Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Molte ricerche dimostrano che guardare la tv e utilizzare i social media non sono due azioni che si escludono a vicenda. Anzi, gli utenti sembrano amare postare commenti su Facebook o twittare mentre sono davanti lo schermo della tv. Molti di questi spettatori discutono di ciò che stanno guardando in tempo reale con amici o altri utenti della rete che in quel momento guardano lo stesso programma intavolando spesso conversazioni che continuano per giorni e giorni.
Operatori del settore tv e del marketing televisivo hanno capito di poter utilizzare questa nuova tendenza a loro vantaggio. L’idea non è di competere con i social media ma di usarli in modo che gli show televisivi, eventi e campagne pubblicitarie possano spingere il pubblico a partecipare attivamente ed interagire con il materiale audiovisivo mostrato.
In un nuovo report targato BI Intellingence vengono esaminati i trend più significativi della Social Tv e come la nuova pratica di consumo spinge i broadcaster e gli operatori marketing a ripensare alle loro strategie in chiave social. Dal report emerge innanzitutto come il mercato in cui si gioca questa nuova partita muova ingenti somme di denaro: nel 2012, a livello globale, sono stati spesi 350 miliardi di dollari in spot televisivi. In questo senso, se la Social Tv riuscirà a rendere maggiormente efficace la pubblicità o aiutare i social media a raggiungere parte di quegli investimenti, potrà diventare, secondo i ricercatori, un vero e proprio settore di business autonomo.
La pratica della Social Tv è un’abitudine già consolidata tra il pubblico di tutto il mondo. Gli utenti dei social media affermano, infatti, che la pratica di commentare show televisivi o eventi fa già parte delle loro abitudine quotidiane. L’attività è cresciuta in corrispondenza dell’incremento delle vendite di smartphone e di altri dispositivi mobili. Questi, infatti, hanno reso molto più semplice per le persone riuscire ad interagire con i programmi stando comodamente seduti sui loro divani davanti alla tv. Uno dei dati emersi dal report è che il 40% degli spettatori americani dichiara di utilizzare i social media da smartphone o tablet mentre guarda la tv da casa. Inoltre i social media da dispositivo mobile sono maggiormente utilizzati mentre si è a casa davanti alla tv piuttosto che in altre attività come lo shopping.
La pratica della Social Tv può essere declinata in più varianti. Esistono, infatti, molte applicazioni che favoriscono questo tipo di attività come quelle al supporto per gli spot televisivi, che ottimizzano il processo di acquisto rendendo l’annuncio più diretto ed efficiente, o app che misurano in tempo reale l’audience di un determinato evento televisivo. I dati emersi dall’analisi di una determinata attività di social tv possono costituire un vero e proprio focus group da cui ricavare informazioni interessanti e, se utilizzati in modo adeguato, possono generare un ciclo di feedback positivi per la creazione di palinsesti e campagne pubblicitarie più vicine alle esigenze dello spettatore.
Via Tech Economy
ichieste di rimozione di contenuti da Twitter: addirittura, negli ultimi sei mesi, sarebbero salite del 76% rispetto allo scorso anno quelle legate al copyright. Link, immagini, video che non piacciono alle aziende, alle associazioni che proteggono il diritto d’autore dei grandi gruppi editoriali e dell’intrattenimento mondiale.
O ancora: tweet che diffamano, account sui quali vengono richieste informazioni circa la provenienza e i dati sensibili dell’utente stesso. È questo il panorama tracciato dall’ultimo rapporto sulla trasparenza del social da 140 caratteri, i cui dati sono stati pubblicati il 31 luglio 2013.
QUESTIONE DI COPYRIGHT – Dal 1 gennaio al 30 giugno 2013 le richieste di rimozione di materiali su Twitter per violazione del diritto d’autore sono state 5753: il 76% in più rispetto al secondo semestre del 2012. Il totale riguarda oltre 22mila account diversi, 18mila tweet rimossi e quasi 4mila contenuti fatti scomparire dal social network dei cinguettii, per via di una violazione del DMCA, il Digital Millennium Copyright Act, la legge americana che protegge il diritto d’autore in Rete.
Anche i dati di Google – che pubblica il suo rapporto sulla trasparenza a partire dal 2011, mentre Twitter lo fa dal 2012 – confermano come rispetto allo scorso anno l’attenzione al copyright si sia fatta pressante: nell’ultimo mese Big G ha ricevuto e rimosso dalle sue ricerche oltre 14 milioni di link considerati fuorilegge, segnalati da oltre 2mila enti o aziende diverse e riguardanti oltre 37mila domini internet. Si pensi che, l’ultima settimana di luglio dello scorso anno, le segnalazioni erano di poco sopra al milione, contro appunto i 14 milioni della scorsa settimana.
I RE DELLE RIMOZIONI – A collezionare il maggior numero di richieste di rimozione, nel caso di Twitter, sono le grandi associazioni di categoria e le società che aiutano le aziende a monitorare le violazioni online: come Remove your media (su Twitter @removepiracy), gruppo americano che ha tra i suoi clienti molti dei grandi del cinema, dei videogiochi e del software, ma anche la RIAA, Recording Industry Association of America, il gruppo di interesse che segue le etichette musicali negli Stati Uniti.
Nel caso di Google, la situazione è analoga ma all’ennesima potenza, visti i grandi numeri del motore di ricerca: qui i re delle segnalazioni si chiamano Bpi (unione delle etichette britanniche) e Degban, altra società impegnata a punire per conto delle aziende chi non rispetta il copyright (tanto che si usa dire "you’ve been degbanned", sei stato degbannato, giocando sulla parola ban). A ruota, dopo di loro (che lo scorso mese hanno segnalato circa 3 milioni di URL da bandire a testa ) vengono nuovamente la RIAA e tutte le grandi aziende dell’intrattenimento, da Fox a Paramount, da Disney a Warner Bros, intervallate dai grossi numeri di Microsoft, Adobe e molte aziende distributrici di software.
I DATI DEGLI UTENTI – Sebbene i numeri siano inferiori, sono interessanti anche i dati che riguardano le richieste su singoli utenti: aziende e lobby, ma anche e soprattutto le pubbliche amministrazioni, chiedono ai social di svelare identità e fornire dati sensibili sui proprietari degli account.
Per Twitter il fenomeno è soprattutto americano: su 1157 richieste, oltre 900 arrivano proprio dagli Usa. La motivazione è legata ai controlli antiterrorismo, ma anche a persone scomparse oltre ad alcuni casi richiesti dai giudici rispetto ai manifestanti di Occupy Wall Street. Per Google i numeri sono diversi, e i dati (aggiornati però solo a fine 2012) parlano di oltre 21mila richieste di informazioni personali a fine anno scorso, di cui 846 riguardano il nostro Paese.
Via Corriere.it
È un'evoluzione naturale: Facebook ospiterà nelle sue pagine anche video promozionali di 15 secondi. Saranno venduti con un prezzo da un milione di dollari fino a 2,5 milioni di dollari al giorno secondo l'ampiezza del pubblico decisa dall'inserzionista durante la campagna pubblicitaria.
È un salto in avanti del social network che imita il modello della televisione. Sono indiscrezioni raccolte dall'agenzia di stampa Bloomberg. Facebook risponde quindi ai rapidi passi in avanti di altri colossi del web che cercano frontiere di espansione negli Stati Uniti come Google con il varo della piattaforma Chromecast e Twitter attraverso app e accordi.
Un duello aperto Secondo Bloomberg Facebook varerà microfilmati che appariranno al massimo tre volte al giorno nel News Feed dove gli utenti consultano messaggi, link, fotografie e video pubblicati da altri iscritti. Il social network ha costruito nel tempo l'ampliamento verso i dispositivi mobili. Come altri giganti del web vuole allargare il suo perimetro anche grazie alla diffusione degli accessi a internet da laptop, smartphone, tablet.
E conta sui meccanismi virali dei social media dove gli utenti rilanciano i video consigliati dagli amici, commentando e votando attraverso i "mi piace". La durata di 15 secondi è equivalente ai limiti richiesti da Instagram, l'ex startup acquistata poco più di un anno fa da Facebook e proiettata da poco nei video. Si moltiplicano i fronti di rivalità. Twitter ha lanciato l'app Vine destinata a brevi filmati dalla durata di sei secondi.
E punta sull'affiancamento delle inserzioni commerciali accanto ai micropost degli utenti durante i programmi televisivi. Non è un segreto che Dick Costolo, amministratore delegato di Twitter, abbia premuto da sempre sull'acceleratore per costruire un ponte tra il social network e la televisione. La calamita dei giochi Coinvolgere gli utenti a restare più tempo nei suoi confini è un imperativo per Facebook che deve affrontare la competizione con altri social network.
Ha appena varato un programma di sostegno verso i piccoli e medi sviluppatori software: vuole incoraggiarli a progettare giochi per dispositivi mobili e a diffonderli tra gli utenti già interessati ad una specifica categoria, come ad esempio i casual games. In questo modo incentiva un ecosistema più ampio di collaborazione con startup e imprese accanto alle produzioni dei giganti dei videogame. La visibilità può essere un problema soprattutto per gli sviluppatori software che non hanno un elevato budget pubblicitario e non riescono a innescare dinamiche virali di marketing. La prospettiva è di ampliare i confini a un bacino su Facebook di 819 milioni di utenti mensili dai dispositivi mobili.
Via IlSole24Ore.com
Il panorama dei social network si arricchisce con il nuovo Vir2o che ha come obiettivo quello di essere il “pub locale o un centro di ritrovo” di Internet. La startup ha lanciato la nuova piattaforma di social media in questi giorni di oggi ed ha rivelato di essere sostenuta da un finanziamento di 1 milione di dollari.
Il sito mette insieme i vari componenti da altri social network per creare una piattaforma più ampia e con più funzionalità. Gli utenti possono condividere foto, ascoltare musica, giocare, postare e guardare video, e fare acquisti in stanze private. Usando la funzione “nVite”, le persone possono invitare gruppi di amici ad unirsi a loro in queste camere in cui tutte le loro voci, l’audio e la vista dello schermo sono sincronizzati. Vir2o cerca di prendere l’esperienza offline dell’uscire con gli amici e metterla in rete. Il fondatore Kayode Aladesuyi ha detto che Vir2o è una versione di Google+ più avanzata.
“Vir2o è dannoso per l’attuale stato dei social media” ha riferito Aladesuy. “Il coinvolgimento interattivo degli utenti è ciò che è nuovo, diverso e innovativo. Non si tratta di condivisione dello schermo. I social media nel loro stato attuale, mentre possono favorire il business, possono alla lunga diventare piattaforme in cui le persone vengono ulteriormente separate e alienate piuttosto che luoghi in cui le relazioni sono armonizzate indipendentemente dal luogo o dalla distanza“.
I social media fanno ormai parte dell’esperienza quotidiana degli utenti online. Eppure, nonostante la proliferazione di questi metodi di comunicazione, spesso ci si domanda ancora se questa tecnologia rafforza in realtà i rapporti sociali, o se ne favorisce la quantità piuttosto che la qualità.
Per molti utenti Facebook non è più il modo per entrare in contatto con gli amici più stretti. È spesso il luogo per ritrovare vecchi compagni di scuola o per postare le foto del fine settimana con il mondo. Social network alternativi come Path, invece, hanno cercato di conferire agli utenti delle esperienze più intime, ma hanno faticato a rendere la loro idea monetizzabile e soprattutto a convincere gli utenti già sopraffatti da social network più affermati. Per cercare di risolvere queste problematiche, però, Vir2o ha adottato un modello di business di entrate miste basato sulla pubblicità e i ricavi condivisi con i fornitori di contenuti e i rivenditori. Ci sono campagne, annunci sponsorizzati e banner in tutte le “stanze”. Nella “stanza della musica”, Vir2o cerca di fare profitto prendendo una commissione su ogni album o canzone che viene acquistata attraverso il suo servizio VMaestro. Nella “stanza cinema”, cerca guadagni tramite un pay per view per i contenuti trasmessi, come concerti ed eventi sportivi. Vir2o ha anche un market dove prende una commissione su tutti i prodotti venduti sul sito da rivenditori di terze parti. Al momento Vir2o ha attratto circa 20.000 utenti sulla sua versione beta ed è maggiormente mirato verso gli utenti dei mercati emergenti, con una particolare attenzione per i paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina).
Via Tech Economy
Nel mese di maggio Twitter ha annunciato la versione beta di un nuovo prodotto chiamato “TV targeting”. Un servizio che permette alle società di marketing di portare la pubblicità televisiva sul social network Twitter. I risultati del test rivelano che l’impatto del social network combinato con la pubblicità televisiva è significativamente maggiore di quello di utilizzare la solamente la pubblicità tv. E in questi giorni Twiter ha annunciato che è disponibile negli Stati Uniti il servizio di TV targeting per gli inserzionisti, in continuità con gli spot televisivi nazionali. Si tratta di marchi come Adidas, Holiday Inn Express, Jaguar, e Samsung, ed altri che hanno utilizzato la versione beta del TV targeting ed hanno registrato miglioramenti significativi nell’associazione del messaggio pubblicitario all’intenzione d’acquisto.
Nel corso dei test è emerso che gli utenti di Twitter che sono stati esposti ad uno spot televisivo e poi ad un tweet promozionale hanno dimostrato una più forte associazione al messaggio (95%) e inoltre si è rilevato che si ha un 58% in più di propensione all’acquisto rispetto agli utenti che sono stati esposti agli spot sulla sola TV. Questo significa che gli spot su Twitter aumentano significativamente il richiamo del marchio ed una maggiore associazione del messaggio per gli utenti.
“La Twitter TV e il servizio beta di annunci hanno aiutato l’Holiday Inn Express a migliorare il target di consumatori che hanno guardato i nostri nuovi #spot televisivi StaySmart“, ha detto Heather Balsley, SVP Americas Holiday Inn. “Utilizzando messaggi accattivanti accanto alle risorse video e interessanti tweets promozionali con l’hastag #StaySmart, siamo stati in grado di raccogliere l’intenzione di acquisto degli utenti e questo ci ha permesso di creare interessanti conversazioni con i consumatori tramite l’account Twitter @HIExpress “.
“Gli spot di Twitter spot hanno permesso alla Jaguar di intraprendere conversazioni uniche con il pubblico che è stato esposti al brand attraverso spot televisivi“, ha detto Joe Torpey, Jaguar Communications Manager, Jaguar Nord America. “Utilizzando la Twitter TV con l’account twitter della Jaguar (@JaguarUSA) abbiamo avuto un aumento diretto nei social media #MyTurnToJag.”
Oltre ai risultati realizzati di questi marchi, Twitter sta anche lanciando una nuova serie di strumenti di analisi attraverso la “TV Ads Dashboard” che estende le funzionalità di monitoraggio degli annunci. Con queste nuove analisi gli inserzionisti saranno in grado di capire meglio ciò che gli utenti su Twitter hanno da dire circa le loro campagne pubblicitarie. Gli inserzionisti hanno un nuovo strumento che gli permette un più facile e diretto accesso ai feedback degli utenti sugli spot. Inoltre la Twitter TV fornisce soluzioni “always-on” che facilitano gli inserzionisti a continuare la conversazione iniziata con gli spot televisivi con uno grado di interattività e coinvolgimento unico.
Via Tech Economy
Negli Stati Uniti il 57% degli utenti di social network ha cliccato il “mi piace” sulle pagine dei brand preferiti, ma alla domanda su quale impatto abbia avuto su di loro il gradimento espresso dagli amici per un determinato marchio, la risposta più registrata (35%) è stata “nessuno”. Questo secondo i risultati di un nuovo studio targato Adobe sullo stato dell’advertising online e su social network.
Dall’indagine è emerso come la maggior parte degli utenti che hanno messo “mi piace” sui marchi preferiti provenga dalla Corea del Sud, con circa il 59% e dall’Australia (54%), mentre i valori scendono se si prendono in considerazione gli utenti degli altri paesi: in UK solo il 44% dei rispondenti ha dichiarato di “likare” i brand, in Francia il 38%, in Giappone il 36% e in Germania solo 33%.
Lo studio ha cercato inoltre di indagare le motivazioni che spingono gli utenti a cliccare sul “mi piace” per un determinato brand e il risultato, negli Stati Uniti, è stato che il 53% degli utenti lo fa perché compra regolarmente quel servizio o prodotto brandizzato. A questa risposta seguono delle altre che mostrano come il 46% degli utenti lo faccia per eventuali promozioni o sconti; il 38% lo fa per lo stile del brand o per ciò che questo veicola; il 17% perché desidera comprare un determinato prodotto di quel brand. Il dato interessante, però, è che solo il 5% clicca “mi piace” perché lo hanno fatto altri amici.
Prima si è accennato a come la risposta più accreditata (35% dei rispondenti) alla domanda riguardo l’impatto che ha un “like” di un amico su un determinato brand fosse “nessuno”. Dall’analisi emerge, però, che un 29% dei rispondenti, dopo che un amico ha cliccato “mi piace” su un brand, vada a controllare quel determinato prodotto e che il 14% va a visitare il sito del brand reclamizzato. Sono molto basse, invece, le percentuali degli utenti che interagiscono con il brand sponsorizzato: solo il 4% commenta sul prodotto; il 2% raccomanda il prodotto; un altro 2% compra il prodotto. Dallo studio Adobe la pubblicità digitale nel suo complesso non sembra meglio, registrando un 32% di intervistati che ritiene la pubblicità online un metodo non molto efficace.
Ann Lewnes, Chief Marketing Officer di Adobe ha detto: “Il digital marketing ha creato senza dubbio una grande opportunità per i brand, ma i consumatori si aspettano qualcosa in più. Vogliono storie cucite addosso per loro stessi e che il brand veicoli messaggi con un alto livello di trasparenza. Tutti i brand che diffondono qualsiasi cosa che sia al di sotto delle aspettative dei consumatori verranno ignorati. Questo sondaggio ha dimostrato però che il digital marketing non ha ancora mostrato tutto il suo potenziale”.
Via Quo Media
Google sta testando una nuova campagna pilota nel continente australiano, che consente agli utenti di scaricare applicazioni multimediali da cartelloni pubblicitari aeroportuali. I nuovi “cartelloni” posizionati negli aeroporti nazionali di Sydney, Melbourne e Brisbane sono stati creati per Google dall’agenzia “Ooh Media” e fanno parte di una tendenza crescente da parte delle aerostazioni per l’utilizzo della tecnologia NFC.
Il sistema utilizza il software Red Crystal, un programma che trasforma il vostro smartphone in un telecomando permettendo agli utenti di poter interagire con i contenuti presenti su uno schermo digitale. Per poter attivarlo basta che il device tocchi un adesivo con tecnologia NFC o scansioni un codice QR.
“La campagna di Google Play è l’unica che usa la tecnologia NFC e QR combinata con il software Red Crystal che consente ai consumatori di controllare uno schermo senza bisogno di scaricare un app“, dice Warwick Denby, direttore del gruppo di strategia aziendale presso Ooh. “Si possono selezionare i contenuti desiderati visualizzati sugli schermi pubblicitari e quindi scaricare film, riviste, libri, musica o giochi dal Google Play Store immediatamente sul proprio dispositivo Android”.
Warwick aggiunge “questa campagna è un esempio reale di come il tradizionale cartellone e la tecnologia possono lavorare insieme per ottenere una connessione più profonda tra un marchio e gli individui. Dimostra quanto bene i cartelloni pubblicitari online e quelli digitali possano lavorare insieme, e come gli smartphone siano in grado di guidare l’impegno e di consentire ai consumatori di collegarsi ed effettuare transazioni con il brand online – immediatamente”.
Via Quo Media
Nel mercato mobile europeo, è Android la piattaforma maggiormente installata sugli smartphone. Il sistema operativo di Google è infatti presente nel 70,4% di tutti i device distribuiti nel vecchio Continente: una quota nettamente superiore a quella dei diretti rivali, ovvero iOs e Windows Phone.
La nuova analisi di mercato giunge da Kantar Worldpanel Comtech che, attraverso un report condiviso in queste ore evidenzia il dominio assoluto del robottino verde nel territorio europeo. Android rappresenta la piattaforma maggiormente scelta dai consumatori, molto più di iOs installato negli iPhone che si attesta a un 17,8% dello share, e di Windows Phone, che ha solo un 6,8%.
Il successo di Android in Europa può esser soprattutto attribuito agli smartphone Samsung della serie Galaxy, che hanno rappresentato circa la metà di tutti i telefoni cellulari distribuiti. Android viene dunque amato più in Europa che negli Stati Uniti, territorio in cui è comunque leader con il 52% del mercato, ma al contempo dove la sfida con iOs si gioca da più vicino: la piattaforma di Apple possiede infatti un 41,9% di share, mentre Windows Phone è solo al 4,6% ma registra buoni ritmi di crescita.
Via Quo Media
Mobile Surfer italiani hanno mediamente 27 App installate sul loro smartphone, ma ne usano ogni mese circa la metaÌ, e ogni giorno in media 5. Nel contempo hanno hanno una media di 8 bookmark salvati nel Mobile browser, e dichiarano di accedere al Mobile Web 9 volte al giorno, nella maggior parte dei casi passando attraverso il motore di ricerca.
Queste in sintesi sono le principali risultanze della ricerca condotta sugli utenti di Mobile Internet italiani dai ricercatori dell’Osservatorio Mobile Internet, Content & Apps della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con Doxa: ricerca che fa parte del report 2013 dell’Osservatorio presentato la settimana scorsa.
La Ricerca eÌ stata realizzata nel maggio 2013 su un campione statisticamente significativo di 1.030 individui utenti di Telefono cellulare/Smartphone che scaricano e/o utilizzano App, e ha approfondito in particolare due temi: l’approccio degli utenti all’uso reciproco di Mobile App rispetto ai Mobile Site, e la propensione all’acquisto di App.
Il 64% preferisce il Mobile Site all'App
A questo proposito, un altro dei responsi più interessanti dell’indagine è che c'è una certa sovrapposizione tra Mobile Web e App: nel 64% dei casi, infatti, dichiarano di accedere spesso o qualche volta a un Mobile site, anche se hanno un’App che offre gli stessi contenuti. In questi casi, i principali motivi che spingono a preferire il browsing sono la maggior abitudine a navigare sui siti, la maggior completezza di informazioni che il sito propone, e il fatto che si arrivi al sito tramite il motore di ricerca.
Inoltre emerge che un numero giaÌ consistente di utenti (41%) naviga sui principali siti da Mobile lo stesso numero di volte in cui vi accede da Pc. Questo avviene soprattutto per informazioni relative al meteo, per la lettura delle e-mail e per l’accesso ai Social network.
Per quanto riguarda, invece, la seconda area di indagine, ovvero la propensione all’acquisto di Mobile App, quasi la metaÌ degli utenti dichiara di avere solo App gratuite e un ulteriore 46% prevalentemente App gratuite; solo il 6%, quindi, ha in prevalenza App a pagamento. Uno dei motivi principali di questa ritrosia all’acquisto è la scarsa propensione a registrare la propria carta di credito sullo Store di riferimento: solo un terzo dichiara di averlo fatto, percentuale che sale al 64% per gli utenti Apple.
Il 71% dei giovani userebbe il credito telefonico
In effetti un quinto degli utenti dichiara esplicitamente di aver rinunciato all’acquisto di App percheì non voleva inserire la carta di credito, anche se il 77% di chi invece ha registrato la carta, poi l’ha usata almeno una volta nel corso dell’anno e il 60% nell’ultimo mese, a dimostrazione che chi inizia ad utilizzarla, poi lo fa di frequente. Oltre il 40% non eÌ invece disposto in assoluto a spendere soldi per acquistare contenuti.
Un modo per superare l’ostacolo della ritrosia sulla carta di credito, e allargare così notevolmente la platea dei potenziali acquirenti di App, è quella mettere a disposizione il credito telefonico come alternativa di pagamento. In generale infatti piuÌ della metaÌ dei Mobile Surfer che non hanno registrato la carta di credito sugli Store dichiara che preferirebbe usare il credito telefonico per pagare le App, percentuale che sale al 71% per i giovani tra i 15 e 24 anni.
Infine tra i diversi altri aspetti approfonditi dall'indagine, uno dei più interessanti è la qualità percepita della velocità di navigazione, da cui emerge che il 17% la giudica molto buona in generale, ma la grande maggioranza (79%) la definisce “molto variabile”, soprattutto in funzione del luogo in cui ci si trova: meno problematica risulta la variabilità legata ai contenuti. Di fronte a questa situazione, ben tre Mobile Surfer su quattro sarebbero disposti a pagare per avere la garanzia di una qualità e navigazione della rete decisamente migliore, ma in gran parte (57%) solo se il costo aggiuntivo è contenuto.
Via Wireless4Innovation
Qualche tempo fa ho avuto il piacere di essere ospite della Adobe Digital Academy a Padova per parlare di digital transformation e insieme ad alcuni colleghi e al pubblico presente abbiamo dato vita a un dibattito molto interessante che mi ha confermato molte delle idee che avevo espresso sul tema qualche giorno prima.
Una cosa mi è apparsa particolarmente evidente: in alcune aree di marketing (digital e non) è piuttosto chiara la percezione del cambio di un paradigma ma si tratta di un argomento estremamente vasto e pervasivo che va a toccare ovunque l’organizzazione. E che dunque non può essere affrontato e gestito solo da un manipolo di innovatori.
Lo scenario d’altra parte è chiaro: come scrive Scott Brinker sul suo blog la tecnologia cambia esponenzialmente mentre le organizzazioni lo fanno in modo logaritmico, ossia molto più lentamente. Un fatto comune probabilmente ma che non è da vedere in modo deterministico e irrimediabile.
Il punto però allora diventa: chi è che decide veramente sulla digital transformation? Se lo chiede anche Gartner. Di certo è necessario il committment dei vertici aziendali ma mio avviso questo non basta perché il cambiamento non può essere solo imposto ma deve essere adottato.
Prendiamo i 5 pilastri per il futuro che Brian Solis individua in suo recente lavoro:
1. Vision and leadership 2. Engaged customers 3. Empowered employees 4. Collaborative innovation 5. Internal agility in processes, systems, and decision making
In questi punti c’è tanto il vertice quanto il corpo dell’organizzazione e dunque, di nuovo, è impensabile che tale e tanta trasformazione possa avere successo se vissuta e gestita da un manipolo di digital marketers o di persone di IT.
Di certo poi non è solo un fatto di tecnologia, mezzi come il mobile e il cloud hanno cambiato il modo di lavorare in termini potenziali ma alla fine, come recita la legge di Conway, “any piece of software reflects the organizational structure that produced it“.
In positivo e in negativo.
Io credo che quindi oggi sia quanto mai necessario avere delle figure in azienda che abbiano il know tecnico per capire le nuove opportunità ma anche la capacità di raccogliere i bisogni delle persone che fanno parte dell’organizzazione per metterli a fattore comune con la strategia complessiva. Tali figure devono avere l’autorità per influire davvero sui processi e sulla mentalità e il tempo di lavorare a stretto contatto con tutte le aree interne per farsi portatrici del cambiamento.
Talvolta le organizzazioni hanno paura di semplificare ma in realtà è solo andando a risolvere gli aspetti organizzativi e motivando le persone a migliorare tramite la collaborazione e l’innovazione che si può poi essere pronti alle nuove sfide. Compreso il marketing integrato.
Voi che cosa ne pensate?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
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