Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Secondo alcune indiscrezioni pubblicate sul New York Times (richiede sottoscrizione) Amazon.com, sarebbe in procinto di lanciare un nuovo servizio per il download di film e programmi televisivi che potrebbero poi essere masterizzati direttamente su cd. L’articolo riporta come sarebbero già in corso alcune trattative con grosse case produttrici quali Paramount Pictures, Universal Studios and Warner Bros.In questo modo la principale libreria on-line al mondo si troverebbe a rivaleggiare ad armi pari con iTunes, che già da tempo offre con buoni risultati l’accesso a video musicali e serie televisive di successo.Un ulteriore motivo di dispiacere per la Apple deriva da fatto che Amazon pare sia intenzionata a lanciare a breve anche un servizio di download di brani musicali oltre ad un proprio lettore MP3, con la chiara intenzione di porsi in concorrenza con iTunes anche in questo settore, che si sta affermando, almeno in America come uno dei principali canali distributivi per la musica.Se quindi almeno per ora Steve Jobs può dormire sonni tranquilli, forte del suo recente primato di 1 miliardo di download di brani musicali dal famoso iTunes, la situazione potrebbe rapidamente complicarsi per la Apple, visto la popolarità ma soprattutto la vasta base di utenti che Amazon può mettere in campo.
Internet è un media che suscita grandi entusiasmi e grandi paure: se ne vedono le grandissime potenzialità ma i soldi buttati in tante avventure della new economy o anche in progetti di siti sbagliati e costosi hanno reso guardinghe le aziende.
A questo bisogna aggiungere il fatto che spesso chi deve prendere decisioni all’interno dell’azienda ha una familiarità solo parziale con il mezzo e dunque non sa precisamente cosa potrebbe farci e, aggiungiamo, cosa non può oppure non dovrebbe.
Ancora, per qualche arcano motivo anche le aziende più strutturate quando approcciano la rete lo fanno senza alcuna strategia e con molta improvvisazione, come se quasi non si trattasse di un’attività aziendale.
Il risultato spesso è che l’impresa si affida a dei fornitori di tecnologia o a delle web agency, anche molto brave, senza sapere davvero cosa vuole dalla tecnologia e/o dalla grande rete e quali possono essere mezzi e obiettivi più adatti al proprio business.
Per questo, parlando due lingue “tecniche” diverse, l’azienda e la web agency si capiscono solo in parte e per questo, anche se sono in buonissima fede, spesso gli investimenti diventano onerosi e, soprattutto, non produttivi.
Per lo stesso motivo, o per passate esperienze negative, c’è chi si ferma ancora prima e ci rinuncia.
Quale potrebbe essere la soluzione?Beh, potrebbe stare in una nuova figura professionale, una persona che si intenda di management e di problemi aziendali avendoli vissuti sulla propria pelle e, allo stesso tempo, abbia una buona pratica di tecnologiche informatiche, utilizzate in prima persona.
Non un tecnico dunque ma una figura che capisca sia la lingua degli informatici sia quella degli uomini d’azienda. E traduca per entrambi le rispettive esigenze.
Quanto detto può sembra una banalità ma alla prova dei fatti della mia personale esperienza non è così, questi problemi di formulazione di una strategia e di comprensione reciproca invece incidono per una percentuale pesantissima sulla riuscita dei progetti sul web (o comunque basati su nuove tecnologie).
I costi aggiuntivi per l’azienda sono in linea di massima modesti, in quanto è perlopiù un’attività data in outsourcing ad un consulente che permette, oltre tutto, di far risparmiare molto tempo e fatica (inutile) al personale interno.
Si tratta dunque di un supporto molto semplice che può risolvere tanti problemi prima ancora che si verifichino o, almeno, può permettere di capire in anticipo se un progetto è realmente fattibile e produttivo oppure no.
Non è così semplice trovare la professionalità descritta però è sicuramente un settore con un buon futuro in quanto nessuno può davvero più prescindere da Internet e dalle nuove tecnologie per fare business ma è giusto che ciascuno possa ottenere il massimo in proporzione ai propri obiettivi ed al proprio budget.
Internet può dare grandi soddisfazioni con piccoli costi, basta sapere come gestirlo con intelligenza e sapendo fin dall’inizio cosa si vuole fare e con che mezzi.
LINKS UTILI
Mini book 'Come fare business su Internet e vivere felici (con il proprio budget)'
GIANLUIGI ZARANTONELLO
Google, protagonista assoluto in molti blog italiani e non, sempre pronti a pubblicare il minimo rumor dove si parli della grande G, ha finalmente deciso di aprire un corporate blog in lingua italiana. Inaugurato ufficialmente lo scorso 3 aprile ha visto come primo articolo pubblicato un post di Stefano Hesse, Corporate Communications Manager.Calcio d'inizioFin dal mio primo giorno in Google, ho cominciato a pensare che un blog ufficiale di Google Italia, insomma, avremmo dovuto farlo. Nel frattempo, di cose da lanciare ne abbiamo avute diverse, alcune sono nel menu’ qua a destra, altre saranno online tra un po’.Ora e’ tempo di blog. Siamo entusiasti di poter aprire questo spazio. Posteremo regolarmente, a seconda di quello che al momento ci sembrera’ piu’ attuale. Oh si, parleremo anche di prodotti e di chi li gestisce, avremo modo di raccontare meglio alcuni aspetti di quello che facciamo e, ogni tanto, leggeremo anche qualcosa scritto da qualche ospite speciale.Ovviamente questo blog cambiera’, crescendo. Per questo c’e’ bisogno del tuo feedback. Abbiamo creato una casella email dedicata. Speriamo di leggerti presto.Tra le peculiarità da evidenziare c’è la gestione dei commenti, filtrata tramite email. Non è possibile cioè commentare direttamente gli articoli, ma occorre inviare un’email con le proprie osservazioni, che saranno vagliate prima di essere pubblicate. In questo modo i gestori del blog evitano la presenza di commenti inopportuni o poco pertinenti, sacrificando però, almeno in parte, la trasparenza e l’interattività. Riuscirà questo blog a bissare il successo di Google come motore di ricerca? Ma soprattutto diventerà il punto di riferimento per essere sempre aggiornati sulle novità di Mountain View o sarà limitato ad una mera comunicazione istituzionale lasciando agli altri blog la pubblicazione delle anteprime e dei rumors più interessanti?
Quest'ultimo anno abbiamo visto finalmente anche in Italia alcune nuove tipologie di banner nel tentativo, finalmente, di andare oltre ai classici banner tradizionali
Iniziamo subito con il dire che in quest'ultimo anno abbiamo visto finalmente anche in Italia alcune nuove tipologie di banner nel tentativo, finalmente, di andare oltre ai classici banner tradizionali.
Certo, numerose sono le aziende italiane che approciando al web per la prima volta, hanno utilizzato (e continuano ad utilizzare) i classici banner seguendo gli standard IAB internazionali: stiamo parlando del large rectangle (336x280 pixel), dello skyscreaper 120x600 (Pixel) e del leaderboard (728x90).
Rimangono utilizzati, soprattutto per le sponsorizzazione fisse, non basate sul CPM (costo per migliaia di impressions) anche i banner 120x60 pixel o 120x90 una sorta di manchete simile a quelle che si trova accanto ai titoli dei giornali sulla stampa cartacea.
La stragrande maggioranza di questi banner "canonici" viene realizzata in Flash che permette sicuramente un maggior impatto visivo. A livello di risultati, il large rectangle è sicuramente quello che, generalmente, registra i risultati migliori, anche perchè spesso è ben posizionato all'interno degli articoli o all'interno di gallery fotografiche, molto apprezzate da una buona parte di utenti.
Il leaderboard risulta avere un minor click-trough rispetto al large rectangle, probabilmente per la sua posizione che si colloca nella parte superiore dello schermo dove l'utente è meno restio a prestare attenzione interessato soprattutto a leggere i contenuti della pagina web che ha aperto. Stesso discorso vale per lo sky-screaper a cui gli italiani si sono, forse, fin troppo abituati e che, nonostante accompagni verticalmente, la lettura del contenuto di una pagina web, è il banner, tra quelli classici ad avere in proporzione un minore numero di click.
Non a caso, iniziano a vedersi già da diverso tempo, dei nuovi formati di skyscreaper, chiamati mini-skyscreper 120x240 (si vedono spesso su Repubblica.it) che seguono il lettore durante lo scrolling della pagina, attirando con la propria dinamicità maggiormente l'utente.
Anche per quanto riguarda i leaderboard iniziano ad essere creati dei formati estendibili, ovvero che quando una persona apre la pagina dove è contenuta tale creatività o ci passa sopra il mouse, il leaderboard si espande per arrivare a coprire un buon pezzo della parte superiore della pagina web, per poi "ritirarsi" in automatico.
Il trend attuale è quello, dunque, di creare dei banner in flash più dinamici, che consentano addirittura di giocare all'interno del banner.
Abbiamo parlato di Ibm non a caso, perchè insieme a Microsoft e ad alcune società di case automobilistiche, sono le società che più stanno provando nuovi formati pubblicitari. Microsoft ha fatto un uso molto forte di creatività basate sul fumetto, ma anche dei cosidetti overlay, ovvero animazioni in flash che si caricano sopra il contenuto che si sta leggendo per scomparire dopo una decina di secondi. A qualche utente questo tipo di pubblicità non piace, ma i risultati sono più che buoni e d'altra parte i pubblicitari come fanno da anni in Tv, cercano in tutti i modi anche sul web di attirare l'attenzione dell'utente.
Molto simile alla pubblicità televisiva sono gli interstial, anche questa una forma di creatività che spesso si ritrova su Repubblica.it, che consiste in una pagina vera e propria che si apre a tutto schermo mentre si aspetta il caricamento della pagina per la quale abbiamo cliccato.
Di solito l'interstial dura una decina di secondi e dalle ultime statistiche sembra essere ben "sopportata" dall'utenza.
D'altronde, come ai tempi delle prime polemiche riguardanti i pop-up e dei pop-under considerati troppo invasivi (da sottolineare che nonostante la diffusione dei software per bloccarli sia i pop-up che i pop-under vengono sempre utilizzati con risultati sopra le medie) gli utenti accettano queste forme pubblicitarie in cambio di contenuti interessanti.
Più i contenuti sono interessanti e gratuiti (parola sempre magica !), più gli utenti sono disposti ad accettare forme pubblicitarie simili a quelle televisive (con tempi, però, molto più ridotti). Sullo stesso livello, si possono considerare i video-web, della durata di 10-15 secondi, che compaiono prima del caricamento di un video (vedi ad esempio Rosso Alice) o all'interno di un large rectangle (vedi la homepage di Repubblica). Spesso il video caricato è lo stesso filmato, ovviamente più corto, che viene proposto in televisione: ripetere lo stesso messaggio pubblicitario su più mezzi è uno dei principi base di qualunque tipo di pubblicità per far ricordare il proprio messaggio al pubblico. E il web, grazie ai video e alla sua interatività, può sicuramente rafforzare il messaggio del classico spot televisivo.
Il vero problema di tutte queste forme pubblicitarie è la velocità con cui l'utente naviga su Internet. Senza Adsl, le cose iniziano a diventare più complicate e l'utente può rimanere frustato per l'attesa dei caricamenti. Ma la colpa, come ben sappiamo, non è della pubblicità e dei pubblicitari...
Per il consumatore, il brand rappresenta l’essenza stessa dell’azienda: i suoi valori, il suo mondo di riferimento. E’ il brand che, spesso, più dei prodotti definisce un’azienda. E, infatti, viene spesso affermato che il brand è la risorsa più importante.
E online ? L’essere umano è tendenzialmente abitudinario. Tende a trovarsi dei punti di riferimento, da usare come guida per la sua vita e le sue attività, e a tenerseli stretti.
La fase di esplorazione, di scoperta, di ricerca nel grande mare di Internet è tendenzialmente una fase iniziale. Si usa il web alla ricerca dell’inaspettato, si esplorano molte differenti possibilità. Poi si costruiscono i propri punti di riferimento, si identificano i siti che hanno dimostrato di poter rispondere in modo abbastanza efficace alle proprie necessità. E si tende a diventare progressivamente sempre più fedeli a quei punti di riferimento.
E non citare qui Google è impossibile…
Tutto ciò contribuisce al costituirsi di un ristretto numero di Killer Sites, siti che sono il punto di riferimento per una larga parte di utenti – tipicamente non più di un paio per categoria. Questi siti possono facilmente diventare i dominatori del loro settore e rendono la vita molto difficile ai loro competitors.
Del resto, si sa, lo dicono tutti… questi sono i siti “buoni” … il che equivale a dire che queste aziende sono state capaci di creare un fortissimo brand per i loro prodotti. E questo brand funziona da potente calamita per attrarre sempre più utenti, che a loro volta spargono la voce, innescando un circolo virtuoso (vedi alla voce “Viral Marketing”).
E’ evidente quanto un brand forte sia particolarmente importante per i siti che operano nel settore del commercio elettronico. Una cattiva esperienza su un sito che promette un servizio gratuito non lascia grandi danni. Se però si tratta di soldi, si diventa subito più cauti e si preferisce comprare (specialmente se si usa la carta di credito) da retailer affidabili; la notorietà (e quindi la forza del brand) è un elemento fondamentale per costruire una percezione di serietà e sicurezza.
Come visto, il navigatore poco smaliziato preferirebbe avere degli indirizzi certi cui rivolgersi per avere informazioni / servizio / prodotti di buona qualità a ‘colpo sicuro’. Del resto, ognuno di noi ha la propria lista di negozi ‘reali’ dove sa che il rapporto prezzo/prodotto/servizio è soddisfacente – e quasi tutti tendiamo ad avere quel certo numero di punti vendita che frequentiamo regolarmente. E se vogliamo leggere notizie di carattere finanziario, conosciamo bene quali testate possono darcele ed andiamo in edicola con le idee piuttosto chiare. Tutto grazie (anche) alla forza del brand.
Supponiamo che il nostro sito e la nostra offerta siano “a prova di bomba”. Resta il problema di generare accessi al sito. Siamo messi nelle condizioni standard della maggior parte dei proprietari di siti del mondo. Siamo qualcuno? La gente sa che esistiamo? Speriamo solo nei motori di ricerca?
Possiamo (anzi dobbiamo) costruire la consapevolezza che ci siamo e che dobbiamo essere visitati. La forza del nostro brand aiuta a far scattare l’associazione, nella mente del nostro target, tra una esigenza da soddisfare in rete e… il nostro URL. E se siamo ben presenti nella testa, la gente verrà da sola, senza dover aspettare di vedere il nostro banner per sapere che ci siamo anche noi.
Ma… senza una chiara impostazione strategica non si va da nessuna parte. Senza avere a disposizione le necessarie professionalità nell’ambito del (web) marketing e della strategia sarà molto difficile riuscire ad impostare una operazione di successo. Pensare prima di agire. Possibilmente trovarsi dei partner di alto livello nello sviluppo delle proprie operazioni di web marketing in grado di dare un servizio che non si limiti a grafica e tecnologia.
Insomma, il nostro brand è come la nostra reputazione personale. La faccia ce la mettiamo noi. Se il mercato ci conosce e ci stima verrà a servirsi da noi.
Roberto Venturini
Il mondo delle applicazioni software, incluse quelle dedicate al business, è continuamente in movimento e le novità si susseguono a ritmo continuo.
Due però sono le tendenze che sembrano davvero essere vincenti per il settore del software per il web per i siti business.
In primo luogo aumentano, soprattutto grazie alla timida ma costante avanzata delle tecnologie di tipo open source, le possibilità di customizzare il software, naturalmente per queste modifiche sono necessarie delle competenze specifiche non facilmente disponibili in azienda, per questo alcune società informatiche si stanno oggi dedicando alla fornitura e alla configurazione di prodotti personalizzati su misura per le singole imprese.
Poter personalizzare il software non è certo un fatto da poco: come tutti i prodotti pensati in modo tradizionale anche i programmi sono progettati per le esigenze di uno specifico segmento di mercato che corrisponde, grossomodo, alle esigenze del cliente.
“Corrisponde grossomodo”: questo punto è importante perché nessuna azienda è realmente uguale ad un'altra e dunque disporre di un prodotto standard comporta quello che per i privati viene definito il “sacrificio del consumatore”. L'impresa si deve adattare allo standard, con dei compromessi e dei limiti alla propria attività. Non così invece per il software adattabile e customizzabile per rispondere precisamente alle esigenze dell’attività imprenditoriale di cui è al servizio.
Le più recenti teorie di marketing inoltre parlano di miniaturizzazione dei segmenti e di servizio one-to-one per il cliente, individuato come persona singola con le proprie caratteristiche e necessità.
Il web sicuramente è il mezzo dove tale paradigma, basato sulla relazione con il cliente e sulla raccolta ed archiviazione di informazioni su di esso, è più facilmente raggiungibile.
Questo è un approccio, e come tale esso richiede un atteggiamento imprenditoriale ma anche degli strumenti adeguati, oggi disponibili sul mercato in modo accessibile alle pmi.
Le suite oggi disponibili fatte per il web marketing one to one ed il crm infatti permettono di capitalizzare le relazioni con i clienti, interagendo con loro in tempo reale tramite sistemi di assistenza online e immagazzinando dati utili, sfruttabili poi per azioni di marketing di vario tipo.
In più sia gli invii di email newsletter personalizzate sia la customizzazione dei contenuti dei siti è realmente possibile.
Due dunque sono i concetti chiave che saranno da tenere presenti per il futuro dei software per il web: personalizzazione della tecnologia e relazioni con il cliente.
Le aziende che vogliono investire sul web non dovranno farsi sfuggire questo trend.
Gianluigi Zarantonello
L’onnipresenza di Google è ormai da mesi argomento quotidiano di discussione in numerosi siti e blog. Una recente newsletter di Buongiorno, Osservatorio High Tech, stimola qualche ulteriore riflessione . Oggi più che mai infatti Google offre una serie progressivamente crescente ed estremamente differenziata di servizi, che hanno cambiato, almeno in parte, il modo di utilizzare internet di una considerevole percentuale dei navigatori più esperti.Mapping, VoIP, Wi-Fi, posta elettronica, word processing, riconoscimento vocale, document management, blogging, mappe: non passa settimana senza che venga pubblicato qualche rumor su una prossima iniziativa di Mountain View, spesso seguito dalla beta release ufficiale.Nonostante i numerosi progetti in corso e le varie acquisizioni che hanno come protagonista la grande G il “core business” sembra però rimanere internet, in un concetto esteso di rete che rivoluziona in parte il tradizionale e ormai maturo concetto di advertising on-line e di pay per view.Questa iperattività ha finora fornito buoni risultati, con tassi di crescita e fluttuazioni in borsa più adatte ad una realtà in rapida evoluzione che ad un’azienda stabile e consolidata. La prima trimestrale del 2006 ha infatti evidenziato un incremento annuo in termini di fatturato del 79% (per un totale di 2,25 miliardi di dollari) e del 60% per quanto riguarda l’utile, corrispondente a 592,3 milioni di dollari, oltre il 17% rispetto al trimestre precedente.Quali saranno le prossime mosse del motore di ricerca più famoso al mondo? Una prima interessante tendenza, prevalentemente europea, è il crescente interesse di molti operatori internet per i contenuti accessibili con dispositivi wireless, in particolare con i cellulari, che vantano in numerosi Paesi tassi di diffusione elevatissimi.
Secondo il Wall Street Journal Google è fortemente orientato alla ricerca geolocalizzata, e l’ampliamento delle funzionalità offerte da Google Map disponibili recentemente anche nella versione per cellulare, sembra anticipare la prossima battaglia di Page e Brin, che con ogni probabilità riguarderà il wireless e la mobilità.
La ITU ( International Telecommunication Union) ha dato il grande annuncio (di cui i rumors giravano da tempo). A partire dall’anno 2015 scomparirà Internet dai cavi telefonici transoceanici (e dal 2030 –circa - da tutti gli altri cavi telefonici).La trasmissione dei dati da un continente all’altro avverrà, da quella data, attraverso una nuova tecnologia – classico esempio di trasferimento di know-how dal mondo militare a quello civile.Il progetto Sea Transfer InternetTutti sanno che le onde acustiche si trasmettono sott’acqua per migliaia di km: lo sanno le balene, che si parlano da distanze incredibili, lo sanno i sonaristi dei sommergibili US che sono in grado di riconoscere una nave a 5000 km analizzando la sua traccia sonora.Grazie ad anni di ricerche condotte principalmente dal MIT e dal CERN (il centro inventore del web), si è arrivati a sviluppare una tecnologia di trasmissione subacquea che combina la capacità di propagazione a lunga distanza delle onde acustiche a bassa frequenza con la capacità di portare banda propria delle onde elettromagnetiche di corta lunghezza d’onda. Il risultato è capacità di banda stimata attorno ai 7 – 8 Tbs, almeno nella prima versione del sistema.La rete di trasmissione sarà disponibile in tempi cosi brevi (e a costi relativamente contenuti) in quanto saranno almeno parzialmente convertite a questo progetto le vaste reti di ascolto subacqueo (come ad esempio l’americana SOSUS) sviluppate dalle grandi potenze negli anni della guerra fredda, che coprono quasi tutti i mari del mondo e che oggi hanno perso gran parte della loro utilità strategicaA partire dal 2020 si estenderà il protocollo ST-Internet anche (ove possibile) alle acque interne, utlizzando quindi grandi laghi e grandi fiumi come backbone di una Internet sempre più capillare e probabilmente senza costi di connessione, data l’economicità delle tecnologie e la quasi totale assenza di infrastrutture dedicate.Nel 2025, secondo il protocollo d’intesa che si firmerà lunedi', si inzieranno poi a cablare anche gli acquedotti locali, di modo che entro 5 anni, si possa disaccoppiare Internet dalla rete telefonica e convogliare la rete attraverso le tubature dell’acqua.Senza arrivare alle ipotesi da fantascienza di certi scienziati dell’ITU che prevedono (in modo un po’ ironico) l’assegnazione di un numero IP ad ogni rubinetto, un domani sarà proprio a questo accessorio che ci potremmo collegare, in caso di nomadismo digitale, per connetterci in rete.Al CEBIT sono già stati annunciati, oltre ai primi router in grado di collegarsi all’iimpianto idraulico, prototipi di adattatori da rubinetto a porta Ethernet (ovviamente con dell’elettronica di mezzo e non dell’idraulica…) e il prototipo di una fontanella urbana che potrà convertire questo utile pezzo di arredo urbano in centralina Wi-Fi.Grandi vantaggi dunque – ma anche grandi problemi.Il primo problema è legato al fatto che, come detto, le reti intercontinentali di comunicazione non trasporteranno più Internet, e saranno destinate ad altro uso.La condizione che hanno posto le major delle telecomunicazioni mondali per accettare questo progetto, è stato di rendere il ST-Internet incompatibile con il VoiP, assicurandosi che il protocollo Atlantic Protocol Release Internet Long distance (che sostituirà nella trasmissione sottomarina il TCP/IP) non possa reggere i pacchetti voce “gratuiti” ne’ essere hackerato in tal senso.Le telefonate gratuite in rete sono dunque destinate a scomparire entro pochi anni, permettendo alle Telco di recuperare sul traffico voce i fatturati che perderanno sul traffico dati (si presume infatti che il collegamento alla Rete diventerà sostanzialmente universale e gratuito).Il secondo problema è di stampo ecologico.L’uso di onde acustiche subacquee è probabilmente destinato a creare problemi ai cetacei. Anche se la banda usata da ST-Internet sarà molto stretta e e le onde acustiche polarizzate in senso ortogonale ai fondali marini, non si può escludere che le armoniche causate dall’interferenza del segnale sonoro con i fondali possano disorientare i cetacei.Conditio sine qua non dell’accordo dell’ITU, dunque, è stato il nulla osta della Preservation Entity for Safeguard of Cetacean on planet Earth, l’organismo transnazionale che, come è noto si occupa dei temi legati alla protezione (e sfruttamento commerciale…) dei cetacei.Questo ente ha infatti allestito un ambizioso piano che prevede di catturare temporaneamente (con l’aiuto delle principali fondazioni oceanografiche e delle flotte baleniere giapponesi e norvegesi) almeno il 56% dei cetacei adulti presenti nei mari, entro la messa in opera di ST-Internet; per dotarli di appositi filtri acustici in grado di discriminare il segnale artificiale umano (filtri immediatamente battezzati, in modo dispregiativo “paraorecchi” o “cuffiette” da parte dei detrattori). Con l’occasione si collocherà a bordo dei cetacei di maggiore dimensione anche un apparato di localizzazione GPS, che permetterà agli studiosi di comprendere molto di più sulla vita ancora misteriosa di questi colossi marini.Non c’è bisogno di sottolineare come questa decisione abbia già causato vigorose proteste di gran parte delle organizzazioni ecologiste, che non sembrano però destinate a spuntarla dati gli enormi interessi in gioco. Anche perché il ruolo dei cetacei non dovrebbe solo di essere vittime ma anche di “collaboratori” della rete: dopo il 2030 si ipotizza infatti, all’atto della sostituzione dei filtri sui cetacei, la installazione sopra questi animali di “hotspot” o ripetitori di segnale che permettano una maggiore ridiffusione, granularità e potenza del segnale sottomarino.In maniera correlata, sempre da quella data (ma questa non è una ipotesi bensì una decisione già presa) ogni imbarcazione sopra i 5 metri di lunghezza e che navighi ad oltre 300 metri dalla costa dovrà avere installato un proprio piccolo ripetitore ST-Internet con antenna sommersa per costruire una rete a maglie sempre più fini ( è già infuriano nel mondo del diporto le polemiche su chi dovrà pagare per l’acquisto e la manutenzione dell’apparato).Anche se la decisione finale è già stata presa ai più alti livelli internazionali e le macchine sono già in marcia è opportuno riflettere.Il compromesso che ci viene proposto è complesso, è pesante: la perdità della libertà di telefonia over IP e potenziali danni ai cetacei marini, in cambio di un Internet gratis per tutti ed ubiquo.Per i privati è una decisione difficile, piena di pro e di contro. E forse possiamo anche fare poco, contro gli enormi interessi e gli straordinari benefici che particolari categorie potranno trarre da ST-Internet, prime fra tutti l’industria ittica (qualsiasi nave sarà sempre e ovunque connessa in rete senza costosi apparati satellitari), le aziende della trasformazione agroalimentare ( si veda il video ) o gli esperti di content providing.Roberto Venturini
Quando sentite dire che in rete si trova davvero di tutto, beh non è una leggenda metropolitana. Specie se volete fare dello shopping online, e magari vi trovate dalle parti di Yahoo! Shopping.
Se poi siete appassionati di armi, di mitragliatori magari (sembrano molto in voga in questo periodo), se pensate "ma sì anche usati vanno benissimo", non sapete dove trovarli e avete poco meno di 3000 dollari in tasca, la risposta per voi è: Yahoo! Shopping. Miracoli dell'ecommerce, della Niu Economi come la chiama simpaticamente qualcuno.
Guardate che non scherzo. Lo trovate sul serio. Questo è un piccolo screenshot di un M2 "Ma Deuce" che ho trovato:
Di seguito invece un piccolo estratto dal sito del merchant:
This is the real deal folks, not an imitation, and quantities are extremely limited. Don't miss out!
Here's more:
- All working parts still function... top opens, operating handle moves and is spring loaded, trigger moves but does not fire
- Original Parkerized finish
- Overall length is 65", with 45" barrel
- Weighs a battle-ready 85 lbs.
- Note: does not include tripod. (il treppiedi ve lo dovete comprare a parte)
Putroppo per voi il grilletto non funziona, quindi se non sapete come ripararlo...
La domanda è: chi controlla il controllore?
[fonte Marketing Routes]
MTV , il network televisivo che ha un ruolo centrale nella diffusione della cultura musicale contemporanea, sta per entrare nel mercato della musica digitale grazie alla piattaforma URGE, un vero e proprio anti-iTunes sviluppato insieme a Microsoft .
URGE verrà integrato nelle prossime versioni di Windows Media Player e permetterà di accedere ad un vasto repertorio digitale ricco d'oltre due milioni di canzoni.
Il servizio, operativo sin dai prossimi giorni, offrirà tariffe flat mensili per l'ascolto di radio digitali o per ottenere l'abilitazione al download illimitato di tracce audio: con 9,95 dollari al mese, si legge sul New York Times , sarà possibile ascoltare le canzoni in streaming mentre con 14,95 dollari si potranno caricare le canzoni sui propri player multimediali. I file saranno poi acquistabili singolarmente al prezzo di 99 centesimi , in linea con lo "standard" imposto da Apple.
Il formato digitale delle tracce vendute su URGE è compatibile con i lettori multimediali prodotti da Samsung e con qualsiasi altro apparecchio di riproduzione che utilizzi i DRM Microsoft. Anche MTV ha abbracciato la strategia adottata da RealNetworks e Napster : i file della libreria URGE non sono assolutamente compatibili con i lettori della famiglia iPod.
MTV intende utilizzare URGE come canale preferenziale per la vendita di contenuti esclusivi : registrazioni di concerti e trasmissioni televisive, speciali e programmazioni radiofoniche dedicate all'audience di URGE. Secondo Phil Leigh , uno dei maggiori esperti statunitensi nel campo dei nuovi media, MTV è destinata ad avere un grande successo in questa nuova impresa.
Il brand di MTV è già vincente", dice Leigh, "specialmente su quei segmenti demografici di consumatori che utilizzano più volentieri le tecnologie digitali". L'accoppiata tra l'esperienza ventennale di MTV nel ruolo di trendsetter e l'onnipresenza di Windows Media Player, praticamente diffuso su qualsiasi terminale informatico equipaggiato con Windows, potrebbero rappresentare un problema non da poco per Apple, oggi leader pressoché incontrastato del settore.
Via Punto Informatico
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