Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Duecentomila telefoni cellulari con sistema operativo Android vengono attivati ogni giorno. Questo il numero più significativo per spiegare il crescente successo del software sviluppato da Google, che sta conquistando un fetta sempre più cospicua del mercato degli smartphone.
A fine marzo, Android era il quarto sistema più utilizzato dai cellulari di ultima generazione. Davanti a lui Symbian, Blackberry Rim e iOS di Apple, su cui si basa iPhone. Entro l’autunno, il programma open source di Google dovrebbe scalzare parte della concorrenza, issandosi in seconda piazza.
Una crescita sensazionale nel breve periodo, considerando che a febbraio la casa di Mountain View dichiarava une media di 60mila cellulari Android venduti al giorno.
Via Quo Media
Il servizio del motore di ricerca che doveva rivoluzionare le mail sarà soppresso. La lista dei flop di Mountain View si allunga, in attesa del nuovo social network
Doveva rivoluzionare la comunicazione online ed è invece finito nel cestino come una qualunque mail indesiderata. Il progetto Google Wave 1, lanciato dal motore di ricerca nel maggio del 2009, non verrà più sviluppato. Con un breve comunicato sul blog ufficiale, la compagnia di Mountain View ha annunciato l'interruzione dei lavori su Wave. La motivazione è semplice ed era da tempo sotto l'occhio di tutti: quasi nessuno usa "l'onda" di Google.
I pochi estimatori del servizio dovranno accontentarsi di utilizzarlo fino a tutto il 2010. Dopo questa data parti di Wave verranno integrate con altre applicazioni di Google che ancora non sono note: le ceneri alimenteranno insomma altri progetti, una parte del codice sorgente è stata resa pubblica per gli sviluppatori interessati, ma il servizio come è fruibile adesso scomparirà.
Il perché di una disfatta. Una volta decretata la morte di Wave è tempo di trovare i responsabili e la caccia al colpevole è in queste ore l'attività principale dei siti e dei blog specializzati di mezzo mondo. Gli errori dal momento del lancio in poi sono stati in effetti numerosi. Innanzitutto la presentazione di Wave ha creato un'attesa senza precedenti per un servizio web e la decisione di limitare l'accesso a sole centomila persone (un'inezia pensando che Gmail è usata più di 150 milioni di utenti) ha creato fenomeni di isteria collettiva. I rarissimi inviti a Google Wave, almeno in una prima fase, sono stati il desiderio di milioni di persone, tanto che qualcuno li ha pure messi all'asta su eBay.
Purtroppo una volta riusciti ad entrare sul Wave molti utenti sono rimasti spiazzati dal programma che prometteva di fare troppe cose senza sostituire però strumenti ormai tradizionali come la mail, la chat o i social network. Wave era insomma uno strumento in più di cui non si sentiva troppo la necessità e troppo isolato rispetto al resto dello streaming di un utente. Mentre il proprio mondo digitale andava avanti su Facebook o sulla mail, Wave rimaneva in un angolo ad aspettare.
L'ultimo tentativo di salvare il prodotto è stato fatto a maggio, quando la necessità di ricevere un invito per entrare su Wave è stata eliminata. Troppo tardi: in quel momento l'interesse era ormai scomparso del tutto e dopo solo due mesi e mezzo è stata messa la parola fine all'intero progetto. Le "vecchie" mail restano, Wave scompare.
Gli altri flop. La fine di Wave si va ad aggiungere alla lista dei prodotti terminati di casa Google: una lista che negli ultimi tempi si è fatta piuttosto lunga e rischia di crescere ancora. L'ultimo in ordine di tempo è stato il Nexus One, il primo cellulare venduto direttamente da Google sul suo sito, che doveva rivoluzionare l'intermediazione tra consumatori e compagnie telefoniche (soprattutto negli States) e dopo sei mesi è stato terminato per le poche vendite.
Le cose per Google non sono andate meglio quando il motore di ricerca ha provato a seguire la strada dei concorrenti in altri settori. Nel tentativo di creare un suo Twitter, nel 2007 Google acquistò il servizio di microblogging Jaiku, salvo poi chiuderlo nel 2009, proprio mentre l'uccellino blu rivale iniziava a macinare numeri milionari. Nel 2008 era stata la volta di Lively, il mondo tridimensionale nato sulla scia del boom di Second Life e soci, che permetteva di chattare usando un proprio avatar. Lanciato a luglio del 2008, il servizio venne definitivamente cancellato a dicembre dello stesso anno.
A questa sequenza bisognerebbe poi aggiungere i servizi che sono ancora vivi ma che non sembrano godere di buona salute. L'esempio non può che essere Google Buzz, il semi-social network lanciato a febbraio ed integrato in automatico su Gmail. Un servizio che ha prima creato diversi problemi legati alla privacy ma che ora in tanti sembrano aver dimenticato. Secondo Mountain View ci sarebbero 40 milioni di utilizzatori di Buzz, eppure il servizio non sembra così partecipato. La lista dei prodotti non tanto convincenti si potrebbe allungare con Knol, la simil Wikipedia, oppure Orkut, il social network made in Google che ha riscosso successo solo in Brasile e India, restando sconosciuto nei paesi occidentali.
E' naturale che solo una società che sperimenta molto fa tanti errori, e poi Google può in questi giorni "consolarsi" grazie al successo del suo sistema operativo per cellulari Android che sta segnando tassi di crescita record negli States e nel mondo. Senza contare poi i numeri della pubblicità e del fatturato che continuano a crescere trimestre dopo trimestre.
Il futuro. Archiviata la vicenda Wave, la prossima sfida per Google è quella con l'altra colonna del web mondiale: Facebook. Anche se di comunicazioni ufficiali non ce ne sono, le voci su un social network (Google Me) che dovrebbe competere direttamente col libro delle facce sono insistenti. La storia del motore di ricerca in termini di socialità, come dimostrano Buzz e Orkut, non è delle più felici. Ma un altro fallimento in questo campo potrebbe costare molto più caro della fine di Wave.
di Mauro Munafò su Repubblica.it
Il New York Times si ispira a Apple: entro l'anno aprirà una piattaforma per progettare applicazioni software mirata ai gruppi editoriali che vogliono sbarcare su iPad e iPhone. Ha già scelto un nome, sarà Press Engine. In questo modo il quotidiano newyorkese offre la sua consulenza nel passaggio dalla carta all'accesso in mobilità delle notizie, attraverso gli schermi touch di tablet e smartphone. Il giornale guidato da Bill Keller è il più letto sul web negli Stati Uniti: da tempo è all'avanguardia nello sviluppo tecnologico e di design per le testate.
Adesso offre le sue competenze sul mercato. E mira a costruire un modello di business simile a Apple. Gli editori riceveranno gli incassi derivanti dalla pubblicità e dalla distribuzione delle copie digitali. Ma dovranno pagare al New York Times una licenza d'ingresso e una tariffa mensile. Nel suo negozio di applicazioni, invece, l'azienda di Cupertino lascia il 70% dei ricavi agli sviluppatori software e trattiene il 30%.
Le prime testate si sono già fatte avanti per accedere alla miniera di conoscenze racchiuse in Press Engine: a partecipare saranno il Daily Telegraph e tre giornali appartenenti al gruppo A.H. Belo ("Dallas Morning News", "Providence Journal" e "Press-Enterprise"). Potranno accedere all'esperienza maturata dal quotidiano per costruire una versione in grado di rispondere alle esigenze dei lettori, a partire dalle funzioni più semplici, come l'archivio degli articoli e la condivisione dei testi più rilevanti. L'edicola digitale di iPad può già vantare alcuni successi: negli Stati Uniti sono state scaricate sul tablet di Apple 250mila copie del "Financial Times": l'effetto diretto, secondo il gruppo Pearson che pubblica il quotidiano finanziario, è stato un incremento degli abbonamenti alla versione digitale del 10%. I lettori trascorrono circa 25 minuti a sfogliare con il display touch le pagine della testata inglese.
di Luca Dello Iacovo su ILSOLE24ORE.COM
Le fotografie di un paesaggio. I video di YouTube. La frase più bella di un articolo o di un romanzo. Tumblr è un un blocco di appunti per raccogliere parole e immagini incotrati sul web: permette di catturarle e riassemblarle in una sola pagina. Come un blob personale di internet. Se il social network twitter punta su segnalazioni e opinioni pubblicate in brevi testi dai suoi utenti, tumblr riunisce soprattutto frammenti di testi, disegni, filmati.
Oppure commenti, opinioni, citazioni tratte da un testo sul web. Negli ultimi mesi ha incuriosito i giornali negli Stati Uniti. Il primo a sbarcare con un progetto ufficiale su tumblr è stato il settimanale Newsweek: pubblica una selezione di contenuti tratti dalle sue pagine e da internet. Poi sono arrivati altri, come il New Yorker. Fino ai reporter d'inchiesta di Pro Publica, l'organizzazione non profit premiata con un premio Pulitzer: hanno utilizzato il microblog per costruire un collage ironico delle dichiarazioni politiche più recenti, ispirandosi ai fumetti.
Da pochi giorni tumblr è entrato tra i primi cinquanta siti web più visitati negli Stati Uniti. E si sono accesi i riflettori. Come spiega il New York Times, gli utenti sono sei milioni. Non molti, se paragonati alla folla di Facebook e Twitter. Ma l'espansione è rapida: i post pubblicati ogni giorno sono 4,5 milioni, sette volte in più rispetto a un anno fa. E metà degli iscritti abita al di fuori dei confini Usa. Soprattutto, ha attirato l'interesse di società editoriali e di altre aziende. A fondarlo è stato un ragazzo di 24 anni, David Karp: il diciannove luglio ha scritto sul suo twitter "Ci siamo riusciti" appena ha saputo di essere entrato nell'olimpo digitale degli spazi web più visitati.
Tumblr è stato lanciato nel 2007. La sua marcia in più rispetto a twitter è nella facilità di raccogliere video e immagini sul web (attraverso un bottone da installare sul browser, il software per la navigazione online). Gli utenti che aprono un profilo possono raccogliere in un solo spazio video di Youtube, citazioni da articoli, link. E aggiungere un loro commento. È adatto per la visualizzazione su dispositivi mobili con schermi a colori, come gli smartphone e i tablet. Gli appunti online diventano nel tempo un racconto visuale da condividere, un punto di vista sui percorsi nel web. Ma il team di twitter non resta a guardare e gli amici: hanno annunciato che presto immagini e filmati avranno più spazio anche sui loro microblog.
di Luca Dello Iacovo su ILSOLE24ORE.COM
Il primo semestre del 2010 si chiude in positivo per il mercato pubblicitario italiano, con investimenti in crescita del 4,7% su base annua, fino a 4,5 miliardi di euro. Segnali di ripresa che fanno ben sperare per la seconda metà dell’anno e dicono forse della fine della lunga crisi del settore, che da quasi tre anni era stagnante.
Secondo i dati Nielsen, a trainare la pubblicità nostrana sono stati soprattutto i Mondiali di calcio in Sud Africa. Nel mese di giugno, quando si sono disputate la maggior parte delle partite del torneo, la spesa nel settore è aumentata del 9,7% rispetto a maggio. Il calcio, insomma, attrae pubblico e investimenti. Tra i settori che hanno registrato gli aumenti più rilevante nel semestre ci sono gli alimentari (+10%), bevande e alcolici (+9,2%) e le telecomunicazioni (+2,3%).
In crescita, per quanto lieve, anche le aziende inserzioniste (+0,6%), che però proliferano sul web, con mille nuovi investitori (+42% su base annua e +14,6% della spesa pubblicitaria totale). Buone cifre anche per la televisione, che ha visto il suo monte investimenti salire del 7,3%, mentre la radio registra un incremento a doppia cifra (+14,8%).
Via Quo Media
Il popolo della rete non va in vacanza. O meglio, anche in vacanza non si separa dai suoi dispositivi sempre connessi. E' quanto emerge dalle rilevazioni di Audiweb relative al mese di giugno, secondo le quali la porzione di cittadini dello Stivale impegnata nella navigazione è cresciuta a 23,78 milioni. Rispetto allo scorso anno la cifra è in crescita del 12%.
Gli utenti attivi nel giorno medio sono stati 11,73 milioni con 1 ora e 31 minuti di tempo speso online e 168 pagine viste per persona. Sempre stando all'indagine Audiweb, 32,5 milioni di italiani fra gli 11 e i 74 anni hanno accesso a internet (con un incremento pari al 10,4% su base annua), e quasi 30 milioni possono collegarsi dal computer di casa. 8,9 milioni di italiani possono farlo dall'ufficio e 3 milioni dal luogo di studio. Solo 1,9 milioni navigano da internet point e biblioteche comunali. L'accesso tramite telefono cellulare è stato effettuato da 4,7 milioni di utenti, dato in rialzo del 30,3%.
Le famiglie che dispongono di un collegamento alla rete sono 11,8 milioni (+16,9% rispetto a giugno 2009) e di queste, 8,4 milioni hanno una connessione alta velocità di Adsl o fibra ottica.
Via Quo Media
Da un paio di giorni è disponibile come download Torrent, un file contenente l'equivalente di quasi 100 milioni di profili Facebook, disponibili in download al modico peso di 2.8 GB e realizzato da Ron Bowes di Skull Security . (come confermato da Pirate Bay, sono già circa 1000 i download completi effettuati ieri).
Piccola premessa: nessun attacco informatico è stato effettuato su Facebook e tanto meno questi profili sono stati rubati da qualche dipendente infedele.
Questi dati sono stati raccolti nella maniera più semplice e ovvia, ovvero direttamente da Internet, tramite uno spider (web crawler) simile a quelli utilizzati dai motori di ricerca e sfruttando il fatto che quasi un utente su cinque non ha ancora aggiornato o impostato in maniera corretta la gestione della privacy del proprio account.
Nomi, cognomi, telefoni, email e amici sono di fatto disponibili nei normali processi di ricerca e quindi a rischio di un uso illegale.
La raccolta, conservazione e soprattutto utilizzo dei dati personali è regolata da norme più o meno severe a seconda dei paesi, ma questo non esclude un uso improprio degli stessi, magari per aggiornare o integrare banche dati già esistenti e autorizzate.
Il semplice download di questi dati, in Italia, è sanzionato penalmente in quanto è necessario per ogni singolo account ottenere l'autorizzazione anche alla semplice conservazione di questi dati.
Via Pianetacellulare.it
La sfida a Facebook, per Google, è tutta un gioco. Il gruppo californiano, che sta preparando un social network alternativo alla creatura di Mark Zuckerberg, sta prendendo contatti con tutti i più popolari produttori di giochi online per rendere il suo prodotto appetibile e competitivo.
Secondo quanto pubblicato dal Wall Street Journal, BigG si è accordato con Playdom, Electronic Arts, Playfish. Di Zynga Game Network, genitore di FarmVille, Google ha addirittura acquisito una quota. “Non è ancora chiaro quando Google potrebbe lanciare la nuova offerta di giochi ma secondo fonti - aggiunge il Wall Street Journal - rientrerà in una più ampia iniziativa nell’ambito del social network attualmente in fase di sviluppo”.
Via Quo Media
Iniziano a vedersi i primi timidi passi di come potrebbero essere i nuovi formati di advertising sulle nuove piattaforme, iPad in primis.
I nuovi banner, caratterizzati da più interattività e quindi da un approccio relazionale diverso mi sembrano un (piccolo) interessante passo.
Interessante anche il fatto che la "Interruption" è moderata, l'adv resta sempre all'interno della parte editoriale del giornale (in questo caso il NYTimes).
Da meditarci un po' su, di nuovi formati efficaci ce ne sarebbe un gran bisogno, dato che non è per niente vero che la pubblicità è morta e che i Socialcosi sono la risposta finale per qualsiasi cosa...
Approfondimento: http://www.mobilemarketer.com/cms/news/advertising/6492.html
Le nuove tecnologie e l’approccio partecipativo del social web hanno sicuramenteridisegnato in modo vistoso abitudini e logiche della comunicazione tradizionale.
In particolare alcuni fenomeni, come il crowdsourcing e lo user generated content (ed advertising) hanno scatenato negli ultimi sei mesi frequenti discussioni e polemiche tra aziende, agenzie e il mondo della rete.
Prendiamo ad esempio il crowdsourcing per quanto riguarda la creatività, impersonato in modo diverso dai due grandi player Zooppa e BootB: le agenzie tradizionali spesso si sono scagliate contro di loro, accusandoli di essere solo fonte di impoverimento della qualità, oltre che un mero modo per risparmiare.
Io posso dire per esperienza diretta che le cose sono più sfumate: è certo che in questi progetti c’è minore livello di consulenza e l’azienda è sola a giudicare, magari senza averne i mezzi, un’infinità di lavori di livello eterogeneo. E’ anche pur vero però che la ricchezza e quantità di spunti che un contest di questo tipo può dare non è assolutamente riproducibile dall’agenzia.
L’errore dunque secondo me è nella contrapposizione netta e ostile fra la creatività che si attribuisce la c maiuscola e presunti amatori, mentre io ritengo che il ruolo consulenziale e di guida strategica nel tempo che può avere un’agenzia posso trovare valore anche nell’affiancarsi talvolta a nuove forme di apertura con l’esterno.
Insomma una guida ci vuole nel medio e lungo periodo, ma quest’ultima deve essere aperta e non solo impegnata a difendere la propria posizione, è vero che non sempre la collaborazione è possibile ma l’ostilità preconcetta è molto pericolosa.
Lo stesso ragionamento si può applicare all’attività di social media marketing: da un lato io trovo che l’azienda non possa delegarla in toto all’esterno, perché è un aspetto che deve essere seguito da persone che vivano in diretta quanto poi rilanciano all’esterno.
Questo però non vuol dire che una realtà esterna, competente, non possa seguire il percorso strategico scegliendo obiettivi e tecnologie ed aiutando la crescita del personale interno.
Non a caso l’attività fai da te sul social web, fatta fare magari allo stagista perché tanto “è tutto gratis”, è sempre destinata al fallimento.
In conclusione dunque non vedo nelle nuove tendenze della comunicazione un rischio per i professionisti del settore, a patto che siano competenti, aperti e dotati della giusta mentalità, per farsi capire e apprezzare adeguatamente dalle aziende che danno loro lavoro.
Voi che ne pensate? C’è una contrapposizione reale e duratura o solo una momentanea mancanza di dialogo tra due mondi molto vicini e intersecabili?
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
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