Di Altri Autori (del 03/02/2011 @ 07:30:28, in Mobile, linkato 1872 volte)
In Italia è app-mania. Tre connazionali su quattro hanno fino a 30 applicazioni sul proprio smartphone, mentre la metà di essi è convinta che i software per cellulare aiutino a migliorare la vita.
Lo rivela un’indagine di Nokia, svolta su 5mila utenti di telefonia mobile in 10 diversi paesi, tra cui appunto l’Italia. Secondo lo studio, lo Stivale è tra i paesi più interessati alle applicazioni, anche se il 43% degli intervistati ammette di scaricare solo quelle gratuite. Epicentro del fenomeno è App Store di Apple, ma anche gli altri negozi stanno crescendo rapidamente.
Sei, invece, le tipologie di utente: l’entusiasta, il vitale, il business-centrico, il creativo, l’app-social, il neofita. Le più scaricate in Italia riguardano i giochi (39% dei casi), il social networking (32%), i servizi (30%) e i viaggi (23%). A livello regionale, nel Lazio si prediligono i software sui viaggi, in Lombardia quelli sui giochi, in Campania la musica, mentre il Piemonte è culla delle applicazioni gratuite.
Dell'eruzione vulcanica causata dalle Mentos nella Coca-Cola, ne abbiamo parlato tutti.
Mi sa che si è parlato un po' meno della nuova release - più marchettara - di quest'estate. Coke Zero e Mentos che propellono nientedimeno che David Letterman. 108 bottiglie per spingere a razzo un trabiccolo guidato dal famoso conduttore televisivo per la 53a.
Guardatevi il film qui sotto e per approfondimenti segnalo l'articolo di Advertising Age.
L'ultima frontiera della comunicazione online si chiama tempo reale. Primo a segnare il passaggio verso l'immediatezza nello scambio e nel consumo di informazioni è stato Twitter, seguito oggi da numerosi altri servizi del social web . Una accelerazione del modo di stare online che ha presto contagiato le aziende e la concezione stessa della comunicazione, del marketing e del rapporto con i consumatori su Internet. Un tema che sarà affrontato e approfondito nel volume "Fare business con i social network" in edicola giovedì prossimo con Il Sole 24 Ore.
Se solo pochi anni fa un cliente insoddisfatto poteva lamentarsi con gli amici, scrivere una lettera di reclamo, inviata in copia alle associazioni di consumatori e ai giornali, oggi il Web 2.0 rende questo processo istantaneo, quanto globale. Il rischio, per una azienda disattenta, è vedere la propria reputazione compromessa in pochi minuti, soprattutto quando il passaparola si diffonde e si amplifica attraverso i social network. Dalla sfera privata della propria rete di amici in Facebook, una cattiva esperienza può essere facilmente rilanciata di tweet in tweet, fino a fare il giro del mondo in una manciata di secondi.
I giornalisti e gli editori sono i primi ad averne subito l'impatto. Dai terremoti segnalati online prima che i sismologi informino i media, fino alle recenti manifestazioni di piazza in Egitto, raccontate su Twitter prima di essere trasmesse in televisione, le notizie viaggiano ormai in una agenzia di stampa globale dal basso, in cui partecipano cittadini testimoni di eventi, giornalisti e protagonisti in prima persona, in un rincorrersi di aggiornamenti frenetici.
Il tempo reale produce effetti tangibili anche nei confronti delle relazioni personali e del modo di comunicare. Su Facebook i contenuti e i commenti degli amici sono visualizzati nel momento stesso in cui i nostri amici li scrivono, grazie ad una tecnologia già sperimentata sul network FriendFeed. Nell'ambito della condivisione di conoscenza, domande e risposte formulate dagli utenti su Quora – la piattaforma più in voga del momento – si susseguono in un flusso continuo, senza soluzione di continuità.
Visto con gli occhi del business, il real time web può creare e distruggere fortune in tempi molto brevi. David Meerman Scott, nel suo Real Time Marketing & PR di prossima uscita nella traduzione italiana per Hoepli, racconta di come una semplice chitarra possa ben esemplificare tale rivoluzione. Il caso è quello del musicista David Caroll e della sua chitarra danneggiata irreparabilmente durante un volo con la United Airlines. Incapace di rispondere alle lamentele dell'artista, la compagnia aerea si trova a subire un pesante danno d'immagine, causato dalla pubblicazione su YouTube di un video musicale in cui Caroll racconta l'episodio a modo suo: "United breaks guitars". Il passaparola in pochi giorni è tale da ricevere l'attenzione dei principali network radiotelevisivi americani, in cui Caroll è intervistato su quanto accaduto. Tempo reale può significare anche opportunità inaspettate, per chi sa coglierle.
Intercettato il caso Caroll, il produttore di custodie per strumenti musicali Calton Cases si inserisce nel flusso del passaparola con un video di risposta su YouTube e contatta l'artista per proporgli di diventare suo testimonial. Trovato presto un accordo, a due settimane dal primo video la custodia "Caroll's Traveller's Edition" è sul mercato, riscuotendo subito grande successo.
L’e-commerce continua a crescere, anche in Italia. Sono ormai otto milioni i connazionali che fanno acquisti su internet, per un fatturato annuo complessivo che nel 2010 dovrebbe essersi assestato intorno ai 6,5 miliardi di euro. Lo si legge nella ricerca congiunta svolta dalla School of Management del Politecnico di Milano e dal consorzio Netcomm per il Commercio Elettronico.
La crescita degli introiti del settore, rispetto alla fine del 2009, è del 14%. E se l’utenza sembra essere sempre più a suo agio con i negozi digitali e i metodi di pagamento online, le rivendite di aggiornano e provano a svilupparsi sul nuovo canale: vince chi sa pensare in modo globale ed è in grado di proporre i propri prodotti a una comunità di riferimento transnazionale.
Di Altri Autori (del 10/02/2011 @ 07:13:09, in Mobile, linkato 3065 volte)
La storia dei pagamenti mobili in Italia è ancora tutta da scrivere. La conferma di ciò giunge dai dati della School of Management del Politecnico di Milano, secondo quali solo l'1% della nutrita popolazione di utilizzatori mobili di casa nostra ha sfruttato il suo dispositivo per effettuare un pagamento in remoto.
"Sono stati censiti 107 servizi di mobile payment in Italia nel 2010 rispetto ai 78 servizi disponibili nel 2009. In generale, possiamo dire che il mobile remote payment (servizi che consentono di pagare con il cellulare anche in remoto, ndr) in Italia cresce poco in termini di offerta – 65 servizi nel 2010, rispetto ai 63 del 2009 – e mancano ancora progetti a larga diffusione, comparabili con i migliori progetti a livello mondiale. Nonostante questa lenta crescita, l'opzione continua a rappresentare in Italia il paradigma maggiormente diffuso. La dimensione del mercato totale è di quasi 200 milioni di euro ed è quasi totalmente rappresentata dal pagamento di ricariche telefoniche. Le principali cause della limitata diffusione presso i consumatori sono, a nostro avviso, la mancanza di circolarità dei servizi, la complessità del processo di attivazione per l’utente e la ridotta attività promozionale", ha spiegato Alessandro Perego, responsabile scientifico dell'Osservatorio.
Un esempio di questo sistema di pagamento nel nostro paese? Il pagamento della sosta: dopo aver associato la targa della propria automobile al numero di cellulare, l’attivazione e la disattivazione del pagamento può essere fatta tramite un semplice Sms o Ivr. Questa piattaforma ha esteso il servizio a nuove città arrivando nel 2010 a 30 Comuni abilitati rispetto ai 25 dello scorso anno. Nonostante gli utilizzatori siano pochi, la soddisfazione appare elevata: il 55% si è detto molto soddisfatto e ha affermato di utilizzare spesso il servizio. I plus citati sono la comodità (61%), la velocità del pagamento (53%) e la facilità (per il 61% è addirittura “facilissimo”).
In via di sviluppo anche il mobile commerce, che ha raggiunto i 12 milioni di euro di transato nel 2010. Per ciò che concerne gli altri sistemi di pagamento, la ricerca segnala uno sviluppo del soluzioni contactless, oltre 350.000 carte emesse e i circa 2.000 POS abilitati in poco più di un anno.
L'interesse per la possibilità di pagare in mobilità senza dover mettere mano a contanti o carte di credito, dunque, c'è. Quello che manca in Italia è una presa di coscienza comune delle possibilità offerte e una varietà di proposte per gli utenti e per le aziende. Perfezionare gli acquisti con il proprio dispositivo mobile connesso in rete renderà i consumatori più agili, più consapevoli e più reattivi. Basti pensare all'ipotetica possibilità di visualizzare le caratteristiche di un prodotto e delle eventuali alternative mentre ci si trova in prossimità dello stesso.
Sette anni di vita e oltre 600 milioni di utenti nel mondo: Facebook è senza dubbio il social network più popolare. In Italia, la creatura di Mark Zuckerberg conta 18 milioni di utenti, di cui 12 attivi quotidianamente.
Di questi, 4 milioni accedono ai propri account attraverso connessioni mobili. Tra le regioni più attive su Facebook, come evidenzia un'infografica di Vincosblog, vi sono il Lazio, con 2,45 milioni di iscritti, e la Lombardia, con 1,84 milioni.
Decisamente meno interessate al social networking sono il Trentino Alto Adige, la Valle d’Aosta, il Molise, l’Abruzzo e la Basilicata, tutte con meno di 30mila utenti.
Ecco Habbo, il social network alternativo a Facebook con poca pubblicità e monete digitali
Facebook è ancora alle prime sperimentazioni con la sua valuta elettronica, i "credits". Ma non è all'avanguardia. A superarlo, per esempio, è stato Habbo, un ibrido tra mondo digitale e social network dove gli utenti entrano con le figure di un avatar, hanno una loro abitazione e si incontrano. Come in un videogioco.
Ma è un ambiente diverso rispetto a Facebook. C'è poca pubblicità. E gli iscritti utilizzano una moneta digitale per gli acquisti, i "credits": a spenderli sono nove utenti su dieci. Simili a dobloni con una "H" incisa sui lati, hanno portato nelle casse un fatturato da 49 milioni di euro in un anno. Ma Habbo ha seguito una strada diversa da social network e altri "virtual worlds". Scommettendo da subito su avatar e stanze da abitare. E ha appena tagliato il traguardo di 200 milioni di utenti registrati: in Italia sono sei milioni.
Ma Facebook all'inizio ha puntato soprattutto sugli studenti universitari: sono stati i primi a iscriversi in massa alla rete sociale online. Ma finora non è ancora diffuso l'impiego di monete digitali per le transazioni, come i "credits": sono spese soprattutto nei videogiochi e sono acquistabili online. Si tratta, però, di sperimentazioni ancora ai primi passi. Habbo, invece, ha avuto già successo nella vendita di beni virtuali: mobili per l'arredamento, vestiti da comprare, giochi. Da subito è diventato un punto d'incontro per gli adolescenti: in Italia acquistano i "dobloni" attraverso carte prepagate in tabaccheria, come avviene con il credito telefonico. Oppure, richiedono un addebito sul telefono fisso.
Circa l'8-10% degli italiani che frequentano il mondo digitale compra i "credits". «Per gli adulti spesso è impensabile spendere monete reali per banconote virtuali, ma i più giovani sono abituati: è una nuova cultura e una differente modalità di fruizione», osserva Silvia Vianello, Sda Bocconi Professor dell'Area Marketing. Nelle altre nazioni, invece, il mezzo di pagamento più utilizzato sono gli sms inviati dai cellulari. Ma in una decina di anni Habbo ha costruito 150 alternative per l'adozione della moneta digitale a seconda delle nazioni. È una miniera d'oro già valorizzata da anni in Estremo Oriente, soprattutto in Cina e in Giappone. Facebook muove i primi passi. Il giro d'affari stimato per i beni virtuali è di 2,1 miliardi di dollari entro l'anno.
Negli Stati Uniti nasce Everloop, primo social network pensato per i bambini tra gli 8 e i 13 anni. Il progetto coinvolge alcuni investitori privati che sperano di catalizzare l’attenzione delle scuole e dei marchi dedicati all’infanzia. Everloop funziona più o meno come Facebook, ma richiede la certa verifica dei genitori al momento dell’iscrizione.
I genitori possono anche scegliere di ricevere notifiche sulle attività svolte dal figlio nel social network e possono disattivare alcune delle funzioni, quali le richieste di amicizia ricevute e la chat.
Everloop è stato programmato tenendo conto del Children’s Online Privacy Protection Act, legge che poibisce ai siti web di chiedere e archiviare informazioni degli internauti sotto i 13 anni.
Si parla molto di editoria digitale: e-reader e affini incuriosiscono sempre più gli italiani, ma l’offerta è scarsa e la diffusione minima.
Tanto rumore per nulla, o quasi. In autunno, editori e grandi distributori del comparto elettronico avevano ufficialmente dichiarato aperta, anche in Italia, la stagione degli e-book. Il libro digitale come nuovo feticcio dell’industria culturale (ri)organizzata dalla rete. Nonostante l’entusiasmo dei promotori e lo slancio del pubblico più attento, i numeri non promuovono ancora l’editoria digitale. Una ricerca presentata nei giorni scorsi da AtKernsey, intitolata significativamente ‘I lettori sognano i libri elettronici?’, prova a dar conto dell’universo e-book.
Cinque anni fa Amazon lanciava Kindle negli Stati Uniti, e-reader oggi leader di settore ma sbarcato in Europa solamente lo scorso anno, quando l’editoria digitale ha aperto i battenti anche nel Vecchio Continente, con la presentazione di iPad e la definizione dei progetti di Google in materia di biblioteche virtuali. Nonostante il rapido recupero tecnologico, gli editori e i consumatori europei non sono ancora maturi per sfruttare a pieno le opportunità del canale digitale. Il mercato continentale vale un decimo rispetto a quello americano (75 milioni di euro contro 750), ed è dominato dal Regno Unito, che conta il 65,5% degli introiti. L’Italia si ferma al 2,6%, contro il 5,3% della Francia e il 25,8% della Germania. Le principali deficienze europee in materia di e-book sono tre: bassa penetrazione dei lettori digitali e numero limitato di titoli in catalogo, l’assenza in molti paesi dei grandi attori del settore (Amazon e Google sono assenti in Italia, Spagna e Svezia), la poca chiarezza dei modelli di business adottati, scarsamente sostenuti dai rispettivi governi statali.
Per quanto riguarda la prima problematica, in Italia si contano settemila volumi digitalizzati a disposizione dei 470mila utenti che già possiedono un lettore apposito. Decisamente pochi per poter sperare di indirizzare il pubblico nostrano all’acquisto di un e-reader, aggeggio molto utile in potenza ma in pratica vezzo per pochi vista la ridotta libreria presente sul web nella nostra lingua madre. La grande industria di settore non ha ancora aggredito il mercato dello Stivale, poco allettante per questioni numeriche e di profilo. L’italiano resta lingua per pochi e nel Belpaese i lettori forti sono una minoranza esigua. Per questo gli investimenti chiave dipendono dagli operatori nazionali (editori, distributori, commercianti online, provider) più che dalle grandi multinazionali come Google e Amazon, che comunque in futuro proveranno a conquistare anche l’Italia. Quanto ai modelli di business, l’Italia presenta un grande calderone di iniziative, più o meno riuscite. Mentre i distributori scarseggiano (sono essenzialmente sei), proliferano i rivenditori online (oltre venti). Tra questi Internet Bookstore, Bol.it e il portale delle Librerie Feltrinelli, che sono l’estensione web di librerie fisiche e offrono un modello misto, in cui i libri digitali rappresentano solo una piccola parte del business, basato sulla vendita online di libri cartacei, dischi, dvd. Il Libraio e Rizzoli.it sono invece rivenditori online puri. Book Republic ha scelto di trattare esclusivamente e-book, così come Isbn Reader, primo esperimento nazionale di un editore (Isbn appunto) che ha provato a fare tutto in casa, con app studiate per e-reader e tablet. Novità di fine 2010 è Biblet Store, libreria online nata dall’investimento di Telecom Italia che, sul modello di Amazon, sta provando a costruire un sistema proprio che prevede un lettore digitale, un catalogo costruito grazie ad accordi con i singoli editori e una distribuzione diretta.
La struttura cresce in maniera poco organizzata, privilegiando gli store senza sviluppare adeguatamente i contenuti. Restano poi le disfunzioni di sistema. Un e-book italiano costa mediamente il 25% in meno della sua equivalente versione cartacea in prima edizione (non economica, quindi), mentre nel Regno Unito e negli Usa la differenza è del 40-50%. L’Iva sui titoli digitali è del 20%, a dispetto del 4% agevolato per le copie cartacee. Gli utenti sono pigri e spesso poco informati, anche se la curiosità per il nuovo formato è alta, almeno quanto il numero degli scettici. Il dato di penetrazione degli e-book in Italia, fermo allo 0,2% del settore, è sconfortante, ma la storia dell’editoria digitale è solo all’inizio. Il libro elettronico può avere un futuro roseo, specie in settori specifici come la scolastica e la manualistica. Pratico, poco costoso, interattivo. Ma, al momento, è come se non esistesse. E il fascino altero della carta resiste.
Apple e Google hanno lanciato in pochi giorni due servizi rivolti agli editori che vogliono vendere i loro contenuti. L'offerta è diversa, non soltanto nella spartizione dei ricavi. Nel caso di Google è multipiattaforma, "entra" nei siti di news online che aderiscono all'offerta, dando una sorta di piattaforma di ecommerce comune, si adatta a tutti i device e al negozio di applicazioni Android. Nel caso di Cupertino è più centralizzata e legata all'Appstore.
Google One Pass consente agli editori di vendere abbonamenti, singoli articoli e altri contenuti online. L'utente che arriva su un sito partner clicca una news, vede un'anteprima dell'articolo, finisce sulla piattaforma di pagamento di Google e una volta sottoscritta una formula di abbonamento, o fatto il login con il profilo creato precedentemente, ha accesso all'articolo. È possibile utilizzare il sistema anche per i pagamenti all'interno dell'Android market.
«Da tempo dialoghiamo con gli editori - spiega al Sole24ore.com Madhav Chinappa, responsabile sviluppo partnership strategiche di Google per l'area Emea (Europa, medioriente e Africa) -. È emersa la necessità di innovare e sperimentare nuovi modelli di business. Ci vuole una tecnologia efficiente per mettere a pagamento i contenuti digitali, compito estremamente difficile. Abbiamo deciso di collaborare, mettendo a disposizione una piattaforma che possa essere trasversale».
Una volta registrato un account, l'utente avrà la possibilità di utilizzare lo stesso servizio su altri siti partner. Gli articoli potranno essere letti su pc, notebook, cellulari o tablet. La scelta delle modalità di pagamento e delle piattaforme spetta agli editori. I ricavi della vendita dei contenuti sono divisi in questo modo: il 90% agli editori, il 10% a Google.
Per la gestione del pagamento viene utilizzato Google checkout, piattaforma lanciata da Mountain View nel 2006 per i siti che fanno ecommerce. I primi editori che hanno aderito alla sperimentazione sono Focus Online (Tomorrow Focus), stern.de e Axel Springer in Germania, Nouvel Obs in Francia, Prisa in Spagna e Rust Communications negli Stati Uniti. «Entro marzo lanceranno il servizio - afferma Chinappa - ma alcuni partner lo renderanno operativo già da settimana prossima. Speriamo di poter fare lo stesso a breve anche in Italia, l'idea è stata accolta molto bene».
Quello di Apple è invece un servizio di abbonamento per i contenuti distribuiti dal negozio digitale App store e usufruibili su iPhone e iPad. La durata dell'abbonamento è variabile e modificabile dall'utente. Sembrerebbe dunque riguardare più le versioni di quotidiani e riviste studiate per tablet e device portatili che i siti di informazione online. Differente anche la spartizione dei ricavi: il 70% va all'editore, il 30% a Apple. Il ceo Steve Jobs ha poi spiegato che «quando l'editore porta un utente esistente o un nuovo abbonato all'app, l'editore mantiene il 100 percento e Apple non guadagna nulla». Viene chiesto all'editore che sta facendo un'offerta di abbonamento al di fuori dell'app, di farla anche all'interno dell'applicazione, con le stesse o migliori condizioni.