L’11 aprile un potente terremoto si è scatenato al largo della costa di Sumatra, in Indonesia. Mano a mano che le agenzie di stampa battevano la notizia del sisma, il pensiero di tutto il mondo è corso al 26 dicembre 2004 quando, in quella stessa zona, una violenta scossa dava origine a un terrificante tsunami che provocò oltre 230.000 vittime.
La scossa di mercoledì scorso è stata distintamente avvertita in quasi tutto il Sud-est asiatico e il Pacific Tsunami Warning Center ha immediatamente emesso un’allerta tsunami per tutto l’Oceano indiano. L’allarme ha riguardato anche la Thailandia e le autorità locali hanno allertato le popolazioni della costa, invitandole a tenersi a distanza dalle spiagge e a stare al sicuro. Anche i social network, ovviamente, si sono fatti megafono delle notizie provenienti dall’Indonesia e hanno invitato tutti a mettersi al riparo da una possibile onda anomala che, in quel momento, rappresentava un pericolo più che concreto.
La stato di allarme e la certezza che un buon numero di thailandesi in quelle ore stava sul Web alla spasmodica ricerca di notizie e aggiornamenti sul terremoto, deve aver risvegliato qualche genio della lampada: perché non piazzarci un po’ di sana pubblicità?
È quello che deve aver pensato l’Admin della FanPage di KFC Thailand – la nota catena di fast food statunitense specializzata in pollo fritto, 13.000 ristoranti in 80 Paesi – quando ha postato un aggiornamento di stato che recitava:
“Let’s hurry home and follow the earthquake news. And don’t forget to order your favourite KFC menu.” (“Corriamo a casa a seguire le notizie sul terremoto. E non dimenticatevi di ordinare il vostro menù KFC preferito.”)
Non ci vuole la sfera di cristallo per immaginare che un simile status in una tale circostanza non sarebbe stato troppo gradito…. E infatti, nell’arco di pochissime ore, mentre le autorità thailandesi revocavano l’allarme maremoto, uno tsunami di proteste si stava abbattendo sulla suddetta FanPage e su numerosi forum, dove hanno cominciato a comparire messaggi che bollavano come “insensibile ed egoista” – per usare due termini garbati – il post di KFC Thailand.
Questo accadeva mercoledì. Entro giovedì mattina il post incriminato era già sparito per lasciare spazio a un messaggio di scuse da parte dei vertici di KFC Thailand.
Il tutto è avvenuto così velocemente che i molti articoli dedicati alla faccenda, da Business Insider all’Huffington Post hanno ne hanno parlato a rettifica già avvenuta. In questo caso, l’epicfail non è stato tanto l’aver piazzato una pubblicità di troppo, ma piuttosto il non aver saputo riconoscere il momento poco propizio per promuovere il proprio marchio. È come quando si fa una battuta sbagliata nel momento sbagliato: un istante prima avrebbe stemperato la tensione, ma in quell’attimo scatena la risposta stizzita dell’interlocutore e innesca la polemica.
Il problema dei social media, e forse di Facebook in particolare, è che le notizie – specialmente quelle legate a eventi improvvisi e drammatici – viaggiano accompagnate da un’ondata emotiva potentissima, soprattutto quando l’evento drammatico sta avvenendo a distanza di sicurezza dai nostri monitor e siamo più propensi a guardare i particolari. Se KFC avesse invitato i thailandesi a scappare dall’ufficio per guardare la finale dei Mondiali di calcio in compagna di un bel secchiello di ali di pollo, probabilmente quel post avrebbe ricevuto molti Like e forse avrebbe portato qualche avventore in più davanti alle casse di un ristorante della catena.
Ma scegliere un evento drammatico per promuovere forzatamente il proprio brand ha prodotto un effetto non troppo diverso da quella volta che, nel 2009, il Tg1 si gloriò dei propri eccezionali ascolti in seguito al terremoto dell’Abruzzo: una sacrosanta polemica sul cinismo della società dello spettacolo che fa la conta degli spettatori anche nel momento della tragedia.
A guardare oggi la FanPage di KFC Thailand sembra che non sia successo nulla: esattamente come tutti siamo tornati a guardare il Tg1 dopo la gaffe degli ascolti, anche i fan delle alette di pollo sono tornati a popolare la pagina per chiedere informazioni sul cibo e postulare il ritorno del panino al cavolo nero. Come per la già nota faccenda di #McDStories, questo genere di incidenti difficilmente provoca un danno diretto e immediato: nessuno ha smesso di entrare in un McDonald’s per colpa di un hashtag finito male, così come KFC non fallirà per via di uno status decisamente inopportuno.
Ma il ricordo di incidenti come questi dura veramente solo una giornata?
Lesson Learned: Se volete fare intervenire il vostro brand in una discussione attorno a un evento straordinario o a un tema di attualità molto caldo, siate cauti e scegliete con ancora più attenzione del solito tempi e modi della comunicazione. Quando l’emotività degli utenti è alle stelle per fattori esterni, una mossa sbagliata può far esplodere una polemica che certamente non gioverà alla reputazione del brand.
Via Tech Economy