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  mymarketing.it: l'isola nell'oceano del marketing... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Max Da Via' (del 13/01/2017 @ 07:06:07, in Internet, linkato 1891 volte)

A novembre sono 30,1 milioni gli utenti italiani online, pari al 54,7% della popolazione dai 2 anni in su, online complessivamente per 54 ore e 51 minuti per persona. A rivelarlo sono i dati Audiweb rilasciati nella giornata di oggi.

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Nel giorno medio online 23,1 milioni di italiani

Nel giorno medio sono stati online 23,1 milioni di italiani, collegati tramite PC e mobile per 2 ore e 23 minuti per persona. Hanno navigato da mobile 20,1 milioni di italiani tra i 18 e i 74 anni, in media per 2 ore e 5 minuti per persona. A novembre è stato online nel giorno medio circa il 60% della popolazione tra i 18 e i 54 anni e il 31,5% della fascia più matura tra i 54 e i 74 anni.  Dai dati sulla provenienza geografica degli utenti online il 45% degli italiani dell’area Nord-Ovest (6 milioni), il 42,6% dall’area Nord Est (3,7 milioni), il 41,2% dal Centro (3,7 milioni) e il 37,9% dall’area Sud e Isole (8 milioni).

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Il mobile leader nella distribuzione del tempo di fruizione

Per quanto riguarda la distribuzione del tempo trascorso online, il 77,2% è generato dalla navigazione da mobile, con quote maggiori raggiunte in generale dalle donne, con l’83,5% del tempo complessivo trascorso online da mobile, e dai giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno dedicato l’84,1% del tempo online alla navigazione mobile. Più in dettaglio, dai dati sul tempo speso per persona, risulta che nel giorno medio hanno trascorso più tempo online i 25-34enni, con 2 ore e 41 minuti in media al giorno, seguiti dalla fascia più matura dei 35-54enni (quasi 2 ore e mezza). Con 2 ore e 17 minuti online nel giorno medio, i 18-24enni continuano a preferire la fruizione di internet da mobile.

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Categorie, non c’è storia per Audiweb: vince sempre la search

Per quanto riguarda, infine, le principali categorie di siti visitati nel mesi di novembre, il 93% degli utenti online ha navigato tra i siti e/o applicazioni della categoria “Search” (28 milioni di utenti), quasi il 90% tra i portali generalisti (“General Interest Portals & Communities”, con 27 milioni di utenti) e oltre l’80% degli utenti online ha visitato almeno un sito e/o applicazione tra le categorie “Internet tools / web services”, dedicati ai servizi e tool online (86%), “Member Communities” (85,6%) e “Video/Movies” (83%). Raggiungono valori interessanti anche le categorie “Mass Merchandising” con circa il 75% degli utenti online (22,6 milioni) e “Current Event & Global News” con il 65,4% degli utenti (19,7 milioni).

Via DailyOnline
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Di Max Da Via' (del 12/01/2017 @ 07:32:20, in Tecnologie, linkato 2046 volte)
L’intelligenza artificiale è la capacità delle macchine o dei computer di emulare il pensiero umano o il processo decisionale. Un’area chiave all’interno dell’AI è il machine learning, derivante dai processi di automatizzazione del planning digitale, già anticipato da Zenith nel mese di novembre.
Utilizzando algoritmi su misura, una task force di data scientist e specialisti strategici di Zenith ha sviluppato un sofisticato sistema di digital planning, sfruttando la tecnologia machine learning dell’agenzia e consentendo al network di creare un processo di automazione: raccolta dati, attribuzione e pianificazione dei cambiamenti attraverso molteplici touchpoints – il tutto realizzato automaticamente.
I 10 trend presentati sono utili per valutare come il machine learning e altre aree dell’AI miglioreranno l’esperienza del consumatore durante il processo d’acquisto e creeranno nuove opportunità di marketing per i brand.

Trend 1
Predicting our needs: l’AI accrescerà l’importanza del ruolo della search nel processo di acquisto dei consumatori
La Search incrementa le capacità predittive; riesce infatti a fornire informazioni sempre più precise riguardo al consumer journey dei consumatori, guidando così sia le riflessioni che le conversazioni. Durante il 2017, i motori di ricerca inizieranno ad includere nei propri dati  tutte le informazioni sui comportamenti del consumatore, informazioni che la tecnologia dell’intelligenza artificiale utilizzerà per aumentare la capacità predittiva del mezzo. Tutto ciò darà chiare opportunità ai brand di anticipare al meglio le esigenze dei consumatori e di implementare strategie di cross-selling.

Trend 2
Speeds is the New Black: Turbo-charging la consegna dei Trend Content
Negli ultimi anni, la quantità di dati a disposizione del mercato è aumentata notevolmente. I brand hanno quindi potuto individuare rapidamente le tendenze e adeguare le proprie strategie di marketing e di comunicazione. Con la crescita costante di dati a disposizione, la pratica del machine learning contribuirà significativamente a semplificare il processo di analisi, permettendo di elaborare gli stessi dati provenienti da fonti diverse per identificare rapidamente i trend e gli schemi sottostanti. Ciò aiuterà i brand ad analizzare le strategia dei brand concorrenti e a cavalcare i nuovi trend. Da un lato gli specialisti del content nelle agenzie saranno in grado di creare gli asset più idonei per raggiungere il consumatore e soprenderlo, dall’altro i brand potranno sviluppare prodotti in grado di soddisfare le ultime esigenze delle diverse categorie di mercato.

Trend 3
Always-on Insights: la raccolta dei dati non-stop attraverso il Passive User Interface
Il Passive User Interface raccoglie in modo continuativo i dati comportamentali dai dispositivi digitali dei consumatori e attraverso l’approccio del machine learning sarà in grado di fornire ai brand insight rilevanti che potranno essere utilizzati per personalizzare le esperienze di consumo. Alcune aziende stanno già utilizzando i dati forniti dai PUI; la piattaforma di Spotify, ad esempio, utilizza i dati del tracker per personalizzare le playlist degli utenti. Un uso più diffuso dei dati PUI consentirà ai brand di progettare contenuti e servizi personalizzati e di impostare strategie di prezzo appropriate. I dati del PUI potranno anche essere condivisi dai diversi brand e nelle diverse categorie per creare ulteriori punti di contatto/esperienza per i consumatori.

Trend 4
Cross-Device Storytelling: i progressi del Programmatic nelle conversazioni automatiche
La tecnologia del machine learning mette direttamente in contatto i brand con i consumatori e non solo con i loro device. I brand raccolgono molti dati di prima parte, e l’AI permette di comprendere  come coinvolgere i consumatori con diversi messaggi in contesti e tempi differenti. I brand potranno quindi automatizzare le loro conversazioni con il target di riferimento utilizzando il cross-device programmatic advertising creando esperienze senza soluzione di continuità con l’obiettivo di accelerare sia l’acquisto che il ri-acquisto.

Trend 5
Shoppable Content: acquistare direttamente dai contenuti per migliorare l’esperienza del consumatore
Il 2017 sarà l’anno del “Shoppable Content”: la  possibilità di acquistare direttamente da contenuti editoriali e di brand. In pratica “gli algoritmi evolutivi”, tecniche dell’AI ispirate al principio della selezione naturale, potranno scegliere e ottimizzare le informazioni in risposta alla navigazione del consumatore, creando contenuti personalizzati in diretta, con la possibilità di insererirli in carrelli della spesa virtuali. Questi ultimi ricreeranno quindi la funzionalità dei siti e-commerce senza che i consumatori debbano attivare nuovi account o fornire i dati della carta di credito per ogni nuovo sito che visiteranno. Lo “shoppable content” permetterà sia ai brand che agli editori di fidelizzare i consumatori sui loro siti, evitando il passaggio su altri siti per l’acquisto. I brand dovranno pensare e sviluppare i contenuti come una combinazione di testo, immagini e attività interattive in grado di creare un’esperienza di shopping ingaggiante.

Trend 6
Smart VR: Virtual Reality la nuova opportunità per i brand attraverso gli Smartphone
La realtà virtuale si sta spostando dal solitario mondo dei giocatori anche a quello più mainstream dei consumatori che infatti la sperimentano attraverso i loro smartphone, considerati i nuovi driver di questo fenomeno. Facebook e Twitter hanno già un sistema di live-streaming al quale è possibile accedere utilizzando le cuffie collegate ai propri smartphone. L’utilizzo della VR mainstream presenterà per i brand molte opportunità di marketing: ad esempio, i rivenditori avranno la possibilità di modificare le modalità di acquisto presentando ai consumatori i prodotti senza la visita ai punti vendita.

Trend 7
The rise of the chatbots: la comunicazione automatica e diretta tra brand e consumatori
Spinte dal machine learning, le chatbots permettono l’interazione automatica tra consumatori e brand tramite un’interfaccia di messaggistica. Le chatbots possono aiutare i consumatori con alcune funzioni tra le quali i pagamenti e la ricezione delle notifiche di consegna/spedizione. Le chatbots aiutano i brand a ridurre i costi del servizio di assistenza per i clienti e ad aprire un dialogo con i consumatori. Un’altra grande opportunità per i brand sarà quella di creare un contatto diretto e personalizzato con i consumatori sulla base degli insights emersi nelle chat.

Trend 8
Emotion Recognition Technology: aiuta i brand a recepire le emozioni dei consumatori
La diffusione degli smartphone e la condivisione continua dei propri stati d’animo fa sì che il consumatore abbia sempre con sé un rilevatore di emozioni. Questo permetterà ai brand di collegare gli stati d’animo e i comportamenti dei consumatori a comunicazioni mirate, pertinenti e al momento giusto. Ad esempio, i brand legati ad uno sport o ad una squadra potranno utilizzare questa tecnologia per offrire esperienze personalizzate e ingaggianti nel corso di un evento sportivo.

Trend 9
Dynamic Pricing: gli algoritmi consentono l’automatizzazione dell’adeguamento del prezzo in base alla domanda
Grazie all’elaborazione e all’analisi dei dati di vendita, l’algoritmo Dynamic Pricing consentirà alle brand di adeguare il prezzo dei prodotti online considerando il potere di acquisto del consumatore. I prezzi presenti online sui siti e sulle app potranno quindi modificarsi costantemente. Un esempio è quello di Uber che ha introdotto l’algoritmo di Surge Pricing per adeguare automaticamente i prezzi per eccesso negli orari di picco della domanda.

Trend 10
Automated assistance: il servizio robot arriva nei negozi
Nel mondo dell’industria i robot sono una realtà ormai da molti anni. Oggi, la tecnologia ha sviluppato una combinazione di sistemi di automazione fisici e digitali per creare robot che lavorino fianco a fianco con gli esseri umani. Le opportunità più evidenti e immediate saranno nella vendita al dettaglio. I robot forniranno informazioni sui prezzi, sulle disponibilità di magazzino e, utilizzando particolari algoritmi, saranno in grado di offrire suggerimenti sui prodotti e sulle promozioni in corso. Oltre alla vendita al dettaglio le opportunità di sviluppo riguarderanno anche l’ospitalità alberghiera,  le cure sanitarie e l’aiuto domestico.

Via Spot and Web
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Di Max Da Via' (del 11/01/2017 @ 07:02:42, in Social Networks, linkato 2180 volte)

Facebook Dynamic Ads si aggiorna con un’inedita funzionalità che consente a retailer ed ecommerce di profilare potenziali consumatori non solo in base ai prodotti cercati precedentemente online, ma a partire da interessi e propensione all’acquisto ricavati anche dalla navigazione su altri siti.

Dynamic Ads è uno strumento di retargeting per distribuire annunci sul news feed di consumatori che hanno effettuato una determinata ricerca di prodotto su un qualsiasi sito o app.

L’update consiste nell’inserimento di informazioni demografiche, sui click e i like, ai criteri già disponibili, con l’obiettivo di trovare una nuova fascia di pubblico dalle caratteristiche simili. Seppur non sarà possibile effettuare pianificazioni su target relazionati a siti e rivenditori concorrenti, il targeting di Dynamic Ads beneficerà di un più ampio ventaglio di informazioni relative al percorso di navigazione del consumatore.

In concreto un brand di scarpe potrà usare Dynamic Ads per pubblicizzare il suo prodotto a un utente che ha visitato il sito di un concorrente. O che magari segue su Facebook una pagina dedicata a un certo tipo di sneaker. Non ci sarà comunque nessuna opzione per targettizzare direttamente l’audience di siti concorrenti.

Con questa novità potrebbe essere eliminato il bombardamento tipico del retargeting e i primi test sembrerebbero confermarne l’efficacia. Per Marketing Land l’aggiornamento permetterà di intercettare il consumatore nel momento clou del funnel, vale a dire prima di finalizzare una qualsiasi transazione.

Secondo il director of product marketing Maz Sharafi, infatti, la novità è una risposta alle esigenze dei marketer, impegnati nella ricerca di un pubblico realmente intenzionato a concludere acquisti e non pienamente soddisfatti degli attuali metodi per scovarlo come il remarketing e il tracciamento delle visite in app.

L’annuncio avviene in concomitanza ad alcune indiscrezioni che danno pronti Facebook e Instagram ad aggiungere il formato mid roll. Se da una parte queste soluzioni premiano gli investimenti degli editori e dei creators, dall’altra evidenziano la necessità di Facebook di allargare la propria offerta commerciale sia in modo trasversale alle sue applicazioni sia con inediti strumenti tecnologici in grado di creare nuovi spazi da monetizzare.

Sharafi, tuttavia, sostiene che l’innovazione di prodotto è un tema separato e indipendente dall’affollamento pubblicitario del news feed. “Siamo più o meno sempre stati concentrati su una strategia costruita sul news feed e non solo nel direct response”, anche per rispondere ai feedback ricevuti” attraverso aggiornamenti e innovazioni”.

Oggi Facebook sta testando questo tipo di targeting solo nel Nord America con un gruppo selezionato di inserzionisti dell’ecommerce e del retail, tra cui Wayfair. Nei prossimi mesi la soluzione verrà estesa a nuovi mercati e clienti.

Via DailyOnline
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Internet è diventato una componente essenziale della comunicazione tra marketer, advertiser e consumatori. Più nel dettaglio, i siti web sono oggi il primo porto in cui i consumatori cercano informazioni ed eventualmente concludono acquisti di beni e servizi on e anche offline.

Di conseguenza le aziende stanno incrementando la loro presenza in internet e migliorando le operazioni pubblicitarie attraverso cui sia i clienti attuali sia quelli potenziali ricevono annunci promozionali con contenuti rilevanti e significativi. È questo il tema di una indagine svolta da Eurostat sull’utilizzo dell’internet paid advertising sull’area Eu 28, che vede l’Italia ancora una volta indietro nei confronti degli altri big europei.

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I risultati principali

 Il 77% delle aziende Eu 28 ha un sito internet e il 25% ha utilizzato servizi pubblicitari nel 2016.

 L’attività di targeting prediletta è stata quella di contextual advertising, che utilizza le informazioni relative alle pagine web visualizzati dagli utenti. Alla base di questo successo c’è la semplicità di implementazione a livello tecnologico.

 Più della metà (53%) dei servizi di accoglienza utilizza la pubblicità online; l’83% di questi si serve del contextual advertising.

 A dispetto di quanto si potrebbe credere, la pubblicità in rete non mira solo a generare vendite sui canali online. Anche l’offline ha un ruolo cruciale nell’attività di pianificazione. Tra il 25% di aziende che fa pubblicità online solo il 7% conclude transazioni in questo ambiente.

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I dati Eurostat per l’Italia e alcuni confronti

Il 18% delle imprese in Italia fa pubblicità in rete, meno di una su cinque. La Germania è al 28%, la Spagna al 23%. Valori lontanissimi dalla media del 25% che ci posizionano davanti a Portogallo e Romania, in compagnia della Francia, ma dietro a Bulgaria e Ungheria (19%).

L’utilizzo del contextual advertising è al 76%, poco al di sotto della media del 78%. Curiosamente la Grecia si attesta all’83% mentre al top c’è la Repubblica Ceca (89%). Per quanto riguarda la presenza attraverso siti web l’Italia è al 71% sotto la media del 77%; dati al ribasso anche in ambito social in cui è attivo il 39% delle imprese tricolori a fronte di un 45% nell’Eu 28. I tassi di adozione di behavioural (24%), geo (30%) e altri metodi di targeting (36%) completano il sofferente quadro italiano.

Contextual, behavioural e geo targeting

Il predominio del contextual advertising e l’uso di tecnologie embeddate su siti e app attraverso cui è possibile selezionare gli annunci basati sul contenuto delle pagine visitate dai navigatori web è scritto a chiare lettere. Il contextual advertising è la modalità utilizzata dal 78% delle imprese con una ripartizione simile tra big e PMI. La tecnica del contextual advertising può sfruttare anche specifiche keyword delle ultime ricerche di un device, generando una correlazione positiva tra la pubblicità e gli interessi delle persone.

Anche il behavioural targeting è un metodo utilizzato da diverse inserzionisti. Basato sulle attività di browsing passate degli utenti collezionate tramite cookies, il sistema per raccogliere le tracce digitali è un’importante risorsa per raccogliere informazioni su interessi, preferenze e attività di shopping e quindi intraprendere la profilazione dell’audience per target. Il behavioural targeting, nel 2016, è stato adottato dal 27% delle attività.

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Quindi lo studio segnala anche i servizi di geolocalizzazione, che raccolgono informazioni come l’indirizzo IP e il network wi-fi. Informazioni sull’individuo tra cui la nazione in cui vive, la città e la regione, sono preziose per la successiva fase di targeting. A rivolgersi al geo-targeting nelle attività di pianificazione è il 30% delle società Eu 28, con una leggera prevalenza delle grandi aziende.

La categoria che non copre le soluzioni sopra menzionate raccoglie altre pratiche di targettizzazione e l’ha usata il 35% delle aziende. In questo caso le informazioni sono ricavate da annunci statici su siti tematici o generalisti e d’informazione.

L’uso di funzionalità avanzate nei siti e i social media hanno consentito alle aziende non solo di abbracciare una nuova generazione di piattaforme di comunicazione ma anche di estendere la reach delle operazioni pubblicitarie. Oggi 1 impresa su 4 fa pubblicità online e poco meno di 4 su 5 hanno un sito web. L’avere un sito web, poi, è un requisito “quasi “ fondamentale per fare advertising. Il 45% delle società è, infine, presente sui social media. L’Italia soffre, l’Europa prova a crescere.

Via DailyOnline
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Di Max Da Via' (del 09/01/2017 @ 07:20:22, in Internet, linkato 1949 volte)

Quali sono stati gli argomenti più ricercati e discussi dagli utenti sul web? Per rispondere a questa domanda  e  hanno realizzato, rispettivamente, “Un anno di ricerche Google” e “#ThisHappened in 2016” per evidenziare su quali termini e argomenti si sia focalizzato l’interesse delle persone.

Google ha suddiviso le ricerche per categorie e ha pubblicato una serie di classifiche tematiche, mentre Twitter ha lanciato l’hashtag #ThisHappened per permettere agli utenti di condividere i momenti del 2016 ritenuti più emozionanti ed interessanti.

I dati delle due “classifiche” sono stati elaborati nella seguente  realizzata da Stampaprint.

Google

Via Tech Economy
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Di Altri Autori (del 04/01/2017 @ 07:59:03, in Digitale, linkato 1823 volte)

Si chiama Deloitte 2016 Technology Fast 500™ ed è la classifica delle aziende tecnologiche appartenenti a più di venti Paesi dell’area EMEA che hanno registrato il più alto tasso di crescita dei ricavi negli ultimi 4 anni.

È il settore software il più rappresentato nella classifica di quest’anno, che vede la presenza di aziende appartenenti a 28 Paesi europei e una crescita media dei fatturati pari a 967 punti percentuali. Le società con la percentuale di crescita cumulativa più alta appartengono ai settori Hardware (962%), Media (644%) e Clean (471%).

La Top 10

Fonte: Deloitte

Fonte:

La Francia – per il sesto anno consecutivo – è il Paese con più aziende nelle 500 classificate (ben 94), seguito da Regno Unito (70), Olanda (54), Norvegia (50), Svezia (50), Israele (27), Finlandia (23), Germania (23), Belgio (22) e Turchia (21).

L’azienda “vincitrice” è la svedese Fingerprint Cards, società high-tech quotata in borsa, attiva a livello globale, che sviluppa, produce e commercializza tecnologie biometriche che consentono, attraverso l’analisi e la verifica della congruenza delle impronte digitali di un individuo, di verificare l’identità di una persona. Fingerprint produce il proprio hardware esternamente e si rivolge principalmente al mercato smartphone/tablet e altri mercati verticali, come smart card, PC, IoT, in cui i prodotti della società possono essere integrati.

Quali le aziende italiane?

Fonte: Deloitte

Fonte: Deloitte

L’Italia è rappresentata da 10 aziende: Beintoo, Marketing Arena, Caffeina, Afinna One, Filoblu, Motork Italia, Sardex, Eis, 01s e Crestoptics. La prima azienda italia, al 45esimo posto della classifica, è Beintoo,  Mobile Data Company nata nel 2011 che ha sviluppato una Data Management Platform Mobile proprietaria, utile a costruire campagne di Mobile Advertising. Seguono Marketing Area, un’agenzia che si occupa di digital marketing, e Caffeina, Digital Creative Agency specializzata in progetti di Digital Marketing.

Siamo ancora lontani dalla testa (12º posto in quanto a presenza di aziende in classifica per Paese) ma sicuramente il trend è positivo. Basti pensare che tra il 2005 e il 2009 nemmeno un’azienda italiana era presente tra le 500.

Le dieci aziende italiane che rientrano nei Fast500 sono la conferma che il nostro Paese è in grado di competere in un contesto internazionale caratterizzato da una forte tendenza a innovare – ha affermato Alberto Donato, Partner Deloitte e responsabile italiano Technology Media & Telecommunication (TMT).

Via Tech Economy
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Di Altri Autori (del 02/01/2017 @ 18:43:13, in Mercati, linkato 2214 volte)
Carissimi insonni, è giunto il momento di un’elettrizzante buonanotte. Il bacio che vi farà addormentare non è uno schiocco di labbra di principi o principesse, ma arriva sotto forma dei più prosaici big data e wearable device – sussurrati direttamente dalla Silicon Valley – dove i guru delle tecnologie digitali hanno deciso di occuparsi anche delle nostre notti in bianco. Sì, avete capito bene, quei ragazzotti diventati in fretta e furia miliardari grazie al Web che ci hanno agganciato alla pervasività dell’Internet delle cose, fatto immergere nel magma totalizzante di social network sempre accesi, e ci hanno reso raggiungibili e contattabili in ogni dove e a ogni ora, adesso – bontà loro – vogliono metterci a letto e farci staccare la spina. Almeno per qualche ora, giusto il tempo per ricaricare le batterie. E poi ricominciare tutto daccapo.
Si capisce: dormiamo sempre meno e sempre peggio. E siamo meno produttivi. Ma il malessere notturno è contagioso e sta diventando un business formidabile. Solo in Italia ci sono circa 13 milioni di persone che hanno un pessimo rapporto con il materasso. Stando alle stime presentate nel corso della Giornata del sonno, che cade il 16 marzo, rispetto a 50 anni fa dormiamo due ore in meno.
Si accorcia la durata del riposo, che comunque diminuisce con l’avanzare dell’età, e peggiora anche la qualità del sonno. Sul comodino, infatti, al posto del bicchier d’acqua, si accumulano insonnia, apnee notturne, bruxismo, risvegli frequenti e perfino sonnambulismo. Un ginepraio da incubo, causato dagli stress della modernità e spinto al limite anche dal bombardamento digitale a cui siamo sottoposti ogni giorno.

PECORE ELETTRONICHE
L’economia del sonno non dorme mai. E questa, tutto sommato, è una buona notizia. Perché grandi multinazionali e start up stanno investendo massicciamente per trovare terapie e soluzioni per farci dormire su morbidi guanciali. Si stima che ogni anno gli abitanti dei Paesi industrializzati spendano qualcosa come 32 miliardi di dollari per cercare un sollievo a cuscini che di notte si trasformano in fili spinati. Il giro d’affari fino a oggi è stato composto di atomi: pillole, bustine, cure nei centri del sonno, e anche i vecchi stratagemmi della nonna, tra camomilla e passiflora, per prendere sonno. E ora spuntano sul mercato anche le cuffie cancella rumore, che oltre a riprodurre suoni sono in grado di ridurre a zero tutti i suoni molesti che ci circondano. Ma da domani la sleeping economy sarà soprattutto composta da silenziosissimi bit. Perché nella migrazione della sanità verso la rivoluzione digitale, aziende e start up stanno investendo in ricerca e prodotti nella cosiddetta “consumerizzazione” della salute, pensata anche per monitorare e migliorare la qualità del sonno.

Le analisi di Pwc hanno stimato che ci sono in circolazione 165 mila app che riguardano la salute, per oltre 1,7 miliardi di download l’anno. La maggior parte di queste applicazioni (collegate a dispositivi indossabili) si occupano di monitorare i parametri fisiologici, in primis quelli del sonno per poi misurare il battito cardiaco, la pressione o semplicemente la dieta alimentare. Apple ha lanciato una vera e propria cartella clinica negli iPhone di ultima generazione. E tutti gli altri player stanno seguendo a ruota libera. Il caso di successo dei braccialetti fitness e benessere della start up americana Fitbit sta a lì a dimostrare il crescente interesse delle persone nel monitorare il proprio stato di salute, incluso quello del sonno. Braccialetti, anelli e fasce, tutti collegati in wi-fi e tramite app, che possono fornire informazioni utili ai medici di fiducia o ai centri specializzati del sonno. L’elettronica promette di farci ricadere nelle braccia di Morfeo. E vista la posta in palio, un giro d’affari che vale svariati miliardi di dollari, c’è da credere che non verranno lesinate risorse. I big della salute e dell’elettronica sono pronti alla sfida. La divisione Health di Wolters Kluwer ha annunciato l’aggiunta della specialità Medicina del sonno alla propria risorsa di supporto alle decisioni cliniche. Anche Philips, ormai sempre più votata al digital health, sta mettendo in campo diverse soluzioni dedicate alle terapie del sonno, come la soluzione Dream Family, corredata da una maschera notturna e da un’app (DreamMapper) progettate per dare sollievo ai pazienti che soffrono di apnee notturne. E c’è anche chi come Beddit ha sfornato un materasso dotato di fasce a sensori in grado di farci dormire meglio monitorando tutte le fasi del sonno. Lungo questa scia, la start up italiana Eight ha inventato il primo materasso (si chiama Luna) che traccia il sonno e regola la temperatura.

IL MORFEO ITALIANO
L’Italia è il Paese che investe meno in Europa per la digitalizzazione della sanità, circa 1,4 miliardi di euro l’anno secondo il Politecnico di Milano, appena l’1,2% della spesa sanitaria. Eppure uno dei top influencer globali del digital health è italianissimo. Si chiama Roberto Ascione, nato a Napoli, classe 1973, ed è un imprenditore che è stato appena nominato Best Industry Leader alla conferenza californiana di Health 2.0, una sorta di premio Oscar per chi si occupa di tecnologia e salute. Lui è il Ceo e fondatore di Healthware International e partner di Digital Magics Healthtech, il primo acceleratore d’impresa del settore. «Il mondo del sonno», dice Ascione, «è forse quello più competitivo e presidiato nel campo della salute digitale. Ci sono centinaia se non migliaia di app, anche se non tutte performanti sotto il profilo dell’affidabilità, che si occupano della salute notturna. Ma il futuro sta nell’integrazione di queste soluzioni di digital healthcare. Immagino un’app unica che organizza, a seconda delle esigenze del paziente, la sua cartella clinica che raccoglierà i dati e li fornirà ai medici in occasione delle visite di controllo, sia fisiche che da remoto». Sul fronte degli investimenti, la prima start up ospitata dal Digital Magics Health Tech si chiama Grampit ed è un sistema innovativo di assistenza per gli anziani, che fa leva su indicazioni vocali avvertendo i familiari in caso di necessità e monitorando l’assistito a casa. «Ora intendiamo focalizzarci sulle terapie digitali. In Italia se ne parla poco ma è uno delle grandi frontiere della medicina del futuro: pensiamo alle soluzione di Nykomed società italosvizzera che con un algoritmo controlla la pressione del paziente e produce ricette di stili di vita adeguati per farla abbassare. Questa è una frontiera che, abbinata al farmaco, avrà grandi possibilità di sviluppo, in tutti i campi della salute».

IL FUTURO DELLA RICERCA
Nei laboratori di ricerca più prestigiosi del pianeta il sonno è l’osservato speciale. Al di là delle soluzioni in bit e delle terapie della telemedicina, ci sono scienziati che stanno lavorando alla pietra filosofale che potrebbe spezzare l’incantesimo dell’insonnia. Si tratta ancora di esperimenti. Ma chissà se un domani potremmo ricorrere al Tms, acronimo di Transcranial Magnetic Stimulation. Si tratta di una valigetta da letto collegata alla testa che, grazie alla stimolazione con onde magnetiche, è in grado di portarci nel sonno profondo saltando tutte le fasi intermedie. C’è poi il prototipo di casco del sonno progettato dallo Stanford Center for Sleep Sciences and Medicine, che isola occhi e orecchie da qualsiasi tipo di segnale ambientale e riscalda la zona oculare, che regola il meccanismo del riposo. Allo studio c’è anche il Fisher Wallace Stimulator, un dispositivo lontano parente dell’elettroshock che con una stimolazione elettrica, molto più blanda del suo antenato, consente di “disattivare” gradualmente le attività del cervello.

Via Business People
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Di Altri Autori (del 30/12/2016 @ 07:50:23, in Mobile, linkato 2255 volte)

I minuti trascorsi sul web da desktop diminuiscono del 21% rispetto al 2015, mentre quelli passati sulle applicazioni per smartphone e tablet crescono fino a rappresentare l’87% del totale del tempo online su mobile. Complessivamente, gli italiani passano più di 46 ore al mese su applicazioni mobile, contro poco più di 7 ore su mobile web.  A rivelarlo è l’ultimo studio targato comScore.

Pochi saranno sorpresi dal sapere che la crescita del mercato digitale italiano è guidata dal consumo internet mobile. Ma ciò che è importante notare è l’esplosione delle applicazioni mobile a discapito del desktop, i cui minuti a ottobre 2016 sono in calo del 21% rispetto all’anno precedente.

ComScore, app all’87% del tempo speso su mobile

Dietro la crescita del mobile, si nasconde l’ascesa delle app: secondo i dati provenienti dalle piattaforme MMX Multi-Platform e Mobile Metrix di comScore,  a ottobre i minuti passati sulle applicazioni rappresentano più dell’87% del tempo totale su mobile, e oltre metà del totale dei minuti digitali in Italia

Il totale dei minuti che gli italiani hanno trascorso su app mobile a ottobre ammonta a 49 milioni di giorni, equivalenti a 134.000 anni – il tempo che occorrerebbe per tornare nel Paleolitico, poco dopo la prima apparizione dell’uomo di Neanderthal.

La crescita delle app risulta ancora più evidente quando si guarda il tempo medio online per utente nel mese: gli italiani passano più di 46 ore su applicazioni mobile, contro poco più di 7 ore su mobile web.

Over The Top

La domanda che sorge quindi spontanea è quando le app raggiungeranno il loro picco, se già non l’hanno raggiunto. Mentre appare chiaro che il tempo speso sulle applicazioni continua a crescere, il mercato al tempo stesso sta diventando più competitivo. Il club delle app di successo appare molto esclusivo, e dominato da grandi e affermate aziende quali Google e Facebook – persino le applicazioni gratuite faticano. Infatti, a ottobre 2016 su smartphone Android, oltre il 70% dei minuti trascorsi sulle top-100 app per tempo speso, appartiene alle prime cinque della lista. Un dato che dimostra come i concorrenti debbano fronteggiare una forte concentrazione.

Sempre meno download

Un altro dato a dimostrazione delle grandi barriere d’entrata al mercato delle app mobile è quello dei download. A ottobre, più del 56% degli italiani non ha scaricato nemmeno una app, e di quelli che lo hanno fatto, più del 57% ne ha scaricate solamente una o due. Solo pochi utenti hanno scaricato più di sei applicazioni durante il mese, e rappresentano meno del 9% dell’audience totale.

La crescita delle audience e l’incremento della quota occupata nel tempo totale online suggeriscono che c’è ancora spazio per il progresso delle app. Allo stesso tempo, è molto importante, riconoscere e capire le sfide che gli editori proprietari di applicazioni si trovano a dover affrontare per acquisire una fetta maggiore di tale opportunità. La storia ci insegna che, nel mercato delle app, la gloria spetta solo ai pochi fortunati vincitori.

via DailyOnline
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Di Altri Autori (del 28/12/2016 @ 07:14:10, in Social Networks, linkato 2144 volte)

La maggior parte dei contenuti che tutti noi visualizziamo nel News Feed di  è rappresentata da contenuti che rimandano a siti esterni alla piattaforma. Le tipologie di contenuto variano, naturalmente, da persona a persona, mentre le ragioni per cui si condivide qualcosa non sono poi così diverse.

È quanto emerso dal sondaggio condotto da Fractl su 2.000 persone, alle quali è stato chiesto cosa condividono su Facebook e perché. In relazione al sondaggio, per condivisione si intende il clic fatto sul pulsante di share posto sui siti web esterni.

Il motivo più popolare per il quale gli utenti condividono contenuti su Facebook è intrattenere gli amici (48%). Il 17% condivide questioni che gli interessano particolarmente, mentre il 13% vuole stimolare risposte emotive da parte degli amici. L’11%, infine, vuole fornire informazioni utili.

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Dati interessanti sono quelli relativi alla differenza uomo-donna. Le donne sono più propense a condividere contenuti su Facebook per suscitare una risposta emotiva dei loro amici (53%). Ciò si riscontra maggiormente nelle donne over 50, il 60% delle quali sostiene di “condividere le cose per far provare qualcosa agli amici (felicità, tristezza, rabbia, ecc.)” Gli uomini, invece, sono più propensi a condividere qualcosa per persuadere i loro amici sui loro punti di vista.

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Riguardo al tipo di contenuti pubblicati, il 52% degli intervistati rifugge dal condividere contenuti controversi che potrebbero dare adito a discussioni. Altro profilo importante è quello dell’immagine: il 31% degli intervistati ha dichiarato di pubblicare contenuti su Facebook per rappresentare una certa immagine di sé. In particolare, sono gli utenti con più amici (più di 500) a fare più attenzione alla propria immagine quando decidono di pubblicare dei contenuti.

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via Tech Economy
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Di Altri Autori (del 22/12/2016 @ 07:52:47, in Brand, linkato 2428 volte)

Secondo lo studio The Love Index 2016 pubblicato da Accenture Interactive e Fjord, la unit di Accenture specializzata in service design e innovation, Apple, Microsoft, Netflix sono i brand più amati in Usa. Seguono, a ruota, Samsung, Sony, Google, Amazon, Fitbit, Facebook e Walmart. Si tratta di brand che hanno saputo costruire una customer experience innovativa, definendo un nuovo standard di interazione con i consumatori, alzando le loro aspettative nei confronti di prodotti e servizi in maniera trasversale, impattando di fatto tutti i settori industriali. Siamo di fronte a un fenomeno, trainato dal digitale, che Accenture Interactive e Fjord chiamano “aspettative liquide”.

Un approccio “fresh”

Le caratteristiche che rendono un brand più o meno amato sono state riportate in un modello a cinque dimensioni, descritte dall’acronimo “FRESH”, a ciascuna viene attribuito un punteggio:

  •  Fun – Divertente, cattura la mia attenzione in maniera simpatica
  •  Relevant –  Interessante, offre informazioni chiare e personalizzate dove e quando voglio
  •  Engaging – Coinvolgente, si identifica con i miei bisogni e i miei desideri
  •  Social – Social, mi aiuta a connettermi con gli altri
  •  Helpful – Utile, è efficiente, semplice e si adatta nel tempo.

L’indice ha identificato per ciascuna di queste dimensioni il brand che ne è il leader: Negli USA, Netflix è il leader esperienziale per eccellenza nella categoria Fun; Fitbit per la dimensione “Relevant”; Amazon per “Helpful”; Apple per “Engaging”; Facebook per “Social”.

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Effetto Netflix

Netflix è il marchio più amato nei tre mercati (Usa, Uk e Brasile), secondo lo studio. Gli americani, i britannici e i brasiliani hanno assegnato alla società di streaming il primo posto per la dimensione “Fun” e uno dei primi tre posti in tutte le altre dimensioni. “Piaccia o meno, gli altri marchi – indipendentemente dal settore – saranno giudicati con riferimento all’esperienza che Netflix offre ai suoi clienti”, ha commentato Alessandro Diana, managing director Accenture Interactive. “Questa è quello che intendiamo per “aspettative liquide”: i consumatori, abituati ad uno standard da un brand, ricercano la stessa esperienza positiva anche in altri ambiti.”

Dare forma all’opportunità

Love Index indica che ogni settore ha una sua rappresentazione caratteristica che riflette le dimensioni più importanti per i consumatori in quel mercato. Per esempio, per i brand in ambito retail, i consumatori ritengono fondamentali le dimensioni “Relevant”, “Engaging” e “Helpful”, anche se bisogna considerare che queste riflessioni sono il frutto di decenni di esperienza di shopping in cui i brand stessi hanno influenzato il mercato. Un retailer tradizionale con punti di vendita fisici o una start-up che volesse differenziarsi potrebbe, ad esempio, ridefinire l’esperienza di shopping introducendo nuove modalità di connessione tra le persone (social) in modo forte e coinvolgente (fun), online o nel punto vendita.


Via DailyOnline
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