Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Era stato presentato a gennaio come la rivoluzione definitiva di Facebook, finalmente pronto a operare anche da motore di ricerca vero e proprio, almeno al suo interno: da oggi Graph Search è disponibile per tutti gli utenti, che potranno trovare foto, dati e post nel mare magnum di informazioni del sito, semplicemente usando chiavi di ricerca.
Graph Search basa il suo funzionamento su un algoritmo semantico, così da rovistare tra i contenuti di Facebook e scovare per associazione quelli richiesti dagli internuati, lavorando in simbiosi con Bing, motore di Microsoft. L’avvento della nuova funzione non cambia la grafica del sito, ma mette ulteriormente alla prova le politiche sulla privacy. Gli utenti sono chiamati a rivedere le proprie impostazioni sulla sicurezza, dato che d’ora in poi chiunque attuerà una ricerca sul social network potrà in teoria accedere a foto e status degli altri iscritti.
Ciascuno può però decidere a chi rendere visibili - nei risultati di ricerca - i propri contenuti: “La privacy è una cosa a cui teniamo molto e così fin dall'inizio abbiamo fatto in modo che sia possibile cercare solo le cose che si possono già vedere”, dicono Mark Zuckerberg & Co. Il futuro di Facebook ricomincia da Graph Search, che dovrebbe fare da propulsore a nuovi investimenti pubblicitari, migliorare l’esperienza degli utenti e prolungarne la permanenza nel sito. Un circolo virtuoso a suon di tag e ricerche.
Via Quo Media
Gli italiani si riscoprono sempre più consumatori online. Circa un italiano su due, infatti, acquista prodotti affidandosi a negozi virtuali, aumentando di conseguenza la sua abilità nel fiutare un’offerta o nel comparare i prezzi tra un negozio e l’altro. A rivelarlo è una nuova ricerca, “Il futuro del commercio – Scenari e tendenze tra online, offline, social e mobile” realizzata da Human Highway e Netcomm per Ebay, secondo cui, considerando chi ha acquistato online negli ultimi tre mesi si arriva a una quota del 46,4%, pari a 13,5 milioni di persone. Poco meno dei 2/3 dell’universo online (18,8 milioni di individui) ha invece almeno una volta portato a termine un acquisto mentre ben otto milioni rientrano tra gli acquirenti abituali di beni e servizi sul web. Lo studio analizza varie categorie merceologiche verso le quali gli utenti hanno una maggiore propensione all’acquisto online, ma a prescindere da queste emerge come i possibili clienti abbiano quasi tutti la tendenza ad usare prima di tutto Google come motore di ricerca per cominciare le proprie indagini. Una categoria presa in considerazione è quella dei prodotti finanziari. Per questo genere di merce il web è uno dei migliori luoghi di ricerca e di raccolta delle informazioni in quanto è possibile velocemente comparare i vari servizi e questo, secondo la ricerca, è uno dei fattori più importanti a detta di un cliente su cinque del canale tradizionale. Nello specifico, queste informazioni sono reperibili da blog, forum specializzati e dalle recensioni. Se un consumatore decide di acquistare online prodotti finanziari si assiste poi ad un leggero aumento nell’uso dei comparatori: si arriva così al 22% rispetto al 18% di chi acquista offline. Chi compra online un pacchetto finanziario è alla ricerca di comodità e risparmio, a detta del 42% degli interpellati.
Per quanto riguarda l’abbigliamento (il genere di prodotti che più si acquista sul web), ci si affida spesso ai consigli e alle opinioni dispensate da forum, blog, recensioni e commenti di amici, ma sembra che si ascolti meno ciò che viene detto nei social network. Dalla ricerca emerge come un consumatore che si affida alla ricerca online, sia molto più attento e consapevole di chi continua a fare shopping in maniera tradizionale che persegue la via dell’acquisto in negozio soprattutto per non rinunciare a misurare il capo d’abbigliamento e per non attendere l’arrivo del corriere.
Non mancano i comportamenti comuni come il quello del pagamento. Il pagamento è di regola anticipato al momento dell’ordine con una carta di credito o prepagata. Le percentuali oscillano in funzione del bene: nel caso dei prodotti finanziari si ricorre alla prepagata con una quota del 23%, la carta di credito tradizionale supera di poco il 21% mentre il bonifico si attesta al 16,4%. Nel caso dell’abbigliamento le prepagate arrivano intorno al 30% e quelle di credito si fermano al 21%. Per quanto riguarda la PayPal, invece, questa è utilizzata in un caso su tre per l’acquisto di prodotti finanziari e 40% per l’abbigliamento.
Via Tech Economy
Audiweb rende disponibili i dati di audience online del mese di maggio 2013, Audiweb Database, distribuendo il nastro di pianificazione che presenta la stima dell’utilizzo di internet da parte degli Italiani dai 2 anni in su che si collegano attraverso un computer da casa, ufficio o altri luoghi.
Sono inoltre disponibili, su Audiweb Database e su Audiweb View (report mensile), anche i nuovi dati Audiweb Objects Video sulla fruizione dei contenuti video online sui siti degli editori iscritti al servizio.
Sintesi dei dati di audience online, Audiweb Database maggio 2013
In base ai nuovi dati di audience online, nel mese di maggio 2013 sono stati 28,5 milioni gli utenti che si sono collegati almeno una volta da computer. Nel giorno medio risultano 14,2 milioni gli utenti unici, collegati per 1 ora e 25 minuti in media per persona.
Dai dati socio-demografici dell’audience online di maggio risultano online nel giorno medio 7,8 milioni di uomini e 6,4 milioni di donne, in particolare 35-54enni (6,8 milioni di utenti, il 47,6% della popolazione online), online in media per 1 ora e 25 minuti a persona.
I più giovani dedicano più tempo alla navigazione da PC nel giorno medio: i 25-34enni (2,6 milioni, il 18% della popolazione online) risultano collegati in media per 1 ora e 37 minuti, come i 18-24enni (1,4 milioni, il 10% della popolazione online) che risultano collegati per 1 ora e 38 minuti per persona. Cresce di oltre l’11% la quota degli over 55 online nel giorno medio, con 2,5 milioni di utenti di questa fascia (il 17,4% della popolazione online 55+).
Per quanto riguarda la provenienza geografica emerge che il 30,5% degli utenti online nel giorno medio a maggio è dell’area Sud e Isole (4,3 milioni di utenti attivi), il 26,4% dall’area Nord Ovest (3,8 milioni), il 16,3% dal Centro (2,3 milioni) e il 15% dal Nord Est (2,1 milioni).
Sintesi dei dati Audiweb Objects Video maggio 2013 In base ai dati di sintesi Audiweb Objects Video sulla fruizione dei contenuti video online dei siti degli editori iscritti al servizio, a maggio risultano 65,6 milioni di stream views (video fruiti) mensili, con 6,4 milioni di utenti che hanno visualizzato almeno un contenuto video, con una media di 46 minuti di tempo speso per persona. Nel giorno medio le stream views sono state 2 milioni, con 805 mila utenti che hanno dedicato alla visione dei contenuti video 11 minuti e 48 secondi in media per persona.
Scarica il comunicato stampa
Via Audiweb
Il mercato dell’advertising mobile nel Regno Unito raddoppierà nel 2013 arrivando al miliardo di sterline, grazie a player come Google, Facebook e Twitter sempre più attivi nel trainare il mercato delle applicazioni smartphone e tablet. Questo è quanto prevede eMarketer, secondo cui l’advertising in UK è destinato a crescere del 90% anno su anno dai 526 milioni di sterline del 2012.
Secondo i dati della ricerca pubblicata su The Guardian, la crescita vertiginosa è stata alimentata dall’incremento dell’uso di dispositivi mobili da parte dei consumatori britannici che risultano essere il popolo che detiene lo scettro per il maggior utilizzo di smartphone e tablet al mondo. Guardando al futuro, poi, le stime riportano che il mercato dell’advertising digitale UK crescerà di quasi 8 miliardi di sterline entro il 2016, di cui 3 miliardi grazie solo alle pubblicità su mobile.
Altri dati della ricerca portano a prevedere che Facebook guadagnerà in Gran Bretagna 279 milioni di sterline dalle entrate per la pubblicità digitale complessiva di quest’anno, con un aumento del 25% anno su anno. Potenzialmente metà di questo guadagno arriverà dalla sola pubblicità su mobile. “Le principali piattaforme di advertising hanno notevolmente migliorato gli annunci pubblicitari mobili per gli inserzionisti nel corso degli ultimi due anni, il che ha contribuito a generare una ridistribuzione di risorse dal desktop al mobile“, ha riferito Clark Fredricksen, vice presidente delle comunicazioni di eMarketer. ”Due anni fa, Facebook e Twitter non avevano un business all’interno del mercato dell’advertising mobile. Oggi, invece, le aziende guadagnano tra un terzo e la metà di tutti i ricavi dalle pubblicità mobile“.
Nonostante i guadagni di Facebook e Twitter, il vincitore della pubblicità digitale rimane Google, che, secondo eMarketer, guadagnerà quest’anno 2,65 miliardi di sterline per l’advertising search e display.
“Anche Google ha visto aumentare drasticamente le ricerche mobili grazie agli smartphone, e quindi la società sta riscontrando introiti maggiori dalla pubblicità su dispositivi mobili” ha dichiarato Fredericksen.
Si stima, infine, che Google UK rappresenti il 44% del mercato complessivo degli annunci digital in UK che si aggira, quest’anno, intorno ai 6,1 miliardi di sterline, in aumento del 12% rispetto allo scorso anno.
Via Tech Economy
Sembra che l’introduzione dei video su Instagram abbia riscosso un notevole successo. Secondo quanto riportano Cnet, infatti, l’azienda di proprietà di Facebook ha fatto sapere che nelle prime 24 ore di attivazione del servizio sono stati caricati 5 milioni di video.
Instagram ha anche dichiarato che nel momento di picco massimo, gli utenti hanno caricato 40 ore di video al minuto. Il servizio, che permette di caricare video lunghi fino a 15 secondi, è evidentemente un tentativo di contrastare la popolarità di Vine, il servizio video (da 6 secondi) di Twitter. Al momento, Instagram può contare su 130 milioni di utenti.
Via Quo Media
Ormai quasi tutti i brand, insieme a molte aziende B2B, hanno capito le potenzialità che Twitter offre per la crescita delle loro attività. A questo punto, ciò che risulta maggiormente interessante per le aziende presenti sul social del cinguettio, è capire come gli utenti parlano sulla piattaforma e soprattutto se le discussioni virano o almeno menzionano i brand interessati. A questo proposito, la piattaforma inglese di monitoraggio Brandwatch, ha analizzato i dati provenienti da un lasso di tempo comprensivo di due mesi alla fine del 2012, offrendo una panoramica delle abitudini attualmente in uso su Twitter.
Dalla ricerca, effettuata su un campione casuale di 10mila tweet, è emerso innanzitutto che le interazioni su Twitter sono principalmente espressioni di engagement. Il 62% dei tweet analizzati, infatti, rappresentano conversazioni tra due o più utenti: il 22% sono retweet, il 36% replies e il 4% tag di altro tipo. Il 38% del totale dei tweet presi in considerazione, invece, sono solo tweet, ovvero messaggi che non hanno riscontro da parte di altri utenti.
Per quanto riguarda i temi trattati all’interno delle conversazioni, si scopre come 4 tweet su 5 sono classificati come “personali”, ovvero messaggi che menzionano compleanni, proverbi, oroscopi o diete. Esclusa la categoria “personal”, i topic maggiormente chiacchierati riguardano show televisivi, film, sport musica e celebrità.
Per quanto riguarda l’argomento che più preme alle aziende, ovvero la diffusione delle conversazioni circa i loro brand, dalla ricerca emerge che i tweet che parlano a proposito di marchi aziendali, rappresentano il 3,6% del totale. La nota interessante però, è che se i “marchi” fossero considerati come un topic a sé, sarebbero tanto rilevanti quanto la categoria show tv/film e sport, superando addirittura la musica, le celebrità e altri topic. Secondo la ricerca, infatti, se i 10mila tweet presi in considerazione rappresentassero realmente la totalità di Twitter, si avrebbero 12,600 tweet al minuto relativi ai brand. Nello specifico, i dati dimostrano che gli utenti che twittano riguardo un marchio, tendono maggiormente ad includere nei loro messaggi argomenti che riguardano lavoro o educazione. Inoltre, i messaggi riguardo i brand sembrano essere maggiormente retweet piuttosto che replies, il che suggerisce come gli utenti siano più inclini a pubblicizzare un brand in modo passivo piuttosto che in modo creativo aggiungendo propri contenuti.
Infine, per quanto riguardo le categorie specifiche dei brand menzionati, si osserva come il range di nomi spazi molto, andando da Amazon a Ford alle più piccole società come Azendi o Micro Scooters. Lo stesso vale per i prodotti e servizi nominati che risultano avere un uguale numero di “mention”, dimostrando che non c’è una grossa differenza tra settore secondario e terziario.
Via Tech Economy
La Digital Transformation, ossia in estrema sintesi l’uso della tecnologia per migliorare le performance delle aziende, non è un tema che emerge molto spesso ed esplicitamente in Italia. Anche quando viene toccato poi, il tema dell’innovazione si riduce più che altro alla scelta di comunicare con degli strumenti digitali o, al massimo, alla distribuzione di nuovo qualche device per i dipendenti.
Sono tutte cose giuste da fare ma la big picture è ben più ampia.
In un recente report del MIT Center for Digital Business e di Capgemini infatti si afferma chiaramente “whether using new or traditional technologies, the key to digital transformation is re-envisioning and driving change in how the company operates. That’s a management and people challenge, not just a technology one.”
Insomma parliamo di organizzazione, cultura e leadership, non di eccellenze isolate, nell’area dei sistemi informativi o nel marketing digitale (che presto o tardi diventerà semplicemente “marketing” ): si tratta invece di passare “dal che cosa fare” a un maggiore focus aziendale su “come fare le cose”.
Siamo entrati infatti in un’era necessariamente collaborativa in cui 4 grandi forze abilitanti individuate da Gartner fanno da piattaforma per questo cambiamento: il cloud, il mobile, il social computing e l’informazione (intesa anche come big data). Tutti elementi che sono già bene o male presenti nelle organizzazioni ma che non hanno un contenuto intrinseco: il cloud da solo non è che un modo diverso di concepire un disco fisso, il mobile per molti equivale ancora solo a inviare mail per qualsiasi necessità, i dati per avere valore devono essere disponibili a tutti e organizzati in un certo modo. E per finire, come per i tutti i social media anche quelli interni (e gli strumenti collaborativi in genere) traggono il loro valore da ciò che le persone ci mettono dentro, non dalla piattaforma in sé.
Il grande salto culturale dunque è quello di coinvolgere l’intera organizzazione, sotto la leadership del top management, in dei processi che portino davvero valore aggiunto al modo di lavorare e di fare business. Avere solo un dipartimento di marketing digitale, che da tempo ha iniziato ovunque un cammino che lo porta a essere sempre più intersecato con quello It, non basta più come unica condizione.
La tecnologia e la competenza nel suo utilizzo abilitano, ma sono le procedure, la cultura del lavoro collaborativo e l’interiorizzazione del suo valore che fanno la differenza. C’è molto da fare.
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Gli Italiani sono sempre più connessi alla rete con i loro dispositivi mobili. Smartphone e tablet sono utilizzati in larga misura, non solo per fruire di contenuti video o per attività di social networking, ma spesso per acquistare prodotti online. In teoria questo dovrebbe aiutare le aziende dei beni merceologici a diffondere su larga scala i propri prodotti, ma secondo quanto riporta una nuova ricerca targata Tradedoubler, non è sempre così.
I consumatori italiani connessi sembrano utilizzare i loro dispositivi mobili per andare alla ricerca di offerte ed occasioni: il 62% di essi, infatti, ha scaricato almeno una app di performance marketing dedicata.
Dalla ricerca “Il mobile e lo shopping on demand” risulta che le app di comparazione prezzi sono le più popolari (42%), seguite dalle app dedicate a coupon e codici promozionali (30%), da quelle per promozioni giornaliere/gruppi di acquisto (26%), per programmi e premi fedeltà (19%) e cashback (15%). Ciò sembra incidere profondamente sulla fedeltà che gli italiani riversano nei brand, e in particolar modo sull’acquisto di prodotti di marca all’interno dei negozi brandizzati.
“Anche brand molto forti stanno perdendo il loro predominio nei negozi, perchè hanno dato troppa importanza alla fedeltà al marchio, e non abbastanza al prezzo, al valore e alla varietà di canali disponibili – incluse le app mobile che oggi i potenziali acquirenti richiedono e si aspettano di trovare” spiega Vittorio Lorenzoni, Regional Director di Tradedoubler.
Sembra che gli utenti siano ora maggiormente interessati all’affare e al reperire un determinato bene al prezzo più conveniente possibile: “La caccia all’affare è sul mobile, e se le aziende non saranno pronte a raggiungere con campagne valide e tempestive le persone che hanno almeno una app di performance marketing sul telefono, nel momento in cui sono pronte ad acquistare, perderanno l’occasione”, continua Vittorio Lorenzoni. Dalla ricerca emerge, inoltre, come il 58% di coloro che usano il loro smartphone quando entrano in un negozio ha acquistato un prodotto in un negozio rivale, dopo aver scoperto che questo offriva un prezzo migliore utilizzando il proprio cellulare.
Per chi è alla ricerca della migliore offerta, voucher sconto e coupon dimostrano di essere uno strumento efficace: il 63% degli intervistati cerca sconti utilizzando il proprio smartphone e il 52% utilizza regolarmente voucher che ha ricevuto sul proprio dispositivo.
La ricerca si sofferma, inoltre, sull’attività di shopping che gli utenti svolgono in relazione alla fruizione di contenuti video. È ormai pratica diffusa, infatti, utilizzare più dispositivi mobile mentre si guarda la TV: il 60% dei consumatori connessi interpellati in Italia ha usato lo smartphone per raccogliere maggiori informazioni su un prodotto visto in una pubblicità televisiva, e il 36% ha anche completato un acquisto via smartphone senza muoversi dal divano.
La ricerca è stata condotta analizzando le risposte provenienti da 8 paesi europei (Italia, Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Polonia) e guardando ai risultati complessivi, gli Italiani confermano la loro affezione per il mobile. I dati locali sono superiori alla media in diversi casi: ad esempio, globalmente negli otto paesi considerati il 32% dei consumatori “connessi” ha una app di comparazione prezzi (in Italia è il 42%). Coloro che hanno scaricato almeno una app di performance marketing globalmente sono il 52% (in Italia è il 62%). Anche l’utilizzo di voucher è più apprezzato. Globalmente il 51% dei consumatori con smartphone cerca attivamente voucher ed il 44% usa i voucher ricevuti sul cellulare (in Italia siamo rispettivamente al 63% e al 52%).
Via Tech Economy
Durante le scorse settimane ho iniziato a usare Google Now, la funzionalità dell’app di Google che fornisce informazioni legate al contesto (meteo, trasporti e molto altro) che è sbarcata nel mondo iOS.
A parte il fatto che è costruita molto bene in termini di velocità e di interfaccia, ciò che mi ha colpito è il concetto di fondo: avendo un ecosistema di strumenti collegati fra loro Google lo sfrutta legando le informazioni al contesto in cui l’utilizzatore si trova in quel momento, attingendo da ciò che conosce del suo profilo e invitandolo a fornire altri elementi su di sé per un servizio migliore.
Google Now
Ci sono dentro tutti gli elementi che caratterizzano la rivoluzione digitale oggi in corso: mobile, big data, ecosistema, cloud. Ma ancora in più c’è dietro l’evoluzione delle generazioni dei nativi e del loro modo di usare le nuove tecnologie, che è molto più fluido (passo dal meteo al compleanno di un amico nella stessa app, che uso su device diversi) ma che è anche sempre più legato al contesto spazio-temporale, con la necessità di ricevere una risposta immediata senza dover cercare.
La logica della contestualità è a ben guardare dietro a moltissime app di successo, da Instagram che mi permette di elaborare e condividere subito le foto che faccio per strada a Vine, dai fenomeni di showrooming alle promozioni geo localizzate, dall’hashtag su di un tema caldo su Twitter al check-in su qualsiasi tipo di app che lo permetta.
È uno spostamento che è stato reso possibile dalla diffusione dei device mobili, che hannosvincolato l’esperienza digitale da un luogo statico dove ho un computer connesso, e dallademocratizzazione degli strumenti, che oggi consentono a chiunque di poter produrre e condividere contenuti in qualsiasi istante senza particolari competenze e a costi vicini allo zero.
Multichannel Marketing
Se dunque qualche anno fa dicevo che la nuova frontiera del digitale era il luogo, ora mi sento di dire che è il contesto, fatto di tempo e spazio.
E’ anche il marketing si dovrà adeguare, perché l’impatto della tecnologia lo sta già trasformando ed è tempo di concretezza. Date ad esempio un’occhiata a questa dicharazione…
Voi che ne dite?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Negli Stati Uniti il 57% degli utenti di social network ha cliccato il “mi piace” sulle pagine dei brand preferiti, ma alla domanda su quale impatto abbia avuto su di loro il gradimento espresso dagli amici per un determinato marchio, la risposta più registrata (35%) è stata “nessuno”. Questo secondo i risultati di un nuovo studio targato Adobe sullo stato dell’advertising online e su social network.
Dall’indagine è emerso come la maggior parte degli utenti che hanno messo “mi piace” sui marchi preferiti provenga dalla Corea del Sud, con circa il 59% e dall’Australia (54%), mentre i valori scendono se si prendono in considerazione gli utenti degli altri paesi: in UK solo il 44% dei rispondenti ha dichiarato di “likare” i brand, in Francia il 38%, in Giappone il 36% e in Germania solo 33%.
Lo studio ha cercato inoltre di indagare le motivazioni che spingono gli utenti a cliccare sul “mi piace” per un determinato brand e il risultato, negli Stati Uniti, è stato che il 53% degli utenti lo fa perché compra regolarmente quel servizio o prodotto brandizzato. A questa risposta seguono delle altre che mostrano come il 46% degli utenti lo faccia per eventuali promozioni o sconti; il 38% lo fa per lo stile del brand o per ciò che questo veicola; il 17% perché desidera comprare un determinato prodotto di quel brand. Il dato interessante, però, è che solo il 5% clicca “mi piace” perché lo hanno fatto altri amici.
Prima si è accennato a come la risposta più accreditata (35% dei rispondenti) alla domanda riguardo l’impatto che ha un “like” di un amico su un determinato brand fosse “nessuno”. Dall’analisi emerge, però, che un 29% dei rispondenti, dopo che un amico ha cliccato “mi piace” su un brand, vada a controllare quel determinato prodotto e che il 14% va a visitare il sito del brand reclamizzato. Sono molto basse, invece, le percentuali degli utenti che interagiscono con il brand sponsorizzato: solo il 4% commenta sul prodotto; il 2% raccomanda il prodotto; un altro 2% compra il prodotto. Dallo studio Adobe la pubblicità digitale nel suo complesso non sembra meglio, registrando un 32% di intervistati che ritiene la pubblicità online un metodo non molto efficace.
Ann Lewnes, Chief Marketing Officer di Adobe ha detto: “Il digital marketing ha creato senza dubbio una grande opportunità per i brand, ma i consumatori si aspettano qualcosa in più. Vogliono storie cucite addosso per loro stessi e che il brand veicoli messaggi con un alto livello di trasparenza. Tutti i brand che diffondono qualsiasi cosa che sia al di sotto delle aspettative dei consumatori verranno ignorati. Questo sondaggio ha dimostrato però che il digital marketing non ha ancora mostrato tutto il suo potenziale”.
Via Tech Economy
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