Il numero uno di JP Morgan Jamie Dimon l'aveva scritto ai suoi azionisti già nel 2015: “Silicon Valley is coming”, riferendosi soprattutto al proliferare delle “fintech”, start up tecnologiche focalizzate sui servizi finanziari. Ora però a scaldare i motori sono i pesi massimi. Colossi come Amazon, Facebook, Apple, Google o i cinesi di Alibaba che possono contare su ingenti risorse finanziarie e immensi bacini di utenti fortemente fidelizzati di cui già maneggiano un' infinità di dati che consentano una accurata profilazione delle loro potenziali esigenze.
Facebook ha da poco ottenuto in Irlanda una licenza per l'emissione di moneta elettronica e servizi di pagamenti e secondo alcune indiscrezioni avrebbe avviato colloqui per l'acquisizione di fintech specializzate in trasferimento di denaro. Il gruppo californiano potrebbe quindi esportare in Europa il sistema di pagamenti tra utenti di Facebook messanger già attivo negli Stati Uniti. E' bene precisare che non si tratta di una licenza che abilita il gruppo californiano a “fare la banca” con servizi come depositi on line o altro. Un'attività riservata a banche vere e proprie e soggetta a diversa autorizzazione.
Quello di Facebook è comunque un primo passo. Paypal ottenne ad esempio un'analoga licenza nel 2004 e tre anni più tardi richiese e ottenne una licenza bancaria in Inghilterra. L'abilitazione dalla banca centrale d'Irlanda permette in prospettiva Facebook di chiedere l'estensione di questo servizio all'intera Unione europea. Amazon ha da poco presentato una carta di credito, in partnership con Jp Morgan, riservata ai i suoi clienti “prime” con sconti del 5% su tutti prodotti acquistati sul sito di e-commerce ed altre agevolazioni. Sono avvisaglie ma se questi giganti decidessero di puntare sul settore dei servizi finanziari avrebbero spazi di crescita ben più ampi.
Una ricerca di Accenture mostra come ci sia grande interesse verso la possibilità di affidarsi ai colossi web per servizi appannaggio del sistema bancario tradizionale. Circa un terzo dei quasi 33 mila interpellati sarebbe infatti interessato a spostare il proprio conto bancario su Facebook, Google o Amazon qualora venisse loro offerta questa possibilità. In Italia il dato sale al 42% e raggiunge il 51% tra i più giovani. “Se consideriamo la capacità di penetrazione del mercato di questi soggetti, il forte legame con i clienti, è facile immaginare quanto un eventuale loro ingresso nei servizi bancari e assicurativi possa essere pericoloso per gli istituti tradizionali”, spiega Piercarlo Gera, Senior Managing Director di Accenture e curatore dell'indagine. “Per ora, continua Gera, non prevediamo che grandi attori come Google o Amazon possano decidere di strutturarsi come vere e proprie banche. Potrebbero però seguire l'esempio di Facebook e configurarsi come degli intermediatori. Più in generale, il settore finanziario sta evolvendo rapidamente da uno scenario B2C (Business-to-Consumer) a uno C2B (Consumer-to-Business), in cui è il Cliente a decidere con chi interagire e da chi acquistare”. Quanto ad un dato italiano sorprendentemente alto Gera ritiene che la crisi di redditività che sta investendo il sistema bancario italiano, insieme alla diffusione delle nuove tecnologie abbiano messo in difficoltà il rapporto degli istituti con la propria clientela.
Entro gennaio 2018 i paesi UE dovranno recepire la nuova direttiva sui servizi di pagamento che prevede anche la possibilità per i titolari di conti on line di effettuare pagamenti o accedere alla rendicontazione bancaria attraverso software realizzati da parte terze autorizzate. Nei giorni scorsi i rappresentanti di alcune fintech hanno sottolineato come l'azione delle lobby bancarie stia favorendo una definizione delle linee guida applicative della direttiva molto favorevole alle banche e penalizzante per le start up finanziarie. Probabile che la pressione dei big del credito produca alcuni effetti ma lo scopo della direttiva è quello di aumentare la concorrenza e favorire l'innovazione cercando al contempo di salvaguardare e migliorare i livelli di sicurezza e tutela dei dati.
Un altro fenomeno in crescita esponenziale e potenzialmente pericoloso per le banche tradizionale è quello dei finanziamenti peer to peer. Sono prestiti effettuati direttamente tra creditore e debitore attraverso apposite piattaforme on line come Lending club o Prosper che mettono in contatto le due parti. Non svolgono il ruolo di intermediazione come fa una banca quindi il rischio di insolvenza rimane a carico del solo creditore. Tuttavia distribuendo la somma investita tra numerosi finanziamenti si riduce drasticamente il pericolo di perdite, un processo che avviene in modo automatizzato. Nel 2009 questi circuiti gestivano prestiti pari a 26 milioni di dollari, nel 2015 oltre 26 miliardi. Secondo una ricerca di Trasparency Market nel 2024 il volume dei finanziamenti potrebbe sfiorare i 900 miliardi. Quello dei social media è un habitat potenzialmente molto favorevole alla proliferazione di questi circuiti.
Sofisticati algoritmi sono oggi in grado di spalmare qualsiasi somma tra un alto numero di prestiti abbattendo il rischio e di gestire investimenti e disinvestimenti pressoché istantaneamente per far fronte alle esigenze di spesa quotidiane a all'uso di carte di credito. Rappresentano quindi ormai un'alternativa realistica al tradizionale conto corrente affidato alla banca. Con il diffondersi e l'affinarsi di soluzioni innovative quello che si prospetta per il sistema bancario è una progressiva disintermediazione. Secondo una stima di Goldman Sachs sul 2015 questo processo sta già drenando 11 miliardi di profitti annui dal sistema bancario.
Marco Giorgino, responsabile scientifico dell'Osservatorio digital finance, Politecnico di Milano, suggerisce comunque di dare il giusto peso ai diversi fattori. “Le fintech, spiega Giorgino, sono flessibili e veloci, spesso riescono a inserirsi in nicchie e a dare efficienza al mercato, sono portatrici di modelli di business innovativi, ma per ora i numeri in termini di giro d'affari sottratto alle banche sono modesti . Oltre che competitor possono essere per i grandi players un'opzione su cui andare ad investire per seguire da vicino modelli innovativi, anche in vista di eventuali integrazioni. Si pensi ad esempio all'acquisizione di FutureAdvisor da parte di Blackrock”. “La minaccia posta dai colossi del web e dell'e-commerce, continua Giorgino, mi pare invece reale e consistente viste le potenzialità finanziarie e del bacino di clienti di cui dispongono. L'aspetto normativo e regolamentare può essere un freno ma non potrà essere una barriera nel medio termine”.
A giocare a favore del mondo internet sono anche le dinamiche demografiche. “La ricchezza è in mano prevalentemente alla fascia più anziana della popolazione ma progressivamente si trasferisce verso le nuove generazioni, più avvezze ad utilizzare il web e meno sensibili all'aspetto della relazione personale”. Quanto al futuro prossimo Giorgino precisa “non assisteremo di certo ad una sostituzione delle banche ma sicuramente ad una maggiore concorrenza su alcuni servizi. Credo, peraltro, ci sarà una ricomposizione del sistema bancario tra banche che avranno saputo adattarsi e sfruttare il nuovo contesto e quelle che invece avranno subito passivamente queste evoluzioni”.
Dai dati della ricerca di Accenture emerge anche una predisposizione molto favorevole verso una consulenza finanziaria totalmente automatizzata, ossia gestita da algoritmi e robo advisor. Il 73% degli intervistati accetterebbe indicazioni interamente generate da computer. Graziano Bugatti è uno dei fondatori di “Mind over money” che realizza una piattaforma di pianificazione finanziaria sostenibile della famiglia gestita da robo advisor. Secondo Bugatti anche per effetto delle recenti vicende di alcune banche italiane “tra la clientela c'è una forte e crescente richiesta di trasparenza ed oggettività nella consulenza. Le indicazioni generate da pc vengono percepite in linea con questi requisiti anche in virtù delle possibilità di comparazione che offrono”. “Attenzione però, avverte Bugatti, a non confondere tra semplici tool di calcolo utilizzati per una modellistica di allocazione (ossia programmi che identificano come investire una certa somma, ndr) e robo advisor veri e propri. Si fa spesso confusione, spiega, ma i veri robo advisor sono strumenti che forniscono indicazioni su sostenibilità e pianificazione di tutte le aree di finanza personale e quindi previdenza, credito, assicurazioni. Sono programmi che simulano scenari futuri e suggeriscono il modo migliore per raggiungere obiettivi come l'acquisto della casa o l‘accantonamento di somme per l'istruzione dei figli oltre a come e quanto risparmiare a fini previdenziali”.
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Il Sole 24 Ore