Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Smartphone e tablet sono le nuove vie di rifornimento per l’e-commerce mondiale. Lo dice una ricerca di Monetate svolta nel corso del trimestre estivo, secondo cui il traffico dai dispositivi di ultima generazione verso i negozi online è aumentato dell’11% tra luglio e settembre.
Nel complesso, l’accoppiata smartphone-tablet porta ora il 18,4% degli utenti ai siti come Amzon e eBay. La connettività perenne di questi dispositivi agevola certamente gli acquisti via web, in mobilità e senza ostacoli di sorta.
Gli utenti sono sempre più attenti alle offerte (ricevute via e-mail o attraverso siti visitati in rete) e con cellulari e tablet di ultima generazione possono trovare in diretta i prezzi migliori e completare lo shopping velocemente, ovunque si trovino.
Via Quo Media
Facebook conta circa 1 miliardo di utenti, 80 milioni di questi fasulli. Molti di questi sfruttano dati di profili ‘veri’, rubando in sostanza l’identità digitale di persone reali: data di nascita, hobby, lavoro, luoghi visitati, fotografie.
I furti d’identità online sono sempre più frequenti, i vertici del social network lo sanno, ma le misure restrittive e i controlli sono sporadici. Spesso lo scopo finale è quello di catturare informazioni e contatti a fini pubblicitari, qualche volta si tratta di semplice hackeraggio dilettante, altre ancora c’è una vera e propria attività di stalking.
Facebook ammette il problema ma fa poco o nulla per arginarlo. Intanto, i doppi profili e i falsi account proliferano, rendendo il mondo virtuale ancora più confusionario di quello reale.
Via Quo Media
Ci sono temi nell’ambito del digitale che dovrebbero essere ormai assodati e invece restano sempre di attualità, uno di questi è il fatto che a ogni mezzo corrispondono contenuti, fini e strategie diverse. O meglio, corrisponderebbero.
Ne ho già scritto in passato: oggi ormai abbiamo sempre più strumenti a disposizione, sempre più potenti, sempre più complessi ma ci sfugge spesso il modo corretto di utilizzarli e, soprattutto, quali siano i contenuti più idonei, non in assoluto ma rispetto all’obiettivo che ci prefiggiamo.
Questo problema deriva a mio avviso da divesi aspetti, primo fra tutti la scarsa conoscenza delle tecnologie e delle loro potenzialità, dato che un mezzo piuttosto che un altro viene scelto per moda e perché “non si può fare a meno di esserci”, invece di esere valutato secondo l’approccio POST di cui tante volte ho parlato.
In secondo luogo poi concepiamo spesso degli aspetti grafici ed estetici come unico e solo metro di giudizio, mentre nell’ambito digitale la “bellezza” è tale e apprezzabile se funzionale e inserita in contesto per cui dà un’esperienza gratificante e soddisfa i bisogni di chi la utilizza.
Banalmente, e solo per fare un esempio, una splendida foto con una modella che indossa un capo è perfetta per trasmettere emozione e posizionamento ma lo è molto meno se lo scopo per cui la uso è quello di far comprare un capo che in quello scatto si intravede appena, in tal caso la soluzione probabilmente è un’immagine più semplice ma più chiara ed esplicativa. Inoltre, il sempre più massiccio utilizzo di immagini generate dagli utenti fa sì che prima della qualità intrinseca venga il coinvolgimento dato dalla rete sociale entro cui il contenuto viene vissuto.
Ancora, oggi più che mai un’esperienza digitale di un brand non può essere più concepita come separata da quella nel mondo fisico e, cosa ancora peggiore, non può non essere fluida e coerente attraverso diversi dispositivi come pc, tablet e smartphone, tanto per citare i più comuni.
Una coerenza che richiede di mettere al centro la progettazione del contenuto liberandolo dai vincoli imposti da altri media per pensarlo invece con una logica ad hoc che diventa “bella” e realmente entusiamante per il cliente solo quando ciò che proponiamo viene visto nel tipo di schermo e per il tipo di scopo per cui è stato progettato.
Content Marketing Maturity Model. Fonte: http://www.briansolis.com/2012/02/report-content-and-the-new-marketing-equation/
Molto importante diventa dunque anche la gestione strutturata dei nostri asset digitali, il cui ciclo di vita deve essere governato e la cui reperibilità deve poter essere immediata e completa, per dare la possibilità di accedere per ogni contenuto a tutto il materiale disponibile, sia esso di grande livello emotivo oppure estremamente funzionale.
Infine, social network come Pinterest o applicazioni come Flipboard, che utilizzano i contenuti già esistenti in altre forme ma con una modalità di fruizione che li rende completamente diversi in termini di esperienza, rafforzano affermazioni come quella che ogni azienda è una media company ed evidenziano come sia l’uso e il contesto a dare valore a un’immagine o a un testo, anche al di là del nostro diretto controllo.
Come vedete il tema va oltre una valutazione estetica fine a se stessa. Ma quanti lo hanno già capito?
Gianluigi Zarantonello via Internet Manager Blog
Nielsen, la nota società di ricerca e misurazione delle audience, scommette sulla SocialTv, uno dei settori più promettenti del momento.
NM Incite, una joint venture tra Nielsen e McKinsey pensata per l’analisi e la ricerca nel campo dei social media, ha infatti annunciato l’acquisizione di SocialGuide, una startup newyorkese attiva nel settore della social tv. La startup, almeno stando alle dichiarazioni, analizzerebbe i dati provenienti dai social media per più di 30mila programmi TV trasmessi su 232 canali TV USA.
L’acquisizione di Social Guide non sorprende, visto che proprio Nielsen sostiene che il 50% delle audience televisive Nord Americane interagisce online tramite social media mentre guarda la TV.
Nielsen sembra intenzionata ad utilizzare i dati della startup velocemente per misurare il valore economico della social TV e per “quantificare la relazione tra social TV e Tv rating al fine di permettere agli inserzionisti pubblicitari di massimizzare l’impatto dei propri investimenti, e fornire nuove metriche in grado di illustrare l’impatto della social TV sui comportamenti dei consumatori e sull’abitudini di visione”.
Steve Hasker, responsabile globale media product e advertising solution di Nielsen, spiega: “La rapida adozione e l’uso dei social media da parte dei consumatori sta trasformando l’esperienza di visione televisiva in qualcosa di più immediato e condiviso.” I canali televisivi, difronte a queste trasformazioni, hanno bisogno di strumenti per comprendere “l’impatto dei social TV sulla loro programmazione, rating e sull’efficacia della pubblicità.”
Via Tech Economy
La penetrazione dei televisori connessi alla rete è cresciuta notevolmente negli ultimi anni e le Connected Tv rappresentano una quota sempre più consistente del totale dei televisori in uso.Nel 2010 le TV connesse ad Internet erano ‘soltanto’ 105 milioni, ma già alla fine di quest’anno dovrebbero raggiungere i 212 milioni di unità, per poi toccare i 596 milioni nel 2017, stando alle stime di Digital TV Research (40 paesi).
Il forte incremento dovrebbe portare la quota di televisori connessi alla rete al 21.4% del totale nel 2017, a partire da una quota attuale molto minore di penetrazione (4.75 nel 2010, 8.9% nel 2012).
Le Connected TV si diffonderanno, senza sorprese, più rapidamente negli USA, dove rappresenteranno il 38.1% del totale nel 2017, seguono la Norvegia (37.7%) e la Corea del Sud (37.2%). In termini assoluti, e non di penetrazione, sarà la Cina, però, il secondo paese per numero di TV connesse (93 milioni nel 2017 contro i 147 milioni degli USA); seguita dal Giappone (43 milioni). Gli USA, inoltre, rappresenteranno nei prossimi anni una quota minore del totale di Connected Tv mondiali, scendendo dal 45% del 2010 al 25% del 2017; a testimonianza di una progressiva diffusione di questi dispositivi in tutto il mondo. L’autore del report, Simon Murray, conclude eloquentemente sostenendo che le “Connected TV stanno diventando mainstream”.ù
Via Tech Economy
Il mercato delle app in Italia non è ancora totalmente sviluppato, almeno stando a quanto dichiarato dai professionisti della comunicazione interattiva e digitale intervistati dall’agenzia di comunicazione e Pubbliche Relazioni Hotwire Italia.
La quasi totalità degli intervistati (99 su 100) ritiene, infatti, che in Italia il mercato delle applicazioni non sia ancora del tutto sviluppato e la maggioranza (51%) considera il settore a livello pressoché iniziale di sviluppo.
I professionisti del settore sono più ottimisti rispetto al futuro. Il 61% degli intervistati prevede, infatti, che il mercato delle app si integrerà sempre più con le altre forme di comunicazione e acquisirà, in questo modo, un ruolo sempre più importante nelle strategie di business. Una percentuale davvero ridotto degli intervistati (9%) ritiene, al contrario, che l’Italia non sia ancora pronta a recepire efficacemente questi nuovi strumenti di comunicazione.
Nessuna sorpresa per quanto riguarda gli ambiti in cui, secondo i professionisti del settore, esiste un margine di crescita maggiore. Il 24% degli intervistati indica i game come il sotto-settore con le maggiori possibilità di crescita, il 22% i social network e il 17% l’entertainment.
La ricerca sembra suggerire, inoltre, uno spazio maggiore di crescita per il mercato professionale; considerando che al momento prevalgono fortemente, sia a livello di offerta che di motivazioni di utilizzo, la app che appartengono alla sfera personale ed individuale.
Il nostro sondaggio mette in luce che le app restano per ora legate soprattutto alla sfera dello svago e del tempo libero” commenta, infatti, Alessia Bulani, country manager di Hotwire Italia. “Lo smartphone accorcia i tempi e gli spazi e oggi non è più pensabile non poter sfruttare le opportunità offerte dalla mobilità, sia per scopi professionali che di divertimento. Quello che va però sottolineato è che le app, presentando un potenziale ancora poco sfruttato sul fronte utenza business, possano essere un ambito in cui investire ed essere quindi viste dalle aziende come una chiave di crescita”.
Via Tech Economy
Interbrand è una società che da quasi trent'anni si occupa di analizzare e valutare il valore dei marchi delle più importanti aziende internazionali del mondo. Con cadenza annuale pubblica la classifica Best Global Brands, nella quale vengono elencati i 100 marchi globali di maggior valore.
Le prestazioni dei marchi di tecnologia e digitale scolpiscono ancora una volta i tratti della classifica. Fra i primi cinque, l'intrusa è solo la leader Coca Cola (77,839 miliardi di dollari e una crescita dell'8%): nell'ordine, Apple (76.568, +129%), Ibm (75.532, +8%), Google (69.726, +26%) e Microsoft (57.853, -2%) caratterizzano il vertice in maniera netta. La vera notizia di questa edizione è la presenza di Apple, che dimostra come il marchio non ha perso la propria spinta e la propria desiderabilità". Il gruppo californiano presidia il posto occupato tradizionalmente dal gruppo fondato da Bill Gates: Microsoft deve anche fare i conti con il sorpasso di Google.
Facebook ha fatto capolino in 69esima posizione (5.421 miliardi) in virtù della terza quotazione più ampia degli Stati Uniti. Di Samsung si parla meno perché Apple fa +126%, ma è cresciuta del 40% ed è entrata nella top ten". BlackBerry, coerentemente con le difficoltà della casa madre Rim, ha perso il 39% ed è 93esima. Nokia, nonostante il richiamo del Lumia, è scivolata del 16% e si piazza in 19esima posizione, in virtù della dipendenza dal successo o meno del sistema operativo Windows Mobile.
Via Quo Media
Le aziende non sfruttano ancora a pieno i social media. È quanto emerge da uno studio condotto da diversi ricercatori della Stanford University.
“Le aziende apprezzano le potenzialità che i social media possono avere per trasformare tutti gli aspetti della loro attività: branding, reputazione, comunicazione, diffusione, e individuazione dei rischi strategici – spiega David F. Larcker professore presso la Stanford Graduate School of Business e principale autore della ricerca – sono consapevoli anche che possono rappresentare una grave minaccia. Non stanno però facendo molto rispetto a questo.”
Lo studio ha analizzato la conoscenza e l’utilizzo dei social media da parte di un campione di manager di alto livello, selezionati a differenza di altre ricerche in tutte le fasce demografiche e non soltanto tra i manager più giovani e sensibili ai cambiamenti del contesto tecnologico e comunicativo (età media 50 anni). I risultati sono davvero interessanti.
Il 90% dei manager dichiara, infatti, di comprender il forte impatto che i social media possono avere sull’azienda, ma a fronte di una simile consapevolezza soltanto il 32% monitora i social per individuare potenziali pericoli per il business e ancor meno (14%) li analizza per aver indicazioni rispetto alla performance della compagnia.
Solo il 24% dei manager anziani e l’8% dei direttori riceve, inoltre, report e misurazioni sui social media; e addirittura circa la metà delle compagnie non raccoglie proprio questi dati.
Più elevato, ma in ogni caso meno di quanto ci si potrebbe aspettare, l’utilizzo dei nuovi canali a fini di contato con la clientela. Il 59% delle aziende li utilizza, infatti, per interagire con i consumatori e il 35% per effettuare ricerche su di essi.
Meno della metà (49%) li utilizza poi a fini promozionali e ancor meno (circa 30%) per fare ricerche sui propri competitor, su nuovi prodotti e servizi, o per comunicare con i dipendenti.
Larcker spiega che non nonostante i dirigenti e i membri dei consigli d’amministrazione utilizzino i social media, “la familiarità con i social media non si sta traducendo in uso sistemico all’interno delle rispettive aziende.” La motivazione più spesso citata dai manager sarebbe la mancanza di conoscenza su come impostare un sistema di raccolta e analisi delle informazioni dei social media in una forma utilizzabile. “La maggior parte di coloro che abbiamo intervistato non hanno linee guida sui social media nelle rispettive aziende, non hanno consultato un esperto di social media nella loro compagnia, e non dispongono di sistemi per la raccolta delle informazioni chiave.”
Questa inattività, secondo Larcker, potrebbe mettere a serio rischio le compagnie. Lo studio conclude, così, con una serie di consigli ed indicazioni per le aziende, che sostanzialmente invitano ad un uso sistematico, motivato e strategico dei social media a fini di business.
Qui potete trovare il report completo.
Via Tech Economy
Mentre gli esperimenti di Tesco e di Carrefour fanno notizia in Europa, negli USA sembrano essere giù usciti dalla fase paelosperimentale e passati al rollout su piccola / media scala.
La catena statunitense Peapod sta "aprendo" un centinaio di supermercati virtuali alle stazioni dei pendolari del New Jersey, New York, Chicago, Washington etc.
Il meccanismo è sempre quello: lunghi poster che simulano gli scaffali, si scansiona il codice e si compra... in pratica hanno creato dei micromarket di prossimità.
Già, ma per loro è più facile: Peapod è stato uno dei primi supermercati online (ed è ora credo il più grande), dove la spesa si fa già virtualmente/online. Per loro il passo è ben più breve. E soprattutto hanno già logistica a posto per consegnare a casa ordini ricevuti dal web o dal mobile. Hai detto niente...
Per cui non solo il poster fa vendere direttamente, ma è anche un modo creativo di ricordare che su Peapod si può comprare online, magari da casa che si è più comodi. Un po' vendite, un po' branding.
Inoltre l'app mobile che rende possibile la scansione e l'acquisto, contiene in se' una marea di altri prodotti non presenti sui cartelloni per evidenti motivi di spazio. Quindi il posterone promuove anche l'app che spinge all'acquisto da smartphone.
Di Admin (del 24/10/2012 @ 07:29:22, in Media, linkato 2174 volte)
Il mercato della Social TV dovrebbe raggiungere i 256.44 miliardi di dollari di fatturato nel 2017, secondo le stime di MarketsandMarkets. Il settore dovrebbe registrare una crescita annuale, durante il periodo, pari all’11.2%, partendo dai 151.14 miliardi di dollari di fatturato stimato per il 2012. La quota maggiore di entrate del settore, una volta tanto, non proviene dall’America ma dall’Europa. Quest’anno il fatturato della social Tv nel vecchio continente dovrebbe, infatti, essere pari a 55.48 miliardi di dollari, per poi continuare a crescere e toccare i $77.74 miliardi nel 2017.
Il report afferma chiaramente che “il futuro della televisione è social attraverso l’integrazione dell’interazione sociale sulla televisione.” Sottolinea, inoltre, diverse strategie da parte delle aziende per agganciare il trend emergente.
I broadcaster, le aziende produttrici di televisori e diverse web company, stanno tutte sperimentando varie soluzioni per offrire e sfruttare servizi di social TV, ma in modi differenti. Alcune (es. BBC e CNN) stanno cercando di raggiungere, o hanno concluso, accordi con i più popolari social network. Altre (es. Hearst, Time Warner, BSkyB, e Google) hanno investito pesantemente, e sembrano intenzionate a continuare, in nuove startup dedicate esclusivamente allo sviluppo di servizi di Social TV. La sfida è aperta e il bottino ricco.
Via Tech Economy
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