Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Una riflessione che abbraccia le grandi forme distributive organizzate e il piccolo dettaglio locale; una razionalizzazione delle novità di cui i primi sono portatori e degli stimoli per gli imprenditori che si adoperano in questa formula distributiva. Questo è l’approccio con cui voglio trattare il tema dell’assetto del punto vendita.
Il dettaglio oggi è oggetto di molti studi di marketing e da esso quindi trae tecniche e strumenti per svilupparsi al meglio. Senza la presuntuosa pretesa di riassumere la materia, voglio comunque cercare una sommaria generalizzazione dell’argomento. Proverò infatti a presentare alcune delle tecniche più innovative, cercando di trovare in esse un minimo comune denominatore.
Due sono i presupposti da cui partono i miei ragionamenti. Il primo: il commercio al dettaglio soprattutto se di piccole dimensioni e non strutturato in forme organizzate, vive un profondo periodo di difficoltà. Al di là dei singoli dati congiunturali, è una evidenza che il piccolo negozio patisca uno stato di sofferenza che rende sempre più lontani i tempi in cui un’attività di questo tipo era considerata una sicura fonte di guadagno.
In secondo luogo il comportamento d’acquisto dei consumatori appare in evoluzione seguendo una traiettoria che vede una sempre maggiore importanza conferita al momento, all’atto del comperare. Sto cercando di raccontarvi la dimensione ludica dello shopping ovvero la ricerca di esperienze d’acquisto entusiasmanti e coinvolgenti. Quando si vende si deve aver chiaro che oggi lo shopping è uno dei divertimenti, non a pagamento, più graditi dalle persone; i consumatori trovano piacevole vagare per gli spazi commerciali. Si compra non solo il prodotto, ma l’emozione che scaturisce dal suo acquisto.
In un quadro quindi di difficoltà e di cambiamento, si innestano tecniche innovative e spesso estreme.
A quest’ultima categoria, quasi per definizione, appartengono quegli esercizi di marketing non convenzionale denominati Guerrilla store. Si tratta di negozi temporanei che aprono all’improvviso con una fine imminente già preventivata. Un po’ come il cambio di una collezione così questi PV chiudono per poi riaprire in altre location. Spesso gli spazi scelti vengono mantenuti nelle stesse precarie condizioni in cui sono trovati, con l’evidente tentativo di contenere al massimo i costi; nessuno spazio a forme di pubblicità, fede assoluta nel passaparola che scaturisce. Si vende la merce al minimo costo possibile e poi si chiude!
Riavvicinandoci al convenzionale e riprendendo una delle osservazioni poste a presupposto dei ragionamenti, inserisco le logiche tipiche del marketing emozionale. Il consumatore passa dall’essere considerato un mero operatore razionale, che paragona le differenti offerte secondo funzionalità e prezzi offerti, per divenire un più “romantico” consumatore emotivo che nella sua scelta d’acquisto cerca un piacere che va al di là della merce acquistata. In questa ottica la capacità del PV di interagire con tutti i sensi del suo fruitore appare fattore determinante; dal solo arredo si passa alla oculata scelta delle luci, dei colori, delle musiche, dei profumi e oggi sempre più spesso dei sapori.
Proseguo il mio ragionamento riportandovi un’altra delle terribili definizioni delle disciplina: visual merchandising. Si tratta della teatralizzazione del prodotto ovvero del processo della spettacolarizzazione della merce in cui il punto vendita diventa il palcoscenico ove viene messo in scena per il cliente ciò che si vende.
In questa logica appaiono molteplici le possibilità di un brand di comunicare attraverso diversi artifici architettonici i valori di cui è portatore. E’ sempre più vero che con un PV così strutturato si acquisti la marca e gli attributi che si riescono a far rivivere nella location.
Chiudo la presentazione con un irrinunciabile riferimento ai concept store; anche in questo caso la materia non offre definizioni univoche. Mi limito a mutuarne un abbozzo dall’idea di concept di prodotto cioè una forma di sperimentazione. Il concept store è appunto un luogo di sperimentazione in cui si possono fondere stili, prodotti, ambientazioni e servizi che in altrove potrebbero risultare incompatibili.
Credo che in queste ultime osservazioni risieda il punto di contatto, il denominator comune che andavo ricercando: la capacità di innovare, di creare un punto vendita che veramente sia di appeal per il consumatore. La capacità di offrire una novità soddisfando il modo di concepire lo shopping da parte del consumatore. Il negozio temporaneo, la multi-sensorialità, il negozio teatro sono tutti tentativi di fornire novità al cliente. Ricordatevi che se create un negozio straordinario non dovrete spendere in comunicazione in quanto i clienti stessi ne parleranno e l’idea girerà autonomamente tra i diversi media.
Un punto vendita avrà successo se saprà andare oltre le normali regole e convenzioni con cui normalmente veniva progettato, risultando portatore di novità per il cliente.
Dario Ferrigato
Dopo l'invito alla cautela da parte del Garante della Privacy, preoccupato della scarsa consapevolezza con cui gli italiani si approcciano all'attività di social-networking, sono arrivati i dati di Eurispes a confermare che tre italiani su dieci (30,7%) sono presenti su Facebook.
Il 38,1% dichiara di non essere iscritto al primo portale di social-network e il 31,2% non conosce il significato di questo termine e rimane, probabilmente, legato a mezzi di comunicazione e relazione di tipo tradizionale.
Sono soprattutto i giovani tra i 25 e i 34 anni e quelli tra i 18 e i 24 anni (rispettivamente il 53,7% e il 52,7%) a sperimentare questo nuovo strumento di comunicazione, che, permettendo la condivisione di interessi, esperienze e desideri, consente loro di coltivare vecchie e nuove amicizie.
Tra i non iscritti a questo social network prevalgono, invece, i 45-64enni (44,6%), mentre non hanno mai sentito parlare di Facebook soprattutto gli ultra65enni (65%).
Il numero più consistente di iscritti si rintraccia tra coloro che risiedono nelle Regioni centrali della nostra Penisola (39,3%). Al contrario, tra i non iscritti spiccano gli abitanti del Nord-Est (49,5%). Infine, non sono informati sul “fenomeno Facebook”, in prevalenza, gli italiani delle Isole (48,7%).
Ben il 63,1% degli italiani ritiene che esso sia utile in quanto permette di ritrovare vecchi amici. Probabilmente, proprio perché svolge questa importante funzione, Facebook non viene ritenuto una perdita di tempo (45,8%). Esso, invece, non viene ritenuto un mezzo utile per fare nuove conoscenze (51,9%), per essere informati su eventi di proprio interesse (54,7%) e per passare il tempo (55,3%). Il 47,9% degli italiani crede che esso metta a rischio la privacy.
In particolare, si parla di social risks, poiché, nel preciso momento in cui si mette in Rete un’informazione personale, se ne perde il controllo, con il rischio che dati delicati finiscano per entrare in possesso di sconosciuti.
I giovanissimi (18-24 anni) sono coloro i quali credono, in misura maggiore rispetto agli altri, che Facebook sia uno strumento utile per ritrovare vecchi conoscenti (72,1%) e passare il tempo (49,6%). Al contrario, sono i meno propensi a credere che esso consenta di stringere nuove amicizie (56,6%).
Gli italiani che hanno un’età compresa tra i 25 e i 34 anni sono i più convinti che Facebook non abbia la funzione di informare su eventi di proprio interesse (58,4%) e che rappresenti, pertanto, una perdita di tempo (53,1%), al contrario dei 18-24enni (51,2%), 45-64enni (48,3%), 35-44enni (47,4%) e ultra 65enni (42,9%).
Più affascinati dalle potenzialità dello strumento che preoccupati per i possibili rischi ad esso associati, i giovani con età compresa tra i 18 e 24 anni (51,9%) sono quelli più inclini a considerarlo non dannoso per la privacy, seguiti dai 35-44enni (44,7%). Di parere opposto sono, infine, gli ultra 65enni (54%), i 25-34enni (53,5%) e i 45-64enni (42,8%).
SOCIAL NETWORK: A settembre 2008 su quasi un miliardo di utenti unici connessi ad Internet più di 670 milioni hanno navigato su sistemi di social networking.
La top ten dei social più frequentati a livello mondiale vede in testa Facebook con 161milioni di visitatori unici, seguito da MySpace (117,9 milioni), Flickr (66,7 milioni) e Hi5 (58,7 milioni).
Nella classifica italiana dei principali social network al primo posto troviamo MySpace con il 59,5% degli iscritti (2,7 milioni di utenti), seguito da Facebook con il 19,5% (900mila utenti), LinkedIn (un social network di natura professionale) con il 7,7% (300mila) e altri social network quali Flickr, Anobii e Badoo, che insieme totalizzano il 13,3% (625mila persone).
Nel nostro Paese, poi, nel 2007 erano presenti più di 3 milioni di utenti internet in possesso di un blog, mentre gli iscritti ai social network erano circa 4,7 milioni.
Le aziende italiane a che punto sono nell’uso dei social network? Da una ricerca dell’Osservatorio Enterprise 2.0, su un campione di 70 imprese italiane (intervistate tra il 2007 e il 2008) emerge che il 34% di esse è favorevole all’implementazione di strumenti web 2.0 al proprio interno, mentre il 14% ha già intrapreso un percorso di introduzione di queste tecnologie in azienda.
Le aziende considerate hanno intrapreso le seguenti iniziative: appartenenza aperta (13%), ossia l’apertura dei confini organizzativi al fine di favorire il coinvolgimento degli attori esterni; social network (21%), con la creazione di reti di relazioni; conoscenza in rete (30%), è relativa a processi e sistemi funzionali alla gestione della conoscenza sia di tipo esplicito che di natura tacita; collaborazione allargata (30%), contempla azioni e strumenti finalizzati a favorire la collaborazione e la cooperazione tra attori, superando la formalità degli schemi organizzativi precostituiti; riconfigurabilità adattiva (20%), riguarda la possibilità di favorire la flessibilità e la riconfigurazione di processi organizzativi; global mobility (25%), concerne l’accesso adattivo a strumenti e informazioni del virtual workspace in condizioni di mobilità.
INFORMAZIONE: se internet spopola grazie alla possibilità di interagire con vecchi e nuovi amici, la televisione rimane il mezzo preferito per informarsi. Ben il 43,4% degli italiani utilizza prevalentemente la tv per tenersi informato.
Più bassa è, invece, la percentuale di di quanti vengono a conoscenza dei principali avvenimenti che accadono in Italia attraverso i quotidiani cartacei (26,7%) o quelli online (19,1%).
Poco significativa è, infine, la tendenza a tenersi aggiornati tramite la radio (7,9%) o la free press (2,4%). Ad aggiornarsi periodicamente tramite quotidiani cartacei (33,1%) o news radiofoniche (10,8%), sono soprattutto i 45-64enni, mentre gli ultra 65enni si affidano, in prevalenza, al mezzo classico per eccellenza: la televisione (57,2%).
Leggere i quotidiani online è, invece, un’abitudine diffusa principalmente tra i 24-34enni (30,1%) e dai 18-24enni (29,5%), che, perennemente “connessi”, prediligono l’informazione elettronica, ormai sempre più aggiornata, veloce e alla portata di tutti. Sono sempre i più giovani appartenenti a queste due fasce di età a fruire maggiormente della free press (rispettivamente 3,3% e 3,4%). Più propensi a tenersi informati leggendo i quotidiani tradizionali (27,6%) o quelli gratuiti (3,2%) sono i diplomati.
Il telegiornale è seguito soprattutto tra quanti hanno un basso livello di istruzione, prediligendo, probabilmente, il piccolo schermo per la sua capacità di veicolare informazioni con un linguaggio semplice ed accessibile (72,4%).
Sfruttano maggiormente la Rete coloro i quali sono in possesso di una laurea/master (25,9%).
La televisione? Superficiale e diseducativa. Gli italiani non sembrano essere soddisfatti dell’offerta televisiva, ritenendola, nella maggioranza dei casi, superficiale (49,5%), diseducativa (22,5%) e volgare (9,3%). Pochissimi infatti giudicano la programmazione televisiva pubblica in linea con i propri interessi (7,1%), utile ad accrescere le proprie conoscenze (3,9%) o divertente (3,8%). I giudizi negativi sono più marcati nell’opinione dei giovani che ritengono nel 24% dei casi, per i 18-24enni, i contenuti della Tv diseducativi e nel 53,7% dei casi, per i 25-34enni, superficiali. Tra i pochi che mostrano di avere un giudizio positivo su questo mezzo di comunicazione di massa, spiccano i 45-64enni, che nel 3,9% dei casi considerano la programmazione divertente, e gli ultra 65enni, per i quali, invece, essa risulta interessante e formativa (rispettivamente 9,4% e 7,8%). Quest’ultimi, tuttavia, sono allo stesso tempo più di tutti convinti che l’offerta televisiva sia volgare (15%).
A credere maggiormente che quanto trasmesso in tv sia diseducativo e superficiale sono rispettivamente i diplomati (26,3%) e i laureati (56,7%).
Al contrario, i meno istruiti sono convinti, più di altri, che i contenuti trasmessi dal piccolo schermo siano divertenti (10,3%) e in linea con i propri interessi (15,5%), mentre quanti possiedono la licenza media li giudicano formativi e, quindi, idonei ad accrescere le loro conoscenze (7,1%). Tuttavia, è importante evidenziare che tra i meno istruiti si rintraccia la percentuale più consistente di chi considera la programmazione volgare (17,2%).
FREE PRESS Il 33,4% degli italiani ritiene che la free press sia un mezzo d’informazione che consente di apprendere le notizie con rapidità. Tuttavia, un’informazione sui principali avvenimenti nazionali priva di approfondimenti e commenti si traduce spesso in un’informazione superficiale (22,3%) e futile (15,8%), che, probabilmente, impedisce al pubblico di esprimere al meglio il proprio spirito critico.
D’altra parte, molti ritengono che la stampa gratuita sia scritta in modo semplice e immediato (13,7%) o che addirittura questa abbia sostituito l’informazione veicolata dai classici quotidiani nazionali (6,8%). Rapida fruibilità (40,2%) e superficialità delle notizie (25,6%) sono le caratteristiche che contraddistinguono maggiormente la stampa gratuita rispettivamente per gli ultra 65enni e 35-44enni.
La free press è scritta, poi, con un linguaggio semplice (16,9%) ed è piena di notizie futili (21,4%) soprattutto per i 45-64enni. Infine, tra chi sostiene che la sua diffusione sia stata così ampia da rimpiazzare, addirittura, i quotidiani tradizionali, spiccano i più giovani (12,7%).
Quanti hanno un livello di istruzione più basso sono anche i più portati a credere che la stampa gratuita soddisfi solo in parte i bisogni informativi degli italiani. Ciò dipende, secondo loro, dal fatto che si tratta di un’informazione priva di approfondimenti (37,5%) e, pertanto, superficiale (20,8%).
La futilità delle notizie è, invece, una caratteristica evidenziata prevalentemente dai diplomati e i laureati (in entrambi i casi 19,4%) e non riscontrata, invece, da coloro i quali hanno un basso livello di istruzione. Quest’ultimi appaiono, infatti, particolarmente soddisfatti dei contenuti presenti nei quotidiani gratuiti, tanto da essere i più convinti che la free press abbia sostituito i quotidiani tradizionali (20,8%
Via Quo Media