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Di Max Da Via' (del 10/02/2017 @ 07:41:44, in Mobile, linkato 1975 volte)

Gli italiani sono sempre più inseparabili dagli Smartphone: per il 50% dei Mobile Surfer, il Mobile ha già soppiantato – o sta gradualmente sostituendo – il Pc, mentre per il 38% i due schermi hanno la medesima rilevanza. Oltre ad attrarre in generale sempre più traffico e tempo, il Mobile è centrale nei processi di acquisto degli utenti: circa l’80% dei Mobile Surfer utilizza, infatti, lo Smartphone per prendere decisioni d’acquisto o relazionarsi con i propri marchi preferiti. In particolare, poi, un terzo dei Mobile Surfer lo usa anche per fare acquisti. Alcune specificità del Mobile risultano particolarmente apprezzate dai consumatori: il 69% si dichiara interessato a ricevere offerte commerciali personalizzate passando accanto ad un negozio. Forte l’interesse anche per i Mobile Wallet: più di un quinto dei Mobile Surfer infatti dichiara di salvare spesso sul proprio Smartphone coupon, buoni sconto, carte fedeltà o biglietti di eventi o trasporti e il 68% sarebbe interessato ad un’unica App in cui dematerializzare tutto quanto contenuto nel proprio portafoglio.

Queste alcune delle evidenze emerse dall’Osservatorio Mobile B2c Strategy della School of Management del Politecnico di Milano*, che intende focalizzare l’attenzione sulla Mobile transformation, ossia su come la diffusione degli Smartphone abbia reso necessario per le aziende un approccio strategico all’utilizzo del Mobile per gestire la relazione con i propri clienti. In questo modo i nuovi device possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi di business dell’impresa.

“La Mobile transformation sta cambiando i processi di relazione tra consumatori e imprese, di qualunque settore” afferma Raffaello Balocco, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Mobile B2c Strategy del Politecnico di Milano “Sono numerosi gli esempi di come il Mobile consenta di creare nuovi modelli di business, abiliti interazioni “uniche” (impensabili in ambiente desktop), integri touch point fisici e digitali e generi benefici al conto economico. Ciò è impossibile però senza una chiara consapevolezza, a tutti i livelli dell’organizzazione, dell’impatto potenziale del Mobile”.

Anche in Italia sta crescendo questa consapevolezza, nonostante siano ancora molte le barriere: culturali, organizzative, economiche e tecnologiche.
“Per poter supportare adeguatamente le imprese nel percorso di Mobile transformation sta crescendo il livello di competenze e di specializzazione degli attori della filiera, sia di quelli tradizionali (aziende di sviluppo software, società di consulenza, ecc.) sia di quelli nati in ambito Mobile” afferma Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Mobile B2c Strategy del Politecnico di Milano. “Dalle attività di marketing per diffondere un’App allo sviluppo di Mobile Wallet, da tecnologie di proximity marketing al design di un’App, dall’uso della realtà aumentata ai chatbot, stanno emergendo molteplici soluzioni volte a migliorare la customer experience anche grazie ai dati iper-profilati provenienti dagli utenti Mobile. Tutte queste iniziative mirano a rendere più efficaci le comunicazioni e ad aumentare la misurabilità del percorso d’acquisto multicanale (online e offline) dell’utente”.

A scommettere su queste direttrici di innovazione sono anche molte startup: sono, infatti, oltre 830 quelle finanziate in questo ambito a livello internazionale negli ultimi 2 anni.

Il comportamento dei Mobile Surfer

I consumatori italiani dedicano sempre più tempo alla navigazione Internet via Mobile: 6 minuti su 10 passati online provengono dagli Smartphone e sono oltre 25 milioni gli italiani che mensilmente navigano dai propri Smartphone (pari a circa il 70% degli utenti Internet complessivi). Tale valore è cresciuto a doppia cifra rispetto all’anno precedente, a differenza del numero di utenti desktop che è addirittura in calo.

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Le App catturano circa il 90% del tempo di navigazione complessivo degli Smartphone; a farla da padrone sono quelle di Google e Facebook, che attraggono quasi la metà del tempo totale.[2]

Consapevoli dello spostamento degli utenti su Mobile, le aziende hanno lavorato molto sull’ottimizzazione dei propri siti internet.

I consumatori danno un buon voto (7,3 su 10) alla fruizione dei siti da Mobile” afferma Guido Argieri, Telco & Media Director di Doxa. “Ciò nonostante, il 57% dei Mobile Surfer negli ultimi 3 mesi ha abbandonato un sito/App perché non funzionava o non era sufficientemente veloce. Oltre all’usabilità, un tema caldo è quello della privacy: la sensazione che le aziende monitorino le ricerche personali è molto forte per tutte le fasce di età, mentre il consenso al tracciamento per ottenere offerte e messaggi mirati genera sensazioni ambivalenti, a metà tra il fastidio per l’intrusione e l’utilità percepita per possibili vantaggi che ne deriverebbero.”

È alta la percentuale dei Mobile Surfer che non disattivano mai la connettività dei propri Smartphone: oltre due terzi (68%) ha il wi-fi sempre attivo, mentre la percentuale scende a poco più di un terzo (37%) per la geo-localizzazione e al 19% per il bluetooth.

Per quanto riguarda la tipologia di App di brand scaricate sugli Smartphone: il 72% ha installato almeno un’App di un gestore di telefonia, il 61% di una banca (valutate come le qualitativamente migliori), il 39% di un’insegna della GDO, il 29% di un gestore utility e il 23% di un brand dell’abbigliamento.

In merito alla pubblicità su Mobile, invece, i Mobile Surfer sostengono che i Video sono al contempo il formato che attira maggiormente l’attenzione, ma anche il più invasivo. I più efficaci in termini di trade-off tra engagement e fastidio sono: i link sponsorizzati all’interno dei motori di ricerca, i banner a fondo pagina e gli Sms pubblicitari.

La risposta delle aziende italiane

Sotto il profilo degli investimenti pubblicitari, nel 2016 crescono tutti i formati, per un valore complessivo del mercato di 715 milioni di euro (+53% sull’anno precedente).

In particolare, a trainare la crescita sono il crescente spostamento di audience a discapito del desktop e il già citato miglioramento dell’accessibilità Mobile dei siti. Si segnalano anche una forte crescita delle pianificazioni multipiattaforma (ossia dell’acquisto di un determinato spazio indipendentemente dal canale sul quale verrà poi erogato) in diretta o tramite piattaforme di Programmatic Advertising, un aumento degli investimenti ad hoc (in particolare sfruttando i dati di targeting specifici del canale e prevalentemente su formati in-App) e il miglioramento delle performance del Mobile sia in ambito Mobile Commerce che in termini di lead generation.

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“Il Mobile Advertising arriva a valere il 30% dell’Internet Advertising (era il 21% nel 2015) e il 9% del totale mezzi (valeva il 6% un anno fa). Inoltre, il Mobile è il responsabile della quasi totalità della crescita della pubblicità online: la raccolta su desktop, infatti, chiude l’anno in calo” afferma Marta Valsecchi. Eppure il peso raggiunto dal Mobile sul totale Internet (30%) è ancora molto lontano dal tempo speso dai consumatori a navigare dagli Smartphone (più del 60%). Le potenzialità rimangono, dunque, ancora molto elevate: formati che valorizzino l’esperienza di navigazione Mobile, efficaci strumenti di misurazione e investimenti sulla creatività sono i principali fattori di sviluppo che vediamo”.

Quasi la metà del mercato pubblicitario sugli Smartphone è costituita da formati Display (Video esclusi) in crescita del 29% rispetto al 2015; segue il Keyword Advertising che pesa il 26% e cresce del 48%. Il formato che cresce maggiormente è il Video advertising (+164%) che arriva a valere il 22% del totale. Crescono anche l’Sms Advertising (+11%) e il Classified (+189%) ma sono marginali in valore assoluto.

Oltre che sulla pubblicità, le aziende hanno investito nello sviluppo dei propri Asset Mobile. Su 170 aziende intervistate, solo l’8% non ha ancora lavorato per rendere responsive il proprio sito Web; più articolata la situazione delle Mobile App, dove solo il 14% ammette di avere già un’Applicazione strategica, avendo individuato quali obiettivi deve avere e che bisogni deve soddisfare. Tra le imprese italiane continua infine a crescere l’utilizzo di Sms (+10% nel 2016) per l’invio di comunicazioni, promozioni e messaggi di servizio (anche transazionali). La ricezione di messaggi di testo di tipo “tradizionale” si conferma la tipologia di contatto preferita dai consumatori quando si tratta di ricevere comunicazioni geo-localizzate, più gradita anche della ricezione di notifiche push dalle App installate.

Il rapido e crescente spostamento del consumo di Internet su Smartphone e la pervasività dell’impatto del Mobile su tutti i grandi trend digitali (eCommerce B2c, Digital Payment, Big Data Analytics, IoT, Intelligenza artificiale) stanno trasformando profondamente i processi di relazione tra aziende e consumatori in tutte le fasi dell’acquisto: dall’advertising alla pre-vendita, dalla vendita al post-acquisto” conclude Marta Valsecchi. “Il Mobile non deve essere concepito come una semplice declinazione del digitale. L’approccio Mobile First, che nasce pensando alla fruizione dell’utente da Smartphone, già oggi si rivela essere una fucina di sviluppo per nuovi modelli di business: dall’utilizzo dello Smartphone per interagire con servizi di Smart Home alla nascita di servizi bancari “Mobile Only”; dallo sviluppo di servizi di car sharing prenotabili e utilizzabili attraverso una Mobile App alle Applicazioni per il monitoraggio a distanza della salute dei pazienti (Mobile Health). Ci piace per questo parlare di “Mobile by design”: nuovi prodotti o servizi che nascono con una componente Mobile intrinseca nel funzionamento di base”.

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Di Max Da Via' (del 09/02/2017 @ 07:22:35, in Advertising, linkato 2125 volte)

Il mercato degli investimenti pubblicitari chiude il 2016 in crescita dell’1,7% rispetto al 2015. Nel singolo mese di dicembre la raccolta cresce dell’1,2%. Se si aggiungesse anche la stima sulla porzione di web attualmente non monitorata (principalmente search e social), il mercato chiuderebbe il mese di dicembre a +3% e il periodo consolidato in crescita del 3,4%, come previsto.

“Da più parti si era parlato di una crescita intorno al 3%, grazie anche a un autunno che, nonostante le incertezze provenienti da più ambienti, si è dimostrato in linea con le crescite mesi precedenti. Il terzo trimestre consecutivo di crescita dà segnali di consolidamento e di stabilità per il futuro” – spiega Alberto Dal Sasso, TAM e AIS Managing Director di Nielsen.

Relativamente ai singoli mezzi, la tv cresce del 4% a dicembre, chiudendo l’anno a +5,4%. Sempre negativa la stampa: quotidiani e periodici nel singolo mese si attestano rispettivamente a -8,4% e – 9,3%, calando nel 2016 del 6,7% e del 4%. Conferma l’andamento positivo la radio: la crescita di dicembre (+15%) porta la raccolta complessiva dell’anno a +2,3%.

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L’incremento di internet è dovuto principalmente a search e social, sulla base delle stime realizzate da Nielsen. Relativamente al perimetro attualmente monitorato in dettaglio, infatti, il web cala del 2,3% nel periodo cumulato e dell’1,2% nel singolo mese di dicembre. Allargando il perimetro all’intero universo del web advertising, la raccolta del 2016 chiude a +7,5%.

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Positiva la performance del cinema a dicembre e nei 12 mesi (+6,9%). Il transit torna in positivo a dicembre, ma rimane negativo il periodo cumulato (-2,6%). L’ottimo andamento della GoTv a dicembre porta a +3,4% il confronto con il 2015. L’outdoor chiude l’anno a -4,3%.

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“Guardando all’andamento complessivo dell’anno – aggiunge Dal Sasso  si nota che la crescita è stata trainata da un maggior investimento medio su tutti i mezzi, da parte di un numero minore di aziende rispetto al 2015. Dopo tre anni di “rosso”, tornano in positivo alcuni settori fondamentali per il mercato come le automobili e la telefonia, che storicamente sono stati motore di crescita nel periodo d’oro della pubblicità. Dall’altro lato si assiste a una comprensibile frenata da parte della finanza, motivata anche dal momento non florido del comparto bancario”.

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Per quanto riguarda i settori merceologici nel dettaglio, solo 6 arrivano a fine 2016 con un segno negativo.
Per i primi comparti del mercato, si registrano andamenti differenti nei 12 mesi: crescono le telecomunicazioni (+4,8%), la distribuzione (+11,2%) e i farmaceutici/sanitari (+7,7%), cui si contrappongono i cali della finanza (-14%) e dell’abbigliamento (-5,9%). Tra gli altri che contribuiscono alla crescita, si segnalano le buone performance del mercato delle automobili (+5,9%), industria/edilizia (+38,4%), tempo libero (+16,9%) e abitazione (+6,3%).

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“Il 2017 – conclude Dal Sasso  inizia con una buona spinta. Anche se privo di grandi eventi mediatici, l’anno beneficerà di un 2016 che ha visto il consolidamento degli investimenti da parte di aziende abituate a comunicare e che continueranno a farlo. Probabilmente saranno sacrificati i piccoli budget, ma in periodi di incertezza è una dinamica di mercato preferibile per una industry che sta affrontando un grande cambiamento in termini di innovazione tecnologica e organizzativa”.

“Avevamo previsto una crescita del mercato a fine 2016 poco sopra il 3%, ma siamo andati oltre. Il dato del 3,6%, appena reso noto da Nielsen, fa sì che il 2016 sia l’anno di conferma di una crescita che sembra consolidarsi”, ha commentato Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente di UPA – l’associazione di riferimento degli investitori pubblicitari.

“Per quanto riguarda il 2017 non possiamo che confermare le nostre previsioni, ossia che sarà il terzo anno consecutivo a chiudere in positivo, sopra il 2%, e ciò rimarca, nonostante si tratti di un anno dispari senza eventi importanti e con diverse incognite politico-economiche, la voglia di crescere del mercato della comunicazione”.

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Di Max Da Via' (del 08/02/2017 @ 07:27:55, in Social Networks, linkato 2060 volte)

Highlights Tv e Social

•             Conti anche quest’anno non delude le attese ed apre il suo terzo festival abbattendo il muro del 50% di share, un risultato che non si verificava dal 2005 con Bonolis. Oltre al miglior esordio degli ultimi anni, Conti può vantarsi di essere l’unico conduttore del Festival che in tre edizioni consecutive si è sempre migliorato.

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•             La prima serata è stata seguita da 11,4 milioni di telespettatori, il 2% in più rispetto all’anno scorso, nonostante un bacino televisivo in linea con quello del 2016. Lo show, come al solito un mix di intrattenimento e musica, ha avuto tra i momenti più attesi il ritorno di Maurizio Crozza ed il duetto tra il super ospite Tiziano Ferro e Carmen Consoli, ma il picco di ascolti è stato alle 21.40, quando 16.131.865 spettatori hanno seguito Raoul Bova introdurre Elodie, che sul palco dell’Ariston ha ritrovato Maria De Filippi che l’aveva lanciata un anno fa ad Amici.

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•             Per i break la novità più importante riguarda l’aumento degli spazi, da 7 a 8 interruzioni pubblicitarie. Ben 4 break su 7 migliorano gli ascolti del 2016, in particolare Sanremo 2 alle 21.57, dopo lo spazio dedicato a forze dell’ordine e protezione civile, cresce del 10% lanciato da Carlo Conti subito dopo la frecciata verso chi ha polemizzato sul suo compenso.

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•             La prima serata del Festival di Sanremo ha raggiunto un’ottima performance sui canali social.

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•             La pagina Facebook ha registrato nella giornata di esordio della kermesse oltre 60mila nuovi fan, 20mila in più rispetto all’anno precedente (+56%). Trend positivo anche per le interazioni: oltre 274mila interazioni (like+commenti+share), 31% in più rispetto al 2016.

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•             Buone anche le performance registrate su Twitter: oltre 5.000 nuovi followers durante la prima giornata (+19% vs 2016); invariate invece le interazioni(tweet e retweet) rispetto all’anno precedente.

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Di Max Da Via' (del 07/02/2017 @ 07:35:23, in Marketing, linkato 2163 volte)

Le campagne people-based restituiscono risultati migliori rispetto a quelle costruite a partire dai cookie: ad affermarlo è il rapporto “Power of People” pubblicato da Viant, compagnia ad tech di Time, e ripreso da Campaign. A differenza dei cookie, infatti, le campagne people-based targettizzano le persone in ottica multi-device e sulla base di dati registrati.

E per questo ritenuti superiori grazie alla capacità di consentire ai marketer di raggiungere il proprio pubblico su tutti i canali e di misurare anche le vendite offline. Lo studio è stato condotto negli USA, mentre in Europa l’Unione si appresta a rivedere le regole di tracciamento per la profilazione pubblicitaria, ponendo dei paletti più severi alle compagnie Over The Top e in generale a tutta la filiera.


Perché le campagne people-based sono migliori?

Perché le campagne people-based sono migliori? I marketer intervistati non hanno dubbi: un targeting migliore (58%) e la sicurezza di raggiungere persone reali (40%) sono gli elementi reputati centrali. Tutto ciò è ancor più vero in ambiente mobile, dove circa due device su tre non accettano cookie e nel quale ormai gli utenti del web trascorrono la stragrande maggioranza del proprio tempo. I social (75%) sono il media preferito da chi investe in people-based marketing. Segno che le potenzialità del settore sono pressoché inesplorate al di fuori di questo canale.

Le criticità

Le criticità maggiori che stanno frenando l’adozione di questa tipologia di targeting è legata alla mancanza di partner affidabili (48%), seguita da difficoltà ad accedere e utilizzare dati di prima parte: infatti, oltre metà degli intervistati, il 53% dichiara di non utilizzare first-party data nelle sue campagne. A fare da ulteriore sbarramento al people-based marketing, secondo il campione intervistato, sono state le agenzie, le quali in passato non hanno promosso tra i clienti le opportunità di questa comunicazione.

Secondo Toby Benjamin, vice-president of platform partnerships di Viant, la ricerca dimostra che “la fede dei marketer nei confronti dei cookie sta scendendo”. Ed è probabile che nei prossimi anni la transizione da strategie cookie-based ad altre di people-based marketing si completi con successo.

Via DailyOnline
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Di Altri Autori (del 06/02/2017 @ 07:43:59, in Strategie, linkato 2379 volte)
Il numero uno di JP Morgan Jamie Dimon l'aveva scritto ai suoi azionisti già nel 2015: “Silicon Valley is coming”, riferendosi soprattutto al proliferare delle “fintech”, start up tecnologiche focalizzate sui servizi finanziari. Ora però a scaldare i motori sono i pesi massimi. Colossi come Amazon, Facebook, Apple, Google o i cinesi di Alibaba che possono contare su ingenti risorse finanziarie e immensi bacini di utenti fortemente fidelizzati di cui già maneggiano un' infinità di dati che consentano una accurata profilazione delle loro potenziali esigenze.

Facebook ha da poco ottenuto in Irlanda una licenza per l'emissione di moneta elettronica e servizi di pagamenti e secondo alcune indiscrezioni avrebbe avviato colloqui per l'acquisizione di fintech specializzate in trasferimento di denaro. Il gruppo californiano potrebbe quindi esportare in Europa il sistema di pagamenti tra utenti di Facebook messanger già attivo negli Stati Uniti. E' bene precisare che non si tratta di una licenza che abilita il gruppo californiano a “fare la banca” con servizi come depositi on line o altro. Un'attività riservata a banche vere e proprie e soggetta a diversa autorizzazione.

Quello di Facebook è comunque un primo passo. Paypal ottenne ad esempio un'analoga licenza nel 2004 e tre anni più tardi richiese e ottenne una licenza bancaria in Inghilterra. L'abilitazione dalla banca centrale d'Irlanda permette in prospettiva Facebook di chiedere l'estensione di questo servizio all'intera Unione europea. Amazon ha da poco presentato una carta di credito, in partnership con Jp Morgan, riservata ai i suoi clienti “prime” con sconti del 5% su tutti prodotti acquistati sul sito di e-commerce ed altre agevolazioni. Sono avvisaglie ma se questi giganti decidessero di puntare sul settore dei servizi finanziari avrebbero spazi di crescita ben più ampi.

Una ricerca di Accenture mostra come ci sia grande interesse verso la possibilità di affidarsi ai colossi web per servizi appannaggio del sistema bancario tradizionale. Circa un terzo dei quasi 33 mila interpellati sarebbe infatti interessato a spostare il proprio conto bancario su Facebook, Google o Amazon qualora venisse loro offerta questa possibilità. In Italia il dato sale al 42% e raggiunge il 51% tra i più giovani. “Se consideriamo la capacità di penetrazione del mercato di questi soggetti, il forte legame con i clienti, è facile immaginare quanto un eventuale loro ingresso nei servizi bancari e assicurativi possa essere pericoloso per gli istituti tradizionali”, spiega Piercarlo Gera, Senior Managing Director di Accenture e curatore dell'indagine. “Per ora, continua Gera, non prevediamo che grandi attori come Google o Amazon possano decidere di strutturarsi come vere e proprie banche. Potrebbero però seguire l'esempio di Facebook e configurarsi come degli intermediatori. Più in generale, il settore finanziario sta evolvendo rapidamente da uno scenario B2C (Business-to-Consumer) a uno C2B (Consumer-to-Business), in cui è il Cliente a decidere con chi interagire e da chi acquistare”. Quanto ad un dato italiano sorprendentemente alto Gera ritiene che la crisi di redditività che sta investendo il sistema bancario italiano, insieme alla diffusione delle nuove tecnologie abbiano messo in difficoltà il rapporto degli istituti con la propria clientela.

Entro gennaio 2018 i paesi UE dovranno recepire la nuova direttiva sui servizi di pagamento che prevede anche la possibilità per i titolari di conti on line di effettuare pagamenti o accedere alla rendicontazione bancaria attraverso software realizzati da parte terze autorizzate. Nei giorni scorsi i rappresentanti di alcune fintech hanno sottolineato come l'azione delle lobby bancarie stia favorendo una definizione delle linee guida applicative della direttiva molto favorevole alle banche e penalizzante per le start up finanziarie. Probabile che la pressione dei big del credito produca alcuni effetti ma lo scopo della direttiva è quello di aumentare la concorrenza e favorire l'innovazione cercando al contempo di salvaguardare e migliorare i livelli di sicurezza e tutela dei dati.

Un altro fenomeno in crescita esponenziale e potenzialmente pericoloso per le banche tradizionale è quello dei finanziamenti peer to peer. Sono prestiti effettuati direttamente tra creditore e debitore attraverso apposite piattaforme on line come Lending club o Prosper che mettono in contatto le due parti. Non svolgono il ruolo di intermediazione come fa una banca quindi il rischio di insolvenza rimane a carico del solo creditore. Tuttavia distribuendo la somma investita tra numerosi finanziamenti si riduce drasticamente il pericolo di perdite, un processo che avviene in modo automatizzato. Nel 2009 questi circuiti gestivano prestiti pari a 26 milioni di dollari, nel 2015 oltre 26 miliardi. Secondo una ricerca di Trasparency Market nel 2024 il volume dei finanziamenti potrebbe sfiorare i 900 miliardi. Quello dei social media è un habitat potenzialmente molto favorevole alla proliferazione di questi circuiti.

Sofisticati algoritmi sono oggi in grado di spalmare qualsiasi somma tra un alto numero di prestiti abbattendo il rischio e di gestire investimenti e disinvestimenti pressoché istantaneamente per far fronte alle esigenze di spesa quotidiane a all'uso di carte di credito. Rappresentano quindi ormai un'alternativa realistica al tradizionale conto corrente affidato alla banca. Con il diffondersi e l'affinarsi di soluzioni innovative quello che si prospetta per il sistema bancario è una progressiva disintermediazione. Secondo una stima di Goldman Sachs sul 2015 questo processo sta già drenando 11 miliardi di profitti annui dal sistema bancario.


Marco Giorgino, responsabile scientifico dell'Osservatorio digital finance, Politecnico di Milano, suggerisce comunque di dare il giusto peso ai diversi fattori. “Le fintech, spiega Giorgino, sono flessibili e veloci, spesso riescono a inserirsi in nicchie e a dare efficienza al mercato, sono portatrici di modelli di business innovativi, ma per ora i numeri in termini di giro d'affari sottratto alle banche sono modesti . Oltre che competitor possono essere per i grandi players un'opzione su cui andare ad investire per seguire da vicino modelli innovativi, anche in vista di eventuali integrazioni. Si pensi ad esempio all'acquisizione di FutureAdvisor da parte di Blackrock”. “La minaccia posta dai colossi del web e dell'e-commerce, continua Giorgino, mi pare invece reale e consistente viste le potenzialità finanziarie e del bacino di clienti di cui dispongono. L'aspetto normativo e regolamentare può essere un freno ma non potrà essere una barriera nel medio termine”.


A giocare a favore del mondo internet sono anche le dinamiche demografiche. “La ricchezza è in mano prevalentemente alla fascia più anziana della popolazione ma progressivamente si trasferisce verso le nuove generazioni, più avvezze ad utilizzare il web e meno sensibili all'aspetto della relazione personale”. Quanto al futuro prossimo Giorgino precisa “non assisteremo di certo ad una sostituzione delle banche ma sicuramente ad una maggiore concorrenza su alcuni servizi. Credo, peraltro, ci sarà una ricomposizione del sistema bancario tra banche che avranno saputo adattarsi e sfruttare il nuovo contesto e quelle che invece avranno subito passivamente queste evoluzioni”.

Dai dati della ricerca di Accenture emerge anche una predisposizione molto favorevole verso una consulenza finanziaria totalmente automatizzata, ossia gestita da algoritmi e robo advisor. Il 73% degli intervistati accetterebbe indicazioni interamente generate da computer. Graziano Bugatti è uno dei fondatori di “Mind over money” che realizza una piattaforma di pianificazione finanziaria sostenibile della famiglia gestita da robo advisor. Secondo Bugatti anche per effetto delle recenti vicende di alcune banche italiane “tra la clientela c'è una forte e crescente richiesta di trasparenza ed oggettività nella consulenza. Le indicazioni generate da pc vengono percepite in linea con questi requisiti anche in virtù delle possibilità di comparazione che offrono”. “Attenzione però, avverte Bugatti, a non confondere tra semplici tool di calcolo utilizzati per una modellistica di allocazione (ossia programmi che identificano come investire una certa somma, ndr) e robo advisor veri e propri. Si fa spesso confusione, spiega, ma i veri robo advisor sono strumenti che forniscono indicazioni su sostenibilità e pianificazione di tutte le aree di finanza personale e quindi previdenza, credito, assicurazioni. Sono programmi che simulano scenari futuri e suggeriscono il modo migliore per raggiungere obiettivi come l'acquisto della casa o l‘accantonamento di somme per l'istruzione dei figli oltre a come e quanto risparmiare a fini previdenziali”.

Via Il Sole 24 Ore
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Di Max Da Via' (del 03/02/2017 @ 07:31:56, in Startup, linkato 2272 volte)

Secondo il più recente report Dealroom sugli investimenti in startup e scaleup europee nel corso del 2016, rapporto di cui abbiamo parlato in questo articolo, ci sono diverse società scaleup che hanno raggiunto e superato, in diversi casi ampiamente, i 100 milioni d’investimenti. Si tratta in diversi casi di società sul mercato da diversi anni, che sono cresciute con un ritmo da azienda “normale” fino a questo momento, ma ora hanno bisogno di accelerare e darsi una spinta molto forte, anche per affrontare l’avanzare dei competitor.

Ecco chi sono e quanto hanno raccolto.

 

Spotify – 909 M €

Nata a Stoccolma nel 2006 dall’iniziativa di Daniel Ek e Martin Lorentzon, è attualmente valutata circa 8 miliardi di dollari. Con il suo servizio di streaming di musica, video, podcast raggiunge oltre 100 milioni di utenti nel mondo (di cui circa 30 milioni paganti)  e pare si prepari all’IPO. Ha collezionato ben 8 round d’investimento, per una cifra complessiva di circa 1,5 miliardi di dollari, sebbene il suo modello di business non sempre convince per il basso margine di guadagno (e le perdite) dovute alle commissioni elevate che Spotify paga all’industria musicale.

http://www.spotify.com

Gett – 330 + 91 M € (due diversi round)

E’ uno dei rivali di Uber e offre servizi di trasporto on-demand. Nata nel 2010, headquarter a Tel Aviv, sede legale a New York ma poi di fatto europea, perchè è in Europa, tra UK e Russia, che ha attualmente la sua più forte diffusione: a Londra la metà dei yellow cab lavorano con Gett. Ha già superato i 500 milioni di dollari complessivi di investimenti, che nel 2016 hanno raggiunto il massimo con 300 milioni investiti da VolksWagen e altri 91 da Sberbank, la più grande banca Russa.

https://gett.com/

GFG – 330 M €

GFG, o Global Fashion Group, è una delle startup della moda di Rocket Internet, e non è tra quelle che stanno andando meglio. Offre un servizio di on-line shopping nei mercati emergenti, attraverso altri marchi-piattaforme: Dafiti in America Latina, Lamoda in Russia, Namshi nel Medio Oriente, The Iconic in Australia, Jabong in India e Zalora nel Sud est asiatico.

Quest’ultimo round da 330 milioni di euro nel 2016, in cui la stessa Rocket Internet ha messo 100 M, è stato un cosidetto down round, cioè un investimento in cui la valutazione data alla società (1,1 B $) è stata di gran lunga inferiore al precedente ultimo round in cui era stata valutata circa 3,5 miliardi di dollari.

http://global-fashion-group.com/

OVH – 267 M €

La francese OVH viene considerato il più grande successo europeo in ambito cloud, possiede già 21 datacenter, tra cui uno in Canada e uno negli States, ed è proprio all’espansione nel nord america che mirano grazie anche alla raccolta del nuovo investimento.  Il round da 267 milioni di euro vede coinvolti sopratutto investitori US. Nel ranking mondiale delle società di hosting e servizi cloud concorre con  giganti come Amazon, Google, Microsoft, IBM, Oracle, Sap, ecc.

https://www.ovh.com/us/

Deliveroo – 250 M €

Fondata a Londra nel 2013 da William Shu, Greg Orlowski, Deliveroo è una società di food delivery. L’investimento ottenuto nel 2016 (capitanato dal fondo di private equity Bridgepoint) è il più importante nella storia della società, che ha raccolto complessivamente quasi 500 milioni di euro. In Italia la società è presente con il suo servizio dal 2015 ed è guidata da Matteo Sarzana e ha ottenuto ottimi risultati nonostante siano stati anche loro investiti insieme al concorrente Foodora dalle bufere dei rider.  L’investimento del 2016 ha permesso una immediata scalata della società che ha aperto in circa 30 nuove città.

https://deliveroo.co.uk/

https://deliveroo.it/it/

Skyscanner – 154 M €

Nel 2001 il programmatore scozzese Gareth Williams creò un foglio di calcolo durante il tempo libero per aiutarlo a cercare i voli migliori nel Web e da qui nacque l’idea che è diventata Skyscanner. Fondata ufficialmente a Edimburgo nel 2003, questa scaleup del travel offre un servizio di ricerca e comparazione voli aerei, hotel, noleggio auto in decine di lingue e valute e vanta un’app mobile con oltre 40 milioni di download. Ha fatto fatica ad emergere (questo a riprova che non sempre le startup crescono e scalano in un paio di mesi), ha fatto oculato fundraising (solo 3 round e 7 investitori) , ma ha tra i suoi investitori anche fondi importanti come Sequoia Capital, ed è cresciuta organicamente.

http://skyscanner.com/

https://www.skyscanner.it/

SigFox – 150 M €

E’ francese, è nata nel 2009 nel bel mezzo dei Pirenei (vicino a Tolosa) da Ludovic Le Moan e Christophe Fourtet e si occupa di tecnologia per l’internet of things, in particolare sta sviluppando un sistema di comunicazione tra oggetti connessi che attualmente, dice VB, è il più vasto IoT network mondiale. E’ considerato un esempio di successo e di grande ispirazione in Francia, già da quando nel 2015 ha raccolto quello che era in quel momento il più cospicuo investimento in startup mai realizzato in Francia. Si dice che la sua valutazione attuale sia di circa 600 milioni di euro e che sia pronta a espandere la propria rete IoT in 60 Paesi entro il 2018.

In Italia opera attraverso l’operatore Nettrotter .

https://www.sigfox.com

Coolblue – 140 M €

Nata a Rotterdam nel 1999 è il re dei web-shop olandesi, con oltre 300 punti vendita virtuali e anche 6 fisici. Come ha detto Business Insider è riuscita a portare a bordo un investitore come Hal Holding, dopo 17 anni. La società si è sempre concentra  sui negozi specializzati, con un assortimento profondo e descrizioni complete dei prodotti e attenzione al servizio e soddisfazione del cliente. Lo scorso anno ha fatturato di 555 milioni di euro, il doppio rispetto al 2014. La società impiega oltre ai negozi online sette negozi fisici e un totale di 1600 persone. L’accelerazione della crescita anche nel 2016 ha spinto verso la società al fundraising, che con nuovi capitali può spingere molto di più.

https://www.coolblue.nl

Cabify – 109 M €

Spagnola, fondata a Madrid da Brendan Wallace, Juan De Antonio, Sam Lown, Cabify, è l’Uber spagnolo. Il suo servizio è operativo in 14 città tra Spagna e America Latina. Lanciato nel 2011 ha fatto 4 round di fundraising , raggiungendo complessivamente oltre 170 milioni di euro. Quest’ultimo investimento, guidato dalla tech company giapponese Rakuten (che è anche investitore di Lyft), è il più importante che abbia mai realizzato ed è tutto orientato all’espansione in America Latina e consolidamento interno. Cabify è cresciuta in maniera quasi timida in questi anni, ma il mercato della nuova mobilità on-demand si è fatto parecchio agguerrito e la vede competere in patria con Hailo e MyTaxi e in America Latina direttamente con Uber e Easy Taxi.

https://cabify.com


Via Startupbusiness
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Di Max Da Via' (del 02/02/2017 @ 07:22:47, in Advertising, linkato 2205 volte)

L’ultima cosa che un brand vuole fare è sparare una campagna costosa verso le persone sbagliate e non interessate al loro prodotto o servizio. Una situazione molto comune in realtà, basti pensare alle classiche attività display, per non parlare della tv o della stampa, dove la targetizzazione avviene solo per genere di siti, o giornali o programmi televisivi.

Così, mentre la tecnologia pubblicitaria ha dato ai brand una moltitudine di strumenti con cui lavorare, la chiave per sviluppare una campagna in modo corretto, è sapere come definire il pubblico di destinazione e come mettere le mani nei dati.

Contextual targeting

Come detto prima, il metodo più elementare è la segmentazione del pubblico in base al contesto. Il vantaggio del targeting contestuale è che gli annunci sono di solito abbinati più o meno all’ambiente circostante ed è di facile creazione. Ci sono diversi livelli di targeting contestuale, ognuno con i suoi usi e i suoi vantaggi specifici.

La categoria targeting generale: al livello più alto, gli annunci possono essere mirati in base alla categoria del sito o dell’applicazione. L’Interactive Advertising Bureau (IAB) ha delineato una lunga lista di categorie e sottocategorie a cui gli editori fanno riferimento per avere uno standard comune.

Dominio del sito web: una campagna può essere finalizzata a un particolare dominio o applicazione. Mentre la portata di questo tipo di targeting è relativamente limitata, può essere utile per indirizzare i visitatori a siti con una stretta connessione con il prodotto o servizio.

Il targeting contestuale in base al contenuto della singola pagina o sottocategoria del sito: questo metodo è più preciso, ma elimina il vantaggio della facilità e rapidità nel pianificare le campagne.

Molto spesso il contenuto targeting contestuale è fatto attraverso parole chiave sia per il contenuto del testo sia per i contenuti multimediali. L’esempio più evidente di parola chiave per il targeting contestuale è AdWords di Google. Quasi tutte le piattaforme (DSP) consentono agli inserzionisti di inserire un elenco di parole chiave e il contenuto della pagina di destinazione o di parti di pagine a cui far riferimento per le campagne.

Meteo e altri eventi esterni

Il targeting basato sugli eventi come il clima e i grandi appuntamenti sportivi, può essere molto efficace. Una società che vende pizza al supermercato già pronta, potrebbe lanciare una campagna promozionale nel fine settimana per gli appassionati di calcio o di sport in generale. Un servizio di riparazione auto potrebbe scegliere di far visualizzare gli annunci subito dopo condizioni climatiche avverse come la pioggia o la neve. E un’azienda farmaceutica potrebbe far partire una campagna quando i livelli di polline aumentano nell’aria.

Behavioral targeting

I metodi descritti sopra portano vantaggi significativi, ma quando si tratta di raggiungere i clienti a un livello più personale, sviluppando una campagna basata sul comportamento passato di ogni singolo consumatore e non più sulla massa, con un approccio uno a uno (e sempre più spesso sul comportamento futuro) è la vera svolta per il marketing. Nessun altro metodo fornisce soluzioni migliori verso gli interessi dei clienti, simpatie e antipatie, personalità e altre cose che possono o non possono renderli preziosi. Naturalmente, il targeting comportamentale richiede che la maggior parte dei dati e degli strumenti di gestione siano fra i più avanzati per eseguire il lavoro correttamente.

First-Party Data Targeting

I CRM sono abbastanza diffusi, ma ancora adesso molte aziende non ne fanno uso, oppure li utilizzano in ambiente chiusi, non rendendosi bene conto che quello che hanno in mano, a volte, vale più dei prodotti in vendita. Dei dati di prima parte certificati e classificati con una DMP possono essere rivenduti come dati di seconda parte e rappresentare per molte aziende addirittura la prima voce di profitto.

Targeting demografico

Il targeting demografico (in base alla posizione, genere o lingua) può sembrare un modo meno glamour di raggiungere un pubblico di valore, ma è, in realtà, non meno prezioso rispetto ad altri metodi. Combinate con dati comportamentali, per esempio, le azioni intese a determinati gruppi demografici possono dare molti risultati. Senza contare che un annuncio può essere del tutto inutile se visualizzato nella nazione o lingua sbagliata.

Sesso/Età & Targeting

Molti prodotti e servizi sono realizzati appositamente per uomini o donne, persone anziane o Millennials. Quindi, età e sesso sono parametri importanti quando si tratta di targeting.

Come si fa?

Per gli utenti normali, in base al comportamento e agli argomenti visualizzati.

Tuttavia, per gli inserzionisti che utilizzano piattaforme specifiche come Facebook o Instagram, le cose sono molto più semplici in quanto gli utenti forniscono tali dati al momento della registrazione.

Altri segmenti demografici

Il targeting può anche essere effettuato sulla base di altre condizioni come: sposato / single / sposati con figli, tutte informazioni che sono utili per gli inserzionisti.

Geolocation

La geolocalizzazione è una delle condizioni di targeting più dinamiche (dal momento che può cambiare in modo casuale, e spesso lo fa, nel mondo di oggi grazie alle connessioni da cellulare o wi-fi) ed è una delle informazioni più preziose per le aziende.

Il targeting per geolocalizzazione può avvenire in vari modi, tra cui:

  • Geolocalizzazione basata su IP: l’indirizzo IP di un utente di internet vi darà un’idea generale della sua posizione ed è utilizzato con grande efficacia per stabilire il paese e la città.
  • Hyperlocation (con applicazioni mobili): per la geolocalizzazione basate su GPS.
  • Hyperlocation basata su Geofencing per perfezionare l’esatto punto di posizione in luoghi molto specifici (fino a pochi metri in alcuni casi).

Gli annunci pubblicitari per alcuni prodotti possono essere visualizzati in base ai dati noti sui dintorni come il reddito medio delle famiglie.

Device Targeting

Insieme con la geolocalizzazione, il device targeting è particolarmente utile per le campagne mobili. Ciò ha implicazioni evidenti per la pubblicazione di annunci locali, annunci contestuali o coupon promozionali anche per i negozi, ristoranti, hotel, meccanico, gommista etc. nelle immediate vicinanze dell’utente. Questi sono fra i principali metodi di targetizzazione comuni a tutti, ma ogni industry ne ha di propri da sfruttare per ottenere dei grandi risultati dalle campagne in programmatic advertising.


Via DailyOnline
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Di Max Da Via' (del 01/02/2017 @ 07:49:39, in Internet, linkato 1984 volte)

Sono ormai sempre di più gli editori che hanno adottato un approccio multi-piattaforma, veicolando i propri contenuti all’interno di piattaforme terze come Facebook, Google e Snapchat. Tuttavia questa modalità non sarebbe sufficientemente remunerativa: secondo uno studio di Digital Content Next (DCN), nel corso dei primi sei mesi dell’anno passato 17 dei suoi publisher hanno generato ricavi ‘medi’ per 7,7 milioni di dollari dalla voce “piattaforme terze”, il 14% di quanto sono riusciti a portare a casa. E il rapporto con queste piattaforme è ambivalente: se, infatti, YouTube è riuscito a mettere in piedi un sistema in grado di accontentare i creators, spesso su Facebook e Snapchat gli editori non hanno trovato modelli soddisfacenti.

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Editori davanti a una dicotomia

Certo, prodotti come Accelerated Mobile Pages, Instant Articles o la sezione Discover di Snapchat consentono di allargare il proprio bacino di utenti, eppure la cessione di parte degli introiti è un’ulteriore questione da affrontare per gli editori di oggi. Secondo Business Insider, che è riuscita a ottenere una copia di questo report condotto per utilizzo interno, gli editori si trovano davanti a una dicotomia: da una parte l’obbligo di essere presenti all’esterno, entrando in contatto con il proprio pubblico e stimolandolo a visitare il proprio sito o iscriversi a una newsletter; dall’altra la cessione del pieno controllo della monetizzazione e soprattutto dei dati di comportamento, utili per potenziare i propri sistemi di targeting.

Come riflesso dell’attuale soluzione troviamo un comparto editoriale in sofferenza non solo sulla carta stampata, ma anche su internet. In America nei primi sei mesi dell’anno scorso Facebook (+43%) e Google (+60%) hanno portato a casa rispettivamente 5,7 e 17,4 miliardi di dollari mentre il giro d’affari riconducibile alla restante raccolta pubblicitaria è calato da 9,9 a 9,7 miliardi (fonte PWC per IAB).

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La situazione nel BelPaese

Nel nostro Paese, la presenza di Facebook e Google ha addirittura un’influenza positiva sul mercato pubblicitario nel suo complesso, e non solo in quello internet che, relativamente al perimetro monitorato da FCP-Assointernet, negli undici mesi ha registrato una contrazione della spesa del 2,5% a circa 406 milioni. In Italia le entrate mobile delle concessionarie di FCP-Assointernet si attestano attorno ai 38 milioni di euro, con un balzo in avanti del 110%. Considerando le stime social e search di Nielsen, il -2,5% si ribalta e si trasforma in un + 8,2%. L’impressione è che nel breve periodo non sia possibile contrastare il duopolio di Facebook e Google, specialmente quando si parla di mobile, il media in cui le audience trascorrono la maggior parte del tempo.

YouTube è la piattaforma più remunerativa

Tornando allo studio, risulta particolarmente interessante osservare le performance di ogni singola piattaforma. In testa si piazza YouTube, che nella prima metà del 2016 è valso 773mia dollari per ciascun premium publisher. Seguono Facebook, con una media di 560mila dollari, Twitter (482mila) e Snapchat (192mila). L’analisi è stata commissionata da DCN a Powers Media & Entertainment Consulting per raccogliere informazioni dai suoi  membri, tra cui Bloomberg, Business Insider, ESPN, Financial Times, NBC, New York Times e Washington Post, con l’obiettivo di fare chiarezza sulle strategie di monetizzazione dei contenuti su piattaforme terze. E non contiene informazioni finanziare relative al singolo editore ma soltanto delle stime “medie” per ciascuna delle realtà esaminate. Il report è stato condotto per uso interno, ma Bloomberg e Business Insider sono riusciti a ottenerne una copia.

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Monetizzazione insufficiente

In sintesi, l’indagine indica che, nonostante la gran parte dei publisher sia impegnata a rafforzare la propria presenza al di fuori del proprio sito, le piattaforme di distribuzione spesso non forniscono sufficienti possibilità di monetizzazione per coprire la produzione degli stessi contenuti di qualità di cui hanno bisogno per avere credibilità e successo tra utenti e inserzionisti. E anche il tema del coinvolgimento del pubblico è cambiato: le piattaforme terze fanno da ponte e disintermediano i rapporti con l’audience.

Il report ha individuato, poi, le criticità più importanti da affrontare in ciascuna piattaforma

  • Facebook non offre prodotti pubblicitari video per le televisioni né l’abilità di integrare le capacità di ad serving e strumenti di misurazione di terze parti. Stando a voci sempre più insistenti la società dovrebbe presto aprire ai mid-roll, permettendo a publisher e creators un ritorno sugli investimenti nella produzione di contenuti. Contenuti che però dovranno essere più lunghi e quindi ancora più impegnativi da impacchettare e servire all’enorme platea del social. Il discorso è valido anche per Facebook Live, ancora impossibile da monetizzare se non attraverso gli attuali e ristretti test. A Live viene anche contestato di non creare larghe audience in concomitanza dei grandi eventi.
  • Instant Articles ha diverse restrizioni sul numero e la tipologia di annunci, regole più severe rispetto ai siti proprietari, dove si guadagna naturalmente di più e si raccolgono più informazioni sull’audience. Inoltre Instant Articles è stato oggetto di alcuni degli errori di misurazione riscontrati nei sistemi di reportistica di Facebook.
  • Bisogna riconoscere che Facebook è stata l’azienda che negli ultimi mesi ha provato a stringere legami più solidi con il mondo editoriale. Prova ne sono la nomina di Campbell Brown a head of news partnerships e gli sforzi nello sperimentare possibilità come i mid-roll. Anche sul campo delle bufale, Facebook ha intrapreso le prime importanti azioni, aprendo a sistemi di verifica esterni e impegnandosi a segnalare con tempestività le notizie false.
  • Google AMP sta guadagnando il favore degli editori della carta stampata, ma non è terreno fertile per i broadcaster. Il motore di ricerca, tra tensioni e veri e propri scontri con l’ecosistema media, ha finanziato progetti editoriali anche italiani attraverso Digital News Initiative. Il problema delle bufale ha riguardato anche Google, che dal giorno dell’elezione di Trump, ha bannato circa 200 siti dal proprio network pubblicitario.
  • Sempre in casa Big G, YouTube sta rafforzando le relazioni con agenzie creative, brand e influencer ed è attiva nell’elevare la qualità dei contenuti. Nonostante ciò, in passato il rapporto con i partner si è complicato in materia di monetizzazione.
  • Twitter non ha avuto un 2016 semplice. La società ha perso quota in Borsa e anche il programma Amplify non è riuscito a dare i risultati sperati. Negli Stati Uniti, però, l’uccellino ha ampliato la soluzione introducendo la possibilità di transare inventory preroll in programmatic con oltre 300 partner.
  • Infine Snapchat ha recentemente introdotto alcuni publisher francesi a bordo di Discover e rinnovato le linee guida in ottica restrittiva in tema di contenuti espliciti e di bufale. Ma per gli editori non c’è controllo nel processo di monetizzazione: Snapchat è passata da un modello revenue share a un altro prestabilito su licenza. E sul breve termine la remunerazione degli investimenti sull’app sembra non essere esaustiva.

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