Una celebre frase di Peter Drucker afferma: "L'autorealizzazione del manager efficace è elemento vitale della valorizzazione dell'intera organizzazione. I manager che si adoperano per diventare più realizzati nel loro ruolo alzano il livello di vitalità di tutto il sistema di appartenenza".
Modestia e fattività: questi erano gli imperativi del successo manageriale di trent'anni fa, nel quadro di una cultura allora premiante, stante l'andamento dei bilanci di allora, ma oggi obsoleta e non più vincente. Il manager contemporaneo, proprio come un bene, è frequentemente "in vetrina" per ragioni di lavoro e, proprio come un buon prodotto, deve sapersi "vendere" prima ancora di essere "consumato". Se una volta il basso profilo era premiante, oggi chi vuole ottenere meritato riconoscimento del suo contributo o successo personale e professionale ( unitamente a quello della propria organizzazione di appartenenza) deve comunicare e saperlo fare bene per farsi individuare ed apprezzare.
Il dirigente aziendale o l'imprenditore sono oggigiorno prima di tutto persone di relazione:parlano, ascoltano, spiegano, convincono, negoziano, tengono riunioni, partecipano a dibattiti e convegni, fanno conferenze, rilasciano interviste. Sono costantemente in discussione, perchè discuono e sono discussi, sotto la lente della società della informazione e della civiltà della comunicazione. E proprio in questa la comunicazione invade ogni momento della nostra vita, ci circonda, e si fa conoscenza e cultura.
Dal postulato di Watslavick: " Non si può non comunicare", mai più vero di adesso, ne consegue che:" Chi non comunica non esiste". Almeno nel sociale. Gli occhi degli spettatori nel taetro dell'esistenza ci misurano forse più per come recitiamo il nostro ruolo che non per quello che siamo intimamente. Già in tempi non sospetti Machiavelli ammoniva: "Ognuno vede quel che tu pari, pochi comprendono quel che tu sei". Pìù forma che sostanza, insomma. Alla luce di queste premesse preliminari di tutte le capacità di comportamento utili per svolgere una attività manageriale, la più attuale ed indispensabile è quella di esprimersi e comunicare. Per ottenere il giusto consenso. La comunicazione dunque sia come input: ascolto, ricerca ed elaborazione di informazioni, cultura, conoscenza, sia soprattutto come output: visibilità, verbalità, vestibilità, vitalità, vivibilità, autorevolezza, risultato, efficacia.
Comunicare per essere e per esistere tanto umanamente quanto professionalmente.
La comunicazione e la sua abilità di, si estrinseca in particolar modo nella capacità di relazionare con i pubblici di riferimento: amici, parenti, colleghi, superiori, dipendenti, fornitori, clienti, consumatori e tutti gli altri stakeholders. Da una indagine svolta su un campione di più di 3.000 professionisti d'azienda è emerso che tra le attitudini primarie del manager del ventunesimo secolo, la più importante e la più premiante, ancor prima di quelle cosiddette "strategiche: innovare, prevedere, pianificare e decidere", è la capacità di "relazione". Quella che comporta un correlazione continua di contatti e comunicazione con gli altri: saper comunicare ed esprimersi, saper esternare la propria personalità, saper lavorare in gruppo, saper negoziare e saper motivare. Ovvero sapersi trasmettere all'esterno nel modo più valorizzante e autentico; avere un linguaggio chiaro, corretto, convincente; non dimostrare timore dell'interlocutore; essere in grado di dialogare e discutere; saper allacciare e coltivare amicizie, connettersi agli altri, sintonizzarsi all'ambiente esterno, stringere alleanze, allargare rapporti interpersonali, attivare network relazionali.
Perchè ognuno è il se' che decide di essere.
Una vita con vista, una finestra spalancata sulla relazione e sulla comunicazione: per essere apprezzati, sentirsi intonati al proprio tempo, , scambiare con gli altri competenza e umanità, avere successo e sentirsi realizzati.
Una finestra dalla quale il mondo entra e a nostra volta noi usciamo per renderci più accesibili e visibili.
I manager del duemila non sono più remunerati per ciò che sanno, ma per ciò che comunicano di essere. David Rockfeller diceva: " Pago la capacità di trattare con la gente più di qualunque altra capacità al mondo!"
L’olfatto è tradizionalmente un senso sottovalutato rispetto a vista e udito, da sempre al centro dell’attenzione di chi si occupa di marketing. Se si escludono infatti le aziende produttrici di profumi e deodoranti, che per ovvi motivi non possono prescindere da esso, sono ancora pochi i settori merceologici che hanno integrato il ricorso all’olfatto nelle proprie strategie di comunicazione e promozione.
In un mercato sempre più competitivo l’approccio al marketing olfattivo comincia però a farsi strada, rientrando nel novero delle iniziative di ambient marketing che puntano ad incrementare l’efficacia del punto vendita. La dimensione dell’olfatto, secondo Terry Molnar del “Sense of Smell Institute”, è un modo estremamente efficace per imprimere il marchio di un’azienda nella mente del consumatore, con un effetto a volte quasi subliminale.
Non deve quindi stupire che la Sony utilizzi fragranze come vaniglia e mandarino per deliziare i clienti delle sue 36 boutique elettroniche o che i grandi magazzini Bloomingdale’s diffondano aromi diversi a seconda delle categorie merceologiche presenti nei reparti (come ad esempio il talco nell’area articoli per neonati). L’industria distributiva in particolare utilizza spesso aromi e immagini per rallentare l’andatura degli indaffarati consumatori all’interno delle propri corsie, aumentando di conseguenza le possibilità che effettuino acquisti.
L’essere umano è in grado di individuare e riconoscere oltre 10 mila odori differenti e alcune fragranze sono in grado di influenzare lo stato d’animo di chi le percepisce, offrendo quindi la possibilità di creare vere e proprie esperienze olfattive che accompagnano il consumatore nel corso del processo di acquisto.
Recenti studi hanno inoltre dimostrato come le persone siano in grado di ricordare in maniera più nitida gli odori rispetto alle immagini: a distanza di una anno un odore viene riconosciuto in maniera nitida dal 65% degli intervistati, mentre nel caso di una foto la percentuale scende al 50%. Del resto, come sottolineato da Jim Twitchell, autore del saggio Branded Nation, l’olfatto è l’unico, tra i cinque sensi, che va direttamente al cervello, senza intermediari.
Sempre a proposito di marketing virale e birra vi segnalo questo spettacolare filmato della Bud che, come testimonato dai vari video virali che girano in rete, sembra puntare molto su quesi strumenti.
Un'indagine riguardante gli italiani e il loro rapporto con le macchine da caffè è stata commissionata da Saeco e realizzata nella prima decade di settembre 2006 da Astra Ricerche tramite 1.002 interviste telefoniche CATI ad un campione rappresentativo della popolazione italiana dai 15 anni in su (esclusi gli stranieri, gli italiani non residenti e i membri delle convivenze: ospedali, carceri, caserme, conventi, ecc.), pari a un universo di 50.2 milioni di persone.
L'83% degli ultra14enni prepara caffè in casa: sono 35.9 milioni, con prevalenza delle donne e di Roma (qui davvero capitale d'Italia), mentre i non preparatori – in media un italiano su sei – sono soprammedia uomini, 15-24enni, ricchi che si fanno servire da una ‘lei' (familiare o colf). Oltre 4 milioni di italiani preparano il caffè solo per sé (un 8% composto anzitutto da anziani soli); solo 1.7 milioni lo fanno solo per altri, familiari oppure ospiti, il 72% dei nostri connazionali fa il caffè in casa sia per sé sia per altri.
Nelle case italiane vengono preparate ogni giorno oltre 200 milioni di tazzine di caffè (escludendo bar, ristoranti, uffici, ecc.): uno scherzo di quasi 8.4 milioni all'ora o – se si preferisce – di 140mila tazzine al minuto oppure di 2.320 al secondo in media, considerando anche le ore notturne (si stima che solo tra le 7.00 e le 9.00 del mattino la media sia di quasi 100 milioni di tazzine preparate in casa!). In dettaglio, il 9% prepara in casa meno di due tazzine al dì (sono in gran parte anziani che vivono soli); il 35% si colloca tra le 2 e le 3 tazzine al giorno; il 44% tra le 4 e le 8 tazzine; l'11% tra le 9 e le 15, mentre oltre l'1% (600mila adulti) prepara tra 16 e 30 tazzine per sé e per altri (in casa: e non sono baristi!). I 41.7 milioni di italiani dai 15 anni in su che fanno il caffè nella loro abitazione usano anzitutto la moka (79%: con in testa gli ultra64enni, i veneti, i laziali e i sardi), ma già il 27% ricorre a una macchina espresso: anzitutto quella manuale che funziona con caffè macinato o con cialde (8.0 milioni); quella automatica, ossia quella che – schiacciando un tasto – fa tutto lei per poi espellere i fondi del caffè in un contenitore all'interno della macchina: 2.6 milioni di ultra14enni; infine con la macchina espresso con capsule (1 milione).
Tra i tipi di caffè domina, ovviamente, il caffè normale (81%), che in un caso su quattro è un vero e proprio espresso (“come al bar”). Ma troviamo anche il ‘partito' del caffè corto o ristretto (23%) e quello – meno forte – del caffè lungo (14%). Il 43% dei preparatori domestici di caffè usa il caffè o l'espresso per fare il caffelatte (30%) o il cappuccino (20%) o il latte macchiato (19%) oppure – assai più raramente – cocktail col caffè, caffè shakerato, ecc. (700mila). In futuro il mercato delle macchine espresso dovrebbe espandersi, se solo guardiamo ai desideri espressi dagli italiani che fanno il caffè a casa loro: il 51% amerebbe poter preparare un vero e proprio espresso; il 42% il cappuccino con la schiuma; il 26% un reale caffè ristretto; il 22% il caffelatte e il 19% il latte e macchiato, entrambi con vero espresso; il 16% il vero espresso lungo (e non un normale caffè allungato con acqua...); più del 6% altre bevande ‘speciali' a base di caffè (lo shakerato, i cocktail, ecc.), ultime in classifica ma destinate a crescere del 400% se una macchina espresso automatica venisse acquistata o regalata.
Oggi le macchine espresso sono usate in casa da più d'un italiano su quattro. Ma tale percentuale dovrebbe più che raddoppiare se i nostri connazionali potessero soddisfare appieno le loro preferenze, anche se certo la moka non scomparirebbe affatto, sia perché amata da tantissimi sia perché utilizzata a volte pure da coloro che già hanno una più moderna macchina espresso.
Quali sono le caratteristiche dovrebbe avere una macchina espresso? In sintesi, secondo l'opinione dei più, dovrebbe essere efficiente e semplice (da usare, pulire e manutenere). Poi dovrebbe esser capace di fare bene non solo l'espresso ma anche il cappuccino, il latte macchiato, il caffè shakerato, ecc.. Più d'un terzo la vorrebbe classica, non troppo avanzata e non cara; ma quasi un analogo ‘partito' è disposto a spendere pur di averla di qualità, con ottime performance, di una nota marca a specializzata, tecnologicamente all'avanguardia e connotata da un bel design moderno (purché non esageratamente stravagante: anche se 5.4 milioni privilegiano proprio l'originalità).
Con l'aiuto dell'analisi fattoriale e della ‘cluster analysis' è stata approntata una tipologia ‘ad hoc'. Ecco in sintesi i tre tipi nei quali si ripartisce il nostro Bel Paese. Il primo tipo è quello dei Tradizionalisti (31% degli ultra14enni e dunque 15.5 milioni): per lo più tardo-adulti e anziani, poveri o semi-poveri, con basso o nullo titolo di studio, pensionati e casalinghe così come operai e impiegati di basso livello o agricoltori o disoccupati (al sud pure giovani), medi o forti preparatori personali in casa per sé e per altri di caffè (e solo di caffè: non di cappuccino, ecc.), utilizzatori un po' della napoletana e moltissimo della moka. Essi si descrivono come positivi e allegri, vivaci e generosi, ospitali e mangioni, conservatori (almeno per quel che riguarda la famiglia e la casa, il mangiare e il bere). Non hanno macchine espresso e spesso non le amano, pur se in parte invidiano i loro possessori e in particolare si orientano verso quella manuale o quella a capsule (o almeno pensano di regalarla a coppie giovani più aperte al nuovo). Napoli è la capitale, orgogliosa, di tale gruppo.
Il secondo tipo è quello delle Transizionali, a metà del guado tra vecchio e nuovo (36% e quindi 18.3 milioni). Assai al di sopra della media sono donne men che 50enni, con reddito e consumi tra medi e medio-bassi, con la licenza media ma anche – meno – il diploma di scuola media superiore, caratterizzate da una cultura moderna ma non certo avanzata, attenta alle nuove tendenze ma spesso all'insegna del ‘vorrei ma non posso', a volte insicure e altre volte invece dotate di forte autostima, forti preparatrici di caffè in casa, tutte usanti la moka ma aspiranti a possedere una macchina espresso (specie manuale). Roma ne è la capitale.
Il terzo e ultimo tipo è quello degli Innovatori (33% e 16.4 milioni di ultra14enni): con un forte peso delle e dei men che 40enni e in particolare delle nuove coppie 25-34enni, con reddito e consumi medio-alti e alti, laureati o diplomati, colti e internauti, tecnòfili e a volte maniaci della tecnologia, massimamente attenti al moderno design, benestanti e a volte affluenti, neo-edonisti e spesso in carriera, sopram-media imprenditori/dirigenti/professionisti e appartenenti alla fascia alta del ceto medio sia impiegatizio sia autonomo, deboli preparatori di caffè ma utilizzatori prevalenti ed entusiasti di macchine espresso e in particolare di quella automatica (infatti i loro consumi specifici sono assai diversificati: dal cappuccino al caffè shakerato), opinion leader diffusi, sicuri di sé e a volte un po' presuntuosi, con uno stile di vita avanzato e super-impegnato. Bologna ne è la capitale
Secondo l'istituto di ricerche Juniper Research, la TV mobile sul cellulare fatturerà nel mondo 11,7 miliardi di dollari nel 2011. In testa alla lista dei paesi con la maggiore adozione del sistema si prevede sia il Giappone con quasi 3 miliardi di fatturato e gli US con quasi 2.
In Europa saranno gli UK il paese guida, con quasi 1 miliardo.
Si prevede che l'offerta di TV mobile sarà sempre più focalizzata su modelli a pagamento e che i mercati dove maggiore sarà il successo della TV sul telefonino saranno quelli dove è maggiore il consumo di TV (ma dai?).
Il successo della TV Mobile dipenderà comunque, affermano i ricercatori, da numerosi fattori, quali il modello di business, i contenuti disponibili, le problematiche dei diritti, la copertura del segnale (specialmente in interni), gli aspetti legislativi. E chi l'avrebbe mai detto, non saprei cos'altro aggiungere.
E' letteralmente il caso di dire che (forse) staremo a vedere.
Per chi fosse interessato, segnalo questo mio post precedente:
Conosciuto da ogni businessperson, il Word of Mouth Marketing è di importanza centrale per molte aziende, tanto che negli Stati Uniti vi è una vera e propria industria legata a questa disciplina, che fa capo all Word of Mouth Marketing Association (WOMMA). Le diverse tipologie di WOM marketing (viral, community e influencer marketing, brand blogging, product seeding...) seguono come principi guida il rispetto per il consumatore e l'onestà al servizio del marketing.
Non sempre però è facile costruire il proprio business con il passaparola. Si può addirittura pensare che, sebbene ciò sia importante, non si possa intervenire in modo decisivo per innescare questo meccanismo. Il punto di partenza è sicuramente l'offerta di un buon servizio, fattore critico per il successo ma non sufficiente per far parlare tra loro i consumatori. Al contrario, è bene ricordare che un cliente insoddisfatto facilmente parlerà con altre decine di persone circa la sua brutta esperienza con un grande potere influenzatore.
Un'azienda deve compiere tre step per iniziare il processo che porterà ad incrementare il proprio business attraverso il Word of Mouth: diversificare i propri prodotti o servizi, o la percezione di essi dalla concorrenza; sviluppare la propria sfera di contatti, curando la comunicazione rivolta agli stakeholder; coltivare le relazioni con i consumatori per stimolare in essi fiducia e curiosità. Ciò che è significativo è come il consumatore conosce l'azienda e come la percepisce. Solo in quest'ottica è possibile costruire in proprio business tramite il passaparola. Un contenuto accattivante che possa far prevedere le azioni future dei consumatori è quanto serve per completare una buona azione di WOM marketing.
Il Viral marketing, di cui il WOM marketing fa parte, è ciò di cui un brand non può fare a meno ed è anche ciò che spesso nasce spontaneamente, a testimoniare l'esistenza di una comunità di consumatori, non solo fedeli, ma che soprattutto condividono certi valori. L'esistenza di questi gruppi, creati a volte anche a seguito di un'azione di WOM marketing correttamente pianificata, deve essere un incentivo per le aziende ad una comunicazione più attenta e mirata al raggiungimento di obiettivi prefissati dal management.
Il programma propone un'ampia panoramica della creatività mondiale, con spot nuovi e grandi classici, pubblicità inedite o censurate, filmati ironici o spettacolari che, esattamente come per il cinema, sanno provocare emozioni negli spettatori e raccontare storie a volte toccanti e coinvolgenti, il tutto in poco più di trenta secondi.
Tra le curiosità di quest'anno:
- il meglio della produzione pubblicitaria francofona
- le stelle del cinema in pubblicità
- le campagne choc e i grandi spot umanitari
- il Brasile: per festeggiare i 25 anni di cinema pubblicitario brasiliano
- la Corea
- una sorpresa per gli amanti della saga di Star Wars
- gay friendly advertising
- i grandi classici de La Notte dei Pubblivori
Questo il calendario degli appuntamenti:
- Genova - 6 ottobre - Cinema Universale
- Bologna - 7 ottobre Auditorium - Teatro Manzoni
- Firenze - 13 ottobre - Teatro Cinema Odeon
- Roma - 20 ottobre - Cinema Adriano
- Bari - 21 ottobre - Teatro Kursaal Santa Lucia
- Milano - 27 ottobre – Superstudiopiù.
Da adesso lo spot televisivo si compra "off the shelf", già pronto...
Una volta si andava tutti dal sarto, a farsi fare i vestiti su misura. Poi è arrivata l'industria della confezione - dove non solo ci sta bene di comprare capi fatti in grande serie e che non si adattano perfettamente alle nostre forme - ma godiamo del indossare esattamente lo stesso capo che milioni di altre persone indossano.
Se l'abito non fa il monaco, la comunicazione fa l'azienda - e la regola storica della comunicazione TV era quella di investire tempo e denaro per farsi realizzare uno spot ad hoc, strategicamente e creativamente adatto a noi (sempre che l'agenzia fosse brava e curasse i nostri interessi, non solo i suoi).
Le cose stanno però cambiando: Spot Runner, una startup di San Francisco (e mi pare non sia la sola) propone ai clienti di comprare degli spot già belli e pronti, a scaffale.
L'azienda sceglie dal sito, il commercial che più gli piace e se lo fa solo personalizzare (modello Vistaprint). In aggiunta Spot Runner si può occupare anche della pianificazione media, il tutto a partire dalla ridicola cifra di 500 dollari - anche grazie alla capacità del sistema informatico di Spot Runner di lavorare sugli spazi televisivi invenduti (e quindi che vengono via per poco)
Insomma una comunicazione che magari non ci starà benissimo addosso, sarà un po' generica, sarà quasi identica a quella di altre aziende... ma che ha il vantaggio di costare poco.
E sospetto che, rispetto al lavoro che possono fare "ad hoc" certe agenzie da poco e poco professionali, il danno che può fare Spot Runner all'azienda non sia maggiore... (quanto ai risultati.. beh si sa, quella è un'altra storia - e spesso un terno al lotto).
"Un bravo ed attento marketer non può non tener conto dei cambiamenti socio economici del contesto in cui si misura, cosi come un buon comunicatore non è tale se non presta attenzione all'evolversi dei diversi linguaggi con i quali si confronta". Assunto realistico e veritiero questo del Cluetrain Manifesto. Infatti tutto cambia! E’ nello stato naturale delle cose. E così in un mondo ipervelocizzato mutano repentinamente gli stili di vita, le abitudini d’acquisto, i comportamenti di consumo, i desideri, i bisogni, le motivazioni e le aspettative degli individui e dei consumatori/acquirenti. Cambiano quindi i profili dei consumatori: le diverse fasce di età si differenziano sempre di più come gusti e preferenze. Il consumatore chiede che i suoi desideri vengano riconosciuti e che abbiano una adeguata risposta. Non vuole più essere considerato solo un mero numero o segmento nella quota di mercato, una astratta entità quantitativa sociale, ma aspira ad essere apprezzato come un individuo con tanto di emozioni, passioni, e raziocinio. Vuole essere informato, conosce i propri diritti e decide a chi assegnare le proprie preferenze in base a fattori come: nozioni complete sul prodotto, genuinità, affidabilità ed efficienza, provenienza, sicurezza e modalità d’uso. In poche parole sembra quasi silenziosamente chiedere un contatto diretto con il brand , una esperienza ravvicinata attiva e positiva con il prodotto. E’ fondamentale dunque e consequenziale che alla luce di ciò anche le imprese trasformino le loro tattiche e strategie di marketing e adeguino le tecniche e gli strumenti di comunicazione ai nuovi mercati ed ai nuovi scenari che si profilano all’orizzonte.
Innovazione è la parola d'ordine. Innovare ossia differenziare anche e soprattutto le funzioni, i paradigmi, le attività e le iniziative di marketing e di comunicazione per essere più attuali, più vicini ai nuovi consumatori.
Nella mar-com e business community le vie del marketing e della comunicazione sono (quasi) infinite.
E soprattutto in questi anni di profonde e sostanziali evoluzioni di queste stesse discipline, non smettono di aprirsi nuovi percorsi. Logico quindi che fra tante e nuove rotte si finisca a che fare con una comunicazione ed un marketing diversi, definiti non convenzionali. Tra gli addetti ai lavori sono intesi come marketing e comunicazione alternativi, inusuali, innovativi, creativi, fuori dai canoni e dagli schemi tradizionali, insomma originali, e sono percepiti, talvolta, come addirittura estremi. Non disturbano, sono poco invasivi , sono attraenti, stupiscono e si fanno notare e ricordare moltissimo. Il vecchio marketing e la vetusta comunicazione R.I.P (riposano in pace).
I nuovi modelli non convenzionali sono sempre più utili ed indispensabili per fronteggiare le esigenze più attuali dei consumatori che 'sentono' istanze differenti da quelle precendenti, anche di un passato molto recente, e credono in nuovi valori. E così in tempi in cui si parla di "lifetime value dei clienti", di "creazione del valore", di personalizzazione e di spettacolarizzazione, assintendo al passaggio epocale dall'Advertising all'Advertainment e del lento e graduale cambiamento dalla < customer experience > alla < human experience > molti manager aziendali preferiscono starsene nelle confortevoli sale riunioni dei piani alti a guardare tutti (clienti soprattutto) dall'alto. Senza scendere in strada. Per magari mettersi a fianco del cliente, ascoltarlo, rimettersi in discussione, cambiare. Per assecondare le aspettative ed i bisogni palesi e latenti dei nuovi 'clienti' che si delineano sulla scena. Per assecondare la società che muta nelle forme e nei contenuti: giovani informatizzati, anziani che stanno contribuendo alla crescita di un nuovo mercato, insediamenti di comunità etniche multirazziali, flussi migratori che generano nuove classi sociali, nuovi paradigmi esistenziali che danno vita a maggior disponibilità di tempo libero. Per attrarre target ormai impermeabili ai classici messaggi pubblicitari , refrattari ai più comuni mezzi e forme di comunicazione e non più segmentabili con i consueti criteri socio-demografici. Per rispondere ad una serie di fenomeni che stanno modificando il nostro modo di relazionarci con il mercato.
E' quindi inutile pensare di comunicare in modo tradizionale, in un mercato che tradizionale non è più. E' indispensabile utilizzare nuovi assets comunicazionali in modo più mirato, relazionale, esperienziale, one-to-one, one-to-each, tailor made, glocal, con investimenti ragionevoli, e in modo socio-compatibile.
Gli approcci alle innovative tecniche di comunicazione e di marketing non convenzionale si basano sullo studio "dal basso" della psicologia del target, delle leve razionali ed emozionali, dello spazio-ambiente in cui si muove, delle necessità o voluttà che lo spingono a volere e a desiderare, dei codici che ne regolano ed influenzano il comportamento ad agire, a comprare ed a consumare.
Ma in particolar modo ribaltano la strategia di approccio e la fenomenologia di relazione azienda-consumatore: non è più il consumatore che va alla azienda (entrando in negozi o ipermercati o centri commerciali), ma è l'azienda che va dal consumatore. E' il prodotto che si avvicina al suo fruitore scendendo dal piedistallo che lo ha retto per decenni, uscendo dagli scaffali e dalle vetrine. Si potrebbe affermare che è il consumatore ad attrarre il prodotto (nuova filosofia mediatica) e non viceversa (vecchia e stantia mission delle imprese marketing oriented). L'azienda, il brand ed il prodotto incontrano dunque il consumatore non solo dove egli compra, ma anche dove abita, dove si diverte e dove vive. Tendono la mano a clienti acquisiti e prospect per instaurare una relazione duratura, biunivoca ed interattiva e non un "mordi e vendi" inefficace, impalpabile e non profittevole. Per meglio capire ed assecondare le loro percezioni, preferenze, comportamenti e transazioni precedenti.
Inoltre l'imperativo contemporaneo e la nuova istanza competitiva di ogni impresa o organizzazione sono quelli di trasformarsi da "market driven" (trainate dalle sole esigenze dei consumatori) a "market driving" (rivolte a creare nuovi bisogni e di conseguenza nuovi mercati) per rispondere alle pressanti richieste di maggior qualità, di miglior servizio e di accresciuto valore per innalzare il livello di vita. Per far fronte alla nuova vision clientecentrica e rispondere a tutte queste istanze essendo attori protagonista del mercato in divenire sempre più etnicamente promiscuo, multiculturale, tecnologico ed informatizzato è indispensabile mettere in atto una nuova filosofia della comunicazione e del marketing che prevede la svolta , come afferma Alex Giordano, "dal fare comunicazione ad essere comunicazione ". E come confermo io "dal fare marketing all'essere marketing" grazie al guerrilla marketing ed alle tecniche limitrofe e complementari in tutte le loro declinazioni: ambient, street, action, buzz, grass-root, behavioral, edge, tribal, mediterraneo, viral, trojan, psicogeo, gonzo, event, black, stealth marketing & communication.
“Un non-conventional marketer”, come asserisce Mirko Pallera, “è un po’ come un cool hunter della comunicazione, un cercatore di tendenze: è sempre connesso con i blog di tutto il mondo, con la sua ‘tavola da surf’ si muove sulle onde della società postmoderna; non segue le strade già percorse, ma crea nuove opportunità per le aziende. Per questo ci vogliono capacità critica, flessibilità, curiosità e aggiornamento costante su tutti i nuovi trend”.
Il guerrilla marketing nella sua espressione mediterranea sa che la tendenza del consumo postmoderno è quella verso una sorta di “ri-radicamento” sul territorio, attraverso la ricerca di radici e legami sociali. Mentre il marketing americano/atlantico risponde essenzialmente a una richiesta di individualizzazione da parte dei consumatori, l’approccio mediterraneo vede soprattutto individui sempre più isolati che cercano di ristabilire un legame sociale arcaico e comunitario. Il cosiddetto Guerrilla Marketing è una filosofia più che una strategia, oppure una strategia che si regge su una certa filosofia che radicalizza i principi dei rapporti tra comunicazione e realtà. Si tratta di un tipo di marketing sensazionalista che si pone l’obiettivo di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Nasce dalle controculture comunicative che sorgono negli anni ’90 e 2000 oltreoceano e in un baleno conquista tutte le latitidini e longitudini del pianeta. Si prefigge di ottenere la massima visibilità e notiziabilità, espressività sensazionale, posizionamento dell'immagine, significativo contagio e coinvolgimento del pubblico, forte motivazione, alta memorabilità e concreto approccio proattivo attraverso strumenti multimediali ed iniziative on the road a basso costo e al tempo stesso dirompenti. Stupire con novità (linguaggi, simboli, azioni) creative e con effetti sorpresa per attrarre attenzione, per farsi riconoscere ed apprezzare, per relazionare e fidelizzare. Come chiosa Andrea Natella: "La parola “guerrilla” ha un’origine ben precisa che in qualche modo spiega le radici, i mezzi e forse anche i limiti di questo modo di fare marketing. Per guerilla si fa riferimento alla resistenza dei gruppi militanti spagnoli durante l’occupazione napoleonica. I guerriglieri, inferiori per armi, mezzi e numero di uomini, combatterono sfruttando e massimizzando le risorse di cui disponevano: una migliore conoscenza del territorio, un radicato legame con la popolazione e la possibilità di contare su individui mediamente più motivati. Con tutte le metafore del caso, traslando questa situazione di guerra in un ambiente socio-economico contemporaneo è possibile intuire quali possano essere le leve del Guerrilla Marketing".
Dal marketing "invasivo" dunque al marketing "non invasivo", dal marketing dell'"interruzione" al marketing del "permesso",
dal traditional marketing al guerrilla marketing.
Il marketing tradizionale richiede costi ingenti per le proprie operazioni, quello di guerriglia investimenti modesti dando importanza al tempo, all'energia e all'immaginazione.
Il primo spesso usa la sperimentazione, naturalmente incerta e pressapochista come eufemismo dell'indovinare, il secondo invece utilizza le scienze psicologiche e sociologiche secondo le più consolidate ed attuali leggi del comportamento umano. Il primo misura i risultati sul traffico, sulle risposte e sulle vendite al prezzo lordo generate, il secondo misura risultati basati solo sul profitto. Il marketing tradizonale è appannaggio della grandi aziende nazionali o multinazionali con capacità di spesa immensa, il guerrilla è più consono, oltre che alle mega-imprese, anche alle società medio-piccole a ridotta disponibilità di budget. Il TM mira a procurarsi il maggior numero di clienti ma raramente li segue dopo che gli stessi hanno realizzato l'aquisto, mentre il GM imposta un rapporto ben più profondo e continuativo per acquisire ulteriore fiducia, consenso e fedeltà.
Il TM tende a evidenziare la concorrenza e l'estrema competitività, il GM predica la non aggressività e la cooperazione evitando i confronti e lotte con i competitor cercando nuovi territori di conquista ed aiuti dagli stessi clienti.
Ed ancora: il TM spesso (non sempre) si indirizza verso una unica strategia supportata da una unica tattica consuetudinaria, mentre il GM persegue l'uso di differenziate strategie e tattiche combinate ed innovative. Il TM indirizza i suoi messaggi ad un mass-market (grandi gruppi) soprattutto attraverso la pubblicità televisiva ed in parte quella radiofonica o a mezzo stampa; il GM mira ai singoli individui o a piccoli target grazie a differenti "media" più mirati. Il TM notoriamnete ha una visione di insieme, mentre il GM cura i minini dettagli. Il TM è orientato all'"io/me" ed il GM è proiettato sul "tu/te". Il traditional marketing si basa strutturalmente e fondamentalmente sul modello delle 4 P ( prodotto, prezzo, punto vendita, promozione), il marketing di guerriglia va oltre ed essenzialmente lavora anche sulle 4 C (cliente , costo , convenienza , comunicazione , ossia sul valore per il cliente. Che è sempre e dovunque re! Perchè come ebbe a dire Sam Walton, fondatore e presidente dei celebri magazzini Wal-Mart: "Il cliente è l'unico che può licenziarci tutti". Sam Walton fondò il colosso nella distribuzione organizzata, portandolo ad essere la più grande azienda del mondo con 176 milioni di persone che entrano nei vari supermercati della catena almeno una volta alla settimana, basato su tre principi: Rispetto per l'individuo, assecondare esoddisfare le aspettative dei clienti, dimostrare eccellenza in ogni azione ed iniziativa. Tre parametri che sono anche i fondamenti, le regole, i criteri basilari del Guerrilla Marketing. Sam Walton per questo è stato antesignano del GM.
Il marketing, nella sua accezione più generale e completa, svolge un ruolo guida nella definizione della strategia d'impresa sia essa micro o macro. Peter Drucker lo affermava già più di trent'anni fa: " Un' azienda ha solo due funzioni fondamentali: l'innovazione ed il marketing". Ma che sia Guerrilla!