Modestia e fattività: questi erano gli imperativi del successo manageriale di trent'anni fa, nel quadro di una cultura allora premiante, stante l'andamento dei bilanci di allora, ma oggi obsoleta e non più vincente. Il manager contemporaneo, proprio come un bene, è frequentemente "in vetrina" per ragioni di lavoro e, proprio come un buon prodotto, deve sapersi "vendere" prima ancora di essere "consumato". Se una volta il basso profilo era premiante, oggi chi vuole ottenere meritato riconoscimento del suo contributo o successo personale e professionale ( unitamente a quello della propria organizzazione di appartenenza) deve comunicare e saperlo fare bene per farsi individuare ed apprezzare.
Il dirigente aziendale o l'imprenditore sono oggigiorno prima di tutto persone di relazione:parlano, ascoltano, spiegano, convincono, negoziano, tengono riunioni, partecipano a dibattiti e convegni, fanno conferenze, rilasciano interviste. Sono costantemente in discussione, perchè discuono e sono discussi, sotto la lente della società della informazione e della civiltà della comunicazione. E proprio in questa la comunicazione invade ogni momento della nostra vita, ci circonda, e si fa conoscenza e cultura.
Dal postulato di Watslavick: " Non si può non comunicare", mai più vero di adesso, ne consegue che:" Chi non comunica non esiste". Almeno nel sociale. Gli occhi degli spettatori nel taetro dell'esistenza ci misurano forse più per come recitiamo il nostro ruolo che non per quello che siamo intimamente. Già in tempi non sospetti Machiavelli ammoniva: "Ognuno vede quel che tu pari, pochi comprendono quel che tu sei". Pìù forma che sostanza, insomma. Alla luce di queste premesse preliminari di tutte le capacità di comportamento utili per svolgere una attività manageriale, la più attuale ed indispensabile è quella di esprimersi e comunicare. Per ottenere il giusto consenso. La comunicazione dunque sia come input: ascolto, ricerca ed elaborazione di informazioni, cultura, conoscenza, sia soprattutto come output: visibilità, verbalità, vestibilità, vitalità, vivibilità, autorevolezza, risultato, efficacia.
Comunicare per essere e per esistere tanto umanamente quanto professionalmente.
La comunicazione e la sua abilità di, si estrinseca in particolar modo nella capacità di relazionare con i pubblici di riferimento: amici, parenti, colleghi, superiori, dipendenti, fornitori, clienti, consumatori e tutti gli altri stakeholders. Da una indagine svolta su un campione di più di 3.000 professionisti d'azienda è emerso che tra le attitudini primarie del manager del ventunesimo secolo, la più importante e la più premiante, ancor prima di quelle cosiddette "strategiche: innovare, prevedere, pianificare e decidere", è la capacità di "relazione". Quella che comporta un correlazione continua di contatti e comunicazione con gli altri: saper comunicare ed esprimersi, saper esternare la propria personalità, saper lavorare in gruppo, saper negoziare e saper motivare. Ovvero sapersi trasmettere all'esterno nel modo più valorizzante e autentico; avere un linguaggio chiaro, corretto, convincente; non dimostrare timore dell'interlocutore; essere in grado di dialogare e discutere; saper allacciare e coltivare amicizie, connettersi agli altri, sintonizzarsi all'ambiente esterno, stringere alleanze, allargare rapporti interpersonali, attivare network relazionali.
Perchè ognuno è il se' che decide di essere.
Una vita con vista, una finestra spalancata sulla relazione e sulla comunicazione: per essere apprezzati, sentirsi intonati al proprio tempo, , scambiare con gli altri competenza e umanità, avere successo e sentirsi realizzati.
Una finestra dalla quale il mondo entra e a nostra volta noi usciamo per renderci più accesibili e visibili.
I manager del duemila non sono più remunerati per ciò che sanno, ma per ciò che comunicano di essere. David Rockfeller diceva: " Pago la capacità di trattare con la gente più di qualunque altra capacità al mondo!"