Di product placement ci siamo giù occupati in altre occasioni (Ciak, si acquista!), con particolare riferimento a quanto avviene oltreoceano. Ma anche in Italia alcune aziende sfruttano il cinema come ulteriore vetrina promozionale, sostenendo parte dei costi di produzione di un film in cambio di un’adeguata visibilità dei loro prodotti all’interno della sceneggiatura.
I film di Natale in particolare, sia per il periodo tipicamente di acquisti che per la maggiore affluenza al box office, rappresentano una vetrina ideale, favorendo quindi il ricorso a questa particolare forma di comunicazione.
Inaspettatamente, in quanto non si tratta del classico aspirante blockbuster natalizio, la produzione che in questo periodo è più di tutte ricorsa in maniera progettuale al product placement è “Commediasexi” del regista Alessandro D’Alatri, che vede tra l’altro l’esordio cinematografico del conduttore Paolo Bonolis. La stima dell’investimento complessivo delle aziende per il placement dei loro prodotti all’interno di Commediasexi è di circa 1,5 milioni di euro, una cifra che ha coperto approssimativamente il 20% dei costi di produzione. Tra le marche coinvolte nell’operazione il settimanale Chi, le penne Montblanc, le assicurazioni Direct Line e la pasta Garofano.
Mentre nelle grandi produzioni hollywoodiane il product placement è uno strumento conosciuto e utilizzato, al punto che esistono aziende specializzate nella collocazione strategica dei prodotti, in Italia questo tipo di collaborazione avviene prevalentemente in maniera in poco organizzata, con una cooperazione tra aziende e case di produzione non così solida e istituzionale.
Secondo la testimonianza di Anna D’Auria, direttore di MovieInside, la società di Carat Italia che ha realizzato il piano di product placement di Commediasexi, la situazione in Italia è comunque in fase di evoluzione e anche da noi nei prossimi anni il ricorso delle aziende a questo strumento potrebbe diventare più frequente e programmato.
La rivista "People" è un magazine piuttosto popolare negli USA - tratta di celebrità e casi umani, con oltre 3,7 milioni di lettori e un fatturato di 1 miliardo e mezzo di dollari (fonte: wikipedia).
Da qualche anno si sono inventati la tradizione di farsi sponsorizzare il numero di Natale da una grande azienda (mica scemi... e mica per niente l'organo ufficiale della pubblicità americana, la rivista Advertising Age, ha nominato People "Magazine of the Year"nel 2005".
Quest'anno (e per il quarto anno) lo sponsor è la multinazionale del cibo Kraft che, per l'occasione ha ritirato fuori dall'armadio della storia pubblicitaria gli annunci "Scratch and Sniff", quelli che se li grattate emanano odori appropriati.
Su 31 annunci di Kraft contenuti nella rivista, 5 sono odorosi - come nel caso del formaggio Philadelphia protagonista di una torta di formaggio alle fragole, dei biscotti Chips Ahoy, della gelatina o del caffé alla cannella.
Non solo gli annunci sono odorosi, ma le fragranze sono "embedded" anche in un articolo che include foto di alimenti. L'idea di fondo è di accrescere l'impatto del messaggio per aumentarne il ricordo e aumentare l'effetto del budget pubblicitario.
Relativamente all'uso creativo degli odori in comunicazione, si veda anche - o meglio si veda e odori - l'incredibile film Polyester di John Waters con l'indimenticabile partecipazione di Divine...
Io credo che molte aziende continuino a sottovalutare ( a non capire) quanto sia pesante Internet come fattore influenzante il funzionamento del ciclo d'acquisto (per chi volesse approfondire, linko questo mio articolo sul tema).
Sempre più consumatori si documentano in Rete prima di prendere una decisione d'acquisto (o prima di iniziare il rituale giro di negozi). Anche se solo una minoranza ricorre all'ecommerce, molti potenziali acquirenti arrivano sul Punto Vendita con decisioni praticamente già prese - se non addirittura con una stampata della pagina web relativa all'articolo che hanno deciso (in Rete) di acquistare.
Utenti più formati e che pongono il negozio di fronte alla necessità di interrogarsi su come evolvere per il futuro.
Utenti che arrivano in negozio con le idee chiare, e che spesso fanno a meno della funzione consulenziale del personale di vendita; clienti quindi meno influenzabili e orientabili verso quei prodotti che il negozio potrebbe avere maggiore interesse a vendere.
D'altra parte, se il negozio si trasformasse in un luogo in cui si va a "ritirare" fisicamente un prodotto la cui decisione d'acquisto è stata presa altrove, la stessa natura del negozio cambierebbe; riducendo la necessità di avere certi livelli qualitativi e quantitativi di staff in grado di servire il pubblico, potendosi limitare alla presenza di operatori il cui scopo principale è di “consegnare” al consumatore il prodotto che chiede.
Questo in realtà è già il modello della Grande Distribuzione, dove la funzione consulenziale è ridotta all'osso e dove quindi maggiore necessità / comodità riveste per il cliente (ovviamente per certi prodotti e categorie merceologiche) di documentarsi previamente all'acquisto.
Per il PV tradizionale l'alternativa è tra accettare l’ulteriore riduzione del suo ruolo sui clienti più smart e più istruiti (e probabilmente a maggiore potenziale di spesa) oppure offrire un servizio consulenziale ancora più credibile e affidabile: più che informare, consigliare i prodotti che realmente sono i più indicati per il singolo cliente. E costruire relazione, rapporti umani con i clienti.
Per la GDO invece, scenari evolutivi possono vedere la saldatura tra la tecnologia RFID e Internet. Anche se oggi molto complessa e costosa nella sua implementazione (e chiudendo entrambi gli occhi sui problemi di privacy), è prevedibile che nel giro di pochi anni la tecnologia RFID sarà presente in molti prodotti, attraverso piccoli chip che, interrogati da un "lettore", possono fornire l'identità del prodotto (e in futuro anche altre informazioni).
La progressiva distribuzione dell'internet mobile e l'integrazione di altre tecnologie nei dispositivi telefonici/ PDA consumer (bluetooth, WiFi...) potrà rendere domani possibile "interrogare" col cellulare il prodotto che ci interessa, accedendo automaticamente (dal negozio, nel momento in cui decidiamo o meno l’acquisto) a pagine web di descrizione, informazione e promozione relative. E magari scoprire, sul PV, che un altro negozio poco più in là ha lo stesso prodotto ad un prezzo minore.
Mentre è chiaro che per molti prodotti a basso costo e coinvolgimento emotivo (nonché per i per prodotti d'impulso), questo tipo di processi avrà un impatto limitato, per una serie di altri prodotti l'arrivo delle Nuove Tecnologie obbligherà il trade a pensare come affrontare il prossimo decennio.
Non solo: questo scenario aggiunge un ulteriore elemento di complessità anche per le aziende di prodotti consumer, che vedranno nuovi strumenti, di tipo prettamente tecnologico, affiancarsi agli strumenti classicamente pubblicitari e promozionali nell’influenzare le vendite dei loro prodotti, richiedendo una rilevante evoluzione culturale e di “nuovo” marketing .
Gli eventi, siano essi di comunicazione, promozionali o commerciali, hanno assunto al giorno d’oggi la valenza di vero e proprio nuovo “media” , posizionandosi con un ruolo di primaria importanza nei piani di comunicazione e nelle strategie di marketing delle grandi, medie e piccole imprese, per il loro carattere poliedrico e modulare, per la relazione one-to-one con i consumatori, e per il potenziale di comunicabilità multimediale.
Gli eventi, in particolare quelli promozionali, e le iniziative di field marketing indoor e outdoor, in store e on the road, ribaltano i modelli del vecchio marketing , che r.i.p: riposa in pace, e la visione ed il rapporto con il mercato: non è più il consumatore ad andare verso il prodotto/azienda , ma è l’azienda ovvero il prodotto che va dal consumatore nel suo ambiente, dove vive, dove acquista, dove consuma, lo prende per mano, lo conosce, instaura dapprima un contatto ed una connessione eppoi un legame. Cioè una relazione personale e personalizzata, one-to-one, ma ancoe meglio one-to-each. E finalmente il prodotto o servizio per il consumatore ha un volto “umano”.
E’ il diretto interessato aziendale (sia esso di vendita, di comunicazione, di marketing) che va a conoscere personalmente il singolo consumatore. Ascolta dal vivo le sue aspettative, vede de visum le sue necessità, avverte i suoi stati reali d’animo rispetto al prodotto o al servizio proposto, capisce il vissuto(emotivo e razionale) del prodotto da parte del singolo e da questi sondaggi o ricerche sul campo nasce una esperienza unica, inimitabile dalla quale si traggono dati molto più veritieri, sinceri e corretti rispetto alle classiche indagini quali-quantitative d’opinione nelle quali è un interlocutore diverso, seppur esperto e professionista a dialogare con l’intervistato.
Un altro vantaggio deriva dalla possibilità di verificare "sul campo" le reazioni ed i commenti del proprio target sia al prodotto, sia alla marca , sia all’evento stesso, migliorando di conseguenza il grado conoscenza reciproca ma anche utilizzando tale feedback per tarare le successive iniziative di marketing relazionale e modificare prodotti e servizi nella sostanza e nella forma (packaging) rendendoli più vicini alle aspettative e necessità del target di riferimento.
Un tema decisamente “caldo”, che fa molto discutere addetti ai lavori e non, sono i blog aziendali. Il grande successo riscosso nella rete dai blog personali stimola il dibattito su quanto questo strumento di comunicazione possa essere esteso anche alle aziende e possa favorirle grazie al confronto diretto con gli utenti ed alla reale interattività. Ma la difficoltà di conciliare comunicazione istituzionale e commenti liberi degli utenti è certo l'aspetto che viene attualmente valutato con più attenzione e che ha finora più di tutti contribuito a tenere molte aziende lontane dalla realizzazione di un blog.
Da una parte quindi c’è il comprensibile interesse delle aziende a non perdere il controllo della propria strategia di comunicazione, tutelando brand e prodotti, dall’altro la tendenza in crescita da parte di molti utenti alla produzione autonoma di contenuti e al social networking, rivendicando un ruolo di “protagonista” all’intero della rete.
Alcune aziende, nel tentativo trovare una “terza via” che sfrutti questa interattività senza rischiare di compromettere la propria immagine, optano per la realizzazione di blog “segreti”, dove si parla dei loro prodotti ma in maniera “furtiva”. Interventi e commenti sono quindi per la maggior parte prodotti dall’azienda stessa o da una sua agenzia e sono tesi a “pilotare” il confronto all’interno dei siti, in modo tale che quanto pubblicato non possa rivelarsi controproducente. Si tratta però di una scelta decisamente rischiosa, che se scoperta può rivelarsi un pericoloso “boomerang”.
Proprio in questi giorni la Sony e la sua agenzia Zipatoni hanno sperimentato l’enorme dissenso che la realizzazione di un finto blog può generare. La multinazionale giapponese ha dovuto chiudere in tutta fretta il blog realizzato per promuovere la sua PSP e gestito da due finti autori, Charlie e il cugino Pete. Alcuni esperti di navigazione on-line sono infatti riusciti, dopo numerose ricerche, a risalire ai dati di registrazione del sito, riconducendolo all’agenzia Zipatoni. La scoperta è stata pubblicata tra i commenti dello stesso blog.
Nel giro di poche settimane ilsono piovute pesanti critiche da parte di numerosi appassionati di videogiochi e siti di settore, che una volta scoperto l’inganno hanno preso una posizione netta contro questo tentativo di “manipolazione” inserendo commenti critici all’interno delle pagine stesse del sito e di altri con argomenti correlati.
Tra gli aspetti più criticati la decisione di utilizzare uno slang “hip-hop”, culminato nella realizzazione di un finto video amatoriale dove due ragazzi parlavano a tempo di rap della loro intenzione di farsi regalare dai genitori una PSP per Natale.
Il finto blog, www.alliwantforxmasisapsp.com, dopo la pioggia di critiche è stato chiuso, mentre il video dei due rapper appassionati di videogiochi è sopravvisuto su YouTube.
I visitatori si sono anche lamentati della scarsa trasparenza dimostrata oltre che dell’idea di utilizzare testimonial un po’ cresciuti che con un improbabile slang a metà strada tra l’hip hop e il tecnologico chiedevano ai genitori una console in regalo e che a detta di molti non contribuiva a dare un’immagine positiva degli appassionati della PSP. Anche la presa di distanza della Sony dall’iniziativa non è stata apprezzata, così come la decisione di filtrate tra i commenti termini come marketing” e “advertisement.”
Le reazioni degli utenti non sono mancate anche sul sito personale di Zipatoni e nei siti di settore, dove si è parlato a lungo di questo poco riuscito tentativo di viral marketing, mentre i diretti interessati non hanno per ora rilasciato commenti ufficiali.
Sony comunque non è nuova ad iniziative di marketing non convenzionale. In passato, proprio per il lancio della PSP, aveva tappezzato di graffiti i muri di alcune importanti città americane, anche in questo caso scatenando numerose polemiche.
Dopo il roadshow estivo e un ambient media che, negli ultimi due mesi, ha ‘vestito' i muri di Milano, Cayenne declina il claim “Fatevi Spazio” di Skoda Roomster in un'attività di guerrilla in atto al Motorshow di Bologna. Dove i conducenti delle auto parcheggiate nelle zone limitrofe alla fiera hanno trovato sul vetro un Car Volume Enlarger, un adesivo elettrostatico dotato di una valvola che invita ironicamente il proprietario ad aumentare il volume disponibile nella propria vettura, soffiandovi all'interno. In caso di insuccesso, l'invito diventava quello di ‘farsi spazio' al padiglione 16, oppure sul sito www.fatevispazio.it.
Ma il Motorshow è stato solo la prima fase di un'attività di guerrilla che coinvolgerà nei prossimi mesi, e con diverse modalità, diverse città italiane. Parallelamente, il sito www.fatevispazio.it offrirà contenuti interattivi volti a creare attenzione intorno a Skoda Roomster. La creatività è di Matteo Airoldi (art) e Federico Bonriposi (copy), sotto la direzione di Giandomenico Puglisi.
Secondo il presidente di Eurisko si profila un neomarketing che dovrà dominare i feedback degli utenti sempre più avvezzi alla Rete.
Il consumatore è mobile. E' veloce, ha più possibilità di confronto tra offerte e marche e ha a disposizione luoghi di acquisto sempre più inediti. Giuseppe Minoia, presidente di Eurisko sintetizza così la situazione del “consumatore-utente” nel seminario sul consumatore e la rete svoltosi nei giorni scorsi a Milano. Secondo Minoia i consumatori da semplici lettori sono diventati anche coautori (citizen journalism, blog e altro) con approfondimenti sempre più personalizzati e virali. In più il consumatore mobile è diventato prosumerista (produttore-consumatore) ed è “più capace di saltare passaggi obbligati effettuando acquisti disintermediati risparmiando tempo e denaro”.
Questa quota in più di sapere a disposizione si traduce in maggiore precisione e profondità delle richieste, più tempo a disposizione per nuove esperienze e più energie da dedicare alle esperienze che diventano di valore. Il prosumerismo è sotto gli occhi di tutti attraverso le varie forme di protagonismo in rete che vanno dai blog ai siti personali al social networking. Un protagonismo che colpisce i giornalisti, più di prima sotto l'occhio dei lettori, ma coinvolge anche le aziende. Come è il caso di Fiat che con il progetto “500 wants you” ha cercato di coinvolgere i clienti sul progetto della nuova vettura.
Anche la pubblicità rimane coinvolta in questo passaggio. Gli utenti rischiano di impossessarsi della comunicazione dell'azienda, mentre la viralità da guerrilla marketing diventa modus operandi. “La velocità comunicazionale del mondo Internet e la sua customizzazione - osserva Minoia - non possono che mettere in crisi i “vecchi” format e le pianificazioni mediatiche “classiche”: si profila così un neomarketing della neocomunicazione, con nuovi contenuti/linguaggi/format/target di riferimento”. Compito del nuovo marketing sarà di dominare i feedback degli utenti prosumer, individuare programmi di analisi delle nuove forme di knowledge (blog, community, etc.), procedere per trasversalità e orizzontalità culturali, ricorrendo alle intersezioni di genere e di prodotto, di esperienza e di sapere esperto dell'utente/consumatore.
Nell’approccio del social shopping si possono scegliere all’interno della comunità dei recensori quelli più affini a noi per gusti, età, caratteristiche e ottenere il parere, su un prodotto o un servizio, da parte di qualcuno che ci assomiglia, che condivide certe cose e la cui suggerimento può quindi essere molto più significativo per noi come individui ( e non come target segmentato sociodemograficamente).
La teoria è semplice, la messa in pratica è un po’ più complicata – e coinvolge almeno 3 grandi classi di attori: le marche, i comunicatori e gli inventori / gestori dei siti /strumenti di Social Shopping.
Nella pratica dei siti che si occupano di social shopping, esistono vari approcci e vari strumenti. Spesso si parte da un motore di ricerca del prodotto, che dal risultato permette poi di accedere a delle pagine di riassunto e confronto, di comparazione dei prezzi e delle caratteristiche, alle recensioni degli altri utenti, a pagine editoriali redatte da una redazione interna, ad una evidenziazione di particolari offerte speciali in corso sui vari siti di e-commerce.
Si può invece partire dalla pagina personale di un membro della comunità che pubblica una lista con i propri preferiti e la raccolta delle proprie recensioni. Si può arrivare a forum e spazi di dibattito, dove si può richiedere il consiglio e il supporto degli altri membri della comunità, chiedendo un parere a chi ha già provato un prodotto o è un esperto del campo.
Su altri siti si può ottenere l’accesso ad un database comparativo di tutti (o quasi) i prodotti esistenti in una certa categoria, costruito con il contributo dei membri della comunità che recensiscono i prodotti quando escono, come nel caso del social shopping enologico di Cellartracker, un software/ database arricchito continuamente da una community di entusiasti.
Un approccio molto focalizzato su un target di alto spendenti è quello di Stylehive, un sito che si descrive come un servizio mirato verso gli ''shopping obsessed'', che possono segnare sotto forma di bookmark i propri prodotti favoriti e condividerli con tutti coloro che condividono questa passione ( in pratica segnalando o raccomandando prodotti considerati "caldi"). Un luogo di aggregazione e interazione per gli utenti Fashion conscious e per i trend setter (o gli early followers) dove i consumatori possano condividere il piacere di scoprire e di condividere la scoperta di nuovi prodotti. E dove l'obiettivo è di trasformare il sito in uno dei motori della creazione di mode e trend attraverso l'interazione dei consumatori più attenti, sensibili ed influenti, rendendo facile poi al resto del mercato venire informati sui nuovi prodotti emergenti, sulle nuove, irrinunciabili oggetti del desiderio del mercato.
Moltissimi altri sono gli approcci differenti tentati dagli operatori in cerca di successo nel mondo del social shopping; dai siti che combinano interazione sociale e sconti come Yub.com alle piazze virtuali dove il pubblico è invitato a definire quali siano i migliori prodotti del mercato attraverso una votazione collettiva del tipo di Crowdstorm - arrivando a pubblicare liste e classifiche molto credibili e in grado di influenzare significativamente le decisioni d'acquisto.
In maniera abbastanza scontata e proiettata verso un futuro ormai molto vicino, molti operatori sono poi già proiettati verso il mondo dell’Internet mobile, configurando un facile accesso via telefono, palmare o tablet ai servizi di comparazione, per poter ad esempio effettuare una ricerca del miglior prezzo mentre l’utente magari è sul punto vendita e desidera esseere sicuro non ci sia un negozio nelle vicinanze ( o un e-commerce) che offra lo stesso prodottto ad un prezzo migliore.
Con tutte le conseguenze sulla rete distributiva e le politiche di marketing e promozione di cui abbiamo già parlato più volte in passato.
Si parla molto in questi giorni di contenuti prodotti da privati cittadini (film con il telefonino, blog, foto messe in rete), non senza una certa preoccupazione per alcune derive violente o devianti.
Di sicuro, come ho avuto modo di scrivere diverse volte in passato, nelle nuove tecnologie il successo rispetto al consumo viene determinato sempre più spesso dai contenuti offerti.
Per il consumatore finale infatti è inutile avere bande larghissime, schermi ad altissima definizione e decine di formati multimediali se poi non può disporre di nessun contenuto adeguato tale da giustificare il costo del passaggio al nuovo standard.
Il reale passaggio epocale in questo senso è dato dal fatto che i mass media, tradizionalmente unidirezionali nella produzione del messaggio, sono sempre più aperti e permeabili ai contenuti prodotti dal basso dagli utenti che li rilanciano nel grande circuito mediatico.
Infatti l’interattività e la possibilità concreta per gli utenti di creare e condividere materiali è un’altra delle caratteristiche che si sono rivelate vincenti per la Rete prima e per i nuovi media poi, grazie allo sviluppo di strumenti che hanno reso sempre più accessibile la pubblicazione, la diffusione e la gestione di contenuti anche da parte di utenti non tecnici.
Videotelefoni, macchine digitali, strumenti di creazione di audiovisivi sempre più piccoli, potenti, facili da usare e di costo accessibile hanno dunque reso una realtà un concetto che qualche anno fa sembrava futuribile:i “prosumer”.
Il consumatore (consumer) di media diventa attore e produttore (producer) di quello che poi fruirà in rete o su altri supporti digitali insieme alle creazioni di altri come lui, non subendo più il contenuto dei media ma contribuendo a crearlo.
Questa grande opportunità naturalmente ha in sé dei rischi di devianza, testimoniati, ad esempio, dai molti casi di bullismo messi in rete da minorenni desiderosi di pavoneggiarsi di atti tutt’altro che edificanti davanti ad una platea più o meno grande, in rete o sui cellulari.
Sicuramente è un fenomeno preoccupante che pone anche il problema del controllo degli upload da parte di siti, come ad esempio YouTube, che consentono la diffusione planetaria di tali contenuti.
Bisogna però che più di un ente di socializzazione ed educazione primaria e secondaria si faccia un serio esame di coscienza prima di crocifiggere tali tecnologie che sono solo degli strumenti il cui valore morale dipende dall’uso che se ne fa.
Come tutti i fenomeni sociali dunque bisognerebbe prima di tutto rivedere i modelli che la tv e gli altri media broadcasting offrono già da tempo con i reality show e con una serie di starlette maschili e femminili pagate non per le loro capacità ma per il loro vuoto e i loro difetti.
Inoltre la violenza e la rissa via massmedia non sembrano essere delle rarità nei palinsesti che ancora sono decisi unilateralmente dalla produzione dei network editoriali.
Chiusa la parentesi etica bisogna anche dire che c’è già chi ha intuito il business e si appresta a sfruttarlo, basti pensare agli investimenti milionari in social network e community (tra cui la stessa YouTube) messi in campo dai giganti della rete come Google e Yahoo.
Quello che però ancora probabilmente manca è un reale format efficace di inserimenti di break pubblicitari e di inserzioni all’interno di questi contenuti autoprodotti dagli utenti, spesso e volentieri fruiti in real time dal loro pubblico via rss feed e podcast.
Per questa la sfida del mercato dei prosumer è davvero solo all’inizio.