Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Internet è diventato una componente essenziale della comunicazione tra marketer, advertiser e consumatori. Più nel dettaglio, i siti web sono oggi il primo porto in cui i consumatori cercano informazioni ed eventualmente concludono acquisti di beni e servizi on e anche offline.
Di conseguenza le aziende stanno incrementando la loro presenza in internet e migliorando le operazioni pubblicitarie attraverso cui sia i clienti attuali sia quelli potenziali ricevono annunci promozionali con contenuti rilevanti e significativi. È questo il tema di una indagine svolta da Eurostat sull’utilizzo dell’internet paid advertising sull’area Eu 28, che vede l’Italia ancora una volta indietro nei confronti degli altri big europei.
I risultati principali
• Il 77% delle aziende Eu 28 ha un sito internet e il 25% ha utilizzato servizi pubblicitari nel 2016.
• L’attività di targeting prediletta è stata quella di contextual advertising, che utilizza le informazioni relative alle pagine web visualizzati dagli utenti. Alla base di questo successo c’è la semplicità di implementazione a livello tecnologico.
• Più della metà (53%) dei servizi di accoglienza utilizza la pubblicità online; l’83% di questi si serve del contextual advertising.
• A dispetto di quanto si potrebbe credere, la pubblicità in rete non mira solo a generare vendite sui canali online. Anche l’offline ha un ruolo cruciale nell’attività di pianificazione. Tra il 25% di aziende che fa pubblicità online solo il 7% conclude transazioni in questo ambiente.
I dati Eurostat per l’Italia e alcuni confronti
Il 18% delle imprese in Italia fa pubblicità in rete, meno di una su cinque. La Germania è al 28%, la Spagna al 23%. Valori lontanissimi dalla media del 25% che ci posizionano davanti a Portogallo e Romania, in compagnia della Francia, ma dietro a Bulgaria e Ungheria (19%).
L’utilizzo del contextual advertising è al 76%, poco al di sotto della media del 78%. Curiosamente la Grecia si attesta all’83% mentre al top c’è la Repubblica Ceca (89%). Per quanto riguarda la presenza attraverso siti web l’Italia è al 71% sotto la media del 77%; dati al ribasso anche in ambito social in cui è attivo il 39% delle imprese tricolori a fronte di un 45% nell’Eu 28. I tassi di adozione di behavioural (24%), geo (30%) e altri metodi di targeting (36%) completano il sofferente quadro italiano.
Contextual, behavioural e geo targeting
Il predominio del contextual advertising e l’uso di tecnologie embeddate su siti e app attraverso cui è possibile selezionare gli annunci basati sul contenuto delle pagine visitate dai navigatori web è scritto a chiare lettere. Il contextual advertising è la modalità utilizzata dal 78% delle imprese con una ripartizione simile tra big e PMI. La tecnica del contextual advertising può sfruttare anche specifiche keyword delle ultime ricerche di un device, generando una correlazione positiva tra la pubblicità e gli interessi delle persone.
Anche il behavioural targeting è un metodo utilizzato da diverse inserzionisti. Basato sulle attività di browsing passate degli utenti collezionate tramite cookies, il sistema per raccogliere le tracce digitali è un’importante risorsa per raccogliere informazioni su interessi, preferenze e attività di shopping e quindi intraprendere la profilazione dell’audience per target. Il behavioural targeting, nel 2016, è stato adottato dal 27% delle attività.
Quindi lo studio segnala anche i servizi di geolocalizzazione, che raccolgono informazioni come l’indirizzo IP e il network wi-fi. Informazioni sull’individuo tra cui la nazione in cui vive, la città e la regione, sono preziose per la successiva fase di targeting. A rivolgersi al geo-targeting nelle attività di pianificazione è il 30% delle società Eu 28, con una leggera prevalenza delle grandi aziende.
La categoria che non copre le soluzioni sopra menzionate raccoglie altre pratiche di targettizzazione e l’ha usata il 35% delle aziende. In questo caso le informazioni sono ricavate da annunci statici su siti tematici o generalisti e d’informazione.
L’uso di funzionalità avanzate nei siti e i social media hanno consentito alle aziende non solo di abbracciare una nuova generazione di piattaforme di comunicazione ma anche di estendere la reach delle operazioni pubblicitarie. Oggi 1 impresa su 4 fa pubblicità online e poco meno di 4 su 5 hanno un sito web. L’avere un sito web, poi, è un requisito “quasi “ fondamentale per fare advertising. Il 45% delle società è, infine, presente sui social media. L’Italia soffre, l’Europa prova a crescere.
Via DailyOnline
Facebook Dynamic Ads si aggiorna con un’inedita funzionalità che consente a retailer ed ecommerce di profilare potenziali consumatori non solo in base ai prodotti cercati precedentemente online, ma a partire da interessi e propensione all’acquisto ricavati anche dalla navigazione su altri siti.
Dynamic Ads è uno strumento di retargeting per distribuire annunci sul news feed di consumatori che hanno effettuato una determinata ricerca di prodotto su un qualsiasi sito o app.
L’update consiste nell’inserimento di informazioni demografiche, sui click e i like, ai criteri già disponibili, con l’obiettivo di trovare una nuova fascia di pubblico dalle caratteristiche simili. Seppur non sarà possibile effettuare pianificazioni su target relazionati a siti e rivenditori concorrenti, il targeting di Dynamic Ads beneficerà di un più ampio ventaglio di informazioni relative al percorso di navigazione del consumatore.
In concreto un brand di scarpe potrà usare Dynamic Ads per pubblicizzare il suo prodotto a un utente che ha visitato il sito di un concorrente. O che magari segue su Facebook una pagina dedicata a un certo tipo di sneaker. Non ci sarà comunque nessuna opzione per targettizzare direttamente l’audience di siti concorrenti.
Con questa novità potrebbe essere eliminato il bombardamento tipico del retargeting e i primi test sembrerebbero confermarne l’efficacia. Per Marketing Land l’aggiornamento permetterà di intercettare il consumatore nel momento clou del funnel, vale a dire prima di finalizzare una qualsiasi transazione.
Secondo il director of product marketing Maz Sharafi, infatti, la novità è una risposta alle esigenze dei marketer, impegnati nella ricerca di un pubblico realmente intenzionato a concludere acquisti e non pienamente soddisfatti degli attuali metodi per scovarlo come il remarketing e il tracciamento delle visite in app.
L’annuncio avviene in concomitanza ad alcune indiscrezioni che danno pronti Facebook e Instagram ad aggiungere il formato mid roll. Se da una parte queste soluzioni premiano gli investimenti degli editori e dei creators, dall’altra evidenziano la necessità di Facebook di allargare la propria offerta commerciale sia in modo trasversale alle sue applicazioni sia con inediti strumenti tecnologici in grado di creare nuovi spazi da monetizzare.
Sharafi, tuttavia, sostiene che l’innovazione di prodotto è un tema separato e indipendente dall’affollamento pubblicitario del news feed. “Siamo più o meno sempre stati concentrati su una strategia costruita sul news feed e non solo nel direct response”, anche per rispondere ai feedback ricevuti” attraverso aggiornamenti e innovazioni”.
Oggi Facebook sta testando questo tipo di targeting solo nel Nord America con un gruppo selezionato di inserzionisti dell’ecommerce e del retail, tra cui Wayfair. Nei prossimi mesi la soluzione verrà estesa a nuovi mercati e clienti.
Via DailyOnline
L’intelligenza artificiale è la capacità delle macchine o dei computer di emulare il pensiero umano o il processo decisionale. Un’area chiave all’interno dell’AI è il machine learning, derivante dai processi di automatizzazione del planning digitale, già anticipato da Zenith nel mese di novembre. Utilizzando algoritmi su misura, una task force di data scientist e specialisti strategici di Zenith ha sviluppato un sofisticato sistema di digital planning, sfruttando la tecnologia machine learning dell’agenzia e consentendo al network di creare un processo di automazione: raccolta dati, attribuzione e pianificazione dei cambiamenti attraverso molteplici touchpoints – il tutto realizzato automaticamente. I 10 trend presentati sono utili per valutare come il machine learning e altre aree dell’AI miglioreranno l’esperienza del consumatore durante il processo d’acquisto e creeranno nuove opportunità di marketing per i brand.
Trend 1 Predicting our needs: l’AI accrescerà l’importanza del ruolo della search nel processo di acquisto dei consumatori La Search incrementa le capacità predittive; riesce infatti a fornire informazioni sempre più precise riguardo al consumer journey dei consumatori, guidando così sia le riflessioni che le conversazioni. Durante il 2017, i motori di ricerca inizieranno ad includere nei propri dati tutte le informazioni sui comportamenti del consumatore, informazioni che la tecnologia dell’intelligenza artificiale utilizzerà per aumentare la capacità predittiva del mezzo. Tutto ciò darà chiare opportunità ai brand di anticipare al meglio le esigenze dei consumatori e di implementare strategie di cross-selling.
Trend 2 Speeds is the New Black: Turbo-charging la consegna dei Trend Content Negli ultimi anni, la quantità di dati a disposizione del mercato è aumentata notevolmente. I brand hanno quindi potuto individuare rapidamente le tendenze e adeguare le proprie strategie di marketing e di comunicazione. Con la crescita costante di dati a disposizione, la pratica del machine learning contribuirà significativamente a semplificare il processo di analisi, permettendo di elaborare gli stessi dati provenienti da fonti diverse per identificare rapidamente i trend e gli schemi sottostanti. Ciò aiuterà i brand ad analizzare le strategia dei brand concorrenti e a cavalcare i nuovi trend. Da un lato gli specialisti del content nelle agenzie saranno in grado di creare gli asset più idonei per raggiungere il consumatore e soprenderlo, dall’altro i brand potranno sviluppare prodotti in grado di soddisfare le ultime esigenze delle diverse categorie di mercato.
Trend 3 Always-on Insights: la raccolta dei dati non-stop attraverso il Passive User Interface Il Passive User Interface raccoglie in modo continuativo i dati comportamentali dai dispositivi digitali dei consumatori e attraverso l’approccio del machine learning sarà in grado di fornire ai brand insight rilevanti che potranno essere utilizzati per personalizzare le esperienze di consumo. Alcune aziende stanno già utilizzando i dati forniti dai PUI; la piattaforma di Spotify, ad esempio, utilizza i dati del tracker per personalizzare le playlist degli utenti. Un uso più diffuso dei dati PUI consentirà ai brand di progettare contenuti e servizi personalizzati e di impostare strategie di prezzo appropriate. I dati del PUI potranno anche essere condivisi dai diversi brand e nelle diverse categorie per creare ulteriori punti di contatto/esperienza per i consumatori.
Trend 4 Cross-Device Storytelling: i progressi del Programmatic nelle conversazioni automatiche La tecnologia del machine learning mette direttamente in contatto i brand con i consumatori e non solo con i loro device. I brand raccolgono molti dati di prima parte, e l’AI permette di comprendere come coinvolgere i consumatori con diversi messaggi in contesti e tempi differenti. I brand potranno quindi automatizzare le loro conversazioni con il target di riferimento utilizzando il cross-device programmatic advertising creando esperienze senza soluzione di continuità con l’obiettivo di accelerare sia l’acquisto che il ri-acquisto.
Trend 5 Shoppable Content: acquistare direttamente dai contenuti per migliorare l’esperienza del consumatore Il 2017 sarà l’anno del “Shoppable Content”: la possibilità di acquistare direttamente da contenuti editoriali e di brand. In pratica “gli algoritmi evolutivi”, tecniche dell’AI ispirate al principio della selezione naturale, potranno scegliere e ottimizzare le informazioni in risposta alla navigazione del consumatore, creando contenuti personalizzati in diretta, con la possibilità di insererirli in carrelli della spesa virtuali. Questi ultimi ricreeranno quindi la funzionalità dei siti e-commerce senza che i consumatori debbano attivare nuovi account o fornire i dati della carta di credito per ogni nuovo sito che visiteranno. Lo “shoppable content” permetterà sia ai brand che agli editori di fidelizzare i consumatori sui loro siti, evitando il passaggio su altri siti per l’acquisto. I brand dovranno pensare e sviluppare i contenuti come una combinazione di testo, immagini e attività interattive in grado di creare un’esperienza di shopping ingaggiante.
Trend 6 Smart VR: Virtual Reality la nuova opportunità per i brand attraverso gli Smartphone La realtà virtuale si sta spostando dal solitario mondo dei giocatori anche a quello più mainstream dei consumatori che infatti la sperimentano attraverso i loro smartphone, considerati i nuovi driver di questo fenomeno. Facebook e Twitter hanno già un sistema di live-streaming al quale è possibile accedere utilizzando le cuffie collegate ai propri smartphone. L’utilizzo della VR mainstream presenterà per i brand molte opportunità di marketing: ad esempio, i rivenditori avranno la possibilità di modificare le modalità di acquisto presentando ai consumatori i prodotti senza la visita ai punti vendita.
Trend 7 The rise of the chatbots: la comunicazione automatica e diretta tra brand e consumatori Spinte dal machine learning, le chatbots permettono l’interazione automatica tra consumatori e brand tramite un’interfaccia di messaggistica. Le chatbots possono aiutare i consumatori con alcune funzioni tra le quali i pagamenti e la ricezione delle notifiche di consegna/spedizione. Le chatbots aiutano i brand a ridurre i costi del servizio di assistenza per i clienti e ad aprire un dialogo con i consumatori. Un’altra grande opportunità per i brand sarà quella di creare un contatto diretto e personalizzato con i consumatori sulla base degli insights emersi nelle chat.
Trend 8 Emotion Recognition Technology: aiuta i brand a recepire le emozioni dei consumatori La diffusione degli smartphone e la condivisione continua dei propri stati d’animo fa sì che il consumatore abbia sempre con sé un rilevatore di emozioni. Questo permetterà ai brand di collegare gli stati d’animo e i comportamenti dei consumatori a comunicazioni mirate, pertinenti e al momento giusto. Ad esempio, i brand legati ad uno sport o ad una squadra potranno utilizzare questa tecnologia per offrire esperienze personalizzate e ingaggianti nel corso di un evento sportivo.
Trend 9 Dynamic Pricing: gli algoritmi consentono l’automatizzazione dell’adeguamento del prezzo in base alla domanda Grazie all’elaborazione e all’analisi dei dati di vendita, l’algoritmo Dynamic Pricing consentirà alle brand di adeguare il prezzo dei prodotti online considerando il potere di acquisto del consumatore. I prezzi presenti online sui siti e sulle app potranno quindi modificarsi costantemente. Un esempio è quello di Uber che ha introdotto l’algoritmo di Surge Pricing per adeguare automaticamente i prezzi per eccesso negli orari di picco della domanda.
Trend 10 Automated assistance: il servizio robot arriva nei negozi Nel mondo dell’industria i robot sono una realtà ormai da molti anni. Oggi, la tecnologia ha sviluppato una combinazione di sistemi di automazione fisici e digitali per creare robot che lavorino fianco a fianco con gli esseri umani. Le opportunità più evidenti e immediate saranno nella vendita al dettaglio. I robot forniranno informazioni sui prezzi, sulle disponibilità di magazzino e, utilizzando particolari algoritmi, saranno in grado di offrire suggerimenti sui prodotti e sulle promozioni in corso. Oltre alla vendita al dettaglio le opportunità di sviluppo riguarderanno anche l’ospitalità alberghiera, le cure sanitarie e l’aiuto domestico.
Via Spot and Web
A novembre sono 30,1 milioni gli utenti italiani online, pari al 54,7% della popolazione dai 2 anni in su, online complessivamente per 54 ore e 51 minuti per persona. A rivelarlo sono i dati Audiweb rilasciati nella giornata di oggi.
Nel giorno medio online 23,1 milioni di italiani
Nel giorno medio sono stati online 23,1 milioni di italiani, collegati tramite PC e mobile per 2 ore e 23 minuti per persona. Hanno navigato da mobile 20,1 milioni di italiani tra i 18 e i 74 anni, in media per 2 ore e 5 minuti per persona. A novembre è stato online nel giorno medio circa il 60% della popolazione tra i 18 e i 54 anni e il 31,5% della fascia più matura tra i 54 e i 74 anni. Dai dati sulla provenienza geografica degli utenti online il 45% degli italiani dell’area Nord-Ovest (6 milioni), il 42,6% dall’area Nord Est (3,7 milioni), il 41,2% dal Centro (3,7 milioni) e il 37,9% dall’area Sud e Isole (8 milioni).
Il mobile leader nella distribuzione del tempo di fruizione
Per quanto riguarda la distribuzione del tempo trascorso online, il 77,2% è generato dalla navigazione da mobile, con quote maggiori raggiunte in generale dalle donne, con l’83,5% del tempo complessivo trascorso online da mobile, e dai giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno dedicato l’84,1% del tempo online alla navigazione mobile. Più in dettaglio, dai dati sul tempo speso per persona, risulta che nel giorno medio hanno trascorso più tempo online i 25-34enni, con 2 ore e 41 minuti in media al giorno, seguiti dalla fascia più matura dei 35-54enni (quasi 2 ore e mezza). Con 2 ore e 17 minuti online nel giorno medio, i 18-24enni continuano a preferire la fruizione di internet da mobile.
Categorie, non c’è storia per Audiweb: vince sempre la search
Per quanto riguarda, infine, le principali categorie di siti visitati nel mesi di novembre, il 93% degli utenti online ha navigato tra i siti e/o applicazioni della categoria “Search” (28 milioni di utenti), quasi il 90% tra i portali generalisti (“General Interest Portals & Communities”, con 27 milioni di utenti) e oltre l’80% degli utenti online ha visitato almeno un sito e/o applicazione tra le categorie “Internet tools / web services”, dedicati ai servizi e tool online (86%), “Member Communities” (85,6%) e “Video/Movies” (83%). Raggiungono valori interessanti anche le categorie “Mass Merchandising” con circa il 75% degli utenti online (22,6 milioni) e “Current Event & Global News” con il 65,4% degli utenti (19,7 milioni).
Via DailyOnline
Dai nuovi dati dell’Audiweb Database*, il nastro di pianificazione con i dati dell’audience totale di internet (total digital audience), risulta che nel mese di novembre 2016 la total digital audience ha raggiunto 30,1 milioni di utenti, il 54,7% degli italiani dai due anni in su, online complessivamente per 54 ore e 51 minuti per persona.
Nel giorno medio erano online 23,1 milioni di italiani, collegati tramite i device rilevati – PC e mobile (smartphone e tablet al netto delle sovrapposizioni) per 2 ore e 23 minuti per persona. Hanno navigato da mobile 20,1 milioni di italiani tra i 18 e i 74 anni, in media per 2 ore e 5 minuti per persona.
A novembre era online nel giorno medio, sia da pc che da mobile (smartphone e tablet), circa il 60% della popolazione tra i 18 e i 54 anni e il 31,5% della fascia più matura tra i 54 e i 74 anni.
Dai dati sulla provenienza geografica degli utenti online il 45% degli italiani dell’area Nord-Ovest (6 milioni), il 42,6% dall’area Nord Est (3,7 milioni), il 41,2% dal Centro (3,7 milioni) e il 37,9% dall’area Sud e Isole (8 milioni).
Per quanto riguarda la distribuzione del tempo trascorso online, il 77,2% è generato dalla navigazione da mobile (smartphone e tablet), con quote maggiori raggiunte in generale dalle donne, con l’83,5% del tempo complessivo trascorso online da mobile, e dai giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno dedicato l’84,1% del tempo online alla navigazione mobile.
Più in dettaglio, dai dati sul tempo speso per persona, risulta che nel giorno medio hanno trascorso più tempo online i 25-34enni, con 2 ore e 41 minuti in media al giorno, seguiti dalla fascia più matura dei 35-54enni (quasi 2 ore e mezza).
Con 2 ore e 17 minuti online nel giorno medio, i 18-24enni continuano a preferire la fruizione di internet da mobile.
Per quanto riguarda, infine, le principali categorie di siti visitati nel mesi di novembre, il 93% degli utenti online ha navigato tra i siti e/o applicazioni della categoria “Search” (28 milioni di utenti), quasi il 90% tra i portali generalisti (“General Interest Portals & Communities”, con 27 milioni di utenti) e oltre l’80% degli utenti online ha visitato almeno un sito e/o applicazione tra le categorie “Internet tools / web services”, dedicati ai servizi e tool online (86%), “Member Communities” (85,6%) e “Video/Movies” (83%). Raggiungono valori interessanti anche le categorie “Mass Merchandising” con circa il 75% degli utenti online (22,6 milioni) e “Current Event & Global News” con il 65,4% degli utenti (19,7 milioni).
via Sp ot and Web
Arriva la classifica The Most Innovative Companies stilata dalla Boston Consulting Group (BCG), multinazionale specializzata in consulenze di management. In cima alla classifica, per 12 edizioni consecutive, Apple inseguita da Google che negli ultimi tre anni si è sempre posizionata al secondo posto. Un vero e proprio testa e testa, che con il recente ingresso nel mondo della telefonia di BigG potrebbe presto invertirsi. Secondo BCG dopo i due colossi c’è spazio anche per Tesla, la casa automobilistica dietro le popolari (ma lussuose) elettriche, seguita poi da Microsoft, in posizione stabile, e poi da Amazon, che avanza di quattro posti.
Si deve infatti arrivare all’undicesima posizione occupata dalla Bayern e poi scendere alla quattordicesima di BMW per trovare le prime due realtà del Vecchio Continente. La lista arriva poi fino alla 50a posizione, passando per realtà più digitali, come Expedia, Airbnb e Uber, e quelle più convenzionali, come Nike, Honda o BASF.
Presente anche Xiaomi, che però si ferma alla 35a posizione. Gli autori dello studio spiegano come le aziende entrate nella classifica si sono dimostrate “capaci di scandagliare, captare ed elaborare con efficienza e i segnali innovativi che giungono da mondi diversi e veloci nel portarli al proprio interno”.
L’evolversi della classifica denota invece come il margine di innovazione e rinnovamento sui settori più hardware, in senso lato, sia sempre più sottile. Non a caso le prime posizioni, salvo rare eccezioni, sono dominate da società fornitrici di servizi.
Via corrierecomunicazioni.it
Video, è stata questa la tendenza protagonista del mondo pubblicitario nel corso dell’ultimo anno. Eppure, stando a uno studio di eMarketer, in Italia il tasso di penetrazione di chi visualizza filmati online è il più basso dell’Europa occidentale, pari al 41,4%. Dati non troppo confortanti, che la società di ricerca dice essere legati a due principali fattori: il carattere rurale del nostro Paese da una parte; e la bassa velocità di connessione dall’altra. A livello euro-occidentale saranno circa 219 milioni i video viewers nel 2017 con una penetrazione del 68% mentre i Paesi più importanti a livello numerico sono Gran Bretagna e Germania.
I consumatori francesi, tedeschi, italiani e spagnoli, poi, mostrano ancora un grande interesse nei confronti della tv lineare, un freno nello sviluppo del segmento del digital video advertising. Nel 2016 la pubblicità video, stando agli ultimi dati resi noti dal Politecnico di Milano, in Italia ha raggiunto quota 500 milioni, un bel balzo in avanti del 38% rispetto all’anno prima, al 21% del totale investimenti. Dei 210 milioni aggiunti l’anno scorso, 140 sono andati al video. La crescita della spesa in quest’area è dettata da due tendenze: i social media e gli Over The Top, Facebook e YouTube in primis. Il contesto di fruizione è rappresentato sempre più dai dispositivi mobile, vero e proprio driver dell’erogazione di clip video.
La rilevanza del video nei piani degli operatori dell’industry è stata ulteriormente ribadita da una nuova operazione di mercato. Mediaset, infatti, ha annunciato settimana scorsa di essere entrata nel capitale di Studio71, multichannel network lanciato dal broadcaster tedesco ProSiebenSat.1 partecipato anche dalla francese TF1. Per Mediamond, la concessionaria pubblicitaria digitale del Biscione, si tratta di un tesoretto di circa 40 milioni di clip mensili, pronte per essere monetizzate.
Il commento di Andrea Lamperti
Con l’obiettivo di approfondire il tema, DailyNet ha intervistato Andrea Lamperti, direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano.
Il problema non è il video, ma lo stato di internet
«A proposito dell’evidenza emersa dallo studio di eMarketer, vale a dire il basso tasso di penetrazione degli utenti che fruiscono video, ci tengo a precisare che il video, sia digitale sia tradizionale, riveste un ruolo centrale in Italia. I consumatori sono da sempre video-centrici. La tv ha svolto un importante ruolo sociale di aggregazione, che oggi riguarda anche il video online; ciò è ancor più valido per le fasce più giovani».
Quindi Lamperti ha sottolineato come il dato restituito da eMarketer «sia un valore che si rifà al totale della popolazione italiana nel suo complesso, non solo quella internet. Le due motivazioni di eMarketer, cioè il carattere rurale dell’Italia e la scarsa diffusione di internet nel Paese, sono reali, ma se prendiamo in considerazione il totale della popolazione online rilevata da Audiweb, circa 30 milioni di persone, il rapporto cambia e si alza attorno all’80%, un valore superiore a quello di altri Paesi». In sintesi, per Lamperti la fotografia scattata da eMarketer è figlia della scarsa diffusione di internet, non di una ridotta adozione del video. Che, anzi, piace e continua a evolversi.
Video, cresce la presenza online dei broadcaster
In merito, invece, allo sviluppo degli investimenti video, Lamperti ha evidenziato lo sforzo dei broadcaster. «Mediaset, Rai, Sky hanno cominciato da anni a rafforzare l’offerta di video on demand online, talvolta anche attraverso servizi ad abbonamento. A spingere questa tendenza sono la concorrenza estera, Netflix e Amazon Prime Video su tutti, e gli investimenti per la differenziazione degli introiti intrapresi dai broadcaster e dettati dalla migrazione dell’audience», ha spiegato. Per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria i volumi sono ancora bassi. «È ancora presto – precisa Lamperti -. Tuttavia alcuni operatori hanno già una capacità e una proposta commerciale rilevanti anche sull’online. Le aspettative per questo segmento per l’anno appena iniziato sono positive».
Nuove soluzioni e formati
Quindi Lamperti ha affrontato il tema delle soluzioni video emergenti, come il live streaming e i filmati a 360 gradi, e le conseguenti opportunità per il marketing e la comunicazione. «Questi strumenti spesso sono utilizzati come effetto novità: non sempre però rimangono o mietono grandi successi. E soprattutto in ambito pubblicitario alcuni formati a grande impatto possono non essere performanti, seppur connotati da grande engagement. Insomma è difficile che convertano. In ogni caso sono tutte novità utili a generare innovazione, entusiasmo e interesse sui nuovi formati online».
Infine Lamperti ha segnalato le aspettative di monetizzazione in campo video non solo per attori tradizionali come Facebook e Google, ma anche per «piattaforme come Instagram, sempre di proprietà di Facebook, e altre minori». «E per 2017 – ha concluso -, ci aspettiamo grandi cose anche dai broadcaster».
Via DailyOnline
È stato un 2016 d’oro quello vissuto dal mercato delle applicazioni mobile. A livello globale, infatti, l’anno scorso i consumatori hanno trascorso circa 900 miliardi di ore sulle applicazioni, 150 in più rispetto al 2015. A raccontare queste cifre impressionanti è il rapporto annuale di App Annie. La crescita è comune a tutti i Paesi ed è stata nell’ordine del 20% su base annuale. App Annie fotografa una mobile app economy in discreta salute: il tasso di utilizzo, che rileva per quanto tempo e quanto spesso i consumatori navigano una applicazione, è un indicatore critico e i dati rilevati certificano il successo. Questo parametro talvolta è trascurato e si tende a pensare al comparto delle app guardando ai download, un’altra metrica chiave che va integrata e analizzata in relazione alla precedente.
Le app generano denaro per 127 miliardi di dollari
Nel 2016 i publisher hanno incassato 35 miliardi di dollari tra l’App Store e Google Play, per un incremento di circa il 40% sull’anno prima. Il giro d’affari delle app è stato di 127 miliardi di dollari, di cui 89 miliardi sono finiti nelle mani degli sviluppator – il 30% viene trattenuto da App Store e Google Play. La curva dell’App Store è stata positiva con valori in salita del 50%: su installazioni e vendite la parte del leone è stata fatta dalla Cina, un mercato sempre più fondamentale per la Mela. Sempre la Cina è stata responsabile dell’80% della crescita nelle installazioni di app su sistemi operativi equipaggiati con iOS.
Oltre 90 miliardi di download
Complessivamente i download sono stati oltre 90 miliardi, 13 in più considerando l’App Store e Google Play. È stato quest’ultimo a fare da traino, specialmente nei mercati emergenti. Per gli smartphone Android, le tre categorie campioni per crescita sono state comunicazione, social e player video ed editori mentre il Paese leader per download sul sistema operativo è stato l’India, davanti per la prima volta agli Stati Uniti. Senza nessuna sorpresa, Facebook, WhatsApp, Messenger, Instagram e Snapchat sono state le app a maggiore crescita. Spotify, Line, Netflix, Tinder e HBO Now sono quelle che hanno assorbito la fetta più consistente di denaro.
Tra le categorie il gaming è la più remunerativa
Al top per ricavi c’è sempre il gaming, che nel 2016 ha generato il 75% delle entrate di iOS e il 90% di quelle di Google. È interessante notare questa differenza: Big G sembra essere game-dipendente quando si parla della monetizzazione delle app. Su iOS solo la categoria ‘Giochi di ruolo’ ha prodotto la metà degli introiti nell’universo di riferimento. I giochi di maggior successo sono stati Pokemon Go, vicino per poco al miliardo di ricavi, e SuperMario Run, il cui modello di business è però ancora da rodare.
Via DailyOnline
“Shaping the Future of Retail for Consumer Industries” è uno dei più recenti report pubblicati dal World Economic Forum (in collaborazione con Accenture), visionabile e scaricabile qui gratuitamente.
Il prossimo decennio potrebbe essere l’età d’oro per i consumatori che hanno sempre più scelte e controllo sugli acquisti. Il retail si sta trasformando, la tecnologia abilita e spinge a nuove sfide nella relazione con il cliente, nei processi produttivi, si perdono le differenze tra distributore e fabbricante, si modificano i confini tra offline e online, si ridefiniscono modelli di business, si impone un ripensamento degli attuali sistemi di delivery.
Insomma, è un settore in grande rinnovamento, del quale il report offre insight per i prossimi 10 anni.
In particolare, il report analizza il futuro del retail attraverso le 8 tecnologie che avranno maggiore impatto nei prossimi anni e quali benefici e criticità porteranno:
1. Internet of Things (IoT)
2. Autonomous vehicles (AV)/ drones
3. Artificial intelligence (AI)/ machine learning
4. Robotics
5. Digital traceability
6. 3D printing
7. Augmented reality (AR)/ virtual reality (VR)
8. Blockchain
Figure 2: Eight disruptive technologies: Value chain applications and key benefits – Source: Accenture/World Economic Forum analysis
Figure 3. Current readiness levels of disruptive technologies and key enablers to reach full readiness
NOTE: White portion of Harvey ball indicates readiness
Via Startupbusiness
Google is going to let advertisers target YouTube ads based on people's search histories, giving brands a whole new perspective into the consumer mindset.
On Friday, Google announced updates to its YouTube offering for advertisers, including a promise of new measurement tools to help marketers understand their campaigns. But it was the introduction of search data into the targeting of YouTube video spots that most intrigued advertisers.
Brands could start to consider pushing video ads to YouTube viewers who recently searched for a retail product, travel destination or movie show time.
"There has been targeting on YouTube based on what videos people watch there," said one top advertising exec, speaking on condition of anonymity because of a close relationship with Google. "Now, for anyone logged in, their search history can be applied to targeting on YouTube. There's some interesting possibilities there, and it greatly expands the audience advertisers could reach."
Google's search data is considered among the most powerful information for guiding advertising, but Google has kept it under tight wraps, careful when applying it toward ads outside the search experience.
Google faces extra scrutiny from regulators and privacy advocates when it comes to collecting consumer data and applying it to its ad products.
For years, the company kept a wall between search and other ad products, but increased competition from Facebook has made that commitment impractical.
Google declined to comment for this story, but did post a blog statement on Friday.
Google users can turn off ads personalization in their settings.
"As more viewership on YouTube shifts to mobile, we're making it easier for advertisers to deliver more relevant, useful ads across screens," Diya Jolly, YouTube's director of product management, said in the blog post. "Now, information from activity associated with users' Google accounts (such as demographic information and past searches) may be used to influence the ads those users see on YouTube."
Mr. Jolly described how someone searching for a winter coat could then see an ad in YouTube from a retailer.
Google said that more than 50% of YouTube video is viewed on mobile devices.
Google also revealed that it was working on a "cloud-based measurement solution" over the next year, to give advertisers more information into how their campaigns perform but balancing that with consumer privacy.
The measurement development appears to be a nod to the advertising uproar over the past few months, in which brands have begun to question the accuracy of the numbers coming out of the platforms like YouTube and Facebook.
"With this new solution, advertisers will have access to more detailed insights from their YouTube campaigns across devices, so they can better understand the impact of their campaigns on their highest-value customers," Mr. Jolly's blog post said. "For instance, a car manufacturer could get a rich understanding of how YouTube ads across devices influenced a specific audience (like previous SUV buyers)."
via Advertising Age
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