Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
A tre anni di distanza arriva il nuovo studio di GlobalWebIndex, una dettagliata ricerca a livello globale, che fotografa dati e trend dei social network come Facebook, Twitter e Google+, senza dimenticare i nuovi nati del mondo social come Pinterest.
Dei risultati della ricerca, consultabili su slideshare, e di quale sia lo scenario italiano dell’utilizzo dei social media, abbiamo parlato con Marcello Mari, il Responsabile per l’Italia di GlobalWebIndex e autore della nostra rubrica London Notes.
1) Cosa è cambiato dei social media dal primo GlobalWebIndex del 2009? Da quando e’ stato lanciato per la prima volta il GlobalWebIndex nel 2009 i Social Media sono letteralmente esplosi diventando un fenomeno assolutamente globale. Il 90% della totalita’ degli utenti di Internet nel mondo ha oggi almeno un profilo Social al quale il 70% ha contribuito attivamente nell’utlimo mese. Numeri decisamente impressionanti sebbene trainati maggiormente dai paesi “emergenti”. I primi 5 paesi piu Social del mondo sono infatti Cina, Sud Korea, Filippine , Russia e l’impressionante Indonesia nella quale il 99% degli utenti Internet possiede un profilo Facebook. Il Social ha decisamente rivoluzionato Internet e il modo in cui lo percepiamo oggi; si e’ trasformato da un semplice contenitore di siti statici ad un esperienza a 360 gradi in cui ognuno ha la possibilità di partecipare con un solo click. Ed e’ proprio in questa direzione che va il mondo creato da Google.
2) Ovvero? Ne avevamo già parlato nel precedente “Trend Deck” rilasciato da GlobalWebIndex, in cui avevamo individuato il fenomeno col nome di “Googopoly” , e riconfermiamo il trend con la nuova Wave di dati. Goggle+ non e’ infatti un fenomeno che puo’ essere paragonato a Facebook per nessun aspetto, e chi lo descrive come un deserto social non ne comprende il significato vero e proprio. Con 400 milioni di Android smartphone nel mondo che richiedono la creazione di un profilo Google, con 900 milioni di visitatori di Youtube sempre piu integrati con l’esperienza G+, e’ diventato sempre piuùdifficile distinguere chi lo utilizza come un normale social network; e questo ha decisamente avuto un impatto anche sui risultati della nostra ricerca. Google+ non e’ quindi una “destinazione” ma più che altro un contenitore di esperienze social. L’ibridazione dei servizi ha inoltre portato all’impossibilita’ di continuare a scindere l’utilizzo di questi servizi per categoria. Ormai non ha più senso infatti parlare esclusivamente di micro-blog o di social network essendo diventata la differenza tra questi sempre più sottile, e quasi inesistente agli occhi degli utenti. G+ e Facebook hanno col tempo integrato servizi di distribuzione di contenuti aperti non più esclusivamente alla propria rete sociale ma anche a chi decide di seguirci al di fuori di essa, mentre Twitter viene in molti casi utilizzato per comunicare esclusivamente con la propria cerchia di contatti.
3) Una recente ricerca di Audiweb ha rilevato che in Italia, negli ultimi 6 mesi, 15 milioni di italiani hanno avuto accesso al web tramite smartphone. A livello globale lo scenario qual è? A livello globale, lo shift verso l’utilizzo di internet da dispositivi mobili ha sicuramente avuto un impatto importante, ma inferiore alle aspettative. La stragrande maggioranza degli utenti nel 2012, infatti, accede ancora ad interent tramite PC. Prendendo Facebook come esempio, il 40% dei suoi utenti vi accede regolarmente attraverso il proprio Smartphone o Tablet, ma solamente il 5% della sua base attiva contribuisce esclusivamente tramite il suo dispositivo mobile. Buone notizie per Facebook che in passato e’ stato criticato per non essere ancora riuscito a massimizzare l’esperienza mobile e trarne sufficienti guadagni.
4) Facebook è, quindi, il social network più in buona salute? E Twitter? Sicuramente per Facebook ci sono buone notizie. Il livello di partecipazione degli utenti alla vita dei Brand on-line e’ in crescita a livello globale, con il 57% degli utenti attivi su Facebook che ha messo un “Like”. Per quanto riguarda Twitter invece, sono il 28% gli utenti che seguono un Brand e 22% quelli che ne condividono i contenuti con i propri followers. Ancora una volta si tratta di numeri trainati maggiormente dai mercati emergenti che risultano essere le vere “Social Stars” a livello mondiale sottolineando quanto, nonostante i Social Media siano un fenomeno globale, sia fondamentale comprendere le logiche locali sia per determinarne le opportunità commerciali che per valutarne l’impatto sociale.
5) E in Italia quali numeri ha il fenomeno dei social media? Avevamo lasciato l’Italia nel Giugno 2011 incoronandola come il paese “Leader” nei Social Media in Europa, basandosi sul risultato rilevato per quanto riguardo la gestione del proprio profilo Social. Bene da allora il risultato e’ incrementato del 7% mantenendosi ancora al di sopra della media europea rilevata. Non male se si conta che su Twitter sono poco piu di 3 milioni gli utenti attivi al netto di quasi 7 milioni di utenti con un almeno account. Per quanto riguarda G+ invece, fatta la dovuta premessa iniziale, abbiamo rilevato, in Italia, 9 milioni di utenti con un account G+ nonostante chi lo utilizzi per pubblicare i propri update sia poco piu’ di mezzo milione di utenti e l’attivita’ principale sia la condivisione di foto effettuata comunque da poco piu di un milione di utenti. A farla da padrone e’ comunque ancora Facebook, l’unico vero e proprio Social Media di massa; in Italia conta oltre 20 milioni di utenti con almeno un profilo, ovvero il 78% degli utenti Internet totali, piu della meta’ dei quali risulta essere attiva. Mentre nei paesi che per primi hanno iniziato a utilizzare Facebook, la percentuale di utenti attivi e’ in calo, in Italia il risultato sembra piuttosto stagnate essendo ormai vicini ad un sostanziale livello di saturazione del mercato.
6) Rispetto alla ricerca del 2009, c’è qualche novità nell’ecosistema dei social media? Uno dei vantaggi di svolgere la ricerca con questa frequenza e’ quella di poter adattare il questionario alle frequenti evoluzioni dello scenario Social; in questo caso abbiamo avuto modo di aggiungere Pinterest. Lanciato nel 2010 negli Stati Uniti, ha raggiunto la popolarità in Italia sono nell’ultimo anno dove conta attualmente meno di un milione e quattrocentomila utenti, meno della meta’ dei quali attivi. Generalmente l’utente di Pinterest arriva da altre esperienze social ma cio’ nonostante il livello di partecipazione rimane piuttosto basso. Quello del divario tra utenti attivi e passivi non e’ comunque un esclusiva di Pinterest. In Italia come nel mondo,il numero di utenti che non contribuiscono in nessun modo e’ in forte crescita e risulta essere uno degli aspetti piu’ importanti di lettura dell’universo Social. Grazie ai nostri dati e’ anche possibile confermare quanto in Italia Pinterest sia un fenomeno prevalentemente femminile con quasi 7 utenti su 10 appartenenti al gentile sesso. Questo è, però, un trend che non viene confermato a livello globale, dove si conta solamente una leggera inclinazione verso l’universo femminile (56% F – 46% M ), sebbene diventi notevole se paragonata ad altri Social Media quasi tutti a maggioranza maschile (Facebook ad esempio conta il 55% di utenti uomini). Per la cronaca, il risultato piu sorprendente ci arriva dagli Stati Uniti, dove le donne su Pinterest rappresentano il 90% del totale.
7) Dai dati analizzati nella ricerca, qual è secondo lei il social network da tenere maggiormente d’occhio per il futuro? Di realtà da seguire ce ne sono molte. Particolarmente interessante sara’ continuare a osservare l’andamento di G+ per comprenderne l’impatto sull’universo Social e capirne la reale collocazione. Fallimento completo come dicono in tanti o rivoluzione della fruizione di Internet e dei Social Media? GlobalWebIndex rilascera’ da qui in avanti una serie di report a tema che pubblicheremo in esclusiva su TechEconomy e sui quali mi piacerebbe aprire il confronto il piu possibile.
Via Tech Economy
Gli italiani, nel 2011, hanno speso di più per navigare su internet dal cellulare che per inviare sms. A certificare lo storico sorpasso, frutto del boom di smartphone e tablet, è l'Agcom nella Relazione annuale. Nel 2011 i ricavi da sms sono stati pari a 2,33 miliardi (+1,5%), mentre quelli relativi a internet sono balzati del 17,7% a 2,41 miliardi.
Sui telefonini, smartphone e tablet, dunque, i ricavi da servizi dati continuano a crescere, seppure in misura meno intensa rispetto allo scorso anno (+8,9% contro il +9,6% del 2010), ma la Relazione dell'Agcom evidenzia che nel 2011 hanno superato la soglia del 50% degli introiti da servizi vocali, valore che risulta più che doppio rispetto a quanto corrispondentemente rilevabile per il 2005 (25,1%).
Il traffico vocale risulta in crescita anche nel 2011, sfiorando nel complesso 136 miliardi di minuti, valore che ormai supera di oltre il 60% quello relativo alla rete fissa. Dall'analisi dei dati relativi al traffico per direttrice emerge un ulteriore rafforzamento della componente mobile-mobile, ossia il traffico originato da rete mobile è destinato, in prevalenza, verso altre numerazioni mobili. In particolare, nel 2011 l'82% del traffico originato da cellulari ha raggiunto altre utenze della rete mobile.
Via Quo Media
Il digitale ha spesso il curioso effetto di defocalizzare le persone e le aziende dagli aspetti più fondamentali per dirottare l’attenzione sulle cose marginali. A parte tante casistiche quotidiane, un esempio è sicuramente la questione dell’ acquisto di finti fan o follower sui social media che tanto clamore ha suscitato sui giornali nelle settimane scorse.
Dunque, dopo le varie ed eventuali che ho letto in questi giorni, sento il bisogno di rinverdire una delle distinzioni più importanti del panorama dei media digitali, ben poco chiara alle aziende: owned media, paid media e earned media. Ne ho parlato non molto tempo fa: esistono degli strumenti di cui abbiamo il controllo perché nostri (sito, database clienti) altri per cui paghiamo la visibilità (pubblicità) e altri su cui ci dobbiamo conquistare l’attenzione e lo spazio (social media).
Al crescere della visibilità naturalmente decresce la possibilità del controllo e questo pone un dilemma a chi ha capito la differenza: meglio reinventare in casa strumenti già esistenti o consegnare ad altri i propri clienti? Il tema c’è ma può essere affrontato serenamente se costruiamo la nostra presenza digitale dalle basi e non dalla fine: partire infatti dagli earned media equivale a inaugurare un ristorante senza metterci prima la cucina, cosa paradossale ma assai frequente, ahimè, quando il focus non è più il business offline.
Per essere più efficace proverò dunque a spiegare come andrebbe gestito il nostro ecosistema digitale con l’aiuto di Brian Solis e del modello che lui introduce in un suo recente articolo: the brandsphere (immagine sotto).
Fonte: Brian Solis
Ai tre tipi di media che ho già citato Solis aggiunge qui altre due casistiche:
A) Promoted: spazi promozionali ma non puramente di advertising nel social (es. Twitter’s Promoted products e Facebook’s Sponsored Stories) B) Shared: piattaforme di co-operazione e co-creazione tra clienti e brand (es. Dell IdeaStorm e Starbuck MyStarbucksIdea)
In tutti i livelli Brian Solis vede però come punto di partenza il brand come creatore di storie e i clienti e i contributori come storytellers che raccontano, diffondono e arricchiscono quanto inizialmente messo a disposizione. Questo significa che se non c’è un punto di partenza, al centro del disegno, non c’è nemmeno la sfera dell’ecosistema del brand. Gestire dunque i propri asset digitali in modo corretto e strategico è la chiave per poi operare con successo nel complesso mondo digitale e multicanale che oggi dobbiamo affrontare.
Senza entrare in grandi dissertazioni filosofiche vi sarà chiaro allora come acquistare un certo numero di sconosciuti (e normalmente) inesistenti profili sui social non sia un grande veicolo di successo, dato che non vi serviranno a nulla, se non forse a dire al vostro capo che siete bravi su questo canale visto che avete già acquisito tanti fan. E in quel caso spero per il vostro bene, anche se non per quello dell’azienda, che lui non sia competente in materia…
Se invece vi state rendendo conto di cosa va fatto davvero, intanto costruite un buon sito, un database di clienti, dei validi contenuti e un piano di webmarketing e, dopo, leggetevi anche questo post sul Social Media’s Critical Path: Relevance, Resonance e Significance a quello punto vi potranno essere termini comprensibili.
So che sembro un po’ saccente ma trovo che questo punto debba essere ben chiaro, specie a chi si occupa di strategia digitale, perché la mancanza di questi concetti è alla base dell’approccio dei tanti presunti esperti che popolano lo scenario italiano e non solo. E voi che ne dite? Quanto è chiaro tutto ciò ai vostri capi e colleghi?
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
Google Play, dopo aver raggiunto i 20 miliardi di app scaricate a Giugno, in pochi mesi ha tagliato un altro traguardo. L’app store ha, infatti, annunciato oggi di aver superato i 25 miliardi di download, grazie alle 675000 app disponibili.
Google, per celebrale il nuovo risultato, offrirà sconti sulle applicazioni, la musica, i film e i libri presenti nel negozio digitale. Particolarmente ghiotta, per gli appassionati di digital game, l’occasione di acquistare i giochi di popolari società di sviluppo (Electronic Arts, Rovio, Gameloft, etc.) a 25 centesimi di dollaro. Le promozioni dureranno 5 giorni.
Via Tech Economy
Il digital advertising si sta trasformando nel campo di battaglia principale per la sopravvivenza e la redditività di newspapaer e magazine. Una delle testate del gruppo Time Inc. ha, così, pensato di sfruttare ogni spazio disponibile con un’originale iniziativa.
People StyleWatch, lo spin-off del magazine People dedicato alla moda e allo shopping, ha deciso di utilizzare lo sfondo del proprio profilo Twitter come spazio pubblicitario. Solitamente lo sfondo dei profili viene utilizzato dalle testate per promuovere se stesse; People StyleWatch vi ha, invece, inserito una pubblicità del brand Jergens Daily Moisture, all’interno di una campagna che prevede l’utilizzo degli spazi offerti dal magazine sulla carta, nel web e nei social media.
Twitter, da parte sua, alla richiesta di un commento sull’iniziativa, ha risposto ad Advertising Age che gli utenti sono liberi di usare gli sfondi a fini promozionali. “Lo spazio è a disposizione degli utenti per essere personalizzato” spiega un portavoce, precisando però che la società “incoraggia gli utenti a chiarire se stanno promuovendo qualcosa, per denaro o altre forme di compensazioni”.
L’iniziativa di People e la risposta positiva di Twitter sembrano presagire un utilizzo più diffuso di tale modalità promozionale.
Via Tech Economy
Lo studio annuale dell’Ericsson ConsumerLab – TV &Video Consumer Trend Report 2012 (qui scaricate il pdf) ci dice che il 69% dei telespettatori italiani usa i Social almeno una volta alla settimana mentre guarda la TV (+18% vs. 2011): più accentuato questo uso nelle donne (66%) rispetto agli uomini (58%).
Ci dice anche che in Italia il fenomeno è più accentuato che in altri paesi.
Ovviamente in tutto questo giocano un ruolo importante i dispositivi mobili (la maggior parte usa, in queste situazioni di “socializzazione della TV”, tablet, smartphone, portatili…) – anche perché la TV in mobilità sta crescendo… assolvendo ad una domanda di palinsesto personalizzato e di decisione, di on-demand sui contenuti che si fa sempre più evidente nel pubblico.
E adesso, che facciamo?
Quali sono le implicazioni, le opportunità e le rotture di scatole per chi lavora in marketing e comunicazione?Se vi interessa la mia opinione, potete leggere il mio più recente articolo su Tech Economy - ci arrivate cliccando qui.
Eccoci qui, la pausa estiva è finita da tempo ormai ma come sempre il lavoro è ripartito a grande velocità e ha assorbito tutto il tempo, non senza darmi però occasioni di raccogliere spunti, come per questo post.
Si tratta come sempre di cultura e organizzazione. Ho l’impressione infatti che ancora oggi in Italia le persone che si occupano di marketing temano in qualche modo la tecnologia, nel senso che non vogliono entrarci in dettaglio pensando di non capirla e che sia “roba da informatici”. Non parlo in questo solo di un’eventuale vecchia guardia (l’intelligenza per altro non ha età) ma anche delle nuove leve. Nel resto del mondo si va affermando invece una figura di chief marketing technologist che ha ancora contorni un po’ sfumati ma i cui numeri sembrano essere di tutto rispetto.
Marketing Technology Landscape Supergraphic (2012)
Qual è il punto? Il marketing digitale non solo è sempre più pervasivo ma è anche dannatamente complesso e interconnesso con tutti gli aspetti di business: troppo tecnico per il marketer che rifiuta di scendere in profondità e troppo ampio per chi lo guardi da una prospettiva It tradizionale. Ovunque questa percezione dell’importanza delle nuove tecnologie sta portando il marketing a diventare il principale ente aziendale che spende in software e in una miriade di strumenti, non sempre in modo coordinato con le funzioni “informatiche”.
Per non disperdere però questi investimenti e, soprattutto, le enormi potenzialità date dalla web analytics, dal socialytics di cui ho parlato da IDC delle settimana scorsa e del big data, occorre una serie di professionalità nuove, in grado di capire in profondità e con strategia tutto questo. C’è chi può permettersi di prendere queste risorse dal mercato, come WalmartLabs, ma anche al di là della figura del chief marketing technologist ritengo che le persone che lavorano del marketing debbano superare la loro diffidenza verso i nuovi strumenti. La sola lettura degli analytics ricavabili da un sito web aziendale per esempio è una fonte enorme di dati, ma quanti sanno che esiste questa possibilità? E i social? E l’integrazione fra gli strumenti del digital e l’offline? Chi ha una visione di insieme integrata con tutti gli altri strumenti del business?
Infine per il marketer si tratta di una questione di sopravvivenza: anche le figure di estrazione tecnica si stanno avvicinando al business e in questo processo di convergenza chi saprà adattarsi meglio alle nuove sfide rivestirà i ruoli chiave di domani.
Voi che ne dite?
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
I brand stanno scommettendo molto sui social media al fine di entrare in relazione con i propri clienti e, quasi sempre, concentrano la propria attenzione sui social network più popolari come Facebook. Stando ad una ricerca condotta da Duepuntozero Research e Connexia, lo scanrio potrebbe non essere così nettamente a vantaggio dei social.
“Sono diverse le possibilità che oggi i marketer hanno per convertire la volontà di relazione dei consumatori in capitale di brand e vendite – spiega Federico Capeci, Ceo di Duepuntozero Research – Il consumatore non è più solamente pronto alla relazione con i brand, ma sta già facendo molto in rete e sta chiedendo una relazione più articolata, più gratificante, fondata su ascolto, coinvolgimento e gratificazione reciproca: non sempre e non tutto questo, però, può essere soddisfatto con un unico strumento e non sempre solo su Facebook”.
8 milioni gli italiani, secondo la ricerca, partecipano abitualmente a community legate a specifici brand o aziende e un milione e mezzo di questi visita tali community quotidianamente. Per i brand il valore percepito tra gli iscritti a tali iniziative risulta, inoltre, più alto; sia per quanto riguarda i valori del brand che le opportunità di business.
Aziende e utenti focalizzano la propria attenzione su Facebook (ad esempio il 45% degli iscritti a una brand page Facebook legge i post pubblicati contro il 26% nelle brand community), ma nonostante ciò le brand community sembrano più efficaci. L’86% dei consumatori iscritti a brand community dichiara di essere più informato su prodotti ed iniziative contro l’84% degli iscritti ad una brand page Facebook; e l’81% sente di conoscere meglio il brand e le iniziative di questo (71% Facebook). Le brand community riescono anche ad esercitare un’influenza maggiore sul business aziendale stando alle dichiarazioni degli iscritti (65% degli iscritti dichiara di consumare maggiormente i prodotti vs 55% Facebook).
Le community dedicate specificamente ad un brand sono, inoltre, maggiormente in grado di attrarre ‘veri’ fan rispetto a Facebook. Solo il 26% degli iscritti a una brand page Facebook dichiara di essere realmente un fan e un consumatore della marca, contro il 32% rilevato tra gli iscritti a brand community. In entrambi i casi risulta, comunque, molto forte l’iscrizione dovuta a concorsi o promozioni.
La presenza dei brand nei social network non dedicati riscontra comunque una forte adesione da parte dei consumatori. Il 57% degli utenti Facebook italiani è fan di almeno una brand page di un brand e in media ogni utente del popolare social network è fan di 40 pagine dedicate a brand e prodotti. Il fenomeno risulta molto più ridotto per quanto riguarda Twitter (23% segue profili di aziende o brand).
I consumatori italiani risultano, in generale, molto interessati a informazioni sui brand, alla possibilità di entrare in relazione con i prodotti preferiti ed a contribuire attivamente alla costruzione collettiva del brand in rete. Il 79% degli intervistati, infatti, legge opinioni e raccoglie informazioni online riguardo a brand, aziende e prodotti. E il 29% va oltre, partecipando attivamente a discussioni su tali temi o scrivendo recensioni.
Via Tech Economy
L’ascolto di musica in mobilità sarà sempre più dominato da servizi remunerati tramite advertising, stando alle previsioni di eMarketer.
Si parla molto di servizi di streaming o download a pagamento, ma già attualmente la maggioranza delle entrate del settore derivano dalla pubblicità. Il mercato della musica in mobilità genererà, infatti, il 69% del fatturato USA dall’advertising; contro il 17.2% proveniente da abbonamenti a servizi di streaming e il 14.1% dal download. Nel 2016, la pubblicità dovrebbe generare addirittura l’86% del fatturato.
Contemporaneamente, il settore, nel periodo in esame, attraverserà una fase di forte espansione, passando dai 429.3 milioni del 2012 agli 1.68 miliardi del 2016 (eMarketer non tiene conto dei servizi multipiattaforma).
Nonostante il trend positivo la musica continuerà a generare meno risorse sia rispetto ai mobile game che ai contenuti video, arrivando, però, a rappresentare una quota più consistente del fatturato (+7%). I contenuti video attraversano, al contrario, una fase opposta e, mentre nel 2010 generavano più della metà delle entrate, nel 2016 scenderanno a circa un terzo. I mobile game, dopo una fase di espansione della propria quota di mercato negli ultimi anni, nei prossimi vedranno la stabilizzazione di questa. Rappresentano, in ogni caso, e continueranno a rappresentare la fonte maggiore di entrate (1.8 miliardi nel 2012 vs 1 miliardo da contenuti video).
Il settore dei mobile game attraverserà, inoltre, nei prossimi anni, una sostanziale trasformazione delle modalità di remunerazione degli sviluppatori. Mentre attualmente la fonte principale di entrate è il download a pagamento, in futuro la quota maggiore di fatturato proverrà dagli acquisti all’interno delle app. Fatturato che nel 2016 dovrebbe toccare, negli Stati Uniti, i 3.02 miliardi di dollari.
Via Tech Economy
Nello scenario delle nuove professioni il digitale ha sicuramente un ruolo importante e ricco di sfaccettature, tanto che ancora oggi è piuttosto difficile classificare ruoli e competenze, in molti casi davvero specialistiche ma non per questo meno utili.
Il continuo aumento della complessità e la velocità dei cambiamenti dal canto loro non aiutano certo a mettere facilmente dei punti fermi, rassicuranti e sempre uguali a se stessi.
In più, la content curation e i filtri più o meno automatici che gli strumenti online offrono permettono un’esperienza sempre più su misura di fruizione dei contenuti che però, talvolta, rischia di rendere ciechi rispetto all’insieme.
Questa apparente frammentazione nasconde tuttavia un’opportunità straordinaria per delle persone che non sono né imprenditori che creano nuove startup né specialisti di settore che conoscono ogni piega di uno specifico ambito: quella di poter cogliere i fenomeni emergenti e collegarli in un unico disegno.
Il social ne è un esempio piuttosto emblematico: cambiano infatti i player ma per chi ha saputo impostare una strategia in cui questi strumenti sono solo una parte di un mondo di contenuti e di idee più vasto e sotto il proprio pieno controllo questo fatto non è che un dettaglio.
Ancora di più tali considerazioni valgono per il mobile, una tecnologia che sta diventando la chiave per collegare il mondo fisico a quello virtuale e viceversa, fino a giungere a punte davvero spinte come nel caso del so.lo.mo. Il valore attribuito a tante startup del settore (tra cui l’Italiana Glancee) deriva proprio dal loro prestarsi a numerosi scopi che il marketer può inventare a partire dalla propria strategia di insieme.
Il big data infine è un altro degli esempi che si possono fare per evidenziare come da una quantità enorme e caotica di dati si possa generare una visione di insieme che costituisce un vero vantaggio competitivo. Bene lo hanno capito i big della rete come Facebook, Microsoft, Apple, Amazon e tanti altri che stanno costruendo un’offerta a 360 gradi fatta di hardware, software, contenuti e esperienze.
Bisogna però sapere cogliere i trend e capire come collegare fra loro tanti mezzi che, presi singolarmente, hanno in fondo un valore relativo e soggetto alle mode. Chi invece riesce a capire come tessere una tela con tutte le opportunità che gli capitano davanti, con una mente aperta e con le competenze giuste può davvero cambiare l’azienda, le sue sorti e la sua organizzazione.
Il web non era (ed è) fatto di link? Ecco, anche l’ecosistema digitale alla fine non è altro che qualcosa che innerva il business e la società e che chiede di essere sfruttato e capito, senza essere schiavi della tecnologia del singolo momento.
Voi che cosa ne pensate? Quali sono le vostre sensazioni in materia?
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
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