Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Industria 4.0, realtà virtuale, machine learning, sono tutte tematiche che hanno trasformato e trasformeranno il modo in cui le persone acquistano prodotti e servizi. Volendo approfondire, quali tecnologie, processi o funzioni hanno fatto sì che l’e-commerce crescesse ai ritmi che conosciamo? Come hanno fatto aziende come ASOS o Missguided a conquistare un ruolo dominante in un così breve lasso di tempo? Da quando sono stati sviluppati i primi portali dove era possibile fare acquisti, si sono evidenziate innumerevoli trasformazioni. Alcune “prossime grandi rivoluzioni” sono scomparse senza lasciare traccia mentre altre sono emerse come dal nulla e continuano a prosperare. SAP Hybris evidenzia i 10 eventi che hanno cambiato le regole del gioco nell’e-commerce.
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RECENSIONI E FEEDBACK DEI CONSUMATORI
In molti mercati l’introduzione della possibilità di postare recensioni è stata una delle grandi spinte allo sviluppo dell’e-commerce. Oggi le persone non si fanno più problemi a prenotare una vacanza, un hotel o una casa in cui non sono mai stati perché prima è possibile leggere le recensioni di utenti reali su Tripadvisor. Le recensioni portano le persone a fidarsi offrendo un punto di vista indipendente su ciò che si acquista. Vengono spese discrete somme di denaro per un computer o una tv che non sono mai stati toccati con mano perché sono state lette le recensioni online. Il feedback è stato il motore primario dell’affermazione di eBay quando fu lanciato. Chi mai comprerebbe qualcosa online da uno sconosciuto pagando il prodotto prima di averlo ricevuto? Senza i feedback l’intero modello di business di eBay non si reggerebbe.
Molte piattaforme di e-commerce offrono la possibilità di lasciare giudizi e recensioni ma ci sono anche servizi terzi come Bazaarvoice e Trustpilot che offrono funzionalità ancora più avanzate. Per quanto le recensioni non siano utilizzabili in tutti i mercati, molto spesso costituiscono la ragione più importante per cui alcuni prodotti o servizi vengono acquistati online. Se in alcuni mercati non sono particolarmente importanti, in altri addirittura sono la sola ragione per cui il modello funziona.
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SITI RESPONSIVE
Il responsive design ha cambiato radicalmente il modo di costruire le interfacce utente dei siti. Prima era normale creare versioni distinte, desktop e mobile di uno stesso sito. La funzione di riconoscimento del device era usata per reindirizzare gli utenti di dispositivi mobili sul sito mobile, mentre agli utenti di tablet era normalmente mostrato il sito desktop, soluzione non ideale ma sempre meglio del sito mobile. Ciò significava dover sviluppare e gestire due strutture diverse, senza avere la possibilità di confezionare un’esperienza su misura per l’utente di tablet. Il responsive design ha cambiato tutto.
Questa tecnica consente di creare un’unica interfaccia utente che può essere visualizzata su tutti i dispositivi. L’interfaccia utente si adatta alle dimensioni del dispositivo, offrendo all’utente un’esperienza su misura per lui. Anziché dovere supportare due modalità di visualizzazione diverse, il responsive design ci permette di avere tanti break point quanto ne desideriamo. Come minimo avremo la visualizzazione per desktop, tablet e mobile ma spesso ce ne potranno essere di più, ad esempio l’orientamento verticale o orizzontale. Se da un lato il responsive design ci lascia la libertà e la flessibilità di offrire esperienze tagliate su misura delle dimensioni dello schermo, dall’altro il front end potrebbe essere più complesso o costoso da sviluppare. I grafici oggi devono creare almeno tre diverse versioni dell’interfaccia e anche lo sviluppatore del front end deve lavorare di più dato che non devono limitarsi a produrre interfacce di dimensioni fisse ma una sola interfaccia capace di adattarsi a schermi di ogni dimensione. Tuttavia la flessibilità e il fatto di non dovere manutenere diverse versioni hanno fatto sì che il responsive design cambiasse completamente lo sviluppo delle interfacce utente.
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MOBILE
Per molte catene della grande distribuzione online negli ultimi due anni il traffico mobile ha superato decisamente il traffico desktop. L’esplosione del traffico da mobile ha cambiato totalmente il volto dell’e-commerce. Ora nel disegnare un’interfaccia utente si usa un approccio “mobile first” dato che questa è spesso la parte più complicata. Il front end di un sito oggi deve essere ottimizzato per la navigazione mobile, con tecniche adattive che riducono le dimensioni delle immagini sulle connessioni più lente garantendo quella velocità cui gli utenti sono abituati nella navigazione da casa. L’internet mobile ha completamente cambiato il modo di navigare e acquistare online in quanti possiamo esaminare i prodotti praticamente sempre e dappertutto. Possiamo anche usarlo come strumento di confronto quando stiamo facendo acquisti in un punto vendita fisico. L’uso del mobile se da un lato presenta nuove sfide ai retailer, dall’altro permette di intercettare nuovi pubblici aumentando il traffico complessivo.
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PAYPAL
Nella maggior parte dei siti retail in Gran Bretagna, il 25-40% degli ordini viene pagato con PayPal. Le carte di credito continuano ad essere lo strumento più diffuso ma PayPal è secondo a breve distanza e oggi è abbastanza raro trovare un sito di e-commerce che non consenta di pagare con PayPal. La principale attrattiva di payPal è che i dati della carta di credito sono già archiviati in PayPal, rendendo il checkout semplice e sicuro poiché non è necessario comunicare tali dati al venditore. Sono convinto che l’uso di PayPal continuerà a crescere nei prossimi anni. PayPal inoltre continua ad innovare, con soluzioni come PayPal Credit e PayPal Here che le apre il campo dell’omnicanalità.
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ESPERIENZA UTENTE (UX)
Con la crescita del mondo Internet è maturato anche il processo di progettazione e sviluppo. Alcuni ruoli sono diventati specialistici, come pure le agenzie. Nemmeno troppo tempo fa il compito di creare dal nulla il front end di un sito veniva affidato a un grafico. Lentamente si è iniziato a capire che la grafica e l’esperienza utente sono due cose diverse che richiedono competenze diverse e devono essere sviluppate da persone diverse. Il mondo del retail online è diventato sempre più competitivo, gli utenti sono più scaltri e competenti che mai: avere la certezza che il sito offra agli utenti un’esperienza ottimale è essenziale per far fronte alla concorrenza. Non si tratta solo di avere un bel sito, deve anche essere usabile.
La progettazione di una UX riguarda il layout e l’interfaccia del front end più ancora dell’impatto visivo. Un buon progettista di UX deve fare un grosso lavoro di ricerca sia sulla concorrenza sia sugli utenti reali per capire a fondo lo user journey prima ancora di creare dei prototipi cliccabili che permettono di testare l’interfaccia utente prima di iniziare il lavoro di sviluppo del front end. Solo dopo avere completato l’UX il grafico potrà iniziare a lavorare sul look and feel, per poi passare il tutto agli sviluppatori del front end.
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CONSEGNE E RESI
L’impatto della consegne e dei resi sui tassi di conversione di un sito di e-commerce non può essere sottovalutato. Molti studi sottolineano il fatto che le opzioni di consegna e di reso sono uno dei fattori primari nel determinare le decisioni di acquisto. Non riesco a pensare ad altre aree in cui gli obiettivi siano evoluti così rapidamente.
Pochi anni fa la consegna in 24 ore era un’opzione nuova ed esaltante. Oggi è ciò che i clienti si aspettano. La consegna in giornata oggi è un qualcosa di speciale ma prevedo che entro un anno diventerà lo standard, come pure la possibilità di scegliere giorno e ora. A causa dell’elevata competitività del mercato retail, non appena un grande player implementa una nuova opzione di consegna, gli altri non possono che adeguarsi. Lo stesso vale per i resi. In molti mercati, come ad esempio la moda, molti clienti si aspettano di potere rendere i prodotti senza costi aggiuntivi e molti retailer offrono gratuitamente sia la consegna sia il ritiro dei resi.
In quest’area va dato credito ai corrieri di avere fatto passi da gigante. Aziende come DPD e Collect hanno investito pesantemente in sistemi e infrastrutture per offrire una gamma di opzioni a che permettono ai retailer di proporre ai clienti opzioni di consegna flessibili ed economiche senza impatti significativi sui margini.
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CLICCA E RITIRA
Qualche retailer innovativo ha iniziato a proporre questa soluzione circa 5 anni fa e subito ha cambiato le regole del gioco. Risolve infatti uno dei più grossi problemi che si presentano ai clienti online Non essere a casa quando l’articolo viene consegnato. Per i retailer che già hanno una buona presenza fisica sul territorio è una soluzione ovvia che può accrescere in modo significativo le vendite, permettendo di attirare clienti che altrimenti non avrebbero acquistato. Per tutti gli altri, aziende come DPD e Collect+ offrono soluzioni alternative che permettono di sfruttare la presenza fisica di qualcun altro. Questa è una modalità di consegna che solo pochi anni fa era considerata un’eccezione ma oggi è richiesta da molti clienti.
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RICERCA E NAVIGAZIONE
Con la crescita esponenziale dei prodotti offerti, è diventato fondamentale semplificare e velocizzare la navigazione e la ricerca degli articoli nonché permettere ai retailer di proporre in modo più efficace i loro prodotti. Soluzioni pronte all’uso come Solr, integrato in SAP Hybris, o soluzioni di terze parti come Attraqt, Adobe Search & Promote e SLI Systems non solo garantiscono ottimi risultati di ricerca ai clienti ma consentono ai venditori di controllare i risultati delle ricerche facendo proposte ad hoc. Le ricerche consigliate, quelle di Google e Amazon, hanno modificato il modo di cercare e sono oggi uno strumento prezioso in molti siti di e-commerce.
Un’altra grande innovazione in quest’area è la faceted navigation: 10 anni fa pochissimi siti di e-commerce la usavano in modo sensato, mentre oggi credo sia difficile trovare un sito che ne sia privo. E’ senz’altro una delle più importanti innovazioni nell’area della ricerca e navigazione degli ultimi dieci anni.
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SOCIAL
E’ indubbio che i social media abbiano avuto un impatto incredibile sulla società in toto, come lo hanno avuto sull’e-commerce. I social media offrono ai retailer un canale tramite il quale raggiungere i loro clienti e dialogare con loro, anziché limitarsi a farne gli obiettivi di azioni di marketing. Piattaforme come Twitter e Facebook sono usate come strumento per l’assistenza al cliente, consentendo ai retailer di dialogare col cliente lungo tutto il sale journey.
I social media danno una voce ai clienti e possono incentivare i retailer ad offrire un servizio migliore. I clienti insoddisfatti non si fanno problemi a rendere pubblica la loro opinione sui social, al pari di quelli soddisfatti e i retailer devono trattare entrambi con le dovute attenzioni. Usati correttamente i social media possono essere uno strumento molto potente per i retailer che consente di dialogare con i clienti come mai prima d’ora.
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UTILIZZO DEI BIG DATA
Non è sempre evidente, ma tutti noi siamo costantemente oggetto di comunicazioni a causa del CRM. Sia che si tratti di un retailer che invia semplici email a tutti gli utenti abbonati alla sua newsletter, sia che si tratti di comunicazioni totalmente personalizzate, sicuramente è stato usato un qualche strumento CRM. I tool più sofisticati, come SAP Hybris Marketing, permettono ai retailer di segmentare i propri clienti usando i dati raccolti da molteplici canali e touch point potendo così personalizzare le comunicazioni in modo estremamente raffinato. Un utilizzo intelligente del CRM, ovvero delle banche dati dove vengono raccolte e reindirizzate le informazioni sui percorsi d’acquisti dei clienti, permette ai retailer di targetizzare in modo molto preciso i clienti con messaggi rilevanti aumentando la probabilità di chiudere la vendita.
Via Tech Economy
Tra cinque anni il 18% degli europei comprerà l’auto online, mentre il 79% opterà per un approccio ibrido, usando il web in alcune delle fasi del processo d’acquisto e la visita in concessionaria per altre. Il restante 3% continuerà a fare tutto assieme al rivenditore, senza passare dal web: sono questi i principali risultati di un’indagine condotta da Motork e presentata nel corso di IAB Internet Motors (http://www.internetmotors.it), edizione speciale dell’evento di digital automotive più importante d’Europa, giunto alla quindicesima edizione.
IAB Internet Motors 2017 è stato organizzato da MotorK – azienda italiana che sta guidando in Europa l’innovazione della distribuzione auto – in collaborazione con IAB Italia, associazione leader a livello mondiale nel campo della pubblicità digitale, che ha permesso di fare il punto anche sui trend degli investimenti pubblicitari nel settore automotive.
L’indagine, condotta da MotorK nei cinque Paesi europei in cui opera (Italia, Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna), è stata compiuta incrociando i ritmi di crescita dei processi di digitalizzazione delle concessionarie con quelli relativi al comportamento dell’utente in tutte le fasi di ricerca e acquisto dell’auto: dalla ricerca di informazioni alla richiesta di preventivo, dalla trattativa con il concessionario all’acquisto vero e proprio.
Il processo di acquisto dell’auto è di fronte ad uno dei più cruciali momenti di cambiamento, che sta investendo il lavoro di produttori, distributori, consumatori e tutta l’industry digitale. I distributori automatici di veicoli e l’acquisto totalmente self service online non sono più solo fantascienza, e gli esempi non mancano nemmeno in Europa; questa prassi, però, è ancora lontana dall’imporsi come unica via: quello che si sta affermando sempre di più è un approccio che è simultaneamente, senza soluzione di continuità, online e offline.
«I concessionari hanno il tempo e gli strumenti necessari per affrontare questo epocale cambiamento di paradigma – dichiara Marco Marlia, fondatore e CEO di MotorK, società ideatrice di Internet Motors. – Il cliente sta chiedendo una semplificazione dell’esperienza, un sistema di post vendita con alti livelli di servizio e una maggiore flessibilità relativa al prodotto. Nei prossimi cinque anni dovremo lavorare assieme ai dealer per garantire un compiuto processo di digitalizzazione, più che necessario per intercettare quel 79% di utenti che non si negheranno l’esperienza offline».
La risposta del mondo della pubblicità a questo cambiamento non si sta facendo attendere: secondo gli ultimi dati Nielsen gli investimenti nel digital advertising del 2018 cresceranno del 9,4% rispetto all’anno precedente: ben più della media del mercato digital, che si fermerà al 7,9%.
«Vedere come la tecnologia sta trasformando l’acquisto di un bene come l’auto, storicamente molto legato a elementi tangibili come la visita in concessionaria o la prova su strada della macchina, ci dimostra ancora una volta quanto il digitale influenzi radicalmente ogni ambito della vita quotidiana.” ha dichiarato Daniele Sesini, Direttore Generale di IAB Italia. “Diventa sempre più importante, quindi, che tutti i player del digital advertising operino in un’ottica di evoluzione continua del mercato, riuscendo ad utilizzare le nuove tecnologie per andare incontro alle attuali e future esigenze dei consumatori, e per comunicare in modo sempre più efficace».
L’EVOLUZIONE DEL CUSTOMER JOURNEY
In un passato non troppo lontano comprare l’auto rappresentava un momento di forte stress per il consumatore. Questi poteva solo far riferimento a quanto affermato dal venditore, dal produttore e dai media specializzati. Oggi, i clienti “studiano” l’auto da acquistare molto prima di recarsi da un concessionario: grazie al web, tutte le informazioni di acquisto pertinenti sono disponibili con un clic (secondo gli ultimi dati Google il 53% delle ricerche di auto iniziano online e il 39% iniziano da un motore di ricerca*). Eppure, confusione, paura e frustrazione continuano ad essere i sentimenti prevalenti nel processo di acquisto: la prima regna in tutto il momento della scelta, la seconda la fa da padrone al momento dell’acquisto e la terza, infine, può emergere nella fase di possesso quando ci si preoccupa dei costi di gestione, assieme al rimpianto di aver sbagliato auto.
Via Tech Economy
Anche quest’anno, puntuale come il Natale, la School of Management del Politecnico di Milano ha presentato in collaborazione con Netcomm i dati relativi all’ultima edizione dell’Osservatorio eCommerce B2c. E come ogni anno, proprio come a Natale dopo aver ricevuto i regali, iniziano i commenti su quanto emerso dall’ultimo report presentato dal PoliMi. I dati presentati sono ovviamente positivi e se così non fosse ci sarebbe davvero da preoccuparsi: il valore degli acquisti online da parte dei consumatori italiani raggiunge nel 2017 i 23,6 miliardi di euro, +17% rispetto al 2016. Il tasso di penetrazione totale degli acquisti online sul totale retail, passa dal 4,9% del 2016 al 5,7% del 2017 con i Prodotti al 4% e i Servizi al 9%. Se paragonati ad altri mercati europei i numeri sono ancora molto bassi e dimostrano come molte aziende italiane ancora non abbiano iniziato a sfruttare al meglio i vantaggi della vendita online. Tuttavia, il livello del tasso di penetrazione, basso se paragonato a UK (19%), Germania (14%) e Francia (12%), evidenzia un larghissimo margine di crescita che sicuramente avrà un importante ruolo anche nel rilancio dell’economica del Paese nei prossimi anni.
Gli online shopper italiani, ossia i consumatori che hanno effettuato almeno un acquisto online durante il 2017, toccano cifra 22 milioni e crescono del 10% rispetto al 2016. Tra questi, gli acquirenti abituali, quelli che effettuano almeno un acquisto al mese, sono 16,2 milioni e generano il 93% della domanda totale ecommerce (a valore), con un ticket medio annuo di 1.357 euro. Gli acquirenti sporadici sono invece 5,8 milioni e generano il restante 7% della domanda ecommerce, spendendo mediamente 284 euro all’anno.
«Nel 2017 l’ecommerce mondiale è stato caratterizzato da diversi fatti particolarmente significativi. Tra questi ricordiamo le alleanze stipulate da alcuni grandi merchant ecommerce e operatori di differente natura (per sviluppare congiuntamente tecnologie o per espandersi commercialmente), l’affermazione di alcuni trend tecnologici (in primis assistenza vocale e chatbot) e la consacrazione delle principali ricorrenze ecommerce (Single Day, Black Friday e Cyber Monday)», ha spiegato Alessandro Perego, direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. «D’altro canto il 2017 è stato anche l’anno degli accesi dibattiti sugli effetti dell’online sul commercio tradizionale. Il successo di alcune iniziative ecommerce ha messo infatti a dura prova, in mercati più maturi dell’Italia, la sopravvivenza di alcune insegne della grande distribuzione tradizionale, tra cui quelle incapaci di progettare efficaci soluzioni ibride online – offline».
Prodotti vs servizi
Al di là di queste brevi considerazioni, i dati più importanti emersi dall’ultima edizione dell’Osservatorio riguardano senza dubbio quelli relativi al mobile commerce e alla categoria dei Prodotti. Per la prima volta l’acquisto di Prodotti online (pari a 12, 2 miliardi di euro, + 28% rispetto al 2016) ha infatti superato quello dei Servizi (11,4 miliardi, +7%), confermando un trend già in evoluzione negli ultimi anni e portando il paniere degli acquisti online più vicino a quello rilevato nei principali mercati più evoluti, dove i prodotti incidono per circa il 70%. Nonostante questo risultato, il settore predominante nell’ecommerce italiano resta quello del Turismo (9,2 miliardi, +7%), un settore che non rientra nella categoria dei Prodotti bensì dei Servizi.
Il settore merceologico con più acquisti fra i Prodotti è invece quello dell’Informatica ed elettronica di consumo con circa 4 miliardi di euro e un tasso di crescita del 28%, seguito subito dopo dall’Abbigliamento (2,5 miliardi, +28%), che cresce grazie al contributo del fashion e dei mass market, e da quei settori definiti emergenti, ovvero, Arredamento, Home Living e Food & Grocery che insieme valgono quasi 1,8 miliardi di euro. Chiudono il cerchio i prodotti editoriali (840 milioni di euro; +22%) e tutti quegli acquisti legati agli altri comparti di prodotto che valgono insieme 3,2 miliardi di euro, +27% rispetto al 2016.L’acquisto di prodotti genera circa 150 milioni di ordini all’anno con uno scontrino medio di 85 euro.
Come anticipato il settore del Turismo è quello che genera il maggior fatturato nel mercato ecommerce italiano, e ovviamente è il settore principale nella categoria dei Servizi. La crescita è riconducibile agli acquisti di biglietti per i trasporti ferroviari e aerei, alla prenotazione di appartamenti e case vacanze attraverso gli operatori della sharing economy e alla prenotazione di camere di hotel. Gli acquisti online nelle Assicurazioniraggiungono quota 1,3 miliardi di euro (+6%) e rimangono focalizzati sulle RC Auto. Tra gli “Altri Servizi”, che valgono circa 900 milioni di euro (+3%), rimangono importanti i contributi del Ticketing per eventi e delle Ricariche telefoniche. L’acquisto di servizi genera circa 50 milioni di ordini all’anno con uno scontrino medio di 235 euro.
Un’interessante considerazione riguardo il rapporto Prodotti/Servizi e tasso di penetrazione degli acquisti online è quella esposta da Valentina Pontiggia, direttore dell’Osservatorio eCommerce B2c. «Il ritardo dell’Italia rispetto ai principali mercati ecommerce permane ed è riconducibile alla ridotta penetrazione nei comparti di prodotto e specialmente nel Food & Grocery (0,5%) — spiega Pontiggia —. Nonostante il fermento imprenditoriale degli ultimi anni, il settore non è in grado di garantire una copertura territoriale diffusa e omogenea sul territorio italiano: solo il 15% della popolazione infatti può effettuare online la spesa “da supermercato” con livello di servizio idoneo, mentre un altro 55% della popolazione ha un accesso solo potenziale all’ecommerce, tramite iniziative sperimentali, isolate e con limitata capacità.» Se quindi da un lato il Food & Grocery viene da tutti riconosciuto come il settore emergente del momento, allo stesso tempo è esso stesso la causa del ritardo dell’ecommerce italiano rispetto ad altri Paesi europei. Situazione che giustifica, quindi, tutti gli investimenti che le aziende italiane stanno effettuando in questo ambito e che fanno quella del Food una sfida determinante per il futuro a breve termine del commercio digitale in Italia.
Italiani sempre più mobile oriented
Per quanto riguarda il mobile commerce, nel 2017 un terzo degli acquisti ecommerce, a valore, si è concluso attraverso smartphone o tablet. L’incidenza di questi device è quintuplicata nel giro di 5 anni: nel 2013 la somma di tablet e smartphone valeva infatti solo il 6%. Ancora più significativa la crescita dello smartphone: il suo contributo è passato infatti dal 4% nel 2013 al 25% nel 2017. In valore assoluto, gli acquisti ecommerce da smartphone superano, nel 2017, i 5,8 miliardi di euro, con una crescita del +65% rispetto al 2016. L’importanza di questo canale per il consumatore è visibile in tutti i principali comparti merceologici: il tasso di penetrazione dello smartphone sul totale ecommerce sfiora o supera il 30% nella maggior parte dei settori di prodotto (Editoria, Abbigliamento, Informatica ed elettronica, Food&Grocery) ed è pari al 15% nel Turismo e al 5% nelle Assicurazioni.
La crescita dell’export
Nel 2017 l’Export, inteso come il valore delle vendite da siti italiani a consumatori stranieri, vale 3,5 miliardi di euro e rappresenta il 16% delle vendite ecommerce totali. I prodotti, grazie a una crescita del 19%, valgono 2,3 miliardi di euro e rappresentano il 67% delle vendite oltre-confine. La bilancia commerciale(Export – Import) nei prodotti è positiva, a differenza dei servizi, e vale 800 milioni di euro (+150 milioni di euro rispetto al 2016). L’Abbigliamento, grazie alla notorietà dei brand italiani e alle competenze digitali sviluppate da alcune Dot Com o boutique multi-brand nazionali, è responsabile del 65% dell’Export di prodotto. L’Export di servizi si ferma a circa 1,2 miliardi di euro, con un tasso di crescita sostanzialmente nullo, a causa di alcuni isolati fenomeni sfavorevoli legati ad attori del settore Turismo.
L’Export online è ben più significativo se, oltre alle vendite dirette da siti italiani verso consumatori stranieri, si considerano le vendite abilitate dagli “intermediari digitali” con ragione sociale straniera (siti delle vendite private operanti all’estero, marketplace stranieri e retailer internazionali). Se ai 3,5 miliardi di euro di valore delle vendite da siti con operatività in Italia a clienti finali residenti all’estero viene sommato il transato intermediato dalle tre tipologie di canali appena citati, l’Export digitale triplica il suo valore e raggiunge i 10 miliardi di euro.
Via 360com
Gli italiani spenderanno via ecommerce 23,1 miliardi di euro nel 2017, con un aumento del 16% sull’anno passato (oltre 3,2 miliardi). Cresceranno anche gli acquisti, con un incremento del 25%, in maniera più evidente che i servizi (+8%). Sono i primi dati annunciati in occasione della XII edizione del Netcomm Forum, evento dedicato al commercio elettronico e la trasformazione digitale. «Anche quest’anno il commercio elettronico in Italia vivrà un momento di grande dinamicità e di importanti cambiamenti che già oggi si stanno delineando, grazie soprattutto al processo di digital transformation trainato all’interno delle imprese proprio dall’ecommerce”, ha spiegato Roberto Liscia, presidente di Netcomm. «È in atto un cambiamento sistemico di acquisto e offerta che coinvolge alcuni fattori importanti del commercio elettronico. Il digitale non è più il futuro ma intride moltissimi aspetti della vita quotidiana del consumatore». DALL'ECOMMERCE ALL'UNIFIED COMMERCE «La chiave del successo competitivo è creare un’esperienza di unified commerce, dove online e offline e i diversi device si mescolano in un nuovo ecosistema esperienziale», prosegue Liscia. Saranno i prodotti per la prima volta al pari dei servizi (11,5 miliardi a testa) a trainare la domanda ecommerce in Italia per l’anno in corso. Il food & grocery (+37%) che da 593 milioni di euro del 2016 passerà a ben 812 milioni e l’arredamento & home living a quota 847 milioni (+27%). Vanno molto bene anche l’informatica e l’elettronica con 3.695 milioni (+26%), l’abbigliamento con 2.384 milioni di euro (+23%) e l’editoria che sfiora gli 800 milioni (+18%). Ancora in crescita, anche se ridotta, i servizi per il turismo (+9%, 9.347 milioni di euro) davanti alle assicurazioni che crescono del 6% sfiorando 1.300 milioni. Il peso dell’ecommerce sul totale acquisti retail degli italiani raggiungerà il 5,6%. ONLIFE COMMERCE Tra le novità in atto, c’è sicuramente la convergenza tra i canali fisici e digitali, fenomeno che sta creando un nuovo ecosistema di Always Connected Retail. Secondo i dati della ricerca Net Retail, elaborata da Human Highway per Netcomm, nel primo trimestre del 2017 i consumatori italiani che hanno acquistato online sono passati dai 18,7 milioni dello scorso anno a 20,9 di questa primavera con 12,2 milioni di famiglie italiane (oltre la metà del totale) che hanno adottato lo shopping digitale come modalità di routine quotidiana. Negli primi mesi del 2017, ogni 100 acquisti online, 8,5 sono stati effettuati da tablet pc (sia su sito web che via app, con quota stabile) e 17,4 da smartphone (sul sito web o via app). Particolarmente consistente è la crescita degli acquisti via smartphone (+52%), a 5,3 miliardi di euro (7 miliardi di euro se si considerano anche gli acquisti via tablet). In questo contesto il consumatore vive un’esperienza che possiamo definire di Onlife Commerce, in cui l’acquisto è solo una parte di un nuovo e più ampio processo conversazionale che valorizza tutti i nuovi punti di contatto tra l’acquirente e il venditore. Fondamentale è lo smartphone, che diventa il vero protagonista, capace di ricomporre la frammentazione delle nostre relazioni e conversazioni in un diverso assetto: “chi usa 3 device (pc, mobile, tablet) spende in media 2 volte di più di chi utilizza solo il pc, così come l’everywhere shopper compra di più in tutti i canali e usa lo smartphone per orientarsi e acquistare offline». COME COMPRARE La gran parte degli acquisti sono pagati al momento dell’ordine e solo nell’8,8% dei casi vengono saldati alla consegna o nel momento di utilizzo del servizio. In Italia il pagamento online contestualmente all’acquisto risulta in crescita alla fine dell’anno, dall’86,2% di inizio 2014 al 91,2% di marzo 2017. I pagamenti vengono eseguiti principalmente con carte bancarie: Il 44% degli ordini online viene saldato al momento dell’acquisto con una Carta di Credito (o prepagata) e il 38,8% con PayPal. Per quanto riguarda la consegna, in più di 9 casi su 10 in Italia il bene è recapitato dal sistema di consegna presso un indirizzo indicato dall’acquirente (più spesso in casa, talvolta presso un ufficio o un luogo terzo). Solo nell’8,6% dei casi i prodotti fisici acquistati online sono ritirati dal cliente presso un punto vendita o un punto di ritiro indicato dal merchant. Via Business People
L’e-commerce in Italia nel 2016: bene ma non benissimo. È questa la fotografia che emerge dallo studio realizzato dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese.
Utenti Internet che negli ultimi 3 mesi e hanno ordinato/comprato online per tipo bene/servizio e sesso
(Anno 2016 – per 100 persone di 15 anni e più – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
Nel 2016 % la quota di utilizzatori di internet che hanno effettuato ordini o acquisti online di beni e servizi è del 50,5, con un aumento di 1,8 punti rispetto alla quota dell’anno precedente. In valore assoluto gli acquisti online vengono effettuati da 16.123.000 utenti internet di 15 anni ed oltre e nell’ultimo anni gli acquirenti online sono saliti di 1.347.000 unità, pari al 9,1% in più. In particolare il 28,7% ha ordinato o comprato merci o servizi negli ultimi tre mesi, il 12,0% nel corso dell’anno e il 9,7% più di un anno fa.
Utenti Internet che negli ultimi 3 mesi e hanno ordinato/comprato online per per regione
(Anno 2016 – per 100 persone di 15 anni e più – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
A fare la parte del leone sono quei beni e soprattutto quei servizi che ormai hanno nell’online il canale di distribuzione principale come Viaggi e trasporti (40,9%), Informatica e tecnologia (31,5%), Libri, giornali, riviste (inclusi e-book), materiale per la formazione a distanza (28,5%) e Film, musica, biglietti per spettacoli (25,8%). Anche i prodotti del Made in Italy che maggiormente interessano l’offerta delle imprese artigiane registrano tassi di crescita a doppia cifra degli acquirenti online: quelli di Prodotti alimentari salgono del 31,9%, con una variazione di 1,3 punti della quota di 7,3% del 2015, gli acquirenti di Abbigliamento sono in aumento del 18,2% (+2,3 punti di quota), quelli di Articoli per la casa in aumento del 17,8% (+1,7 punti la quota).
Dal punto di vista della distribuzione territoriale, si evidenzia come le regioni più attive sul fronte degli acquisti online siano innanzitutto quelle periferiche del Nord, nelle quali è possibile immaginare una buona capacità di spesa non supportata però da adeguata offerta fisica di beni e servizi. La regione con la più elevata propensione ad effettuare acquisti di e-commerce è la Valle d’Aosta con il 64,4%, Trento con 62,7%, Friuli-Venezia Giulia con 58,0%, Toscana con 57,7%, Veneto con 56,3%, Sardegna con 56,2%, Bolzano con 56,1% e Liguria con 56,0%. A riprova che il commercio elettronico è però ormai un canale consolidato e in costante crescita, si evidenzia nel 2016 un forte dinamismo anche da parte di altre regioni come in Abruzzo dove nell’ultimo anno sale di 7,2 punti, seguito dal Veneto (+6,9 punti), Lazio (+4,6 punti), Sicilia (+4,2 punti).
Imprese che hanno effettuato vendite online per regione
(Anno 2016 – % imprese con 10 addetti ed oltre – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
Ancora molto sviluppato è un fenomeno tipico dei mercati che si approcciano al commercio elettronico, il cosiddetto ROPO (Research online, purchase offline), ossia la ricerca sul web delle condizioni migliori per fare poi fisicamente gli acquisti offline, che in Italia riguarda 9 milioni 318mila persone, pari al 40,9% degli internauti che effettuano una ricerca online di informazioni su merci o servizi e/o usato il canale online per la vendita di beni. Queste attività di info-commerce possono svolgersi anche a ridosso dell’acquisto dato che il 42,1% degli utenti internet usa uno smartphone per connettersi fuori casa o lontano dal posto di lavoro.
Più critica rimane ancora oggi la situazione dell’offerta, soprattutto rispetto alle micro e piccole imprese, ferma all’11% , quasi la metà del 20% della media UE. Fra le regioni più avanzate, e con valori superiori alla media Ue, Valle d’Aosta (23,2%) e Bolzano (20,9%); seguono Trento (18,3%), Sardegna (17,0%), Liguria (13,5%), Campania (12,6%), Friuli-Venezia Giulia (12,5%) e Sicilia (12,0%).
Secondo lo studio di Confartigianato, l’ancora bassa propensione delle imprese italiane ad effettuare vendite mediante è determinata dalla persistenza di troppe barriere all’accesso a questo mercato.
Imprese per comportamento di vendita via web e ostacoli alle vendite
(% sul totale delle imprese che hanno venduto/non hanno venduto via web – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
Significativamente, il 20,2% delle imprese attive nel commercio via web indica fra le condizioni ostative i costi connessi all’avvio dell’e-commerce superiori ai benefici attesi, la logistica (10,8%), il quadro legislativo di riferimento (10,3%) e i problemi dei pagamenti online (9,1%).
Per il 53,2% delle imprese che non hanno effettuato vendite via web nel corso dell’anno precedente, i loro prodotti non erano adatti alla vendita online ma fra le imprese che sono escluse dall’e-commerce pesano molto la logistica nel 29,4% dei casi, il rapporto costi/benefici nel 27,4%, i problemi relativi ai pagamenti online nel 21,9% dei casi, la sicurezza informatica e la protezione dei dati nel 18,5% dei casi e il quadro legislativo di riferimento nel 17,9% dei casi.
Utenti Internet che negli ultimi 3 mesi e hanno ordinato/comprato online per tipo bene/servizio
(Anno 2016 – per 100 persone di 15 anni e più – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat)
Bene dunque il commercio elettronico in Italia ma non benissimo, perché se da un lato si cresce, dall’altro il digital divide è ancora molto forte in termini di acquirenti e ancora di più in termini di imprese che vendono online.
Bene perché anche le imprese che non praticano il commercio elettronico lo riconoscono come strumento, non benissimo perché per gli intervistati permangono ancora ostacoli strutturali come l'adeguatezza dei prodotti e la logistica che potrebbero, anzi dovrebbero essere affrontati e risolti a livello di sistema.
È un vero peccato che il lodevole intento pragmatico e riformista di Industria 4.0 non abbia alla prova dei fatti prodotto sufficiente impegno sulle componenti soft del processo di digitalizzazione delle imprese, tra le quali l'approdo ad ogni mercato possibile interno ed esterno, fisico e virtuale, la fa da padrone.
Anche dove non si acquista un oggetto per poi riceverlo a casa grazie ad un corriere, ma si trattano macchinari molto complessi tra un'impresa e un'altra o si prenota il parrucchiere, la presenza digitale come sbocco di mercato è ormai un dato di fatto.
Lo è ancora di più per le imprese in Italia, che associano un mercato interno già ristretto e asfittico ad una grande reputazione esterna. Oggi c’è fame di prodotti italiani che non è immaginabile soddisfare esclusivamente in modalità tradizionali.
Se questo è lo scenario cosa manca?
Innanzitutto mancano degli strumenti che possano concretamente ridurre il gap tra le nostre imprese e il resto d’Europa, consci che l’aspetto qualitativo della sfida (per cui non si devono solo “fare i numeri” ma portare il meglio del Made in Italy a nuovi mercati) la rende ancora più urgente e interessante.
Sicuramente i marketplace come Amazon e Alibaba mettono a disposizione strumenti e servizi che semplificano lo sbarco online. In particolare, Amazon Made in Italy offre oggi una vetrina molto interessante proprio alla platea delle imprese artigiane e la cinese Alibaba promette di seguire presto la stessa via su un mercato come quello asiatico che potrebbe essere una Mecca per le nostre produzioni di qualità.
Al di là del dispiacere “nazionalista” di vedere il valore prodotto dalle nostre imprese nel sesto continente del mercato digitale abbandonare la nostra economia, è evidente come questi enormi marketplace non possano essere la panacea per tutti i mali. Restano infatti escluse da un lato le produzioni B2B anche in settori chiave come la meccanica fine, dall’altro tutte quelle imprese che, dalla moda alle biciclette, tengono alto il nome dell’Italia nella crescente economia del su misura.
Come nella “notte in cui tutte le vacche sono nere”, i grandi marketplace non distinguono qualitativamente i propri prodotti, o lo fanno in modo comprensibilmente superficiale. Sono uno straordinario veicolo di traffico e hanno bisogno di prodotti semplici, standard e affidabili. Né Amazon né Alibaba avranno mai interesse a raccontare una camicia su misura, a proporre un salame di piccolissima produzione o a mettere a disposizione un configuratore per personalizzare un telaio di bicicletta. Sono ottime palestre e necessari punti vendita per prodotti di qualità ma semplici.
Molto del Made in Italy però non è “semplice” e la sfida è raccontarlo a Singapore, a Dubai e a New York, trasferirne le emozioni senza poter disporre di un negozio sulla V Strada, permettere a un australiano di indossare le nostre camicie artigianali e bere i nostri vini senza compromessi sulla qualità e senza investimenti impossibili da parte degli artigiani.
Chi produce e vende emozioni particolari dovrà, magari a fianco allo store su Amazon, dotarsi di un proprio racconto e soprattutto di una propria strategia di marketing digitale che arrivi fino alla costruzione di un e-shop coerente con il proprio posizionamento, stand-alone o magari immaginandosi di mettere assieme un produttore di splendide tavole da surf a Teramo con un artigiano delle chitarre di Milano e insieme conquistare la California.
Il costo delle piattaforme di commercio elettronico stand-alone come Shopify è oggi così contenuto da non rappresentare davvero un ostacolo, mentre aziende come il produttore di t-shirt su misura olandese Son of a Tailor offrono un algoritmo che permette di identificare la propria vera taglia sulla base di quattro semplici informazioni.
Se dunque il mercato offre ingredienti semplici e a buon mercato, continuano a mancare i cuochi che li sappiano organizzare e utilizzare, offrendo una cucina buona e sana anche a chi non si può permettere un ristorante stellato.
Se, come si spera, Industria 4.0 non esaurirà tutte le risorse economiche e politiche per la digitalizzazione, parte delle rimanenti dovrebbero essere dedicate a una rivoluzione delle competenze che aspiri all’obiettivo di avvicinare quella soglia europea del 18% circa di imprese sull’e-commerce attraverso il giusto mix di offerta di servizi (dalle fotografie dei prodotti al marketing) e incentivi all’apertura di canali digitali.
Nel concreto si immagina di recuperare il voucher di 10.000 euro per i servizi digitali alle micro e piccole imprese promesso e mai attuato e di detassare almeno per un anno i proventi da commercio elettronico sempre per le MPMI che vi si accostano.
Troppo costoso? Certamente non si tratta di misure a costo zero, ma gli interventi strutturali non lo sono quasi mai. Soprattutto sarebbe ora che gli interventi sull’ammodernamento del nostro sistema economico non fossero misurati solo con il metro della contingenza ma con un occhio più rivolto al futuro, e in questo caso parametrati al costo del non fare nulla o, peggio, del vedere i proventi del Made in Italy farci “ciao ciao” e finire a Pechino o in Lussemburgo.
Via Agenda Digitale
L’87% degli italiani che navigano in internet dichiara di fare acquisti online. Tuttavia il ruolo del negozio fisico rimane decisivo. Ciò avviene soprattutto nel comparto degli alimentari freschi, dove il 38% degli italiani afferma che le visite “in store” risultano indispensabili per la formulazione della decisione di acquisto. I dati emergono dalla Global survey di Nielsen Connected Commerce effettuata su un campione di 30.000 individui in 63 Paesi, tra i quali l’Italia.
Consumatori informati
“L’ecommerce – ha dichiarato l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – sta ridisegnando il concetto stesso di fare acquisti e le sue declinazioni. Occorre inserire l’acquisto in un più ampio processo all’interno del quale sono rintracciabili esperienze valoriali differenti. Ci riferiamo soprattutto all’esigenza dei consumatori sempre più consolidata di richiedere un maggior numero di informazioni relativamente a ciò che devono acquistare rispetto al passato. Ci troviamo davanti – ha sottolineato Fantasia – alla sfida di dovere considerare che i confini tra digitale e fisico risultino sfuocati. Per esempio, si passa dalle recensioni online del prodotto, alla lettura di volantini, al passaparola e, soprattutto, a quanto si possa reperire all’interno dello store fisico dal personale addetto alla vendita. Come si vede, si tratta di strumenti a cavallo tra il fisico e il virtuale. Come emerge dalla ricerca, l’obiettivo che si pone attualmente la grande distribuzione deve essere quello di favorire l’engagement e la soddisfazione dello shopper attraverso molteplici touchpoint durante il percorso d’acquisto. Solo in questo modo – ha concluso l’a.d. di Nielsen Italia – si può sostenere e corroborare la propensione al consumo del cliente, che deve essere sempre più accompagnato nel “sentiero” che porta al prodotto”.
Sotto esame i prodotti più acquistati
All’interno della survey, si prendono innanzitutto in considerazione quelli che sono i prodotti maggiormente acquistati online. Spiccano tra questi le categorie dei beni durevoli o di svago: i viaggi (acquistati via web dal 47% degli italiani), insieme a libri e supporti musicali (47%). Seguono gli articoli di moda/abbigliamento/accessori (40%), biglietti per eventi come concerti/sport/mostre (35%), elettronica di consumo (34%) e informatica (28%).
In crescita la richiesta di prodotti di bellezza
Per quanto riguarda la tipologia dei prodotti di consumo, è da rilevare il trend positivo dei prodotti di bellezza e della cura della persona, acquistati in rete dal 28% degli intervistati, in linea con quanto registrato in Spagna e Francia (27%), anche se al di sotto della media UE (33%).
Rimangono bassi i dati relativi ai prodotti freschi
Rimane ancora inferiore la quota di coloro che si avvicinano online agli alimentari freschi (frutta, verdura, carne) che vengono acquistati sul web solo dal 6% della popolazione. Vino e bevande alcoliche fanno invece registrare dati superiori anche se di poco (11%) analogamente ai prodotti alimentari confezionati (12%). Anche per quanto riguarda il settore della ristorazione (pasti a domicilio), emerge che gli italiani sono ancora cauti nell’utilizzo del canale virtuale (7% vs media UE pari al 19%).
Comunicazione
Se queste sono le dinamiche che stanno influenzando il mercato dell’online in Italia, risulta nello stesso tempo interessante prendere in esame le strategie di comunicazione che possano favorirne lo sviluppo.
Per ciò che concerne i prodotti di largo consumo, la garanzia di rimborso nel caso di consegne non corrispondenti all’ordine risulta decisiva per il 36% degli italiani, mentre il 32% sottolinea l’importanza del servizio di sostituzione in giornata. Il 29% ritiene essenziale la pianificazione precisa delle consegne.
Garanzie per i prodotti freschi
Dal punto di vista particolare dei prodotti alimentari freschi, il 32% del campione richiede la garanzia di rimborso abbinata al rimpiazzo gratuito del prodotto alla spesa successiva, nel caso in cui il medesimo non soddisfi le aspettative del consumatore, mentre il 30% è orientato al solo rimborso. Le preoccupazioni sulla qualità e freschezza dei cibi si traducono in una particolare attenzione alle informazioni/descrizioni dettagliate riportate dalle etichette: queste costituiscono un ulteriore driver che può aiutare l’acquisto online per il 27% dei rispondenti, e il 25% evidenzia l’importanza di conoscere per quanto tempo saranno freschi i vari prodotti dopo la consegna.
La tecnologia in aiuto del consumatore
L’ecommerce, d’altra parte, è solo un aspetto dello shopping online. Parallelamente, vengono richieste esperienze digitali rese disponibili dal retailer. In particolare, dallo studio emerge che il 24% degli italiani utilizzi casse self service all’interno dei supermercati, il 13% scanner per evitare le code, l’11% ordini i prodotti online con consegna a domicilio, il 10% ricorra a buoni sconto/coupon digitali.
Questi dati dimostrano che la tecnologia utilizzata dal distributore può costituire uno strumento di avvicinamento dei consumatori al mondo virtuale. Tanto è vero che il 69% di questi dichiara che utilizzerebbe il QR code dal cellulare qualora si rendesse disponibile tale modalità di accesso alle informazioni sui prodotti, il 68% utilizzerebbe scaffali virtuali per ordinare i prodotti tramite smartphone, il 66% scaricherebbe l’app dello store per ricevere offerte all’interno del negozio.
A volte ritornano
La survey di Nielsen non manca di verificare se dopo un acquisto online i consumatori rimangano soddisfatti e tornerebbero a comprare via web. Ciò si verifica nel 71% dei casi per gli acquisti di viaggi in rete, in ragione del 60% per i biglietti di eventi, e nella misura del 48% per libri/musica. Per ciò che concerne le categorie della moda e dell’arredo/mobili non si può ripetere la stessa cosa. Infatti entrambe fanno registrare una quota del 41% di consumatori che dichiara di volere tornare nello store fisico.
Le fonti di informazione per Nielsen
Per concludere, lo studio Nielsen ha analizzato quali siano le fonti di informazione più efficaci nell’influenzare la decisione di acquisto dei consumatori italiani: i touchpoint tradizionali e in particolare le visite ai negozi fisici risultano fondamentali per tutte le categorie merceologiche, ma sono l’influencer principale quando si tratta di acquistare beni di largo consumo.
Gli alimenti freschi e i prodotti di bellezza e personal care fanno registrare rispettivamente il 38% e 31% degli shopper online che dichiarano di recarsi anche nello store fisico per acquisire informazioni aggiuntive. Lo stesso dato viene rilevato anche per il settore moda e per l’elettronica di consumo. Ulteriori touchpoint, o fonti informative, che vengono utilizzate per confortare l’acquisto virtuale, sono per gli alimentari freschi i volantini delle associazioni (21%) e il passaparola di conoscenti (18%), mentre per i prodotti di bellezza e personal care i suggerimenti del personale di vendita (20%) e il passaparola (19%). I siti web del negozio vengono consultati dal 28% degli shopper di prodotti di moda, che prendono come punto di paragone anche i siti dei brand (23%).
Il 34% dei consumatori, si legge ancora nella survey, visita il sito web del negozio se è interessato all’elettronica di consumo, il 31% il sito web della marca. Parallelamente, nell’acquisto di questa tipologia di beni vengono utilizzate in ragione del 28% le recensioni trovate online, del 25% i volantini e il passaparola, del 18% i social media. Quest’ultimo valore risulta doppio rispetto allo stesso registrato in Francia e Gran Bretagna (entrambe al 9%).
Via DailyOnline
L’Osservatorio eCommerce B2C, giunto alla sedicesima edizione e promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm, ha scattato una fotografia del mercato ecommerce nel Food&Grocery che, nel 2016, vale 575 milioni di euro, facendo registrare un +30% rispetto al 2015. Nonostante la crescita in linea con la media di mercato dei prodotti (+32%), il Food&Grocery in valore assoluto incide ancora marginalmente (3%) sul totale mercato ecommerce b2c italiano, pari a quasi 20 miliardi di euro. Gli acquisti via smartphone nel settore raddoppiano e raggiungono quota 100 milioni di euro, pari al 17% del totale che sale al 25% se si aggiungono gli acquisti via tablet. L’Enogastronomia cresce del 17% e, con un valore di poco superiore ai 240 milioni di euro, rappresenta ancora il 47% del valore dell’Alimentare online, la spesa Grocery sui siti ecommerce dei supermercati tradizionali con consegna a domicilio cresce del 40% e vale 188 milioni di euro. Nel Food&Grocery la componente principale, in termini di valore degli acquisti, è rappresentata dall’Alimentare, pari al 90% del comparto, per un valore di 519 milioni di euro, in crescita del 27% rispetto al 2015. La componente Health&Care pesa per il restante 10%. L’Alimentare è a sua volta composto per oltre il 90% dall’acquisto di prodotti Food e per meno del 10% dal Wine.
L’online è ancora indietro rispetto al retail fisico
“Nonostante il Food&Grocery rappresenti una delle principali voci di spesa degli italiani, la sua diffusione online è stata fino a oggi limitata. L’incidenza degli acquisti online sul totale acquisti retail è pari allo 0,35% nel 2016, una penetrazione significativamente inferiore sia rispetto a quella osservata in altri comparti merceologici più sviluppati. Negli ultimi anni però si è assistito a una proliferazione di iniziative online, sia da parte dei retailer tradizionali sia da parte di Dot Com pure player, anche startup”, come ha affermato Afferma Alessandro Perego, direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. “Sebbene non manchino le opportunità e la domanda per le aziende di offrire nuovi servizi o soddisfare nuovi bisogni legati all’alimentazione, in Italia le iniziative di efood sono ancora marginali e rappresentano una nicchia del mercato ecommerce. Il 2016 sarà percepito come un anno spartiacque in cui l’ecommerce si è imposto come modello di business contando circa 20 miliardi di euro di ricavi e 19 milioni di eshopper. Il cambiamento deve provenire dalle aziende e le imprese del food non sono esenti”, gli ha fatto eco Roberto Liscia, presidente di Netcomm.
Il fronte estero
Dalla ricerca presentata ieri a Milano presso il Campus Bovisa in occasione del Convegno “Food online: l’appetito vien comprando!”, è emerso inoltre come l’export, inteso come valore delle vendite da siti italiani a consumatori stranieri, incida per circa il 10% delle vendite del settore e rappresenti il 2% circa del totale export ecommerce.
Via DailyOnline
Il 2016 è senza ombra di dubbio l’anno spartiacque per l’eCommerce in Italia durante il quale si è affermato il nuovo concetto di cross: cross border, cross canalità e cross device i tre punti su cui le aziende si devono concentrare per offrire al cliente la migliore esperienza di acquisto di sempre. Il fattore determinante del successo di un’azienda risiede infatti nella capacità di reagire tempestivamente alle nuove esigenze e anticipare le tendenze future, ripensando i propri modelli di business. Ciò è valido sia per le imprese B2C che per quelle B2B, il cui confine è divenuto con il tempo sempre più labile perdendo i confini storici che hanno da sempre differenziato i due business, oggi in continua evoluzione e spesso convergenti, e dando così vita a un nuovo contesto competitivo tra le imprese. Questo il tema su cui si è concentrato “E-commerce B2B e B2Retail: modelli e casi di successo”, il convegno organizzato da Netcomm e tenutosi a Milano il 29 novembre.
Secondo una ricerca del Consorzio del Commercio Elettronico Italiano, infatti, oltre il 50% dei buyer vorrebbe dai propri fornitori strumenti digitali per ridurre i tempi di acquisto. In Italia le imprese sottovalutano ancora le potenzialità del B2B in rete, eppure il numero dei siti di eCommerce B2B in Italia ha registrato un aumento significativo pari al 46%, passando da 7.660 del 2015 a 11.200 di quest’anno (fonte Osservatorio Cribis-Netcomm). Inoltre, il 30% del totale dei siti di commercio elettronico italiani del Paese è B2B. “Le potenzialità dell’eCommerce B2B sono importanti, persino maggiori rispetto a quelle B2C” spiega Roberto Liscia, Presidente Netcomm e Executive Board Member Ecommerce Europe. “Il valore del commercio elettronico B2B nel 2015 è stato infatti di 20 miliardi di euro, contro i 18 miliardi del B2C”.
È da considerarsi eCommerce, infatti, tutti quei modelli nei quali avviene un incontro e una qualificazione tra domanda e offerta che poi si concretizza in un ordine o una transazione su altri canali. Il marketplace B2B in particolare si sviluppa in ogni settore, da quello della sanità alla manutenzione, dai prodotti enogastronomici al fashion, e crea diversi modelli di business, dai distributori online alle house of brand, dal marketplace con comunità brick & mortar a quelli basati sul dropshipping.
“Le imprese italiane che vendono online in Italia sono circa il 7% del totale, contro il 17% di quelle presenti a livello europeo” aggiunge Roberto Liscia. “L’Italia eccelle in moltissimi mercati e il potenziale del Made in Italy online è tra i maggiori al mondo. Le aziende dovrebbero affrontare con maggiore aggressività il nuovo contesto competitivo del B2B dove a farla da padrone sarà la crescita del ruolo dei Marketplace, lo sviluppo del B2B da parte dei grandi Marketplace B2C, l’apertura dei mercati di vendita e acquisto, e il crescente ruolo delle filiere a fronte del nuovo concetto di cross”.
Vendere on-line implica anche consegnare i prodotti ai clienti, e questa fase delicata è gestita da terzi, ovvero dai corrieri. Tutti abbiamo avuto a che fare con una consegna a casa, in ufficio o altro luogo. Così come tutti, ne sono sicuro, hanno avuto, almeno una volta, un problema legato alla spedizione.
Immaginate cosa voglia dire questo per un eCommerce, che ha a che fare giornalmente con decine, centinaia o migliaia di consegne, in Italia ed anche all’estero. La logistica ed i trasporti sono la spina dorsale per le attività online, per questo non possono essere prese sotto gamba o affidate solo al miglior offerente, ma la valutazione va fatta in base al rapporto costo/servizio. Da una chiacchierata con Roberto Fumarola, uno dei fondatori della startup Qapla.it, abbiamo messo in evidenza i diversi punti critici della logistica nel commercio elettronico.
I corrieri
Per molte attività avere un unico trasportatore non è una buona soluzione, soprattutto se si vendono articolo non omogenei o in Paesi diversi. Bisognerà scegliere i servizi in base alle caratteristiche dell’azienda di trasporto: per esempio ce ne sono alcune che sono efficienti su colli piccoli (fino a 3 Kg), altre per colli medi (fino a 10-15 Kg) ed altre in grado di gestire spedizioni ingombranti. Per fare queste valutazioni occorre chiedere al corriere stesso con quali altri clienti sta lavorando, oppure guardare i competitor per capire cosa stanno usando. Soprattutto quelli con volumi maggiori, avranno fatto la scelta, di sicuro, basandosi sulle esperienze sul campo.
Altro tema è quello delle consegne all’estero. L’ideale sarebbe rivolgersi a corrieri con network estesi, ma anche qui ci sono delle differenze: ce ne sono alcuni che sono più forti in Europa, altri per il Nord America ed altri per Asia e Medio Oriente. Avere più trasportatori permette anche di contrattare meglio le tariffe per tenerli “sulla corda”.
Altro parametro da considerare, poi, è legato ai servizi accessori. Fanno consegna di sera o il sabato? Inviano ai clienti le informazioni sul tracking? Come? Via SMS o mail? I messaggi sono personalizzabili?
Gli imballi
Un imballo non adeguato rischia di mettere in serio pericolo gli articoli inviati, con relativa gestione di resi per prodotti danneggiati. Questi costi sono tutti a carico dell’eCommerce, senza considerare il rischio di minare la fiducia dei clienti che vivono questi problemi come fastidi non di poco conto.
Si possono provare soluzioni di imballo differenti, chiedere campioni al fornitore e fare test. Tutta questa attività si ripagherà da sola in soddisfazione dei clienti ed in minori costi di gestione per problemi dovuti a danneggiamento.
La consegna dei pacchi
La fase di consegna racchiude una serie di altri problemi e rischi, come perdite dei colli spediti, problemi vari nelle consegne come indirizzi errati, clienti che non sono in casa e così via. Occorre pertanto assicurarsi di monitorare le consegne in maniera puntuale per prevenire le chiamate dei clienti.
Questo tipo di attività è apprezzata dai clienti che si sentono seguiti e non abbandonati. Mentre l’ordine è in viaggio c’è anche tutta una serie di opportunità di comunicazione che di solito non vengono colte dai venditori. Di solito, infatti, le comunicazioni sulle consegne sono affidate ai corrieri, quando invece possono e devono essere gestite da chi vende, magari personalizzando il messaggio con logo, testi dedicati ed offerte commerciali.
L’esperienza utente nella fase della consegna
La consegna, nel caso dell’eCommerce, è l’unico momento in cui il venditore ed il suo cliente vengono in contatto “fisico”. L’esperienza deve essere assolutamente perfetta, altrimenti questo incide su eventuali nuovi acquisti. Si può lavorare, per esempio, su messaggi personalizzati inseriti all’interno del pacco, coupon di sconto, informazioni pratiche su reso o informazioni sull’utilizzo e la cura dell’articolo acquistato.
Se prendete come riferimento Amazon o comunque i grandi operatori, vedrete come sono ben attenti a questo aspetto, perché sanno che l’efficienza e l’attenzione nella fase post ordine è importante quanto, se non di più, di quella pre-ordine.
Servizi extra sono possibili da considerare: per esempio i servizi accessori come la consegna in un punto di ritiro, molto diffuso come sistema all’estero ed in crescita in Italia, oppure i servizi di montaggio o ritiro dell’usato. Ci sono, anche in questo caso, trasportatori specializzati in grado di offrire questi servizi. E’ vero che hanno costi maggiori, ma gli utenti preferiscono spesso il servizio e l’efficienza al mero risparmio.
Via Tech Economy
Secondo gli analisti Gartner, i clienti si aspettano di ricevere un elevato livello di attenzione e personalizzazione nel digitale, così come lo richiedevano offline. Quest’affermazione vale ancora di più per i clienti nel settore lusso, alla ricerca di un’esperienza unica e personalizzata così come di prodotti di altissima qualità. Quando si tratta di acquisti online, questa aspettativa raggiunge l’apice per un paio di motivi: da un lato, i consumatori spendono cifre elevate per acquistare prodotti di questi marchi di lusso e si aspettano di percepire durante l’intera esperienza questa sensazione di lusso; dall’altro, i marchi devono garantire il forte senso di storia, tradizione ed esclusività per poter affermare il loro status di marchi di lusso.
I ricercatori di Contactlab rivelano che in generale i brand utilizzano le best practice durante il consumer journey meno della metà delle volte e che si comportano meglio nei punti di contatto digitali che in quelli fisici. Nel complesso il panel ha mostrato buoni risultati nelle categorie di Servizio Clienti online, Ordini e Consegna, mentre c’è ampio margine di miglioramento per quanto riguarda il Confezionamento esterno, il Carrello Abbandonato, i Documenti all’interno della confezione e le Comunicazioni relative all’acquisto.
Contactlab ha analizzato i punti di contatto fisici e digitali della customer experience negli acquisti di lusso online prendendo in considerazione 36 brand del lusso globalmente riconosciuti, tra cui 4 importanti grandi magazzini americani e l’e-tailer Net-A-Porter. I punti di ingaggio digitali riguardano il processo di ordinazione, i carrelli abbandonati, le comunicazioni di acquisto e reso e il servizio clienti online, mentre i punti di ingaggio fisici riguardano l’engagement diretto del cliente con il prodotto, come le opzioni e l’efficienza nella consegna, il confezionamento esterno e interno e la relativa documentazione e le politiche di reso.
Il potenziale del cross-channel è ancora scarsamente sfruttato nel processo di Acquisto Online: ad esempio, quasi la metà del panel non offre la possibilità di effettuare resi e cambi in negozio e solo in un caso su tre nell’email di benvenuto è inserito un link all’opzione “Trova negozi”. L’attenzione all’ambiente è ancora molto bassa: solo pochissimi marchi offrono informazioni sulla sostenibilità dei loro packaging (Balenciaga, Tiffany, Coach e brand del gruppo Yoox-Net-A-Porter o YNAP) o su programmi di responsabilità sociale (Gucci).
È quasi banale ormai ricordare che i millennial si aspettano dalle aziende un forte approccio omnicanale al customer engagement. Nello shopping di lusso online questo vuol dire concentrarsi sull’intero percorso di acquisto e offrire valore aggiunto a ogni fase per soddisfare completamente le aspettative dei consumatori. Analizzando quanto i brand si prendono cura dei loro acquirenti online di lusso, lo studio rivela che le cose non vanno per il verso giusto: alcuni principali monomarca non rispondono alle richieste di assistenza dei clienti e due su tre richiedono di recarsi alle poste per la restituzione un prodotto. Solo 5 brand utilizzano una formula di saluto differenziata in base al genere nelle loro email e solo Armani e Nordstrom personalizzano i contenuti e le immagini a seconda del sesso del cliente. Solo 2 brand (Givenchy e Net-a-Porter) inviano un’Indagine sulla Soddisfazione del cliente a seguito della restituzione di prodotti o di richieste di assistenza.
ContactLab ha rappresentato i suoi risultati con la mappa “Online Purchasing Experience Ranking Matrix – SS16 NYC” che misura i punti di contatto fisici su un asse e quelli digitali sull’altro. Nel complesso, Balenciaga e Fendi guidano la classifica NYC 2016, seguiti da Saint Laurent, Chanel e Coach. I Grandi Magazzini americani si comportano discretamente nei punti di contatto digitali, male in quelli fisici. I brand del gruppo YNAP sono sparsi nella matrice, alcuni eccellono nei punti di contatto digitali, e Balenciaga anche in quelli fisici.
Marco Pozzi, autore della ricerca e Senior Advisor per Contactlab, commenta: “Ai marchi di lusso resta ancora un ampio margine di miglioramento per soddisfare le aspettative dei clienti quando acquistano beni di lusso online. Alcuni brand sono migliorati rispetto allo studio passato realizzato a Milano ma sono ancora troppi i brand che non prestano attenzione a quei piccoli dettagli che fanno la differenza. Prendersi cura del cliente vuol dire personalizzare davvero la relazione con il consumatore ed essere coerenti in tutti gli 80 punti di contatto analizzati. I brand di lusso devono dotarsi di strumenti digitali che permettano di capitalizzare le risorse esistenti sui dati dei clienti e sulle loro preferenze. È l’unico modo per interagire con i loro clienti potenziali ed esistenti, aumentando la fedeltà d’acquisto e, di conseguenza, la redditività dei clienti”.
Via Spot and Web
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