Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Google incrementa la propria quota nel mercato americano del search advertising, raggiungendo il 77,9% del totale nel terzo trimestre del 2010.
La società di Mountain View ha rafforzato la propria leadership su Microsoft e Yahoo!, nonostante l’accordo decennale firmato tra i due colossi per la condivisione degli investimenti di settore. In estate, clic degli utenti statunitensi sulla pubblicità proposta da Google sono cresciuti del 9%.
Via Quo Media
L'era dei brani a 99 centesimi potrebbe essere (già) finita. E' quanto scrive il portale del New York Post, rivelando che la Apple starebbe contrattando con le major della discografia per lanciare una piattaforma che consentirà di fruire di un catalogo di canzoni illimitato mediante il pagamento di un abbonamento mensile.
Mettendo mano al portafoglio (digitale) per una cifra intorno ai 10/15 dollari mensili gli utenti potranno accedere a tutti i file musicali delle case discografiche propense a offrire un servizio di questo tipo. Secondo il New York Post, l'interesse delle major sarebbe alto.
Via Quo Media
C'è un dato particolarmente interessante nella presentazione fatta da Christopher Riess, ceo di Wan Ifra, l'associazione che riunisce i principali editori di giornali in tutto il mondo, al World Editors Forum di Amburgo: la pubblicità su carta è quella che garantisce il miglior ritorno all'investitore. Secondo una ricerca condotta da Microsoft advertising, ogni dollaro speso per acquistare uno spazio pubblicitario su un giornale di carta ne genera almeno 5. Molto più della televisione, il cui ritorno d'investimento risulta essere pari a 2,15, o dei media digitali (3,44).
Insomma, come ha ricordato Janet Robinson, ceo del New York Times, la carta continua ad essere un asset molto importante anche se destinato a perdere terreno nei confronti dei nuovi media. In tutto il mondo le inserzioni pubblicitarie sui quotidiani cartacei, complice la crisi, sono calate del 17% nel 2009 e gran parte degli studi in materia dice che questo trend proseguirà nei prossimi anni.
Un'opinione molto condivisa dagli addetti ai lavori è che in futuro la carta sarà più un "premium media" che un "mass media". Questo almeno è quanto pensa Juan Senor, partner di "Innovation Media Consulting Group", società di consulenza britannica specializzata in media. «Non penso che i giornali spariranno come in molti in rete continuano a dire. L'avvento del cinema non ha ucciso il teatro. La televisione non ha fatto sparire la radio e Internet non farà sparire i quotidiani. I giornali dovranno fornire contenuti sempre più originali e specializzati. E dovranno farsi pagare di più per questo servizio. A nostro modo di vedere il costo attuale dei giornali di carta è assolutamente sottostimato. Il prezzo potrebbe aumentare tranquillamente fino a cinque volte tanto».
Nell'era della "multimedialità", continuano a ripetere qui agli stati generali della stampa, l'importante è differenziare le pubblicazioni dei diversi canali: contenuti premium, come inchieste, commenti ed editoriali, per la carta (o eventualmente a pagamento su internet) e "breaking news" per la versione online e mobile. «L'importante è caratterizzarsi, essere originali. Guardate come hanno titolato la maggior parte dei quotidiani internazionali il giorno dopo la morte di Micheal Jackson: "Il re del Pop è morto" è stato il titolo fotocopia su tutti i media del mondo. Se non ci si rende riconoscibili e autorevoli sarà molto difficile chiedere ai propri lettori di pagare per gli articoli online. Nessuno compra qualcosa che può avere gratis altrove».
Fare pagare i contenuti online sembra quindi essere una strada obbligata per i grandi giornali anche perché, come ricorda Christopher Reiss, «il mercato della pubblicità online è dominato dai grandi motori di ricerca (Google ha il 60% della torta) e nessun quotidiano al mondo può pensare di sfidarlo».
Aspettando di capire qui potenzialità avranno i tablet, il settore guarda con grande attenzione al mondo degli smartphone. La diffusione dell'iPhone ha cambiato radicalmente le abitudini dei consumatori spingendoli sempre più a navigare su mobile. Basta dare un'occhiata ai risultati di una recente ricerca di M:Metrics condotta in Germania, Francia e Gran Bretagna. L'80% dei possessori di iPhone dichiara di utilizzarlo per consultare notizie su internet, contro il 13% di chi usa altri smartphone. La percentuale è paradossalmente più alta di chi lo utilizza per cercare informazioni dai motori di ricerca: lo fa il 57% degli utenti iPhone contro il 18% di chi usa altri modelli.
Il mercato della pubblicità su piattaforme "mobile" oggi come oggi vale quasi 10 miliardi di dollari in tutto il mondo, secondo una stima di Pricewaterhouse & Coopers e promette di crescere ulteriormente nei prossimi anni. «Gli utenti iPhone hanno dimostrato di essere disposti a pagare le apps ed è molto probabile che faranno lo stesso con le news» dice Christopher Riess, ceo di Wan Ifra. Su internet il compito sembra essere più difficile perché «è dura fare pagare oggi quello che ieri era gratis».
Il mercato degli smartphone è decisamente promettente quindi e gli editori sperano che accada lo stesso per i tablet. «L'obiettivo di Apple non è quello di vendere più iPad possibili. Il vero business è quello delle applicazioni», spiega Juan Senor, partner di "Innovation Media Consulting Group" che però avverte: «Non bisogna commettere l'errore di svendersi ad Apple».
Bisogna insomma fare molta attenzione al prezzo a cui si vuole vendere le versioni per iPad. Anche perché, se si vuole sfruttare al massimo le potenzialità di questo mezzo, occorre investire nella formazione di "sviluppatori di applicazioni", una figura professionale ancora assente nelle redazioni dei giornali. Secondo Senor in futuro dovrà esserci almeno uno sviluppatore ogni cinque giornalisti. Insomma se si vuole rendere sostenibile questo business occorre tener bene d'occhio la tabella costi e ricavi.
di Andrea Franceschi su ILSOLE24ORE.COM
La popolarità planetaria di Facebook fa da traino alla ripresa del digital display advertising, almeno nel Regno Unito, nazione in cui il mercato è cresciuto del 6,4% nel primo semestre dell’anno, a 381 milioni di sterline.
Una ripresa degna di nota, dopo i numeri negativi (-4,4%) del 2009, che vedono il social network principe della rete fare da massimo catalizzatore, con circa 40 milioni di sterline raccolti da gennaio a giugno.
Via Quo Media
Il quesito in realtà rimbalza attraverso vari siti che navigo di frequente, da Tagliablog a Vincos: i social media come Facebook e Twitter stanno uccidendo i blog?
Da un certo punto di vista la risposta è affermativa e ne ho già parlato qualche tempo fa, infatti lo spazio inteso come diario personale si sta spostando verso i social network dove è semplice, veloce e sintetico esprimersi.
D’altra parte però chi ha qualcosa di continuativo e, presumibilmente, interessante da dire su di uno o più temi mantiene un proprio blog, raggiungendo un livello qualitativo che spesso è al confine con il magazine vero e proprio.
Quello che secondo me è interessante al di là delle considerazioni più o meno tassonomiche è invece il trend evolutivo: dopo i primi siti che richiedevano conoscenze tecniche di un certo tipo si è passati alla facilità d’uso dei servizi come splinder o blogger fino ad arrivare ai social, dove non è richiesta nemmeno quella minima customizzazione grafica e strutturale.
A tanta facilità si associa una sintesi sempre maggiore, di cui il campione è Twitter con il suo mondo in 140 caratteri, d’altronde compatibile alla perfezione con gli sms e la fruizione del web da mobile.
Si potrebbe dunque pensare che l’espressione online sia sempre più povera ma io invece leggo diversamente il fenomeno: è aumentata infatti la facilità di accesso universale e da ogni luogo e questo permette a più persone di interagire creando anche quei fenomeni di cooperazione e di crowdsourcing che fanno grande il web 2.0.
Allo stesso tempo non vedo come una grave perdita la scomparsa dei diari personali online, abbandonati spesso dopo poche settimane, mentre questa grande partecipazione di commentatori e collezionisti/sharatori di link non fa che creare un pubblico sempre più ampio e fervente per coloro che davvero scrivono di argomenti di interesse più ampio.
I blog e i siti personali di qualità dunque non credo diminuiranno (lo dicono anche le statistiche) ma potrebbero a prima vista sembrare meno perché sono immersi in un grande rumore di fondo di status e like che al contempo sono anche un loro veicolo di promozione.
Insomma, più persone che interagiscono online, secondo il principio della potenza delle connessioni della teoria della complessità, non fanno che creare un valore maggiore della loro semplice somma algebrica e, casomai, il problema diventerà sempre più quello di costruire un filtraggio efficace per non perdersi tra tutto questo magma.
Ma questa è un’altra storia, mentre ora aspetto i vostri commenti.
Gianluigi Zarantonello via Internet Manager Blog
Una ricerca firmata da Nielsen dimostra come gli utenti iPad siano molto appetibili per i pubblicitari. I possessori del tablet di Apple, infatti, si caratterizzano come giovani (under35 nel 70% dei casi) e maschi (nel 65% dei casi). Più che gli acquirenti di altri dispositivi tecnologici, dunque, gli utenti iPad sono definiti e riconoscibili in una categoria precisa.
Giovane età e sesso rendono il pubblico di iPad ben disposto nei confronti della pubblicità (mal sopportata invece dai possessori di iPhone), e più propensi a fare acquisti online legati alle promozioni ricevute via tablet (36% dei casi).
Via Quo Media
Il Senato degli Stati Uniti ha approvato all’unanimità un disegno di legge che regola il volume della pubblicità nei programmi televisivi. Gli spot dovranno avere un audio di pari volume rispetto alle trasmissioni in cui sono inseriti.
Niente più cambi di tono e potenza per attrarre l’attenzione degli spettatori, dunque. L’applicazione della legge causa problemi tecnici alle reti, che dovranno provvedere all’equalizzazione dei volumi per evitare sanzioni ed evitarne agli inserzionisti che comprano gli spazi.
Via Quo Media
Più visibilità su internet e cellulari: il social network Twitter è alla ricerca di altri territori per la sua "pubblicità haiku". Da novembre espanderà la circolazione dei suoi messaggi promozionali anche agli spazi all'interno di software progettati da altre società: gli annunci sbarcheranno, ad esempio, su applicazioni per Iphone e programmi specializzati (tra gli altri, Tweetdeck e Hootsuite).
Da sei mesi la rete sociale cerca nuove strade e sperimenta brevi testi pubblicitari in collaborazione con aziende come Cisco e Pepsi. Spesso il messaggio ristretto in 140 lettere diventa un esercizio di abilità per condensare un'idea, un'immagine, un'intuizione. E gli utenti, se sono incuriositi, decidono di inoltrarlo ai loro amici. Come avviene con i massaggi di posta elettronica indirizzati a elenchi di colleghi e conoscenti. Inoltre alcune aziende hanno lanciato campagne pubblicitarie originali. La compagnia aerea Virgin America, per esempio, ha offerto tariffe scontate per i biglietti agli utenti di twitter. Secondo lo staff del social network, il 5% delle persone ha interagito con la "pubblicità haiku", inviandola ad altri o seguendo il profilo di un marchio.
Finora, però, le campagne promozionali non hanno superato i confini del sito twitter.com e dei suoi utenti. L'ultima scommessa è di far circolare i messaggi all'esterno: tra un mese arriveranno anche su altre piattaforme, costruite negli ultimi anni per facilitare la gestione quotidiana delle conversazioni nei social network. Hootsuite, ad esempio, permette l'accesso contemporaneo a Facebook, twitter e a reti sociali online come LinkedIn e Foursquare. Riunisce in un unico spazio le reti di contatti: non rende più necessario aprire altre pagine all'interno del browser per navigare su internet. E consente di risparmiare tempo per seguire le discussioni in spazi web differenti. Twitter, inoltre, punta su altre iniziative per valorizzare l'attenzione del pubblico rispetto alle esigenze degli inserzionisti. Sulla colonna di destra appaiono i "promoted trend": è in questo spazio che un giocatore di basket della Nba, LeBron James, ha pubblicato il suo annuncio per un posto di lavoro perché non aveva ancora trovato un ingaggio. La notizia è rimbalzata su blog e siti d'informazione. Finché James ha ricevuto l'offerta giusta.
Anche le ricerche di parole chiave tra i messaggi postati su twitter sono una risorsa: sarebbe possibile vendere annunci commerciali a nicchie di pubblico, sulla scia del modello inaugurato da Google. Per Facebook, invece, la strada finora è stata più semplice. Può contare su spazi per gli annunci tradizionali. Ha accordi con gli inserzionisti. Guadagna il 30% sulle applicazioni pubblicate nella sua piattaforma, come Apple con iTunes. E di recente ha introdotto una moneta digitale ("Credits") per gestire le transazioni economiche nei suoi videogiochi. Entro il 2010 è atteso un giro d'affari globale di 1,7 miliardi di dollari (circa 1,2 miliardi di euro) per le promozioni distribuite attraverso i social network online.
di Luca Dello Iacovo su ILSOLE24ORE.COM
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