatore pubblica magari più contenuti di prima, ma stipati in un unico contenitore. Di conseguenza il fruitore può visionarli all’occorrenza e saltarli, se noiosi.Si passa dalla modalità push del news feed alla modalità pull delle Storie. Viene bypassata anche la necessità di un algoritmo regolatore perché dalla scelta del contenuto si passa alla scelta, volta per volta, del contenitore e della persona. Ma con l’aumento vertiginoso delle storie pubblicate non si può escludere che le piattaforme decideranno di mostrare anche una selezione di quelle più interessanti per ciascun utente. Oggi le Storie su WhatsApp (chiamate Status) attraggono 450 milioni di utenti ogni giorno (tra produttori e fruitori), quelle su Instagram 300 milioni, quelle su Facebook 150 milioni al pari con quelle di Snapchat (secondo le stime diBlock Party). Si può parlare di affermazione di un nuovo formato se si pensa che un po’ tutti i servizi le stanno adottando: Facebook, Messenger,YouTube,Netflix,Google AMP. A sigillare il successo è arrivato Chris Cox, a capo della famiglia di app di Facebook, che durante F8 ha dichiarato“Le Storie, l’anno prossimo, diventeranno il modo principale di condivisione, superando la classica pubblicazione via news feed”.
Personalmente non sono un produttore di Storie perché non amo condividere troppo della mia vita privata, ma allo stesso tempo cedo spesso alla curiosità di sbirciare quel palinsesto sgangherato che occhieggia dagli oblò colorati. Per le aziende, i numeri e le prospettive, suggeriscono interessanti opportunità di visibilità. Però usare bene il nuovo formato non è per niente banale. Richiede lo sforzo di reimmaginarsi come un vero e proprio media, con una chiara strategia di content marketing e risorse dedicate.
Con il 25 maggio e il GDPR che diventa vincolante per tutti è opportuno fare chiarezza sul rapporto tra i cookies con il RegolamentoUe2016/679. I cookies, va ricordato, sono file di testo inviati da un sito web al computer dell’utente che lo sta visitando. Nascono come strumenti per migliorare la navigazione, ma sono anche utilizzati dalle aziende per identificare, riconoscere e classificare l’utente (si chiamano cookies di profilazione), in modo da poter creare degli annunci personalizzati su ogni sito visitato. Ebbene, l’utilizzo dei cookie e i relativi obblighi non sono regolati dal GDPR, ma dalla Direttiva ePrivacy (o Cookie Law), che che opererà insieme con il GDPR per disciplinare i requisiti per l’uso dei cookie stessi.
Si parla di dati personali quando i cookie sono in grado di identificare un individuo. Anche se non tutti i cookie sono utilizzati in un modo da poter identificare gli utenti la maggior parte di essi sono soggetti al GDPR (vedi Considerando 30 del Regolamento)
Il consenso (non ambiguo)
Con l’entrata in vigore del GDPR verrà modificata anche la disciplina riservata ai cookies. Soprattutto per quanto riguarda la parte relativa al consenso. Come risulta dall’art. 7 comma 1 del GDPR e del Considerando 32
il consenso dovrà essere espresso mediante un atto positivo con cui l’interessato esprime la propria intenzione libera, specifica, informata ed inequivocabile di accettare il trattamento dei dati personali che lo riguardano
Questo significa che l’unico comportamento positivo che equivale al consenso sarà quello di selezionare una specifica impostazione tecnica tra le opzioni del browser sull’accettazione o sul diniego dei cookies. Uno dei nuovi obblighi imposti dal GDPR prevede infatti dei meccanismi di opt-out per la revoca del consenso prestato, che siano trasparenti e di efficacia pari alle modalità di acquisizione del consenso.
Tecnicamente, quindi, ogni sito web dovrebbe predisporre un meccanismo chiaro per ottenere un consenso informato e attivo, fornire un metodo per la revoca del consenso, garantire, tramite un blocco preventivo, che non venga effettuato alcun trattamento prima di aver raccolto il consenso
Il meccanismo di opt-out non deve essere ospitato necessariamente sul tuo sito. Nella maggior parte dei casi, in base alla legislazione degli Stati Membri dell’Unione Europea, le impostazioni del browser sono considerate un metodo accettabile per gestire e revocare il consenso.
Il registro dei consensi
La Cookie Law tra l’altro non impone la tenuta di un registro dei consensi
ma stabilisce la necessità di dimostrare che i consensi siano stati ottenuti, anche se sono stati revocati
Il modo più semplice per soddisfare questo requisito è quello di adottare una soluzione cookie che utilizzi un meccanismo di blocco preventivo in quanto, in questo caso, i codici che installano cookie sono eseguiti solo dopo aver ottenuto il consenso. In questo modo, infatti, il fatto stesso che i codici siano stati eseguiti è una prova sufficiente del consenso.
Il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia chiude il mese di marzo stabile a -0,2% (-2,9% senza search e social), portando il trimestre a +1,0%, rispetto allo stesso periodo del 2017. Se si esclude dalla raccolta web la stima Nielsen sul search e sul social, l’andamento del trimestre registra un calo del -1,3%.
Il primo trimestre dell’anno si chiude in crescita, seppur modesta, ma con un rallentamento rispetto all’andamento del bimestre, com’era prevedibile” - spiega Alberto Dal Sasso, Ais managing director di Nielsen. “Contrariamente ai buoni dati di venduto della grande distribuzione a marzo (+7,5%), dovuti anche alla Pasqua, gli investimenti pubblicitari sono rimasti mediamente in stallo, anche se non su tutti i mezzi. Si tratta di una situazione complessa, caratterizzata da settori in grande spinta comunicativa ed altri in drastica frenata: difficile trovare un “fil rouge” se non il parallelo con lo stallo politico, e di conseguenza economico, entro il quale le aziende si trovano ad operare.
Relativamente ai singoli mezzi, la tv cala nel singolo mese del -2,7% e chiude il trimestre a -0,6%. Sempre in negativo i quotidiani, che a marzo perdono il -10,1%, consolidando il periodo cumulato gennaio-marzo a -9,3%. Stesso andamento per i periodici, sia nel singolo mese che per il trimestre, con cali rispettivamente del -10,8% e -11%. La radio continua l’andamento positivo e, grazie al +10% di marzo, porta a +7,1% l’incremento del periodo gennaio – marzo.
Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’intero universo del web advertising nel primo trimestre dell’anno chiude in positivo a +7,7% (+2,5% se si escludono il search e il social). Il cinema è in crescita del 43,1%, così come il transit (+13,1%) e la GoTv (+33,2%). Sostanzialmente stabile l’outdoor a -0,4%.
Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 9 in crescita, con un apporto di circa 38,6 milioni di euro. Per i primi comparti del mercato si registrano andamenti differenti. Alla buona performance di distribuzione (+2,2%), cura persona (+4,3%) e bevande (+8%), si contrappone il calo di alimentari (-0,9%), farmaceutici (-10%) e telecomunicazioni (-12,9%). Inversione di tendenza nel trimestre per toiletries (-11,4%) e media/editoria (-3,5%). Tra gli altri settori che contribuiscono alla crescita si segnala il buon risultato in termini di investimenti pubblicitari del tempo libero (+34,5%), industria/edilizia/abitazione (+25,4%) e enti e istituzioni (+33,5%).