Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
A quanto pare c'è un numero non piccolo di Americani molto disposti a usare il cellulare per micropagamenti... a condizione che gli si metta a disposizione una soluzione semplice (e magari sicura....).
Meno di un anno e mezzo fa Starbuck ha lanciato un'applicazione mobile che permette di pagare le consumazioni dallo smartphone (praticamente è come una carta ricaricabile sul telefono). E hanno raccolto già 42 milioni di transazioni.
Va segnalato che hanno scelto una soluzione tecnologicamente molto "piatta": il cassiere spara con la pistola scanner allo schermo del cellulare, che mostra un codice ottico.
Sarebbe più figo, sicuramente, con NFC - ma così è più semplice e direi più sicuro
E comunque continuo a ritenere che NFC sia una tecnologia che ha grandi potenzialità di cambiarci la vita.
Vedremo presto, dato che il pagamento NFC sarà lanciato in grande stile in occasione delle Olimpiadi di Londra.
Mentre si moltiplicano le app che permettono di usare lo smartphone come strumento di pagamento e il borsellino digitale è una realtà già diffusa oltre oceano, arriva un’interessante sperimentazione (partita quattro giorni fa) per iniziativa di Qui Group: grazie alla tecnologia iPay i buoni pasto cartacei (anche noti con il nome più generico di ticket restaurant, senza fare riferimento alla specifica azienda che ha registrato il marchio) potranno essere sostituiti dai cellulari muniti di tecnologia NFC.
Le aziende possono infatti caricare i buoni pasto che spettano al dipendente sul suo account e questi li ritrova su un’apposita app scaricata sul cellulare. Al momento di pagare il conto i voucher virtuali vengono inviati direttamente al lettore POS del ristorante, del bar o del locale.
Esistono dei precedenti tecnologici simili in aziende del settore della telefonia: nelle mense di Telecom Italia esistono già i Buoni Pasto Elettronici (per iniziativa congiunta di TIM, Cir Food e AliasLab), mentre i dipendenti di Wind possono invece usufruire di iBadge, un badge virtuale che consente l’accesso al luogo di lavoro mediante la tecnologia NFC.
Anche l’ATM di Milano sta avviando una sperimentazione con Telecom per consentire l’accesso alla metropolitana mediante pagamento con un cellulare NFC. Quando si arriverà a integrare nella funzionalità NFC anche tessere sanitari e carte d’identità elettroniche la nostra gioia sarà completa.
via Solotelco.it
Un'indagine Nielsen evidenzia una maggiore propensione all'acquisto se la pubblicità è effettuta tramite smartphone o tablet. La pubblicità su smartphone e tablet in Italia funziona più che in altri paesi. Lo prova una recente indagine Nielsen che ha esaminato i diversi comportamenti dei consumatori statunitensi, inglesi, tedeschi e italiani.
Nel nostro Paese, i proprietari di dispositivi mobili risultano più disposti di altri ad acquistare online prodotti e servizi pubblicizzati sul proprio telefono cellulare. Dei 4 Paesi analizzati, l'Italia è il mercato in cui emerge un maggiore interesse dell'utente alla ricerca di informazioni pubblicitarie tramite dispositivi mobili.
In base alle statistiche Nielsen dopo aver visto un annuncio pubblicitario sul proprio tablet, il 32% dei consumatori italiani ha deciso un acquisto su Internet mediante personal computer, il 13% direttamente attraverso device mobile mentre il 19% in un normale negozio. Passando invece ai proprietari di smartphone le percentuali si discostano un poco dalle precedenti: vista la pubblicità il 27% ha effettuato acquisti via pc, il 12% dal proprio dispositivo mentre il 18% è andato a comprare in negozio.
Gli italiani risulterebbero attenti anche attenti alle promozioni con l'11% degli utenti che fa uso di coupon ricevuto su un dispositivo mobile per sfruttare gli sconti, a fronte di un 10% di americani e un 9% di inglesi e tedeschi.
In generale, i consumatori statunitensi userebbero meno di quelli europei smartphone e tablet per accedere a contenuti pubblicitari e conseguentemente realizzare acquisti. Un altro aspetto importante mostrato da Nielsen è rappresentato dal fenomeno delle applicazioni per lo shopping: in particolare sono diffuse tra l'81% di chi scarica apps per tablet, percentuale che scende al 17% nel caso di possessori di smartphone.
Alla luce dei dati rilevati non può essere ignorato il crescente ruolo dei dispositivi mobili nell'influenzare le scelte d'acquisto soprattutto in Italia, paese all'avanguardia in Europa per penetrazione di smartphone.
Via ManagerOnline
L’app Instagram, che è riuscita a raccogliere 1 milione di nuovi utenti dopo il rilascio per la piattaforma Android di questa settimana, potrebbe essere in procinto di chiudere un ciclo significativo di finanziamenti.
Secondo fonti citate da AllThingsD la startup di San Francisco è prossima a raccogliere 50 milioni di dollari, portando così il suo valore a circa 500 milioni di dollari. Tra i recenti investitori di cui si conosce l’identità compaiono Jack Dorsey, fondatore di Foursquare, e Adam D'Angelo.
L’ulteriore aumento di capitale segnerebbe uno nuovo step per la società, che ha iniziato con solo 13 dipendenti e che recentemente ha spostato gli uffici dalla sede di Twitter in un nuovo spazio nel quartiere South Park di San Francisco.
Via Quo Media
Twitter ha da tempo messo a disposizione dei suoi utenti business una piattaforma pubblicitaria, chiamata Promoted Tweets, che permette agli inserzionisti di inviare tweet mirati ed indirizzati agli utenti di smartphone, computer e tablet. La società ha recentemente annunciato che chi usa Promoted Tweets può ora inviare i propri annunci anche agli utilizzatori di Blackberry della RIM. Ma non è l’unica novità: gli inserzionisti possono anche selezionare come target della propria campagna su Twitter, uno specifico sistema operativo destinatario.
Si possono selezionare i principali dispositivi o utilizzare le singole caselle, che permettono di indirizzare i tweet pubblicitari allo specifico sistema operativo scelto. Le opzioni includono i sistemi desktop, portatili, iOS, Android, BlackBerry, ed un elenco che comprende tutti gli altri dispositivi mobili che non rientrano nelle categorie precedenti.
Questo nuovo sistema permetterà di ottimizzare gli investimenti pubblicitari, riducendo i costi e avvantaggiando soprattutto le aziende specializzate in prodotti e servizi per specifici device o piattaforme.
Via Tech Economy
L’11 aprile un potente terremoto si è scatenato al largo della costa di Sumatra, in Indonesia. Mano a mano che le agenzie di stampa battevano la notizia del sisma, il pensiero di tutto il mondo è corso al 26 dicembre 2004 quando, in quella stessa zona, una violenta scossa dava origine a un terrificante tsunami che provocò oltre 230.000 vittime.
La scossa di mercoledì scorso è stata distintamente avvertita in quasi tutto il Sud-est asiatico e il Pacific Tsunami Warning Center ha immediatamente emesso un’allerta tsunami per tutto l’Oceano indiano. L’allarme ha riguardato anche la Thailandia e le autorità locali hanno allertato le popolazioni della costa, invitandole a tenersi a distanza dalle spiagge e a stare al sicuro. Anche i social network, ovviamente, si sono fatti megafono delle notizie provenienti dall’Indonesia e hanno invitato tutti a mettersi al riparo da una possibile onda anomala che, in quel momento, rappresentava un pericolo più che concreto.
La stato di allarme e la certezza che un buon numero di thailandesi in quelle ore stava sul Web alla spasmodica ricerca di notizie e aggiornamenti sul terremoto, deve aver risvegliato qualche genio della lampada: perché non piazzarci un po’ di sana pubblicità? È quello che deve aver pensato l’Admin della FanPage di KFC Thailand – la nota catena di fast food statunitense specializzata in pollo fritto, 13.000 ristoranti in 80 Paesi – quando ha postato un aggiornamento di stato che recitava:
“Let’s hurry home and follow the earthquake news. And don’t forget to order your favourite KFC menu.” (“Corriamo a casa a seguire le notizie sul terremoto. E non dimenticatevi di ordinare il vostro menù KFC preferito.”)
Non ci vuole la sfera di cristallo per immaginare che un simile status in una tale circostanza non sarebbe stato troppo gradito…. E infatti, nell’arco di pochissime ore, mentre le autorità thailandesi revocavano l’allarme maremoto, uno tsunami di proteste si stava abbattendo sulla suddetta FanPage e su numerosi forum, dove hanno cominciato a comparire messaggi che bollavano come “insensibile ed egoista” – per usare due termini garbati – il post di KFC Thailand. Questo accadeva mercoledì. Entro giovedì mattina il post incriminato era già sparito per lasciare spazio a un messaggio di scuse da parte dei vertici di KFC Thailand.
Il tutto è avvenuto così velocemente che i molti articoli dedicati alla faccenda, da Business Insider all’Huffington Post hanno ne hanno parlato a rettifica già avvenuta. In questo caso, l’epicfail non è stato tanto l’aver piazzato una pubblicità di troppo, ma piuttosto il non aver saputo riconoscere il momento poco propizio per promuovere il proprio marchio. È come quando si fa una battuta sbagliata nel momento sbagliato: un istante prima avrebbe stemperato la tensione, ma in quell’attimo scatena la risposta stizzita dell’interlocutore e innesca la polemica.
Il problema dei social media, e forse di Facebook in particolare, è che le notizie – specialmente quelle legate a eventi improvvisi e drammatici – viaggiano accompagnate da un’ondata emotiva potentissima, soprattutto quando l’evento drammatico sta avvenendo a distanza di sicurezza dai nostri monitor e siamo più propensi a guardare i particolari. Se KFC avesse invitato i thailandesi a scappare dall’ufficio per guardare la finale dei Mondiali di calcio in compagna di un bel secchiello di ali di pollo, probabilmente quel post avrebbe ricevuto molti Like e forse avrebbe portato qualche avventore in più davanti alle casse di un ristorante della catena.
Ma scegliere un evento drammatico per promuovere forzatamente il proprio brand ha prodotto un effetto non troppo diverso da quella volta che, nel 2009, il Tg1 si gloriò dei propri eccezionali ascolti in seguito al terremoto dell’Abruzzo: una sacrosanta polemica sul cinismo della società dello spettacolo che fa la conta degli spettatori anche nel momento della tragedia.
A guardare oggi la FanPage di KFC Thailand sembra che non sia successo nulla: esattamente come tutti siamo tornati a guardare il Tg1 dopo la gaffe degli ascolti, anche i fan delle alette di pollo sono tornati a popolare la pagina per chiedere informazioni sul cibo e postulare il ritorno del panino al cavolo nero. Come per la già nota faccenda di #McDStories, questo genere di incidenti difficilmente provoca un danno diretto e immediato: nessuno ha smesso di entrare in un McDonald’s per colpa di un hashtag finito male, così come KFC non fallirà per via di uno status decisamente inopportuno.
Ma il ricordo di incidenti come questi dura veramente solo una giornata?
Lesson Learned: Se volete fare intervenire il vostro brand in una discussione attorno a un evento straordinario o a un tema di attualità molto caldo, siate cauti e scegliete con ancora più attenzione del solito tempi e modi della comunicazione. Quando l’emotività degli utenti è alle stelle per fattori esterni, una mossa sbagliata può far esplodere una polemica che certamente non gioverà alla reputazione del brand.
Via Tech Economy
I venditori online nel primo semestre 2012 hanno notevolmente incrementato il loro business grazie ai motori di ricerca. I dati della ricerca di MarketLive indicano che le entrate sono aumentate di 20% rispetto al primo quadrimestre 2011. Circa il 39% dei clienti sono stati raggiunti grazie ai motori di ricerca, in crescita rispetto al 38,2% dell’ultimo trimestre 2011. In ascesa anche le reti sociali, stimolanti di acquisto per il 2,1% delle persone.
Via Quo Media
Al di là dell'oceano si scrivono fiumi di parole sul tema: “il servizio clienti è il nuovo marketing?” Noi siamo ancora distanti da questo concetto; ciò che ci accomuna è il declino della qualità nel gestirlo; la differenza fondamentale è che negli USA si sono posti il problema e cercano soluzioni, il che significa che forse tra dieci anni lo faremo anche noi, se non sarà troppo tardi.
In un articolo di Customer Management IQ troviamo alcune riflessioni sui danni procurati dal declino della qualità che si adattano perfettamente anche alla nostra realtà. Vediamole.
La relazione con il cliente: la linfa vitale dei Call Center e, in definitiva, di tutte le Società.
Nel corso degli ultimi dieci anni il settore Call Center si è trasformato, perdendo di vista la naturale focalizzazione sul “servizio al cliente” e sulla sua soddisfazione.
L'attenzione ossessiva per il profitto immediato ha portato molte grandi società ad affidare a call center off-shore il customer service anche per il supporto tecnico, inducendo molte altre aziende a seguirne l'esempio.
Non sorprende che si sia registrata una flessione repentina nel grado di soddisfazione e fidelizzazione dei clienti ed un frenetico turnover dei dipendenti del call center.
Un sondaggio condotto da Opinion Research indica che la propensione all'acquisto degli americani scende al 69% dopo una brutta esperienza con il call center, mentre -secondo un rapporto di Aspect Index- le probabilità aumentano del 33% dopo una esperienza positiva.
Così, sebbene tutti capiscano quanto sia importante avere clienti soddisfatti, molte società hanno delegato questa responsabilità all'agenzia che offre il prezzo più basso, spesso all'estero, con operatori mal pagati e poco preparati, causando una drastica riduzione della fidelizzazione.
Il 21 ° secolo ha bisogno di un nuovo modello di call center incentrato sul cliente, non sui costi di vendita e del servizio. Bisogna tornare a focalizzarsi sul valore e porsi come obiettivo finale la completa soddisfazione: il cliente entusiasta e fedele genera altri clienti tramite il passaparola e alla fine questo processo virtuoso produce maggiori ricavi.
Il costo sembra essere per molte aziende la chiave di volta e alcuni call center in outsourcing possono contribuire a ridurlo, ma il richiamo delle sirene del profitto immediato mette in secondo piano l'alto rischio di insoddisfazione del cliente, il che è inevitabile a causa di barriere linguistiche, allungamento dei tempi di chiamata, problemi di comprensione; in aggiunta, vi è una mancanza di contesto culturale. Tutto ciò abbatte drasticamente la produttività del call center, che in soldoni oscilla tra il 39 e il 105%.
In sintesi, ciò che occorre è rivalutare e reinventare il Call Center per rimettere il Cliente al centro.
Il Call center manager deve sviluppare e implementare un modello di gestione strategica della forza lavoro che utilizzi risorse umane disponibili sul territorio (studenti, pensionati, disoccupati, invalidi e diversamente abili). Dobbiamo assumerci la responsabilità di andare oltre al profitto immediato e fornire istruzione, formazione e lavoro ai call center nazionali.
Il settore deve cambiare e migliorare il livello del customer service e del supporto tecnico in modo che le persone siano soddisfatte del contatto. Dobbiamo offrire una qualità che risponda alle aspettative e al contesto culturale dei clienti, che li trasformerà non solo in fedeli consumatori ma in promotori. Questo nuovo modello produce grandi benefici: attrae e mantiene i clienti, sviluppa la fedeltà e attraverso il valore aggiunto e stimola l'identificazione con il brand.
Dobbiamo reinventare il Call Center, fornire assistenza in modo più efficace, nel rispetto della risorsa più importante del cliente: il tempo.
La maggioranza dei giapponesi condivide abitudini e stili di vita che li rende molto propensi all’utilizzo del cellulare per numerose attivita’: costretti a lunghi spostamenti in treno o abituati a usufruire di servizi ‘accessibili’ anche se costosi, l’utente target dei contenuti mobile presenta gusti molto sofisticati e facilmente prevedibili (definibili per eta’, sesso, estrazione sociale). Gia’ da molti anni prima dell’avvento degli ‘Smartphone’ e dell’iPhone, il mercato dei terminali cellulari nazionale e’ stato dominato da device molto avanzati.
Cellulari ricchi nelle funzioni e molti simili tra di loro per formato – quasi uno standard ‘non dichiarato’ che ha uniformato i vari produttori – e nella maggioranza dei casi dotati di connessione internet nativa e ‘portali di contenuto’ preinstallati: una piattaforma ideale per offrire contenuti con una base potenziale di utenza in grado di superare i 100 milioni di device.
Anche per forma e dimensione i cellulari giapponesi ‘pre-smartphone’ sono molto simili, con la tipica apertura a ‘conchiglia’, al punto da farli sembrare tutti uguali a meno di differenze di colore. Possiamo chiamarli ‘supercellulari’ – spesso dotati di funzionalita’ piu’ avanzate dei primi modelli di iPhone e Smartphone Android, considerati una ‘necessita’ dalla maggioranza della popolazione non solo per la comunicazione diretta vocale, ma soprattutto per l’uso dei servizi internet di informazione, di pre-allarme eventi sismici in arrivo, di comunicazione via scambio di mail.
I giapponesi tendono a spendere una media di 3-4 euro per ogni singolo servizio di contenuto in abbonamento mobile: parliamo di servizi e beni di consumo digitali (riviste per cellulare, notizie) e anche di oggetti cosi’ detti ‘virtuali’ (come monete virtuali aggiuntive da utilizzare nei videogiochi, o un nuovo vestito per il personaggio principale di un’avventura grafica un modello per certi versi simile alla vendita di accessori virtuali nei giochi come Farmville di Zynga).
Non a caso l’industria dell’intrattenimento e’ tra le piu’ fiorenti in giappone – e anche sentita come strettamente necessaria.
Sul carattere dei giapponesi e come il tempo per lo ‘svago’ in giappone sia una cosa seria Per un popolo cha lavora assiduamente e fino a morire di lavoro – o almeno fino a ritenere opportuno classificare la ‘morte da lavoro’ come una delle cause comuni di decesso – sapersi svagare nel tempo libero e’ d’obbligo, serio quanto una seconda ‘professione’.
Ci sono pochi compromessi e non e’ una sorpresa per nessuno: qui in giappone ci sono manuali che regolamentano tutto, dal lavoro, alla pulizia, al modo di parlare, e regole ferree e accettate da tutti in ogni contesto. Questo crea un forte stress ‘nascosto’ che richiede valvole di sfogo sistematiche e organizzate. Regole che spesso non sono scritte da nessun parte, ma cui si obbedisce per pressione e convenzione sociale.
Il giapponese definisce e delimita due sfere di personalita’ distinti: il primo e’ ‘la sfera pubblica’ – l’immagine del ‘se’ in relazione al gruppo e all’altro (inclusi familiari) e il secondo e’ ‘la sfera privata’ il ‘se’ che non si mostra mai. Si puo’ lavorare per anni con un collega nipponico e saperne poco o nulla del suo vero carattere – senza che questo sia percepibile come ‘schizofrenia’ o almeno non secondo le nostre convenzioni occidentali.
Lo spazio ‘sociale’ di ogni giapponese e’ completamente preso dai doveri, dalle regole e dalle prospettive mentali del gruppo e in particola modo dell’azienda per cui si lavora. D’altro lato, lo spazio personale e’ quello piu’ vero e a volte difficile, che non si mostra al di fuori se non in occasioni di svago condiviso (le numerose ‘bevute’ coi colleghi o amici’) o durante le pause dedicate allo ‘svago personale’ – come collegarsi ad un social network, chattare, o – spesso – giocare con il cellulare o i giochi su smartphone. E la stragrande maggioranza dei ‘salaryman’ (salariati) o delle ‘OL’ (le ‘Office Ladies’ o impiegate) persegue la vita da pendolare.
Milioni di pendolari che si spostano ogni giorno nel dedalo di metropolitanee e linee ferroviare delle principali metropoli, impiegando anche fino a un’ora e mezzo in attesa in piedi.
Un esercito di pendolari armato di device E’ proprio durante gli spostamenti sui diffusissimi mezzi pubblici, che i (super*)cellulari hanno conquistato anno dopo anno il cuore di gran parte dei giapponesi (*super perche’ per prestazioni e funzioni non hanno paragone rispetto ai nostri ‘cellulari’).
Mini-libri elettronici, mini-fumetti, siti internet mobili, e centinaia di videogiochi scaricabili spesso gratuitamente e direttamente via connessione cellulare – una miniera di ‘svago’ privato e tascabile che ha generato un mercato piu’ che fertile. I (super) cellulari prima, e gli smartphone ora, sembra abbiano vinto la battaglia per la conquista del tempo libero dei pendolari in trasferta:
Salendo su un vagone della metropolitana di Tokyo 3-4 anni fa era facile trovare ragazzi, adulti e signore di ogni eta’ impegnate con un Nintendo DS o una Playstation PSP, altri con in mano un piu’ tradizionale libro – per tutti gli altri, cellulare dotato di iMode (per chi si ricorda del primo vero browser internet per cellulari di larga diffusione) e videogame scaricabili.
Oggi, la maggioranza dei device sono iPhone, Smartphone e i rimanenti (super) cellulari, sostituendo nelle preferenze dei molti anche console ‘videogame’ portatili. La vasta maggioranza dei device sono ‘pronti’ ad usufruire dei servizi di social gaming: scarica, gioca e aggiorna. Un altro importante fattore ‘abilitante’ per il successo dei social game provider mobili in giappone e’ stata la tipologia dei contratti cellulari. Diversamente da quanto e’ avvenuto da noi in Italia infatti, in giappone l’offerta di contratti mobili prepagati (sim a ‘ricarica’) e’ praticamente inesistente. Di fatto non viene considerata la separazione del terminale dalla scheda SIM (la scheda sim equivale ad un contratto personale a lunga durata, e il cellulare e’ spesso legato contrattualmente alla SIM in abbonamento). Non solo i giapponesi non ci trovano nulla di strano, ma sono piuttosto sospetti nei confronti delle (poche) soluzioni prepagate disponibili: anche le prepagate tra l’altro hanno richiesto la registrazione contemporanea del telefono e della SIM.
Parleremo ancora nel prossimo articolo della stretta relazione tra il modello di business degli operatori mobili giapponesi e quello dei provider di contenuti e servizi digitali mobili che ne ha decretato il successo.
Via Tech Economy
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Ci sono parecchie cose interessanti e anche qualche numero specifico per l'Italia e gli utenti italiani dei social.
Degno di nota il fenomeno di declino dei "brand site", la cui frequentazione declina, specialmente nei giovani.
Sarà perchè alle persone non interessano più le marche e ci cercano solo gli sconti? (è una componente, ci sono delle evidenze che lo provano).
Sarà perchè le marche stanno usando meglio i social per parlare con le persone, riducendo la necessità di andare sul sito?
Sarà perchè alle persone piace meno andare sui siti e ci vanno proprio solo per il pezzetto finale del ciclo d'acquisto - raccogliere dettagli e info propedeutici all'atto d'acquisto?
Ci sono poi parecchie altre cose degne di menzione - in primis il fatto che l'esperienza più forte che si può dare alle persone... è rispondere loro e risolvergli i problemi.
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