SpotX, la principale piattaforma di video advertising e monetizzazione per i proprietari di media, presenta oggi un’infografica sulla previsione di crescita delle opportunità pubblicitarie per la TV connessa in Europa. La rappresentazione visiva della ricerca commissionata da SpotX illustra la crescita dell’advertising su TV connessa, definito come contenuto trasmesso sullo schermo televisivo tramite internet aperto per mezzo di dispositivi quali smart TV, console di gioco, servizi di streaming multimediale come Amazon Fire Stick, Chromecast ed Apple TV, oltre agli abbonamenti ai canali TV a pagamento. È prevista una rapida crescita pari a oltre il 200%: dai 225 milioni di euro del 2016 agli 825 milioni di euro del 2020.
L’infografica si basa sulla ricerca curata da MTM, una società di consulenza strategica e di ricerca, incaricata daSpotXdi delineare le dimensioni delle opportunità pubblicitarie per la TV connessa in Europa. Sono in costante crescita il progresso della tecnologia AVOD (advertising-funded Video-on-Demand) e il desiderio, da parte di brand e agenzie, di abbinare le inserzioni pubblicitarie ai programmi premium; la ricerca dimostra che il mercato è ormai pronto per una rapida crescita tra i 5 principali mercati europei per la pubblicità televisiva.
Locomotiva UK
Il Regno Unito, secondo l’infografica, è il principale mercato europeo in termini di pubblicità su TV connessa, con un valore previsto di 250 milioni di euro nel 2020. Il mercato britannico sarà caratterizzato da un tasso di crescita annuo composto (CAGR) pari al 19%, ottenuto tramite la maggiore interazione degli utenti con la tecnologia della TV connessa unitamente all’impegno delle emittenti verso l’offerta di servizi leader del settore, come ITV Hub e BBC iPlayer.
Italia
Una rapida crescita dell’advertising su TV connessa viene evidenziata per l’Italia, con i partecipanti alla ricerca che prevedono un CAGR dell’80% tra il 2016 e il 2020. L’infografica mostra che nel prossimo biennio, in base alle previsioni, il mercato raggiungerà un valore di 105 milioni di euro rispetto ai 10 milioni del 2016. I miglioramenti nella rilevazione dell’audience indicano che l’industria italiana si sta preparando a questa innovazione con l’aumento dell’interesse, da parte dei consumatori, verso il video on demand.
Francia
Oltre a una solida cultura dell’IPTV, l’infografica mette in evidenza che la Francia si caratterizzerà per il secondo reddito pubblicitario più elevato per la TV connessa, con un valore quantificato in 240 milioni di euro dagli esperti del settore e generato, secondo le previsioni, dalla pubblicità trasmessa tramite internet aperto agli schermi TV entro il 2020. A supporto di questa crescita sono già in essere fattori determinanti del mercato, come una buona diffusione e velocità della banda larga, e inoltre le emittenti aumenteranno gli investimenti in app e servizi TV.
Germania
L’infografica traccia la crescita della pubblicità su TV connessa in Germania: dai 50 milioni di euro del 2016 ai 125 milioni di euro del 2020, con un CAGR del 24%, e previsioni che la indicano come terzo paese più importante del prossimo biennio. I catalizzatori riportati nell’infografica evidenziano gli investimenti in corso nel mercato tedesco, ma con un’adozione leggermente inferiore da parte degli utenti rispetto ad altri paesi europei, con il 50% della popolazione che possiede una smart TV.
Spagna
L’advertising su TV connessa è valutato in 45 milioni di euro nel 2016 in Spagna, con una crescita che dovrebbe attestarsi a 105 milioni di euro nel 2020, pari ai ricavi generati in Italia. In Spagna il CAGR previsto sarà del 24%, trainato dalla domanda di inventario per la TV connessa da parte di inserzionisti e agenzie, e dalla maggiore penetrazione della smart TV nel mercato.
Forte impennata
“I dati dimostrano la forte impennata nell’adozione della pubblicità su TV connessa in tutta Europa, il che riflette la crescita già registrata negli Stati Uniti. La storia evidenziata dall’infografica è confermata dalla nostra espansione: SpotX collabora con importanti innovatori europei del calibro di STV, TV Player, Zattoo, The Box e Dugout, nell’ambito delle loro strategie per la generazione di entrate dall’advertising su TV connessa. Regno Unito, Francia e Germania trainano l’adozione di questo settore pubblicitario in Europa, seguite da mercati emergenti con un potenziale elevato, come Spagna e Italia”, ha spiegato Mike Shehan, co-fondatore e amministratore delegato di SpotX. “Questa infografica illustra la ricerca da noi condotta e dimostra come la pubblicità su TV connessa sia destinata a crescere rapidamente nei prossimi anni. Le emittenti stanno adottando la stessa mentalità del loro pubblico, che utilizza più dispositivi diversi e sceglie principalmente il digitale. Gli inserzionisti riconoscono chiaramente l’impatto della loro pubblicità trasmessa a un pubblico mirato sullo schermo della TV”, ha aggiunto Nick Thomas, direttore associato di MTM.
Di Max Da Via' (del 02/03/2018 @ 07:09:28, in Mercati, linkato 1490 volte)
Si conclude con la pubblicazione del terzo ciclo di rilevazioneAudipress, relativo al 2017, il primo anno di impianto dell’indagine basato sul metodo single source, inaugurato a gennaio dello scorso anno(vedere DailyMedia del 31 maggio 2017, ndr). I dati della ricerca sui lettorati in Italia sono prodotti dallo stesso campione per quotidiani e periodici, a cui è sottoposto lo stesso questionario, e non più da due campioni distinti. L’indagine offre uno spaccato completo dello stato delle readership per via di un campione più ampio per le due periodicità, e per la pubblicazione di tre cicli di rilevazione cumulati. E’ stato ampliato anche il campione relativo alle classi sociali superiori – imprenditori, liberi professionisti e dirigenti – in modo da rappresentare più accuratamente i comportamenti di lettura di queste categorie socio-professionali.
I risultati dell’indagine:l’andamento deI quotidiani
Dalla rilevazione Audipress 2017/III (relativa al trimestre 11 settembre – 10 dicembre) emerge un calo dei lettori per tutte le periodicità. Rispetto al precedente ciclo 2017/II (periodo 3 aprile – 9 luglio), i quotidiani hanno perso l’1,6% dei lettori, i settimanali il 2,6%, i mensili il 2,2%. Nello specifico, i lettori di quotidiani sono 16,8 milioni, il 31,7% della popolazione dai 14 anni in su, per quasi 25 milioni di letture. Sono sette le testate che superano il milione di lettori e tra queste si conferma ancora leader La Gazzetta dello Sport, grazie a una readership di 3,253 milioni. SeguonoCorriere della Sera con 2,093 milioni, la Repubblica con 2,015 milioni, Corriere dello Sport con 1,464 milioni, La Stampa con 1,085 milioni, Il Resto del Carlino con 1,048 milioni e Il Messaggero con 1,030 milioni. Complessivamente, come fa notare il Gruppo – le tre testate della Poligrafici Editoriale con il dorso nazionale in comune QN – Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno – totalizzano quasi 2 milioni di lettori, posizionandolo al quarto posto tra i quotidiani più letti. Tra i supplementi ai quotidiani il primo è il Venerdì di Repubblica con 1,269 milioni di lettori.
Settimanali e mensili
I lettori di settimanali sono 14,4 milioni, 27,2% della popolazione, con letture complessive che superano i 24 milioni. Il primo in classifica è Tv Sorrisi e Canzoni con 2,342 milioni di lettori alla settimana; seguono Chi con 2,064 milioni e Settimanale DiPiù con 1,892 milioni. Superano il milione di lettori ancheOggi (1,747 milioni), Gente (1,601 milioni), DiPiù Tv (1,459 milioni), L’Espresso (1,301 milioni) e Famiglia Cristiana (1,175 milioni). Donna Moderna è il primo femminile italiano (1,568 milioni di lettori), seguito da Vanity Fair (1,023 milioni). Infine, i mensili totalizzano 12,8 milioni di lettori (24,2% della popolazione) con una readership di oltre 22 milioni. Il più letto è Focus, a quota 4,138 milioni. Seguono Quattroruote (2,169 milioni), Al Volante (1,490 milioni), National Geographic Italia (1,219 milioni), Cucina Moderna (1,041 milioni) e Cose di Casa (1,005 milioni).
Di Max Da Via' (del 06/03/2018 @ 07:51:23, in Aziende, linkato 1383 volte)
Amazon.comvuole creare un prodotto finanziario capace di sostituire il conto bancarioe abilitare i pagamenti per chi fa shopping sul suo sito: l’indiscrezione arriva dalWall Street Journalche chiarisce cheAmazon sta cercando la collaborazione dei big del settore bancario americano, tra cui JPMorgan Chase, e che le trattative sono solo agli inizi e potrebbero non avere esito positivo. Tuttavia, la notizia è bastata a far perdere punti in Borsa alle azioni delle grandi banche Usa: “Quando i giornali scrivono cheAmazonprepara un’offerta di checking account conJPMorgan, gli investitori prima vendono e poi cercano di capire che cosa succederà”, ha commentato Adam Sarhan, Ceo di 50 Park Investments.
PerAmazonil progetto rientra in una decisastrategia di diversificazione del businessculminata quest’anno in due annunci: l’ingresso nel settore sanitario e il potenziamento di quello dei prestiti per le piccole imprese.
A gennaio, infatti,Amazonha formatouna società congiunta con Berkshire Hathaway e JPMorgan per fornire assistenza sanitariaa costi inferiori per i dipendenti delle tre aziende (e, potenzialmente, a tutti gli americani). I dettagli di questa venture non sono ancora stati svelati ma le tre partner hanno detto di esersi alleate per dare vita a una società “indipendente” il cui scopo è ridurre i costi delle prestazioni sanitarie e semplificare il sistema dell’healthcare tramite le tecnologie digitali.
A febbraioAmazonha anche annunciato unpotenziamento della sua offerta Amazon Lending, divisione lanciata nel 2011 per erogare denaro alle piccole aziende che già vendono prodotti o servizi attraverso la sua piattaforma di e-commerce; per l’espansione nel mondo dei prestiti il colosso guidato da Jeff Bezos si è alleato con la seconda banca americana per numero di clienti,Bank of America.
Il prodotto che oraAmazonvorrebbe creare ora conJPMorgano altri istituti finanziari americani servirebbe adattrarre la fascia di consumatori più giovaniche ancora non hanno un conto in banca, sottolinea il WSJ, e non implica cheAmazondiventi a sua volta una banca. Tuttavia le vendite in Borsa dei titoli bancari sembrano suggerire che molti investitori temono che il colosso dell’e-commerce passerà presto dal ruolo di alleato a quello di temibile concorrente per le banche: lo dimostrerebbe il fatto che l’azienda di Bezos sta pensando di portare il suo prodottoAmazon Pay nei negozi fisici, a partire da quelli della neo acquisita Whole Foods.
Le esperienze rivestono ormai un’importanza a tratti maggiore rispetto all’offerta aziendale proposta. Anche per via della loro capacità non solo di attrarre le persone all’interno del mondo di marca, ma soprattutto proprio per l’abilità di trattenerle in esso. Ed è una certezza che la customer retentionsia di gran lunga più conveniente rispetto alla customer acquisition.
L’attuale arena competitiva è guidata da organizzazioni e marchi che riescono a organizzare le esperienze migliori garantendosi la testa (e il cuore) delle persone, evitando così il circolo vizioso della guerra dei prezzi.
In sintesi, la competizione sul piano delle esperienze è sempre più accesa.
Per tutte le ragioni elencate finora, brand e organizzazioni devono passare da uno stato di product-mindset e dalla relativa visione prodotto/servizio-centrica (product space) a un nuovo experience space.
Uno dei nuovi fronti dell’innovazione organizzativa consiste nell’espandere tali spazi esperienziali.
Come ogni parola chiave di business diffusa a macchia d’olio, il rischio che la stessa venga approcciata in modo scorretto è alto. Questo post si pone l’obiettivo di diventare una guida per chiunque abbia necessità di approcciarsi alla progettazione e gestione di CX di rottura.
Cosa è la Customer Experience?
Di esperienze, negli ultimi tempi, si fa un gran parlare. A volte, anche in modo esagerato ed eccessivo.
·L’atto di andare al ristorante e godere del servizio di una buona cucina si chiama orafood experience (magari, accompagnata da un buon bicchiere di vino? Ecco la wine experience!)
·Il piacere di fare un bel viaggio rientra all’interno di una travel experiencesoddisfacente, la guida di una vettura performante arricchita da alcuni servizi aggiuntivi di prestigio offerti dal concessionario diventa subito driving experience
L’elenco potrebbe continuare all’infinito: ci sono anche i casi della catena di alberghi internazionale Radisson Blu, che propone ai propri ospiti l’organizzazione di experience meetings e di MSC Cruises, compagnia di crociera che ha lanciato insieme a Technogym una nuova wellness experienceproprio “per rispondere alla crescente domanda di turismo wellness”.
Infine, le etichette di alcuni shampoo o di altri detergenti proposti sugli scaffali dei supermercati comunicano all’acquirente la presenza di seta o miele. Si tratta di caratteristiche spesso del tutto inutili dal punto di vista funzionale, ma che aggiungono valore da una prospettiva edonistica.
Cosa si intende davvero per Customer Experience?
La Customer Experience è l’insieme integrato e perfettamente coeso di tutte le esperienze che i clienti di un’azienda o una marca vivono nelle interazioni con queste, attraverso i punti di contatto (touch point) digitali e non solo.
Il focus di questo articolo, come già accennato, è sulla CX veicolata e gestita attraverso i media digitali. Per avere impatto, le Customer Experience più efficaci dovranno diventare sempre di più parte integrante della modalità con cui un business si definisce e compete, mentre l’esperienza dovrà consolidarsi in experience philosophy ed essere istituzionalizzata all’interno delle organizzazioni.
Customer Experience e Modelli di Business
Dopo avere analizzato brevemente alcuni dettagli caratteristici dell’Economia dell’Esperienza, consideriamo i cambiamenti che il paradigma esperienziale ha portato all’interno delle aziende, incidendo su orientamenti strategici e definizione dei modelli di business.
A tal fine, introduciamo il concetto di platfirm, neologismo che nasce coerentemente con le più recenti evoluzioni sul tema e l’applicazione del platform thinking.A questo linktrovi un paper che spiega il termine più in profondità.
Il termine “platfirm” si sviluppa dalla fusione tra “platform” e “firm” e indica la prospettiva che vede le organizzazioni non attraverso le classiche metafore della biologia (organismo) o della meccanica (meccanismo), ma con la metafora della “piattaforma”, concetto derivato dalle tecnologie digitali.
Il concetto di piattaforma è sempre più impiegato come lente per interpretare la disruption digitale. Così, anche il pensiero di management ha cominciato a guardare alle organizzazioni come piattaforme.
Le società digitali nascono come piattaforme (Facebook, Ebay, Google, Uber, Aibnb) ma anche Nike, ad esempio, si sta strutturando come rete di piattaforme di interazione per la co-creazione intensiva di valore, beneficiando di scalabilità rapida, dell’effetto di rete, dell’apertura agli attori e community dell’ecosistema (non solo consumatori, ma community di developer, acceleratori di soluzioni, etc.).
Anche i luoghi fisici (si pensi agli store di Apple), vengono pensati come piattaforme per il social learning, il coinvolgimento e le attività di supporto al cliente. In una prospettiva platform-oriented, il mantra dell’essere “customer-centric” risulta fuorviante. Le organizzazioni viste come piattaforme devono essere in grado di abilitare e mobilitare attori diversi (umani e non, individuali quanto collettivi) per ottenere benefici e vantaggi quali:
·accelerare la creazione di opportunità e crescita;
·ridurre il rischio e i costi operativi;
·ottimizzare l’investimento in capitali e risorse;
·scalare rapidamente processi di apprendimento e conoscenza.
Uno degli aspetti più rilevanti è che la piattaforma abilita interazioni fra produttori e consumatori di valore esterni all’impresa – come i casi di Airbnb e Uber fanno facilmente comprendere. Ciò rappresenta una netta discontinuità rispetto ai modelli economici tradizionali, attivando percorsi non lineari di valorizzazione di cui possono beneficiare, in forme diverse, sia coloro che entrano nella piattaforma con fini co-produttivi, sia coloro che vi entrano per utilizzarne i servizi.
Le implicazioni strategiche e organizzative portate dalla trasformazione di molti business in platfirm è forte e dirompente. Il modello è utile per comprendere l’evoluzione aziendale anche dal punto di vista dell’Economia dell’Esperienza. Come citato da Brian Solis nella sua ultima opera “X, When Experience Meets Design”: “Coca-Cola e Nike non stanno creando solo esperienze individuali: esse stanno generando spazi comuni dove consumatori e marche condividono esperienze dense di significato. Quando l’esperienza è al centro del modo in cui i prodotti sono fatti e venduti sul mercato, vengono stimolate le relazioni con i clienti e la fidelizzazione alla marca“.
Alla base di tali experience platfirm risiede infatti la piattaforma esperienziale, ben descritta nel libro classico di Mauro Ferraresi e Bernd Schmitt “Marketing Experienziale. Come Sviluppare l’Esperienza di Consumo”e il cui obiettivo è proprio quello di articolare al meglio il posizionamento di un’azienda, una marca e/o un prodotto.
Utilizzando gli stimoli provenienti dal mondo esperienziale delle persone e dalle attività di benchmarking esperienziale, essa si compone di tre principali componenti:
·Posizionamento esperienziale: descrive ciò che la marca o l’azienda rappresentano. Dovrebbe essere al contempo concreto e intrigante, al fine di trasmettere subito la propria utilità pratica lasciando al contempo spazio per sviluppi innovativi.
·Promessa di valore esperienziale (PVE). Specifica nel dettaglio il valore che il posizionamento esperienziale ha per il cliente. Funge così da standard sotto il quale l’organizzazione non può posizionarsi se vuole continuare a deliziare le persone.
·Tema dell’implementazione. Manifestazione della piattaforma esperienziale, capace di riassumere lo stile e i contenuti dei messaggi principali usati dall’azienda o dal brand in tutte le declinazioni dell’esperienza verso il pubblico.
In quanto dimensione principale della platfirm, la piattaforma esperienziale diventa fondamento per il disegno dell’esperienza di marca complessiva e per le dinamiche di relazione e interfaccia con il cliente.
Ma qual è il ruolo delle esperienze per le platfirm?
Diverse analisi di marketing esperienziale e marketing tribale propongono una visione delle organizzazioni in quanto attori nell’Economia dell’Esperienza, non più solo come entità organizzatrici di esperienze, ma invece in quanto realtà proponenti artefatti e contesti che conducono alle esperienze, e che possono essere adeguatamente utilizzati dai consumatori per co-creare le proprie.
Il ruolo delle aziende e dei brand è diventato quello di fornire l’ambiente e il contesto adeguato a fare emergere la giusta esperienza, cioè quella desiderata dalle persone.
Alcune realtà possono addirittura essere definite come dei veri business experience-based: aziende del calibro di Apple, Siemens e Disney, che hanno fatto dell’esperienza una leva di forte differenziazione. Anche Vodafone, colosso internazionale delle telecomunicazioni, ha avviato da tempo un percorso che – pur rimanendo aderente alle idiosincrasie organizzative – presenta forti connotati di platfirm: dal ridisegno e trasformazione degli asset digitali in “luoghi” di incontro definiti dall’interazione tra specifiche categorie di utenti, alla capacità di fare vivere a utenti diversi esperienze totalmente personalizzate attraverso analitiche avanzate e sulla base di dati raccolti online e nel punto vendita.
Compresa l’entità delle esperienze e il loro impatto nella (ri)progettazione dei business e delle strategie aziendali, vediamo 10 variabili che giudico strategiche per progettare e governare Customer Experience rilevanti.
1.Customer-centricity: è necessario entrare nella testa delle persone andando oltre l’analisi delle ricerche di mercato o il gut feeling. Tecniche come l’etnografia (digitale o meno), l’ascolto delle conversazioni in rete e gli incontri periodici con i clienti permettono di avere ben saldo il polso della situazione, fornendo anche consigli e spunti preziosi per il business.
2.Rilevanza e autenticità: la rilevanza si sposa spesso con l’autenticità, una dimensione fondamentale quando si tratta il tema delle esperienze, tanto che un imperativo per le organizzazioni diventa quello di imparare a comprendere, a gestire e a perfezionare l’espressione dell’autenticità – ovvero, l’allineamento dell’esperienza proposta con l’immagine personale delle persone. È possibile affermare che la stessa autenticità sia il vero motore della rilevanza, e la gestione dell’autenticità dell’esperienza è una variabile di management strategica. Nonché una delle principali leve di fidelizzazione delle persone al progetto aziendale o di marca.
3.Effetto WOW: molto spesso non c’è magia senza sorpresa e stupore, sentimenti ricercati direttamente dagli individui. Ma attenzione: a seconda delle sue connotazioni positive o negative, un elemento di novità può provocare stress oppure emozioni virtuose. È fondamentale che l’esperienza generata sia stata progettata in modo da stimolare queste ultime.
4.Stimoli positivi: soprattutto nel caso in cui le esperienze fruite dalle persone sono nuove, è fondamentale fornire loro stimoli e rinforzi positivi per convincere gli stessi individui a continuare. Altrimenti, in mancanza di feedback il rischio è che essi abbandonino l’esperienza, ne risultino insoddisfatti o – ancora peggio – condividano con la propria rete di contatti eventuali criticità riscontrate.
5.Memorabilia: spillette, magneti, tazze, bandiere, cartoline. Ma anche coperte, asciugamani, cappellini e molto altro ancora: quando viviamo un’esperienza bella e soddisfacente, spesso siamo disposti a pagare per portare con noi qualcosa di questa che ci permetterà di ricordarla e riviverla per molto tempo. Tale prassi ha permesso a moltissimi brand – da Disney a Hard Rock International, da Virgin alla città di New York – di moltiplicare il fatturato attraverso pratiche di merchandising, trasformando al contempo le persone in potenti media capaci di diffonderne il logo. In tale direzione, i media online sviluppano ulteriormente la tendenza in due principali direzioni 1) offrendo ulteriori canali di vendita e distribuzione dei memorabilia – per esempio, attraverso marketplace o e-commerce e 2) generano memorabilia completamente nuovi come e-card e altri souvenir digitali.
6.CX totale: se l’esperienza in sé è fondamentale, i memorabilia descritti al punto sopra sottolineano l’importanza della più ampia gestione e ottimizzazione anche delle fasi successive al momento di erogazione della CX. È la stessa esperienza che lo richiede, in quanto gli effetti sulle persone partecipanti non si esauriscono certo durante la sua fruizione. Nuove sensazioni, nuove necessità e/o nuovi stimoli possono emergere anche nelle fasi successive, e la vicinanza dell’azienda agli individui permette da un lato di cogliere nuove e interessanti opportunità, dall’altro di arginare sul nascere e con un approccio proattivo eventuali criticità.
7.Portafoglio di esperienze: progettata la prima esperienza e nel rispetto della brand consistency, prendici gusto
8.Esperienze condivise: life is for sharing, citavano le comunicazioni di T-Mobilenel 2009 in una campagna ben riuscita firmata dall’agenzia Saatchi&Saatchi. E in effetti, la capacità – o meglio la necessità – di condividere messaggi, comunicazioni, emozioni (in una parola, esperienze) è diventata da allora un punto centrale della nostra quotidianità. Nell’era dei consumatori inter-connessi attraverso le nuove tecnologie di mobilità, il disegno della customer experience deve tenere in considerazione la facilità e immediatezza di condivisione, determinando lo sviluppo di shared experience. Il punto è critico, considerando che la capacità di stimolare la condivisione con altri utenti delle emozioni e delle sensazioni provate dà vita a processi di confronto sociale che alimentano il valore di marca.
9.Evoluzione esperienziale: se da un lato progettare esperienze ha un costo per le aziende, d’altra parte tale sforzo costituisce un investimento (economico, cognitivo, di risorse umane coinvolte, ecc.) ancora maggiore. Questo per via del grande numero di variabili progettuali necessarie e della loro forte taratura sulle specificità del singolo individuo. Attraverso soprattutto i media digitali, la specialità e l’unicità dell’esperienza sono garantite da un’erogazione personalizzata secondo l’accesso e il profilo dell’utente, il suo grado di coinvolgimento, i tratti personali più caratteristici. È facile immaginare come per le aziende la continua creazione di esperienze contestualizzate, personalizzate sulle specificità delle singole persone si riveli già nel medio termine uno sforzo difficile da gestire. La sfida diventa allora comprendere da un lato in che modo ottimizzare il trade-off. In tale direzione, media e strumenti digitali offrono ancora un’elevata scalabilità da cui trarre vantaggio. D’altra parte, le organizzazioni di qualunque tipologia e dimensione hanno ormai l’imperativo di conoscere in modo chiaro la distinzione tra varietà – ovvero la pratica (spesso inefficace e inefficiente) di aumentare l’ampiezza dell’offerta sul mercato nel tentativo di incontrare il favore di qualche consumatore – e personalizzazione, consistente nella capacità di rispondere a desideri e bisogni delle persone.
10.Integrazione: le aziende non sono tutte uguali, ma differiscono per tanti fattori tra cui storia, dimensione, settore, tipo di offerta, localizzazione della sede e delle eventuali filiali, raggio geografico di azione, vision, mission. Sta alla singola organizzazione comprendere come integrare al meglio le altre dimensioni sopra elencate per diventare experience stager efficaci – cioè perfettamente allineate alle necessità e alle caratterisctiche dei propri consumatori attuali e potenziali.
Conclusioni: l’impatto economico della Customer Experience (e le sfide all’orizzonte)
Se infatti il 45% dei rispondenti vede la CX come una priorità strategica, la stessa percentuale (!) ha difficoltà a collegare gli investimenti sostenuti per disegnarla, implementarla e ottimizzarla con i ritorni su tale investimento in termini di business – principalmente a causa della difficile integrazione tra i sistemi aziendali, della complessità generata dall’omni-canalità e dalle strutture organizzative non sempre capaci di internalizzare e incanalare correttamente gli insight.
La variabile determinante, allora, non è tanto se progettare Customer Experience, ma invece come progettarle.
Di Max Da Via' (del 15/03/2018 @ 07:20:46, in Retail, linkato 1609 volte)
Manhattan Associates, azienda tecnologica nel settore della supply chain e nel commercio omni-canale, svela le cinque tendenze tecnologiche che, nel corso del 2018, influenzeranno maggiormente il settore del retail e le strategie di business ad esso correlate. “In un settore in rapidissima evoluzione, i retailer sono alla ricerca di nuovi modi per intercettare e soddisfare le aspettative, in continua crescita, dei consumatori”, ha osservatoCraig Summers, Uk Managing Director di Manhattan Associates. “L’innovazione procede a ritmo sempre più veloce, e per questo prevediamo che, nel prossimo anno, i retailer arriveranno a raddoppiare gli investimenti per l’infrastruttura tecnologica”.
Maggiore personalizzazione dell’esperienza di acquistoè la prima tendenza individuata. Secondo quanto dichiarato aThe Wall Street Journalda Brendan Witcher, Principal Analyst di Forrester Research, quasi il 90% delle aziende afferma di concentrarsi sulla personalizzazione della customer experience, ma solo il 40% dei clienti ritiene che le informazioni ricevute dai retailer siano effettivamente rilevanti per i propri gusti e interessi. Ora, ci si aspetta che i retailer riescano a sfruttare le nuove tecnologie per migliorare il customer engagement, parallelamente alla gestione degli ordini aziendali, trasformando così i dati raccolti in informazioni utili ai fini di sviluppare una migliore shopping experience omni-canale, in termini di personalizzazione e ottimizzazione, attraverso l’intero percorso del cliente.
Sistemi di pagamento mobili più flessibiliè la seconda tendenza. La previsione è che i retailer passino dai tradizionali sistemi fissi POS, a sistemi mobili più flessibili, come Apple Pay e altre innovative modalità di pagamento contactless, ormai sempre più utilizzate.I consumatori desiderano, infatti, un approccio più fluido anche quando cercano consigli online o interagiscono con il personale instore. Si prevede quindi che i retailer richiedano sempre più nuovi sistemi POS mobili che consentano il pagamento in tutto il negozio e concentrino in un unico strumento la gestione dell’inventario, la ricerca, i consigli per l’acquisto e i dati dei clienti, potenziando il loro coinvolgimento grazie ad applicazioni rapide e di facile utilizzo.
Automazione sempre più integratasi colloca come terzo trend. Negli ultimi anni i retailer hanno apportato significativi miglioramenti al livello di servizio e accelerato i flussi di merci, implementando sistemi avanzati per la gestione del magazzino (Warehouse Management System) e introducendo apparecchiature automatizzate all’interno dei magazzini. Ma il successo a lungo termine sta nel trovare il giusto equilibrio tra uomo e macchina, utilizzando un software centralizzato che sincronizzi sia il capitale umano che quello tecnologico. I retailer stanno puntando su sistemi centralizzati basati su cloud, che possono essere continuamente aggiornati per restare al passo con l’innovazione.
Reinvenzione dell’utilizzo delle tecnologie basate su intelligenza artificialeè al quarto posto secondo Manhattan Associates. Numerosi retailer hanno già iniziato a sperimentare l’utilizzo di intelligenza artificiale e chat-bot, con l’obiettivo di coinvolgere i consumatori e migliorare l’assistenza ai clienti. La previsione è che, nei prossimi mesi, i retailer sfruttino ulteriormente tecnologie di AI futuristiche, realtà virtuale e realtà aumentata, ampliando l’utilizzo pragmatico del machine learning all’interno delle proprie operazioni di logistica back-end. I sistemi per la gestione del magazzino progrediranno ancora di più nel corso del 2018, grazie alle funzionalità di apprendimento automatico: di conseguenza i retailer potranno ottimizzare il rilascio del lavoro a livello di magazzino e i tempi di esecuzione degli ordini dei clienti, massimizzando così la qualità del servizio e l’efficienza operativa.
Utilizzo più ampio di soluzioni che migliorino il coinvolgimento dei dipendentiè il quinto e ultimo trend. I Millennial sono la nuova forza lavoro e moltissimi di loro hanno scelto il retail come settore professionale. Ne consegue, per i retailer, un’interessante sfida in termini di engagement. Il coinvolgimento dei dipendenti richiede, oggi, un maggior numero di contenuti visivi e grafici, personali e digitali. Nel 2018 i retailer dovranno dunque andare oltre i tradizionali canali di engagement, per facilitare la condivisione di riflessioni e di reazioni, rendendola più creativa e intuitiva.
Di Max Da Via' (del 19/03/2018 @ 07:47:00, in Mobile, linkato 1596 volte)
In questi nove anni lamappa dei social network nel mondo, che ho aggiornato una settimana fa, ha avuto la funzione di mostrare le preferenze sui social network fruiti via web (desktop e mobile). Ma, sempre più, gli utenti accedono ai servizi di rete attraverso smartphone e tablet, preferendo l’utilizzo delle applicazioni dedicate.
Comscore stima che in media oltre il 60% del tempo speso online avviene in mobilità (in Italia 62%) e che oltre l’80% dei minuti di navigazione da dispositivo mobile è attribuibile all’uso di app (in Italia siamo all’87%). Cosi mi sono chiesto se non valesse la pena di fare uno sforzo di ricerca e provare ad individuare quali fossero le app social e di comunicazione più usate in ogni nazione. Ho utilizzato i dati forniti da AppAnnie, azienda che monitora gli app store, che ha determinato le applicazioni più utilizzate nel 2017 in 25 nazioni*. Per stimare il servizio più usato nelle restanti nazioni della mappa ho analizzato le app più scaricate negli ultimi 3 mesi del 2017, sempre grazie agli strumenti diAppAnnie, confrontati con altre fonti. Il risultato è questamappa mondiale delle social appche mostra l’applicazione social e di messaggistica istantanea più usata per ogni nazione analizzata.
La sorpresa maggiore è che Facebook, destinazione social principale se consideriamo la navigazione web, lascia il posto ad altri servizi se valutiamo il solo utilizzo via app degli stessi. Il social con più utenti attivi al mondo (2,1 miliardi) risulta leader tra le applicazioni in sole 4 nazioni: Stati Uniti, Francia, Svezia e Vietnam. I maggiori contendenti dell’uso via app sono WhatsApp e Facebook Messenger, comunque parte dell’ecosistema di Zuckerberg. WhatsApp,acquisito nel 2014e che ha 1,5 miliardi di utenti attivi, conquista 32 nazioni. Mostra la sua forza in Italia, Germania, UK, Spagna, Russia, ma anche nei territori dell’America Latina, in India e Arabia Saudita. Facebook Messenger, spin-off del famoso social network che vanta 1,3 miliardi di utenti, vince in 17 nazioni tra cui il Canada, l’Australia e alcuni paesi dell’Est europeo.
Al tasso di crescita attuale, nei prossimi due anni, è plausibile immaginare un sorpasso di WhatsApp su Facebook in termini di utenti attivi.
Ma ci sono anche popolazioni che resistono all’influsso occidentale e preferiscono servizi più in linea con la loro cultura nazionale. Line, applicazione di messaggistica istantanea sudcoreana con oltre 200 milioni di utenti attivi, è il mezzo di comunicazione e svago (permette l’acquisto di sticker e giochi) preferito in Giappone, Taiwan e Tailandia. Negli ultimi anni è diventata una vera e propria piattaforma, che fa utili vendendo giochi e stickers, oltre ad offrire profili business attraverso i quali le aziende possono mandare messaggi diretti ai propri follower (a pagamento).
In Cina predominaWeChat, del colosso Tencent proprietario anche del social network QZone, con 980 milioni di utenti mensili. WeChat si caratterizza per essere una piattaforma innovativa che offre messaggistica di testo, audio e video, ma anche la possibilità di effettuare pagamenti per diversi servizi pubblici e privati cinesi.
A completare il panoramaViber, posseduta da Rakuten che produce anche l’e-book reader Kobo, preferita in Ucraina e Croazia e KakaoTalk in Corea del Sud.
A parte queste specificità nazionali se osserviamo le prime 10 app più usate nei paesi occidentali è evidente che il podio è sempre ad appannaggio dei prodotti dell’ecosistema Facebook. Snapchat avanza in Francia, UK e US. Twitter scompare dalla classifica italiana e tedesca. Pinterest ben posizionato solo in US. Tra le altre abitudini di consumo emerge l’utilizzo di Amazon e Spotify un po’ ovunque. Tra le peculiarità italiane l’affezione a Il Meteo, TripAdvisor e Telegram.
Se valutiamo congiuntamente i risultati della mappa dei social network e di questa nuova mappa delle app, emerge chiaramente la strategia vincente di Zuckerberg che è riuscito, per tempo, a coprire le diverse esigenze di comunicazione degli abitanti di differenti paesi del mondo (dai social agli instant messenger).Ciò gli permette l’accesso ad una gigantesca mole di informazioni sulle preferenze di miliardi di persone, usata per ottenere una posizione di duopolio (condivisa con Google) nel mercato della pubblicità online. Come persone dovremmo interrogarci sugli effetti che può avere sul nostro pensiero una dieta informativa poco varia, concentrata sull’uso delle solite app.
* Australia, Brasile, Cina, Francia, Germania, Hong Kong, India, Indonesia, Irlanda, Italia, Giappone, Messico, Olanda, Polonia, Russia, Singapore, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Taiwan, Tailandia, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti, Vietnam
Nel mese di gennaio la total digital audience ha raggiunto il 61,8% della popolazione italiana, pari a 33,9 milioni di utenti che hanno navigato su internet tramite i device rilevati (PC, smartphone e/o tablet), collegati complessivamente per 53 ore e 12 minuti. Lo affermaAudiwebnell’ambito del suo periodico monitoraggio del mercato online italiano. Gli italiani online almeno una volta nel giorno medio sono stati 24,5 milioni, collegati in media per 2 ore e 22 minuti per persona. Nel giorno medio hanno navigato da mobile 21,1 milioni di italiani maggiorenni e 12,2 milioni di questi lo hanno fatto esclusivamente da mobile. Sono stati 12,3 milioni gli italiani dai 2 anni in su che hanno navigato anche da un computer.
Il profilo degli utenti online
I dati sul profilo degli utenti online confermano la fotografia degli ultimi mesi, conuna quota di donne online nel giorno medio leggermente superiore a quella degli uomini e i più giovani, dai 18 ai 34 anni, ma anche la popolazione più adulta, dai 35 ai 54 anni, coinvolta almeno nel 60% dei casi. Più in dettaglio, infatti, risultano online il 45,9% delle donne (12,6 milioni) e il 43,5% degli uomini (circa 12 milioni), il 61,4% dei 18-24enni (2,6 milioni), il 62,1% dei 25-34enni (4,2 milioni), il 60,9% dei 35-54enni (11,1 milioni) e il 40,5% dei 55-74enni (5,9 milioni). Dai dati sull’area geografica degli utenti online, in questo mese di rilevazione erano online nel giorno medio il 48,7% degli italiani del Nord Est (4,6 milioni), il 47,5% del Nord Ovest (6,7 milioni), il 43,1% del Centro (4 milioni) e il 41,5% dell’area Sud e Isole (9 milioni).
Il tempo trascorso online
Oltre il 77% del tempo totale trascorso online questo mese dagli italiani è stato generato dalla fruizione da mobile e il 23% dalla fruizione tramite computer. L’orologio giornaliero registra una media di 2 ore e 22 minuti di tempo trascorso per persona e, in generale, le donne hanno trascorso online mezz’ora in più degli uomini, dedicando in particolare 2 ore e 23 minuti alla fruizione da mobile e decisamente meno – un’ora circa – alla fruizione da PC. Anche dal punto di vista del tempo speso, emerge che sia i più giovani (18-34 anni) che la fascia più matura della popolazione (35-54 anni) dedicano abbastanza tempo all’online con una media di almeno 2 ore e mezza al giorno.
Search al vertice
Nel mese di gennaio, oltre alla categoria dei siti di ricerca che raggiunge il 91,3% degli utenti online, confermano almeno l’80% degli utenti le categorie: General interest portals & communities, con l’84,2% degli utenti online mese; Internet tools / web services (i siti dedicati ai servizi e tool online), con l’83,3% degli utenti; Member communities (i social network), con l’81,7% degli utenti; Software manufacturers (dedicati alla presentazione e aggiornamento di software), con l’81,6%%; Video / Movies, con il 79,8% degli utenti online).
Il mercato pubblicitario italiano nel mese di gennaio chiude in crescita del 2,6%rispetto allo stesso periodo del 2017. Parliamo di un incremento di circa 14,3 milioni, considerando l’intero perimetro del web advertising. Se si esclude invece dalla raccolta web la stima Nielsen sul search e sul social, gli investimenti chiudono il mese di gennaio a+0,6 %(circa 2,5 milioni in più).
Relativamente ai singoli mezzi, la TV cresce del 2,3%. Sempre in negativo la stampa: i quotidiani iniziano l’anno in calo del 7,8% e i periodici del 16,6%. Gli investimenti in radio crescono del 5,3. Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’intero universo delweb advertisingregistra un incremento del 7,3% rispetto a gennaio 2017 (-3,2% se si escludono il search e il social). In trend positivo il cinema (+26,6%), l’outdoor (21,2%), la go TV (+29,6%) e il transit (+12%). Il direct mail chiude il mese a -2,1%.
Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 11 in crescita, con un apporto di circa 18 milioni di euro. Per i primi comparti del mercato si registrano andamenti differenti. Alla buona performance di automobili (+9,1%), abitazione (+15,8%) e media/editoria (+7,1%), si contrappone il calo di alimentari (-11,3%), farmaceutici (-4,6%), telecomunicazioni (-13.1%) e distribuzione (-4,1%). Tra gli altri settori che contribuiscono alla crescita si segnala il buon risultato in termini di investimenti pubblicitari di gestione casa (+29,3%), industria/edilizia/attività (+72,7%) e tempo libero (+19%).
Di Max Da Via' (del 30/03/2018 @ 07:27:12, in Aziende, linkato 1438 volte)
Con ogni probabilità, le 39 mila persone che hanno partecipato alla votazione, erano all’oscuro dell’aumento dell’abbonamento per Amazon Prime. Per comprendere se i 36 euro annuale rispetti ai precedenti 19,99 euro influiranno sulla reputazione del marchio Amazon, bisognerà aspettare il prossimo anno. Nel frattempo, la celebre piattaforma di e-commerce torna a essere il brand più amato dagli italiani aggiudicandosi ilPop Award 2018, riconoscimento assegnato da Superbrands, in collaborazione con Radio Italia, attraverso il coinvolgimento di ascoltatori e fan sui social media.
Marchi più amati: in Italia Amazon davanti a Nutella e Apple
Amazon,già vincente nel 2016, è il brand che ha rivoluzionato il modo di acquistare prodotti e servizi con la sua piattaforma di e-commerce. Non solo ha capito come le persone vogliono acquistare (da casa, quando vogliono, in un click), ma ha saputo fare dell’eccellenza della customer experience il fattore critico del suo successo. Al secondo posto Nutelladi Ferrero, prima lo scorso anno, seguita daApple.
Già dal podio si piazzaKinder, un altro brand Ferrero, seguito dalMulino Bianco,Bottega Verde,Disney,Coca-Cola,Samsung eThun. Il Superbrands Pop Award sarà consegnato ad Amazon nell’ambito della cerimonia dei Superbrands Awardsil 27 settembre all’Auditorium di Radio Italia, l’occasione in cui saranno celebrati tutti i marchi che hanno ottenuto lostatus di Superbrands 2018.
Di Max Da Via' (del 30/03/2018 @ 07:35:56, in Mobile, linkato 2075 volte)
Googleha annunciato l’avvio dell’indicizzazione mobile-first per i risultati del suo motore di ricerca e nelle pagine memorizzate nella cache. Finora, i sistemi di scansione, indicizzazione e classificazione dei siti da parte di Google hanno in genere utilizzato la versione desktop del contenuto di una pagina mentre. Ora, visto che la maggior parte degli utenti effettua più accessi da mobile che da desktop, Big G ha scelto di adottare un approccio mobile first.
Ottimizzazione mobile
In poche parole, i siti ottimizzati e responsive per la visualizzazione mobile, saranno indicizzati prima rispetto a quelli che privilegiano solo la versione a schermo intero. La funzione, già in fase di test da un anno e mezzo, permetterà agli utenti mobile a trovare la migliore opzione disponibile in base a ciò che stanno cercando, e trovare tra le prime posizioni i siti che consentono una consultazione più fluida da smartphone e tablet.
Contenuti
L’aggiornamento, allo stato attuale, non influisce sul ranking: cambia solo il modo in cui i contenuti vengono raccolti, non come vengono classificati. I siti che non dispongono di una versione mobile continueranno ad essere indicizzati in base a quella desktop. L’indice di ricerca rimarrà, dunque, solo uno. Naturalmente, se un sito desktop risulterà più pertinente alla ricerca fatta, continuerà a essere visualizzato tra le prime posizioni a meno che non sia disponobile uno altrettanto pertinente, ma ottimizzato meglio per la navigazione in mobilità.