Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
(Antietico?Unetico? insomma, il contrario di etico)...
Ho in cantiere da un po' di giorni un post sull'etica nel Marketing.. ma per una serie di motivi resta nella penna e uscirà solo quando avrò il tempo di scriverlo per bene. Diciamo tra qualche giorno, spero.
Nel frattempo raccolgo malvolentieri un esempio di marketing al limite della moralità, mettendo alla berlina un'azienda giapponese che produce... alcoolici per i bambini.
In realtà si tratta di prodotti senza nemmeno una goccia d'alcool, e quindi legali. Ma la birra per bambini, sia nel pack che nell'apparenza del prodotto, sembra proprio una birra vera.
Il prodotto ha ottenuto tanto sucesso che l'azienda (Sangaria) ha deciso lanciare sul mercato dei cloni di vino, spumante e cocktail per bambini, come si può intuire dal sito aziendale (se sapete il nipponico).
A me vengono in mente le sigarette di cioccolato di quando eravamo bambini.
Tutto da dimostrare, certo, che a bere la birra finta da bimbo, il soggetto si ritrovi a 30 anni ad essere l'Homer Simpson di Tokyo... però...
Il sogno del Wi-fi gratis per tutti rischia di rimanere tale. Se ne stanno accorgendo negli Stati Uniti dove San Francisco, Chicago e St. Louis hanno annunciato improvvisi stop ai loro programmi di connessione nei centri urbani.
Colpa di business plan arditi, corrosi da un entusiasmo verso le magnifiche sorti progressive del Wi-fi che non ha retto alla prova dei fatti. L’euforia che regna sempre attorno a qualsiasi progetto Internet ha colpito ancora. Come racconta Wired, il primo errore è consistito nell’eccessiva fiducia risposta nella pubblicità online che avrebbe dovuto dare le risorse per sostenere questi network gratuiti o quasi. Il secondo, invece, è stato credere che i residenti avrebbero utilizzato in massa questi servizi. Sbagliato.
Agli scarsi investimenti pubblicitari si sono aggiunti anche contratti un po’ troppo generosi verso le municipalità. Società come MetroFi ed Earthlink hanno pagato di tasca propria l’intera realizzazione del network comprese le spese per la manutenzione e l’upgrade. In più, spesso i provider hanno anche pagato i comuni per l’utilizzo dei pali della luce dove sono stati piazzati gli hot spot. Non a caso Earthlink ci ha ripensato ottenendo dal contratto stipulato a San Francisco molte di queste condizioni.
Qualche problema esiste anche dal punto di vista dell’infrastruttura. Secondo l’inchiesta di un giornalista gli hot spot piazzati non bastavano a garantire un buon accesso tanto che, a seconda del network, si parla di percentuali che vanno dal 20 al 100% in più di hot spot necessari per garantire una eccellente copertura.
La ciliegina sulla torta è arrivata però dalla scarsa frequentazione di questi network. Il free in questo caso non ha pagato visto che, nonostante le stime parlassero di un 10-25% della popolazione disposta a utilizzare i network, alla fine si arrivati a malapena al 2%. Dati che fanno pensare a molti che è inutile puntare sul mercato consumer.
Ma non bisogna drammatizzare “E’ solo la fine del primo inizio” commenta il manager di provider wireless. Basta ripartire nel modo corretto puntanto sulle reti mesh, utilizzando il Wimax oppure concentrando il Wi-fi in zone ristrette dove è presente un gran numero di turisti o business people. In più, suggerisce Wired, è il caso di aggiungere anche un po’ di sana business reality. Che troppo spesso il mondo che ruota attorno a Internet ha lasciato nel cassetto.
Luigi Ferro
Da un po' di tempo sono diventato un intenso user di Internet mobile, sul cellulare. Con grande soddisfazione.
Sia per la posta, sia per il web - ottimo per riempire i 5 minuti di attesa del bus, per controllare prezzi e caratteristiche dei prodotti, fare comparative shopping quando vedo qualcosa che mi piace (tipo: vedo un prodotto da MediaMarkt, controllo online, scopro che alla Fnac costa di meno, esco da MediaMarkt e vado a comprarlo alla Fnac... bella martellatina al modello tradizionale del commercio "fisico"...)
Però, se fossi in Italia, non lo userei, sorry. Anzi, quando sarò in Italia, tra poche settimane, smetterò di usarlo - al peggio ci sono sempre gli Internet café.
Qui in Spagna l'offerta di Internet Mobile è accessibile: non c'è bisogno di cellulari particolarmente strafighi (quello che uso me l'ha dato l'operatore a 19 Euro), non si va magari velocissimo ma si usa il browser del telefono per andare in rete liberamente, non su siti / servizi preselezionati dall'operatore.
E sopratutto le tariffe sono a livelli accettabili. Anzi, sensate. Cioè, le tariffe del mie operatore.
Il mio operatore è Yoigo, cui sono passato proveniendo da Vodafone, proprio a causa delle sue tariffe Internet. Prendendo l'esempio di una ricaricabile, con Yoigo:
- occorre fare un consumo minimo di 6 Euro al mese tra voce e dati (ok, facile) - si spendono 0,0012 €/Kb... e si fa in fretta, lo so, a fare un mega... - però quando il tassametro giornaliero passa 1,20 € +IVA, si blocca e il resto della giornata si naviga gratis, cioè il massimo che spendi sono 1,2€+IVA.
Con questo sistema usando la posta spesso e la navigazione web meno spesso, avevo la soddisfazione di avere Internet mobile per 10-15 euro al mese. E posso usare il cellulare come modem e navigare dal portatile.
In pratica zero costi fissi, lo paghi solo quando lo usi e quando lo usi se dai solo una guardatina veloce alla posta spendi poco e se devi fare delle cose molto intensive non spendi una fortuna
Orange, invece, arriva ora in Spagna in promozione con una tariffa 0 Euro - classica preomozione introduttiva-, ma già con loro esiterei, perchè a regimne sono un 30 euro fissi al mese, un po' al limite della mia soglia di prezzo con un limite di 1Gb al mese di traffico, passato il quale sono 50 cent al mega.
Anche se credo che 1Gb sia tanto, avrei sempre la paura di sforare. Peggio l'altra loro offerta: 6 euro di abbonamento e due euro al giorno solo se lo usi.
Facendo un giorno si' e uno no, vengono 36 euro... e non si parla di navigare dal cellulare ma dal computer con apposito modem USB... ah, e non è chiaro se si tratti di prezzi per gli abbonamenti o anche per le ricaricabili...
Movistar: sono pazzi, 3 Euro al giorno (per la ricaricabile), se si usa la connessione, con un limite di 10 Mega/giorno a contratto 1 Euro giorno per un massimo di 10 Mb. Poi ci saranno anche altre tariffe, ma sono talmente sepolte nei meandri dei loro siti...
Ma veniamo all'Italia. Vodafone arriva ora con una sua nuova tarifa in Italia, dopo l'annuncio di Tre delle nuove tariffe - che hanno fatto rumore e suscitato un bel po' di polemiche.
Il modello è leggermente differente: 5 Euro al mese di "canone" più 25 cent per ogni accesso. In teoria, dunque, se controllo la posta un paio di volte al giorno e magari mi guardo un pochino un sito... diciamo 70 accessi al mese... sono altri 17 e rotti euro/mese, che sommati ai 5 fanno 22, cifra accettabile.
Il problema è che, dalla mia esperienza con Yoigo, il cellulare si connette e si sconnette molto frequentemente, anche durante la stessa navigazione, tipo che per navigare 15 minuti, magari con delle piccole pause, il cell. si collegava 3 o quattro volte. Se questi vengono considerati accessi, allora partono gli euro a raffica...
Dove voglio arrivare? non lo bene nemmeno io, forse è solo un senso di frustrazione. Mi sento come al solito munto dalle telefoniche continuo a sospettare che un abbassamento forte delle tariffe creerebbe grandi voumi di traffico (del resto la telefonia cellulare è esplosa così, in Italia).
Ma forse gli operatori ritengono più interessante un mercato di volumi minori e margini maggiori - forse anche per non intasare la capacità della rete...
mah, adesso che rientro mi farò una bella analisi comparativa delle tariffe telefoniche e decido se val la pena o no di avere Internet sul cellulare... 30-40 euro al mese non sono poi tanti in fondo, ma sforano la mia sensibilità psicologica.
In alternativa non mi resta che sperare che Yoigo (posseduto in parte dall'operatore svedese Telia Sonera) sbarchi in Italia o, meglio ancora, collegarmi a gratis via wifi con il mio Nokia 770 attaccandoni ai punti FON...
A breve diventerà gratuito l’accesso al sito internet del New York Times, la cui sottoscrizione era di 49,95 dollari l’anno o di 7,95 dollari al mese.
“L’apertura dei nostri contenuti e il libero accesso a nuovi documenti creerà un flusso di introiti che eccederà di gran lunga quello da sottoscrizione”, ha detto Vivian Schiller, vicepresidente del sito online del Times.
Via Pubblicità Italia
Per chi si interessa da anni di giornalismo on line e di contenuti a pagamento, la notizia che lo storico quotidiano statunitense abbia deciso di abbandonare i servizi a pagamento, è, come dire, una notiziona. Mentre il mondo dell'informazione regalava contenuti, il NYTimes chiedeva registrazioni on line e soldi. Il business della società, The New York Times Company, che pubblica il quotidiano è sempre stato quello di acquisire e vendere dati (oltre alle attività pubblicitarie, vendita etc...).
Il commento di Vivian Schiller si fonda proprio quella che è sempre l'attività più reddittizia del gruppo statunitense. Un gruppo che ha sempre dimostrato di avere un'ottima visione di come si sviluppa il mercato. Esempio di qualità giornalistica, ma anche di come si progetta un buon sito di informazione (malamente copiato dai quotidiani italiani). Ora sarà molto interessante capire il business model su cui si fonda questa decisione. Possiamo immaginare uno scenario negativo: il sistema di pagamento frenava la registrazione gratuite degli utenti, che alla fine, pur non pagando la registrazione, non avevano un'ampia scelta di servizi che invece erano a pagamento. Nello stesso tempo i servizi non venivano acquistati perché non si capiva perché pagare un servizio come Time Select. Uno scenario positivo potrebbe essere?... difficile dirlo, perchè cambiare quando un sistema funziona? Una ipotesi potrebbe essere che il sistema funzionava, ma lo scenario competitivo stava cambiando e quindi meglio anticipare i tempi e i competitor.
Ora cosa succederà? L'aspetto più divertente è come si comporteranno coloro che copiano il New Nork Times e coloro che sono competitor del quotidiano newyorkese: vedi Salon.com rigorasamente a pagamento, e per chi paga rigorosamente senza pubblicità. Conviene tenere d'occhio i cambiamenti annunciati perché sono ancipatori di nuove strategie, di nuovi business model e di pensieri nuovi su internet... aspettando un web 3.0 che veramente cambi internet.
Non c'è dubbio che "l'Oriente" da anni sia di moda nel mondo occidentale.
Per molti consumatori si tratta di un fenomeno puramente superficiale: oggi il Power Yoga, domani il Pilates, dopodomani i balli tribali dell'Alto Volta; oggi lo shampino con l'aromaterapia, domani la cremina con gli estratti degli sciamani maya.
Per altri (molti meno) la scoperta di saggezze antichissime e di valori profondi...
Sia come sia, doive c'è una moda c'è un potenziale di mercato - quindi l'Oreal ha pensato bene di aggiungere l'ayurveda al suo portafoglio prodotti.
Al momento pare siano solo a livello di decisione strategica e di prospezione del mercato indiano per individuare una azienda cosmetica di piccole /medie dimensioni da acquisire, per:
a) aumentare la propria penetrazione sul mercato indiano con prodotti "locali" b) portarsi a casa il know how per fare un botto sui mercati occidentali
Il trend è stato comunque già marcato da Unilever nel 2002 con l'acquisizione di marche operanti sul mercato indiano e il lancio della marca Ayush che non solo produce prodotti basati sull'antica sapienza medica indiana ma che gsetisce anche un centro terapico, il Lever Ayush Therapy Centre.
Temi di riflessione: a) le opportunità di diversificazione e posizionamento sui mercati consumer - affamati di novità - sfruttando sapienze da noi percepite come "esoteriche", più morbide, comunque meno sfruttate a livello di marketing industriale... spesso usate come pretesto per dire qualcosa di nuovo
b) la nostra capacità di macinare qualsiasi cosa, filosofia, credenza, religione, ideali per incorporarla in un prodottino, per dare nobiltà a formulazioni chimiche a volte tanto banali che qualsiasi studente di chimica e tecnologia farmaceutica sa assemblare in laboratorio
c) la ricerca, forse, di un approccio più soft al consumo e ai prodotti? Un'ecologia dell'ambiente del corpo e della mente? Area finora patrimonio di piccole marche molto "etiche", i prodotti più in armonia con... (inserire ciò in cui credete voi) potranno diventare appannaggio anche delle multinazionali?
Fra le letture estive in arretrato che ho recuperato, interessante questo articolo del NY Times, su ricette e social networking.
In effetti ho sempre scommesso sul potenziale di interesse dei siti di ricette online, visitate in Maggio da oltre 50 miliioni di Internauti Americani, circa un 30% della popolazione navigante ( e che visito spesso anch'io - tra i miei preferiti il sito della BBC e CHOW).
D'altro canto il fenomeno di networking sociale in corso ha a questo punto ormai ridefinito alcuni parametri strutturali della nostra società e della nostra socializzazione; ed è in grado di aggregare numeri importanti di persone - spesso contraddistinte da passioni, interessi che gradiscono consividere, spesso sfoggiando le proprie abilità.
Inevitabile dunque una convergenza tra i due ambiti, con parecchi dei principali siti di ricette che si stanno affrettando ad introdurre elementi di social networking al proprio interno - si parla di Epicurious o di myrecipes.com (Time Warner), dell'inossidabile Martha...
Il social netwoirking diventerà quindi più verticale? Focalizzato per nicchie ed ambiti di interessi? O più probabilmente assisteremo all'introduzione di elementi socializzanti all'interno di qualsiasi offerta di contenuto, servizio, prodotto?
Il bello di Internet, la giostra continua a girare e a ogni giro ne tira fuori una nuova.
A presto a tutti, questa settimana torno in Spagna per ultime incombenze, cercherò di mantenere vivo il Blog con un battito un po' più accelerato... e mi comprerò, come souvenir, un libro di ricette di tapas (che, ovviamente non farò mai, sono più un tipo da stufati o da cibo orientale...)
Ormai si parla con insistenza del Web 2.0, nel quale la partecipazione degli utenti ha reso difficile distinguere fra chi è produttore di contenuto e chi spettatore, tanto che il Time ha dedicato ai blogger e a tutti coloro che scrivono e vivono in rete la sua copertina con il titolo di uomo dell’anno.
Per chi come me ha iniziato a lavorare fin dal 2002 su community e siti dove erano gli utenti a produrre gran parte del contenuto tutto ciò è fonte di una certa soddisfazione, a dispetto di chi allora non credeva in queste cose. Proprio però perché frequento da tempo questi ambiti non posso fare ameno di notare come tutto questo sia una grande fonte di complessità e ponga notevoli problemi agli operatori della rete e della comunicazione in genere.
Come si può infatti porre dei confini a questo mondo frenetico e magmatico? Chi a questo punto ha il dovere e l’onere del controllo? Dove finisce il professionista ed inizia il semplice appassionato?
E ancora, non dimentichiamoci che esiste un motivo per cui i motori di ricerca sono da sempre la seconda applicazione in rete dopo la posta elettronica: l’overload di informazioni.
Per questo il fatto che tutti si possano scambiare a grande velocità informazioni attraverso sistemi veloci e quasi automatici, come ad esempio i feed rss, e che i video dei telegiornali a volte siano anticipati e propagati da You Tube crea nuove sfide, moltiplicando e riflettendo all’infinito l’informazione, intesa in senso ampio.
Nello specifico questa velocità richiede nuovi professionisti che conoscano questi meccanismi e sappiano selezionare in questo mare in tempesta l’informazione, il dato, la notizia che serve di volta in volta a quella esigenza cui sono chiamati a rispondere.
Ad una velocità superiore ai concorrenti.
Un po’ giornalisti e un po’ informatici con un pizzico di spirito manageriale i nuovi protagonisti della rete, del futuro web 3.0 o come altro si chiamerà, saranno coloro che riusciranno a governare e guidare le migliaia di fonti senza però reprimere la forza creativa di chi le produce.
In parte ciò è una rivincita dell’uomo e del suo discernimento, non c’è infatti motore di ricerca semantico che possieda la ricchezza del pensiero umano.
Per questo il nuovo professionista del web dovrà conoscere al meglio gli strumenti della ricerca, indispensabili per fare fronte alle quantità, ma poi dovrà sapere distinguere con la propria testa e capire cosa ha davanti.
Non è una sfida semplice ma proprio per questo è quanto mai accattivante...
Gianluigi Zarantonello
Il videogame italiano fanalino di coda in Europa. Il mercato cresce del 2,3% contro il 25% dell'Olanda e il 12 di Spagfna e Francia
Sony taglia il prezzo della Ps3 e Mediaworld propone una settimana di sottocosto per le console. Con l’avvicinarsi del Natale entra in fermento il settore dei videogiochi che secondo i dati dell’Aesvi cresce ma senza entusiasmare. L’Associazione degli editori di videogame, nel suo terzo rapporto sullo stato dell’industria videoludica in Italia, stima per il 2006 un valore di mercato di 741.908 euro con una crescita del 2,3% rispetto al 2005.
In realtà il valore finale è sicuramente più alto visto che il panel di Gfk copre il 63% del mercato del software per console, il 65% dell’hardware sempre per le console e il 70 del mercato dei giochi per pc. Il saldo positivo è stato realizzato soprattutto con le vendite di software che rappresentano il 64% del mercato, pari a 474.926.533 euro, mentre le console hardware valgono il 36%, pari a 266.981.877 euro.
Secondo l’Aesvi le principali leve dello sviluppo sono state, da un lato l’innovazione tecnologica e la tendenza a una sempre maggiore creatività e multimedialità del prodotto, dall’altro, l’evoluzione e la diversificazione delle modalità distributive, con un progressivo aumento di importanza dei canali della distribuzione moderna.
Sta di fatto che l’Italia cresce molto poco rispetto agli altri Paesi europei. L’Olanda cresce infatti del 25, 9%, la Germania del 22,5%, la Svezia del 21%, la Spagna del 12,3%, e la Francia del 12. Non pare preoccupato Andrea Persegati, presidente Aesvi che sostiene come “La crescita moderata registrata lo scorso anno (+2,3%) vada contestualizzata in un arco temporale di medio termine che ha visto il mercato crescere con un tasso particolarmente significativo nel 2005 (+16,6%) e che lo vede in una fase di sviluppo ancora più esponenziale nei primi sei mesi del 2007 (+47,9%)”.
Persegati non lo dice ma in questa crescita impetuosa del 2007 un ruolo importante lo gioca sicuramente la Wii di Nintendo (del quale il presidente Aesvi è country manager) che ha contribuito a sostenere le vendite dell’hardware che cresce del 17,4% in valore e dell’8,2% in volume nel 2006.
Lo scorso anno in Italia sono state vendute 1.602.994 console, per un giro d’affari complessivo di 266.981.877 euro. In linea con quanto succede in altri mercati le console portatili hanno contribuito in modo significativo con 767.560 unità vendute (+ 21,6%) e un giro d’affari di 120.870.295 euro (+31,1%). In flessione a volume il segmento Home Console – 835.433 unità vendute (-1,7%) con un giro d’affari di 146.111.582 euro in crescita (+8%).
Il succo di questi dati è che le console iniziano a essere una presenza abituale nelle famiglie italiane. Le si trovano in una famiglia su tre dopo che nell’ultimo anno è stata realizzata una crescita di sei punti percentuali sulla base installata. Non siamo ancora ai livelli olandesi o svedesi (una console ogni due famiglie) ma ci stiamo facendo sotto.
Nel segmento dei gaming device la crescita a valore è stata del 16,5% grazie soprattutto a batterie e memory card. Più difficile è invece la situazione per joystick, telecomandi, volanti che in volume crescono dell’1,2% e in valore diminuiscono dell’1,1%.
Per quanto riguarda il software, nel 2006 in Italia sono stati venduti 15.905.706 videogiochi, per un giro d’affari complessivo pari a 474.926.533 Euro. Questi dati equivalgono a una crescita del 6,2% in volume e una flessione del 4,6% in valore, dovuta all’erosione del prezzo medio dei videogiochi per Ps2 e pc. Il mercato è trainato dalle vendite dei console games (videogiochi per console) (77,1% del mercato in volume e 85,1% in valore), che crescono del +9,9% in volume e in particolar modo dal segmento Portable, cresciuto del +38,3% in valore e del +50,8 in volume. In flessione le vendite dei pc games che registrano un -4,6% in volume e un –20,6% in valore.
Luigi Ferro
Per rivitalizzare la pubblicità, e specialmente quella online, le concessionarie hanno puntato sul fronte della multimedialità, della “ricchezza” del media. Spesso facendo poi passare il tutto sotto la forma di un normale 30” ottimizzato (liofilizzato) per l’uso online.
Adesso che la pubblicità online ha preso un passo molto robusto e che invece fa fatica quella tradizionale, ecco che c’è chi cerca di inventarsi una maggiore ricchezza di media anche sui quotidiani.
E’ il caso del Los Angeles Times che ha a messo disposizione degli inserzionisti la pubblicità olfattiva – nella sua sezione trimestrale dedicata agli spettacoli cinematografici.
A quanto pare stiamo assistendo ad un ritorno della pubblicità che ci prende per il naso… e non solo: con grande scandalo dei puristi ci viene proposto il remake di Polyester, il mitico film in odorama del grande regista John Waters …. (su ebay ancora si trovano le card scratch and sniff che davano la multimedialita' al film)
Non sono mancate le polemiche sul remake: il ruolo che fu del(la) mitica drag queen Divine è stato ora affidato a John Travolta… noto esponente di Scientology. Dato però che come attore è bravino (a differenza dell’altro superscientologo Tom Cruise) uno può anche tapparsi il naso e andarlo a vedere…
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