Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I consumatori stanno voltando le spalle ai brand e questo è dimostrato dal fatto che il 26% degli utenti dichiara di ignorare i post sui social o i contenuti condivisi dalle marche. Di contro assistiamo alla crescita dell’utilizzo di piattaforme social, come Snapchat e Instagram. La popolarità di Snapchat e Instagram è cresciuta negli ultimi due anni rispondendo alla richiesta di contenuti veri, personali, e istantanei, “in the moment” secondo lo studio dell’istituto globale di ricerca KANTAR TNS svolto su 70mila consumatori. Quasi un quarto (23%) degli utilizzatori internet è ora su Snapchat, un grande salto rispetto al 12% di due anni fa. Situazione simile in Italia, con il 25% degli utenti internet ora attivi sulla piattaforma, a dispetto di un 15% nel 2015, mentre in America Latina assistiamo ad un balzo dal 12 al 38% in due anni. Anche Instagram ha acquisito popolarità, con un livello di utilizzo globale che oggi è al 42% dal 24% del 2014. In Italia, è sulla piattaforma il 51%, con una crescita di 15 punti percentuali negli ultimi due anni. Anche se sono i giovani i più grandi utilizzatori dei social, su tutte le piattaforme è da notare che anche i più adulti si stanno aprendo alle novità del momento: 1 user su 5, di età compresa tra i 55 e i 65 anni ora utilizza Instagram, registrando un aumento del 47% rispetto all’anno scorso. L’Italia sembra in linea con il dato globale, come emerge dallo studio.
Ecco cosa fare lato brand
“Le marche dovranno affrontare non poche difficoltà nel tentativo di coinvolgere i consumatori, dal momento che questi ultimi si sentono bombardati dalla presenza dei marchi sulle piattaforme social, con il 34% in Italia che dichiara di sentirsi “costantemente seguito” dalla comunicazione online. Nuove possibilità si aprono per i brand che potrebbero approfittare di questo trend offrendo contenuti personalizzabili e condivisibili come video e storie divertenti. Un internauta su 4 però volta le spalle ai contenuti brandizzati sui social: la sfida è come consegnare i giusti contenuti alle persone giuste, sulle giuste piattaforme e soprattutto al momento giusto. Siamo già abituati a scarsa attenzione alla pubblicità nei media tradizionali; oggi è un rischio anche nei Social”. Questo è quanto affermato da Federico Capeci, cdo e ceo Italia di KANTAR TNS. “Alcuni brand avevano già capito quanto questo fosse importante. In passato Disney, Starbucks e McDonald’s avevano utilizzato i filtri di Snapchat per coinvolgere i consumatori in un modo che non venisse percepito come intrusivo. Questa è la chiave per evitare la percezione negativa dei consumatori nei confronti delle attività online dei brand”, ha concluso. L’aumento degli user in tutte le fasce d’età rappresenta un’opportunità per i brand che possono creare contenuti condivisibili e coinvolgenti. Peraltro, con il 30% dei rispondenti (il 35% in Italia) che ha dichiarato di essere contrario all’idea di vedere i propri comportamenti online tracciati dalla pubblicità, emerge la necessità di muoversi con attenzione.
Il ruolo degli influencer
Lo studio ha inoltre evidenziato come gli influencer e le celebrità abbiano un ruolo chiave nell’influenzare la percezione sulle marche da parte delle persone. Infatti 2 utenti su 5 (40 % nel mondo, il 32% in Italia) di età compresa tra i 16 e i 24 anni, dichiarano di avere più fiducia in quello che le persone dicono online a proposito del brand che sulle informazioni trovate sui canali ufficiali come giornali, siti o pubblicità tv.
Via DailyOnline
Gli annunci online devono essere visibili per almeno 14 secondi per andare a segno. Lo dice uno studio sull’eye-tracking, condotto da InSkin Media su un campione di 4.300 consumatori. Il report rivela anche che la pubblicità considerata vista riceve una media di 0,7 secondi di sguardi. Research Now e Sticky dicono che il 25% degli annunci “viewable” non sono mai stati guardati, mentre un terzo è stato visto per un secondo e il 42% sono stati visti per più di un secondo. Un annuncio viene considerato “viewable” se soddisfa il criterio del settore per cui il suo 50% è sullo schermo per almeno un secondo. Lo studio fornisce anche un insight su quanto tempo un annuncio deve essere visibile la prima volta per raggiungere determinati livelli di cosiddetto “gaze time”.
Tre fasi di valutazione
In media, per essere visto per almeno un secondo un annuncio deve essere “viewable” per 14 secondi. Le pubblicità che hanno raggiunto almeno un secondo di “gaze time” sono “viewable” per una media di 26 secondi. Per almeno due secondi di “gaze time”, la viewability media è di 33 secondi. Per tre o più secondi è di 37 secondi. Steve Doyle, chief commercial officer di InSkin Media, ha dichiarato: “Una campagna dovrebbe essere valutata in tre fasi: se ha la possibilità di essere vista, se è stata guardata realmente e quale è stato l’impatto. Dovrebbe essere giudicata e ottimizzata in rapporto all’ultima fase (impatto), ma il focus sulla visibilità significa che le campagne sono sempre più ottimizzate in relazione alla prima fase (la possibilità), che può essere controproducente per massimizzare l’impatto. Perché? I formati più piccoli hanno un tasso maggiore di “possibilità di essere visti” dal momento che la loro dimensione significa che è più facile colpire le soglie di visibilità – ma il “gaze time” è molto basso. Così, significa ottimizzare basso engagement e basso impatto”
Via DailyOnline
Il Music Consumer Insight Report 2016 (pdf) è una ricerca condotta da IPSOS e finalizzata a delineare il mercato musicale dopo la grande rivoluzione che ne ha investite le strutture, il modello di business, i protagonisti, le dinamiche e gli equilibri. E la fotografia non è solo quella di un mercato profondamente cambiato, ma anche di un immaginario che va stravolgendosi rispetto a pochi anni prima. Quello che era il ragazzino intento a scaricare MP3 su pc, oggi è diventato il ragazzino disposto a spendere pochi euro per un abbonamento legale con cui accedere a musica dal proprio smartphone. Ciò ha determinato uno spostamento dell’asse gravitazionale del mondo musicale, sempre più lontano dal desktop e sempre più incentrato sui dispositivi portatili, sul traffico dati e sulle playlist. I numeri descrivono fatti inconfutabili: il 71% degli utenti online tra i 16 e i 64 anni accede a musica legalmente e un terzo della fascia tra i 16 e i 24 anni paga per un servizio di audio streaming. I giovani continuano ad essere fortemente attratti dalla musica e dai suoi personaggi, ma è cambiato radicalmente il canale di accesso (e pertanto tutte le dinamiche ivi correlate): la mutazione non è dunque antropologica ma meramente tecnologica, il che ha spostato le abitudini di fruizione su nuovi strumenti e nuovi servizi, ha modificato le modalità di accesso ai contenuti, ma non ha cambiato il forte feeling che l’utenza media ha nei confronti della musica. Si consuma sempre più musica, insomma, ma in modi completamente nuovi. Il ruolo di YouTube Uno di questi, il più diffuso, è YouTube. Il servizio, di proprietà Google, è usato dall’82% dei suoi visitatori per l’ascolto di musica: gratuito, semplice ed efficace, con l’aggiunta delle immagini per quanti vogliano aumentare il coinvolgimento nella fruizione, YouTube è diventato oggi uno degli strumenti più importanti per l’accesso ai contenuti musicali. Se lo si volesse immaginare come la MTV dei Millennials, insomma, non si andrebbe troppo lontano dalla verità. I motivi per cui si approccia YouTube sono in molti casi legati al desiderio o alla mancata possibilità di investire in contenuti musicali: YouTube è gratis, YouTube consente fruizioni altrimenti non possibili, YouTube consente di accedere alla musica senza dover investire in anticipo su tale operazione. Il denaro è insomma alla base del modello che porta l’utenza online ad ascoltare musica su un servizio nato originariamente come la più grande ed efficiente repository video al mondo. Ciò ha però alcune ripercussioni sulla ricchezza del palinsesto e sulla cultura musicale diffusa: la maggior parte degli utenti che utilizza YouTube per l’ascolto musicale, infatti, tende a consumare musica già conosciuta e non ha stimoli né desiderio di scoprire nuovi generi, nuovi autori e nuove passioni. Ciò va ad appiattire l’offerta, concentrandola sui grandi nomi e riducendo gli spazi per giovani artisti, generi particolari e nicchie di ascolto. Il ruolo della musica in streaming A questa tendenza fa da contraltare il successo dei canali di streaming a pagamento (Spotify e similari), sempre più in voga come strumenti di accesso privilegiato alla musica: la loro grande offerta, il concetto di tariffa flat e la proposta di playlist che vanno ad ampliare i gusti musicali dei singoli rappresentano il miglior spot alla musica legale nella sua complessità, facilitando peraltro anche l’incontro con autori e generi altrimenti di difficile fruizione. In Italia tali strumenti trovano linfa soprattutto sugli smartphone, che gli utenti utilizzano in due casi su tre proprio per l’ascolto musicale in mobilità. L’arrivo di device come Google Home potrebbero estendere il bacino d’utenza della musica in streaming e riportare gli equilibri verso una fruizione casalinga, ed in ogni caso premiano la musica attraverso un abbattimenti di ogni forma di resistenza alla libertà di ascolto. La pirateria non muore e trova nuove forme espressive attraverso lo streaming ripper, ma la grande vastità di offerte (di molteplice fattura, di ogni prezzo, per raggiungere qualsivoglia tipologia di musica) sta riportando l’utenza verso un approccio legale ai contenuti. Ad avvantaggiarsene sarà l’intero comparto, al netto di alcune deformazioni nel modello di business che le case discografiche stanno da tempo discutendo con i grandi player della distribuzione online. Via Webnews
Secondo AdExchanger, Samsung sta presentando ad agenzie e media partner un nuovo prodotto pubblicitario di addressable tv che utilizza i dati delle smart-tv per targettizzare gli annunci sulle trasmissioni broadcast lineari. L’azienda che ha una portata di 20 milioni di smart tv negli Stati Uniti e 50 milioni in tutto il mondo, ha già cominciato ad attivare e monetizzare i suoi data.
Partner Samsung
Samsung, quindi, erogherà campagne addressable attraverso le sue smart tv come DirecTV, Comcast e Dish fanno già via satellite o set-top box. Nonostante il programma addressable lineare sia in ancora in fase beta, AdExchanger rivela che alcune campagne cross-screen sono già in onda. Tra i partner di Samsung ci sono Sorensen Media, che aiuterà ad erogare annunci interattivi “first screen”, Hearst e Sinclair, che forniranno inventory. “Portare l’addressable tv attraverso una smart tv sulla inventory dei broadcst non è mai stato fatto prima – ha detto Michael Bologna, president di Modi agenzia di GroupMche usa Sorenson -. Attualmente tutto l’addressable viene fatto via cable box con inventory via cavo”.
Potrebbe portare miglioramenti in ambito misurazioni
Altri produttori di terze parti di settop box permettono già di fare targeting reachbased, ma ancora nessun riproduttore digitale IP-based è stato in grado di connettere in scala la tv over-thetop al broadcast tradizionale. L’ingresso di Samsung nell’ad-serving potrebbe portare miglioramenti anche in ambito di misurazione. Lo scorso giugno, Samsung ha acquisito la DSP canadese AdGear, di cui si è servita per erogare annunci cross-screen sia su dispositivi mobili sia su smart tv, oltre che per individuare e fare retargeting di quell’audience. Inoltre, la collaborazione con Sorensen Media permette all’azienda sudcoreana di accedere ai dati censuari relativi alla visione televisiva, con il potenziale di incrementare la precisione di quelle stesse campagne cross-screen.
via DailyOnline
In occasione dell’appuntamento annuale dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana – martedì 11 e mercoledì 12 ottobre – dedicato ai social media, al web e agli strumenti innovativi di comunicazione e marketing forniti da internet e dalle reti sociali alle banche e al mercato finanziario, dal titolo “Dimensione Social & Web”,Blogmeter, uno tra i brand partner di questa terza edizione, ha realizzato una ricerca sulle performance delle pagine Facebook e dei profili Twitter ufficiali italiani delle banche nel mese di settembre, decretando le migliori cinque in termini di engagement e nuovi fan/follower. In particolare Facebook si attesta come il canale più utilizzato dagli istituti bancari e anche il più efficace in termini di coinvolgimento degli utenti.
Fb: le migliori sono BPER Banca, Credem e Intesa San Paolo
Dall’indagine emerge che nel canale social di Zuckerberg il primo posto in termini di interazioni generate lo conquista la pagina di BPER Banca, seconda tra l’altro per numero di nuovi fan: l’istituto bancario, che il 9 settembre ha festeggiato i 100 mila fan, coinvolge gli utenti con la condivisione di numerosi consigli e di offerte promozionali e corona così un periodo di intensa attività di comunicazione sui canali digitali e social. Segue Intesa San Paolo che appassiona gli utenti con una comunicazione più trasversale alternando a contenuti di promozione dei propri prodotti e servizi, post dedicati alle iniziative di cui è partner, come ad esempio il programma X Factor. Tocca poi a CheBanca!, che si posiziona al terzo posto per engagement grazie soprattutto al progetto #Oltre lanciato per i Giochi Paralimpici di Rio 2016 in partnership con altri istituti bancari. La quarta banca più engaging su Facebook è una nativa digitale: si tratta di BCC For Web che punta su uno stile comunicativo leggero ed empatico. Chiude la top 5 dell’engagement Ing Direct che posta una media di 2 contenuti al giorno e il suo hashtag distintivo è #VoceArancio. Per quanto riguarda la capacità di coinvolgere la propria community, la pagina Facebook più performante in assoluto è Credem Banca, con post e status improntati principalmente sulla promozione dei prodotti e dei servizi offerti. Completano la classifica dei new fan UniCredit e UBI Banca.
Su Twitter trionfano Banca Popolare Etica e Unicredit
La classifica di Twitter che considera il numero di interazioni si apre con Banca Popolare Etica, profilo che non emerge tuttavia nella Top 5 per nuovi follower: temi come il sostegno alla campagna #unsaccogiusto di Legambiente e la promozione del progetto @sacchetico hanno coinvolto e appassionato gli utenti di Twitter, regalando alla banca moltissime interazioni. Emerge anche su Twitter Intesa San Paolo, seconda per engagement e quinta per nuovi follower, mentre al terzo posto per entrambe le metriche troviamo CheBanca!, che ha fatto il pieno di interazioni e new follower con la partecipazione alla Social Media Week di Roma. Nella Top 5 si piazza inoltre Banca Ifis, particolarmente attiva durante la quinta edizione dell’international #nplmeeting 2016. Ottime performance su Twitter anche per Unicredit, che risulta il profilo che ha accresciuto maggiormente la propria community: in particolare, è l’iniziativa #UniCreditTour che ha permesso all’istituto bancario di ottenere un grande successo su Twitter. Il secondo profilo che si è aggiudicato più nuovi follower a settembre è Deutsche Bank. In classifica anche l’ufficio stampa della Banca d’Italia.
Via DailyOnline
In Italia sono 29,7 milioni le persone che posseggono uno smartphone e 11,6 milioni quelle che hanno un tablet ma solo il 25%di loro ha utilizzato il proprio device per perfezionare un acquisto negli ultimi sei mesi. Tradotto:un italiano su quattro. Il dato è di gran lunga inferiore alla media europea, pari al 32%, e alla percentuale mondiale, pari al 38%. È quanto emerge dalla ricerca Nielsen Mobile Ecosystem Survey basata su un campione di oltre 30 mila possessori di apparecchi mobile in 63 Paesi. Stando all’analisi, più che per i pagamenti, il mobile è utilizzato durante lo shopping perricercare informazioni su prodotti/servizi (il 40%, contro la media Europa del 44%), per comparare i prezzi (36% contro il 41% dell’Europa), per cercare promozioni o coupon (il 30% contro il 32%). La stima è che, tra dieci anni, il mobile commerce possa generare un giro di affari del valore di 10 trilioni di dollari.
IL MOBILE ONLY BANKING. Un capitolo a parte viene invece riservato per i servizi bancarilegati al mobile. Solo il 37% degli italiani userebbe il mobile per controllare i propri movimenti bancari, contro il 43% della media europea e il 47% della media mondiale. Per quanto riguarda il mobile-only banking, ossia i serviti bancari offerti esclusivamente in modalità mobile, l’11% degli intervistati italiani si dice disposto a utilizzarli. La media europea è del 17% che diventa il 27% se si considera quella mondiale. In particolare i Paesi più favorevoli al mobile only banking sono India (46%) Indonesia (37%), Messico (34%) e Turchia (34%) poiché qui la rete delle filiali fisiche è già scarsa. «L’esperienza dei mercati emergenti costituisce un punto imprescindibile per sviluppare anche in Europa la cultura del mobile. Ciò a cui siamo chiamati è un radicale cambiamento di visione del mondo dei consumi», spiega l’a.d. NielsenGianni Fantasia. «Nello stesso tempo è necessario uno sforzo delle catene di distribuzione per permettere un servizio di pagamenti via mobile adeguato alle aspettative. Occorrono, inoltre,garanzie di sicurezza e risparmi sulle commissioni per le operazioni bancarie».
GLI OSTACOLI. Attualmente a frenare i consumatori a pagare tramite mobile sarebbero tre cause. La prima, condivisa anche dal resto d’Europa, è la percezione di non operare in un clima di sicurezza: è il timore del 35% degli intervistati italiani e del 46% del campione europeo. Al secondo posto, ci sarebbe la concorrenza dei servizi online banking, ormai entrati nelle abitudini quotidiane del 34% degli italiani (29% in Europa e 28% nel mondo). Solo il 20% non ricorre invece al mobile perché privilegia la banca fisica. Le percentuali europee e mondiali sono superiori, pari rispettivamente al 25% e 31%. «Facilità d’uso, convenienza, accesso ad un assortimento rilevante, abbattimento dei tempi di evasione delle transazioni, un approccio integrato per gestire i canali off e on line, un linguaggio comune delle piattaforme tecnologiche: sono questi i contenuti della ‘value proposition’ del mobile in grado di fornire una base motivazionale “forte” e solida perché i consumatori dalla banca tradizionale emigrino al sistema esclusivamente mobile. Solo così sarà possibile garantire al consumatore dell’online un ritorno in termini di valore aggiunto adeguato e caratterizzato dall’unicità dell’offerta», conclude Fantasia.
Via Business People
Continuano a cambiare i comportamenti degli utenti online. La penetrazione del mobile e la potenza sempre maggiore dei device stanno spingendo il traffico verso il segmento, ma al suo interno ci sono spaccature piuttosto evidenti. Applicazioni e mobile browsing hanno scopi diversi e complementari, «ma è sulle app che viene speso il 90% del tempo, e tra le 15 app più scaricate, 11 sono di proprietà di Facebook e Google. Una situazione che potrebbe essere pericolosa per il mercato italiano», racconta Fabrizio Angelini, ceo dicomScore per l’Italia. Il quadro della situazione mobile, raccontato ieri da Stuart Wilkinson, Head of Industry Relations EMEA di ComScore a Milano, è il frutto degli sviluppi di MMX Multi-Platform e Mobile Metrix dovuti all’introduzione dei dati del Panel Mobile, sviluppato in Italia sugli utenti Android. «Abbiamo incrociato le informazioni consegnate dai nostri 2000 panelisti ai dati censuari collezionati da app e siti che possiedono il nostro tag (38 milioni di domini, n.d.r.). Il valore di ricerche come questa risiede nei big data, nell’interpretazione delle informazioni, capaci di arricchire e dare maggior credito alle rilevazioni», dice ancora Angelini.
Le piattaforme
Solamente nel mese di gennaio, comScore ha raccolto quasi 2 trilioni di dati in tutto il mondo. Per aiutare i marketer a raccapezzarsi velocemente tra tutte le informazioni a loro disposizione, la società ha lanciato nel 2014 la prima versione di MMX Multi-plaform, una piattaforma in grado di processare dati grezzi in metriche di facile lettura. La tecnologia è in continua evoluzione: nata per riportare le informazioni desktop, si è poi espansa a mobile e presto agli ott. La visualizzazione del report può essere proposta in overview o suddivisa nei diversi dispositivi su cui vivono i domini dei clienti. «Fornisce una visione deduplicata del comportamento della Total Digital Audience su desktop, smartphone e tablet», aggiunge Wilkinson. Mobile Metrix, invece, incrocia i dati provenienti dal panel mobile, le informazioni censuarie raccolte da mobile browsing e app e gli insight tratti dalle ricerche di mercato, producendo al contempo una serie di metriche tra cui visitatori unici, dati demografici, reach, tempo speso , utenti medi giornalieri e pagine viste su mobile browser.
La digital audience italiana
Sebbene non sia currency di riferimento in Italia, come invece lo è in Usa, Uk e Spagna, comScore riesce a intercettare con il suo tag il 94% dei device connessi alla rete nella Penisola ed è applicato dall’80% dei principali editori italiani e grazie alle informazioni così raccolte è riuscita a sviluppare una ricerca che fotografa la situazione del digitale anche sul nostro territorio. Dai dati raccolti nell’agosto del 2016, è evidente lo shift di utenza dal desktop, che perde il 22%, al mobile, che invece guadagna il 20%, stanziando il traffico sul primo a 10,9 milioni di visitatori unici e il secondo a 8,4. Cresce anche il traffico multi platform, che si attesta a 17,3 milioni di unique visitor (+9%). Guardando alla distribuzione del traffico, il 23% dei digital user accedono solo da mobile, il 30% solo da desktop e il 47% da entrambi i dispositivi. L’ultima percentuale è la più bassa tra i Paesi in cui comScore è currency ed «è la più importante perché la conversione avviene ancora da desktop. La componente mobile only non è necessariamente un segno di evoluzione», spiega Angelini. Se questo discorso appare evidente quando si parla di categorie di mercato, è ugualmente importante quando si parla di editoria. Sebbene le inventory mobile siano più difficili da monetizzare, i publisher perdono utenza da desktop e raddoppiano quella mobile. I dati «considerano la riattribuzione del traffico che avviene sugli AMP di Google e su Facebook», continua Angelini. In altre parole la società di misurazione assegna agli editori le pagine aperte dagli utenti sulle piattaforme esterne su desktop e, unica nel settore, da mobile. «Siamo i soli che propongono deduplicazioni che riportano un’audience complessivo», aggiunge.
Mobile
«Su tre minuti passati online, due sono spesi su mobile. Google, Whatsapp e Facebook dominano la classifica delle properties per numero di utenti unici mobile totali, ovvero app e mbrowsing combinati, con tassi di penetrazione del 99%, 90% e 81%», continua Angelini. Considerando che il traffico in app vale il 90% del traffico mobile complessivo, e che tra le prime 15 app, 12 appartengono a Facebook e Google, lo scenario del mezzo potrebbe essere preoccupante. Questi due player infatti siedono su una posizione di predominio totale, considerando anche che la penetrazione su device delle app vale il 93% per Whatsapp e Google Play, il 78% per Google Search, il 70 per Youtube. «La prima app che non appartiene alle due società è Amazon, in 12esma posizione, con una penetrazione del 23%, seguita da My Vodafone Italia e IlMeteo Previsioni (entrambe 17%)», riporta. Facendo attenzione alle categorie di contenuto, servizi e social media si spartiscono il 60% della torta, mentre per Notizie, Sport e Lifestyle la percentuale si aggira intorno all’1% a testa. La dicotomia tra m-browsing e applicazioni rimane anche per le funzioni strategiche specifiche: i visitatori unici delle property nella prima modalità sono 2 volte e mezzo quelli delle app (2,5 milioni contro 1,3 nel mese), mentre il tempo medio speso è 8 volte inferiore (49,3 minuti contro 401,1). Se il browser serve per raggiungere nuovi utenti, le app sono necessarie a fidelizzarli. Una missione non facile, dato che il tempo speso in app è altamente concentrato sulle proprietà dei grandi colossi. Facebook assorbe il 30% del tempo speso totale, Whatsapp il 28, Youtube il 6. E fuori dal podio le percentuali sono molto inferiori. Stimolare il download non è affatto facile considerando che, nell’arco dei 31 giorni, il 68% di chi naviga non scarica nessuna app.
Advertising
Ultimo punto, ma non certo il meno importante, è quello dell’advertising. Il 33,8% dell’utenza smartphone over 13 ricorda di aver visto una ad sul device, e il 13% (circa) tra questi ci ha interagito. Un dato in crescita del 12,8% rispetto all’agosto del 2015, che produce un ctr del 4.39% sul totale ads erogate (considerando i dati dichiarati).
Via DailyOnline
comScore oggi annuncia un importante sviluppo dei prodotti MMX Multi-Platform e Mobile Metrix per l’Italia grazie all’introduzione dei dati provenienti dal panel mobile appena lanciato. L’introduzione dei dati del panel mobile Android potenzia le misurazioni della mobile audience in Italia fornendo una reportistica più robusta su metriche di visite ed engagement e sui dati demografici, che comprendono nuove variabili di segmentazione quali l’area geografica di residenza, la presenza di bambini e la composizione del nucleo familiare.
“Ci siamo impegnati a introdurre sul mercato italiano soluzioni solide e di alta qualità e siamo entusiasti nell’annunciare che ancora una volta abbiamo rispettato gli impegni presi, attraverso il rapido sviluppo di un panel mobile locale che consente insight più approfonditi e granulari,” ha affermato Gian Fulgoni, CEO di comScore. “Abbiamo ricevuto dal mercato un enorme sostegno per lanciare nuove soluzioni che aiutino i nostri clienti a prendere decisioni migliori nel panorama odierno, multi-device e in continua evoluzione. Questo traguardo rappresenta un passaggio-chiave nella nostra roadmap di innovazione ed è solo l’inizio di una serie di ulteriori sviluppi da realizzare nel prossimo futuro”.
I prodotti MMX Multi-Platform e Mobile Metrix di comScore combinano dati provenienti dai panel desktop e mobile con i dati del network censuario di comScore, che intercetta globalmente oltre 1.8 trilioni di interazioni digitali al mese e il 94% dei dispositivi connessi a internet in Italia, al fine di fornire una vista unificata del comportamento delle audience su desktop e su mobile. Questo approccio unico fornisce una misurazione reale, basata sulle persone, della Total Digital Reach. Inoltre le misurazioni di comScore continuano a innovarsi per includere i cambiamenti nel comportamento degli utenti e le nuove tecnologie. Tra queste la capacità di misurare e attribuire il traffico proveniente da app di terze parti e da distributori di contenuti come Facebook Instant Articles e Google AMP, per assicurare agli editori una misurazione consistente della loro audience digitale complessiva su più dispositivi.
Principali risultati emersi dai dati di agosto 2016:
- La Total Digital Population ha raggiunto in Italia i 36,6 milioni di visitatori ad agosto 2016 sui quali le 7 maggiori properties vantano una reach superiore al 50%;
- Il 47% ha effettuato l’accesso a Internet sia tramite desktop sia tramite mobile.
- Banzai si è posizionata come la principale digital property italiana, con una Total Digital Population ad agosto 2016 pari a 22,4 milioni di utenti, di cui il 56% ha effettuato l’accesso esclusivamente tramite smartphone o tablet.
- La componente mobile-only dell’audience rappresenta la maggioranza dell’audience dei principali siti di news e informazione in Italia, come nel caso del Gruppo Editoriale Espresso (che ha mostrato un’alta percentuale di visitatori unici esclusivamente mobile, pari al 52%), o RCS Media Group (al 55%).
Il Mobile Browsing attira le audience mentre le App generano coinvolgimento
L’analisi sulle prime 100 mobile property in Italia rivela che l’audience media su mobile browsing è il doppio dell’audience media raggiunta dalle top property su mobile app, dimostrando che il mobile browsing rappresenta ancora l’elemento chiave per aumentare la propria reach digitale.
Ad ogni modo, nel mese di agosto 2016 il tempo spento in-app sulle top 100 property è risultato 8 volte superiore a quello speso in mobile browsing, evidenziando che le app sono la modalità preferita dai visitatori più coinvolti e fedeli per interagire con contenuti e servizi. Facebook e WhatsApp sono al primo e secondo posto in termini di coinvolgimento detenendo rispettivamente il 30,3% e il 28,2% del tempo speso sulle prime 100 mobile app durante il mese di agosto 2016.
Facebook, WhatsApp e Youtube le App con il più alto coinvolgimento delle audience, Fabrizio Angelini CEO di comScore Italia, ci illustra i dati del Panel Mobile.
Via Spot & Web
Dinamiche economiche, aspetti finanziari, giuridici e manageriali del mercato sportivo sono state le tematiche al centro dell’attenzione del primo Forum Sport e Business organizzato dal Sole 24 Ore presso la sua sede milanese, a una settimana dalla presentazione del “Piano Periferie” con cui il Governo ha stanziato 100 milioni per realizzare oltre 180 nuove strutture sul suolo nazionale. Ad aprire i lavori è stato Marco Nazzari, chief revenue officer Europe e managing director Italy di Nielsen Sports, che ha snocciolato numeri e trend principali della sport industry, tracciando anche una panoramica sullo scenario internazionale.
Le sponsorship sportive valgono 62 miliardi, trainate dall’Asia
«Il mondo dello sport sta crescendo in modo esponenziale e, secondo le nostre stime, nel 2017 la spesa globale per le sponsorizzazioni supererà i 62 miliardi di dollari, l’80% in più rispetto al 2010 quando ne valeva “soltanto” 35. Esiste comunque il potenziale per il settore sponsorship di crescere oltre quanto già previsto, grazie all’impatto dei nuovi player delle digital platform. A oggi gli elementi chiave della crescita sono sostanzialmente 3: un maggiore interesse per gli eventi premium, la nascita di mercati emergenti – il caso dell’Azerbaijan è esemplare – e di nuove property, e infine l’evoluzione della distribuzione e delle modalità di consumo di questi contenuti, che vanno sempre più in direzione digital only, IPTV e OTT». Questo trend non è destinato ad arrestarsi, soprattutto grazie alle nuove fonti d’investimento, in società e property di settore, che arrivano dall’Est e dall’Asia: i casi Wanda Group, Huawei e Gruppo Suning ne sono un esempio. «Guardando al futuro – continua Nazzari – ci aspettiamo che digital, betting e gaming rights vadano ad alimentare la velocità del cambiamento e che il settore tecnologico continui a essere la categoria merceologica di sponsor con l’incremento più importante».
Millennial e donne trainano lo sport business
Una questione importante da monitorare è l’audience di questo circo che, prima ancora che sportivo, rischia di diventare mediatico. «I Millennial e le donne sono i due segmenti chiave e hanno un potere d’acquisto, rispettivamente, di 2,5 e 3 trillioni di dollari. Entrambi sono bacini d’audience dall’alto potenziale e presentano diverse opportunità per i brand, che devono capire come intercettarli nel modo giusto», ha spiegato Nazzari. Ne sono un esempio l’NBA, che intercetta giornalmente oltre 100 milioni di utenti su Snapchat, e diverse squadre di calcio, che hanno stretto con Facebook una partnership per trasmettere live gli allenamenti. «La vera sfida del futuro è creare maggior engagement nei Millennial e sostenere investimenti nello sport femminile, sia in ambito amatoriale sia professionistico», ha concluso.
OTT: opportunità o minaccia?
Sul fronte dei diritti audiovisivi, i costi continuano a salire dimostrando che il live sport è un contenuto premium: NBA +186%, NHL +163%, Premier League +70%, Bundesliga +53%, CSL +2567% e AFL +67%. «Le emittenti spingono sempre di più per contratti a lungo termine e per ottenere i diritti delle piattaforme digitali. Ma se da un lato la concorrenza di nuovi player nel mondo media provoca l’aumento dei prezzi per i diritti degli sport più seguiti, dall’altro gli stessi sport stanno sviluppando prodotti media proprietari, creando così tensioni con gli stake holder». Infatti piattaforme di direct to consumer e ott si stanno conquistando spazio, diventando per molti player più tradizionali quasi una minaccia: «Piattaforme che distribuiscono contenuti esclusivamente in digitale si sono assicurate diritti esclusivi di contenuti premium: Tencent, per esempio, ha ottenuto i diritti digitalu e streaming esclusivi per l’NBA in Cina per 700 milioni in 5 anni. Ma anche Telco, Right Older e gli stessi brand in prima persona si stanno facendo largo, costruendo le proprie offerte OTT», ha commentato managing director Italy di Nielsen Sports, che intravede un futuro sempre pià incentrato sugli OTT e, per forza di cose, le emittenti dovranno trovare le giustre contromisure.
L’avvento di una nuova categoria: Fast Growth Sport
«Esports, nuovi formati di competizioni ed eventi, il mondo fitness e i combat sports sono il presente e il futuro della sport industry», spiega ancora Marco Nazzari. Gli Esports, in particolare, conosceranno una crescita esponenziale, con l’Asia a guidare questo mercato, e un’audience da fare invidia ai maggiori eventi sportivi mondiali. «Emergeranno nuovi format ed eventi sportivi negli sport tradizionali che finiranno per rimpiazzare del tutto i vecchi formati».
La monetizzazione su digital e social è tutto
Brand sportivi e Right Holder, dopo essersi concentrati sulla costruzione e sul consolidamento di una loro community, hanno successivamente puntato i riflettori sulle pratiche di engagement e di monetizzazione. «Questa è l’era della monetizzazione, con i maggiori Right Holder che vanno a integrare le brand partnership attraverso contenuto online di qualità e usano abitualmente i canali social per attirare utenti sui propri siti di ticketing e merchandising. Costruire Fan Stories, New Asset e puntare sui video rappresentano le tre modalità per ottenere valore attraverso i social media e questo comporta la nascita di nuovi asset digitali e opportunità di sponsorship, come quella Chevrolet – Manchester United». «La monetizzazione dunque – conclude il managing director Italy – rappresenterà il maggiore flusso dei ricavi nello sport».
Via DailyOnline
Quali sono le abitudini digitali degli italiani? A trovare una risposta a questa domanda, ci ha pensato l’Agcomnel rapporto “Il consumo di servizi di comunicazione: esperienze e prospettive” pubblicato recentemente.
Internet in mobilità è la chiave di volta
Propedeutico all’uso di servizi di comunicazione è il possesso di device. L’analisi dell’Agcom evidenzia l’ampia penetrazione tra gli individui di smartphone e/o cellulari (94,1%), seguita dal telefono fisso (88,4%). Meno diffusa tra gli individui è la disponibilità di smart tv (27,7%). La rapida diffusione delle tecnologie di connessione a internet in mobilità, rende molto interessante l’analisi della disponibilità di strumenti che forniscono accesso alla rete (smartphone, tablet e pc portabili) in qualsiasi luogo e momento: il 30% circa di individui dispone di tutti e tre i dispositivi.
Accesso alla rete: giovani vs. anziani
Dal confronto intergenerazionale proposto nell’analisi, si osserva come l’età rappresenti uno dei principali fattori che rende l’esperienza di consumo dei beni e servizi di comunicazione differente tra gli utenti: tra i più giovani sono diffusi i comportamenti più innovativi. C’è inoltre un diverso livello di conoscenza e di consapevolezza sia degli strumenti e delle loro potenzialità d’uso, sia delle caratteristiche qualitative dei servizi offerti dai fornitori. Per i più maturi, invece, si evidenzia il rischio di esclusione digitale: infatti, prendendo in esame i dati sull’accesso a internet, mentre nella classe più anziana della popolazione solo un terzo degli individui accede a internet, in quella più giovane sono più di nove individui su dieci ad accedervi. A livello generale, la rilevanza della rete nella vita quotidiana è universalmente riconosciuta tra i consumatori. L’accesso alla rete, infatti, è ritenuto un servizio indispensabile per oltre il 90% degli individui, indipendentemente dall’età. A tal proposito è interessante notare che l’88% dei cosiddetti “Matures” riconosce l’importanza di internet anche se questa rappresenta la categoria che vi accede di meno.
La carenza di conoscenze è una “barriera all’accesso”
Le evidenze empiriche suggeriscono che il solo fattore “età” non è in grado di spiegare il gap che l’Italia mostra, rispetto ad altri paesi dell’Europa, nella diffusione tra la popolazione dei più moderni strumenti di comunicazione. In particolare, la carenza di conoscenze e di dimestichezza con gli strumenti tecnologici rappresenta, per il consumatore, una sorta di “barriera all’accesso”. Le analisi mostrano, infatti, come le caratteristiche legate alla conoscenza producano un significativo impatto sulla diffusione della cultura digitale. A parità di classe di età, un più elevato livello di conoscenza, aumenta la probabilità di un maggior uso delle tecnologie digitali. Ciò si traduce nella necessità di limitare alcuni effetti distorsivi, i cosiddetti “fallimenti di mercato”, generati dalla presenza di asimmetrie informative tra consumatori e i fornitori di servizi. Ad esempio, in Italia, così come in gran parte d’Europa, il 45% degli individui non conosce la velocità raggiunta nel collegamento a internet. Si osserva, però, che l’ignoranza circa la velocità di connessione a Internet si riduce al crescere del titolo di studio dichiarato ed è decisamente minore tra i più giovani. Questo risultato testimonia che mancanza di conoscenza e mancanza di informazione spesso sono correlate. Non senza sorpresa, quindi, emerge che circa il 40% degli utenti non è a conoscenza dell’esistenza di software utilizzabili per testare la velocità di connessione e che oltre il 50% non è disponibile a pagare qualcosa in più per ottenere una connessione più veloce.
Le donne non rinunciano alla voce…
In merito alle modalità di acquisto dei servizi, emerge che oltre il 60% degli individui sceglie di abbonarsi a bundle di servizi che comprendono cioè sia i servizi vocali sia i servizi dati. Anche in questo caso si evidenzia che oltre il 70% dei più anziani resiste nel mantenere la linea telefonica (fissa e/o mobile) senza internet. Una tendenza simile si evidenzia a livello di genere, dove si riscontra che le donne, a prescindere dall’età, preferiscono sottoscrivere abbonamenti che prevedono solo servizi vocali.
…E gli uomini a WhatsApp e Skype
Lo studio Agcom analizza, infine, l’esperienza dei consumatori nei confronti degli strumenti di comunicazione introdotti più di recente, con particolare riferimento alla diffusione tra la popolazione dei servizi di messaggistica come WhatsApp o Messenger, dei servizi alternativi alla telefonia vocale tradizionale, come le chiamate effettuate tramite Skype, e dei servizi postali online. Ai servizi alternativi ricorrono maggiormente gli uomini, tuttavia, il divario è legato più all’età che al genere, soprattutto nel caso dei servizi alternativi di messaggistica.
Via DailyOnline
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