Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nel primo film mai proiettato in pubblico, il 28 dicembre 1895, i fratelli Lumiere mostrarono l’uscita degli operai dalle officine di loro proprietà e c’è perciò chi, un po’ maliziosamente, sostiene che il product placement sia nato con il cinema. La Coca-Cola compare già in un western del 1926, mentre due più recenti pietre miliari sono ET, grazie al quale le caramelle Reese’s Pieces sembrano avere aumentato le vendite del 60% nel giro di poche settimane, e Cast Away, nel quale i marchi FedEx e Wilson sono posti al centro della narrazione.
Dal 2004 il product placement cinematografico (ma non quello televisivo) è legale e regolato anche in Italia, che è subito diventata il terzo mercato mondiale dopo Stati Uniti e Francia per un valore che, nel 2005, era pari a 36 milioni di dollari. Poco rispetto agli Usa dove, nel 2007, il product placement è stato valutato 3,79 miliardi di dollari, ma abbastanza per attirare l’attenzione degli investitori pubblicitari, in un mercato sovraffollato di messaggi soprattutto televisivi e per dare un contributo alle spese di produzione dei film che, in alcuni casi, può anche arrivare al 15-20%, ma che di solito si attesta sotto il 10%. Una boccata di ossigeno, dunque, ma non il toccasana che si ipotizzava solo qualche anno fa.
Dopo alcuni anni di sperimentazione, anche il mercato italiano si sta strutturando ed è perciò puntuale il libro di Daniele Dalli, Giacomo Gistri e Dino Borello (Marche alla ribalta. Il product placement cinematografico in Italia e la sua gestione manageriale, Egea, 2008, 258 pagine + Dvd, 33 euro), che spiega il fenomeno anche attraverso numerose interviste ad agenzie specializzate, produttori cinematografici, distributori e aziende investitrici. Senza nascondere gli eccessi in cui talvolta si è caduti, né le opacità che hanno rischiato di screditare una pratica che, se ben realizzata, può rivelarsi innovativa ed efficace.
I numeri della cinematografia italiana fanno del product placement uno strumento di qualità, anziché di quantità, utilizzabile anche con investimenti limitati. Proprio per questo è davvero importante che l’inserimento dei prodotti in un film non risulti disturbante e si integri, anzi, nella narrazione. Si sono così sviluppate nuove professionalità che mediano tra il mondo cinematografico e quello aziendale e le agenzie più importanti impiegano persino sceneggiatori specializzati. Le campagne più efficaci non si risolvono, inoltre, nel semplice placement ma sono corredate da una serie di iniziative “ex-program” che lo rafforzano e valorizzano: concorsi legati al prodotto e al film, possibilità di interazione tra cliente e impresa via internet e così via.
Tra le aree critiche del product placement, che il libro illustra con casi aziendali concreti, c’è sempre il rapporto con sceneggiatori, registi e attori, non sempre ben disposti nei riguardi dello strumento. Così un’azienda investitrice, Cameo, racconta del placement estremamente positivo delle torte Versa e Inforna in Ho voglia di te, in cui i dolci assumono un significato simbolico perfettamente integrato nella narrazione, che ha reso possibili numerose azioni di supporto mentre il film era nelle sale e in occasione del lancio del Dvd; un placement ben fatto del lievito Pane degli angeli in Una moglie bellissima, ma senza il supporto delle operazioni di rinforzo per l’indisponibilità del regista-attore Leonardo Pieraccioni; e il fallimento delle trattative per l’inserimento di Ciobar in Caos calmo per il rifiuto di Nanni Moretti, nell’occasione solo attore del film.
Il libro, infine, presenta un modello interessante e praticabile di valutazione economica delle operazioni di product placement.
Via Affaritaliani.it
Iniziate a dimenticare i vecchi cartelloni pubblicitari che tappezzano le pareti delle stazioni o dei centri commerciali. Oggi la nuova frontiera dell'advertising si gioca tutta sul digitale. Grazie al digital signage, un fenomeno che sta crescendo anche in Italia, i contenuti e i messaggi pubblicitari vengono veicolati in formato digitale attraverso uno schermo elettronico. La ricetta è semplice: le immagini in movimento attirano l'attenzione molto di più delle immagini statiche. Se a questo si aggiunge la possibilità di pianificare e visualizzare le informazioni in maniera dinamica e diversificata a seconda della fascia oraria o del luogo di visualizzazione, l'obiettivo è presto raggiunto.
A confermare il potenziale di questo mercato lo dimostra anche il recente sbarco in Italia di Neo Advertising, nata in Svizzera nel 2003, e da sempre focalizzata sul digital signage. «Oggi siamo in grado di fornire consulenza strategica e le competenze necessarie alla progettazione del servizio, fino alla produzione dei contenuti, alla gestione, al monitoraggio, all'assistenza, e alla vendita degli spazi pubblicitari», sottolinea Fabrizio Bonazza, Chief executive officer della neonata filiale italiana del gruppo. Dopo il successo conseguito nei mercati statunitense e inglese dove rappresenta una componente fondamentale delle strategie di comunicazione, marketing e vendite di aziende di ogni settore e dimensione, il digital signage sta registrando un'elevata crescita anche nel nostro Paese. Crescono infatti sempre di più le realtà che ricorrono all'advertising digitale per comunicare al proprio pubblico in modo mirato, efficace e innovativo: dalle farmacie, alle stazioni ferroviarie e agli aeroporti, che devono erogare informazioni precise e aggiornate in tempo reale, fino alle catene, ai centri commerciali e ai punti vendita, che hanno bisogno di dotarsi di mezzi di comunicazione efficienti, di elevata qualità e impatto per raggiungere i propri clienti con contenuti di "infotainment" e fidelizzarli con servizi innovativi contrastando la concorrenza. «Siamo in una fase di grande investimento e il nostro Paese sta dimostrando un'interessante ricettività anche se c'è ancora molto da fare, anche sul fronte della tecnologia e di una più pervasiva diffusione della banda larga», precisa Fabrizio Bonazza. Un connubio mirato fra strategia di marketing di ultima generazione e tecnologie avanzate sono infatti gli ingredienti fondamentali del digital signage che, oggi più che mai, può rappresentare una vera leva competitiva a dispetto della crisi.
«L'attuale congiuntura economica può essere per noi un'importante occasione di crescita e un notevole vantaggio per i nostri clienti, anche grazie a un investimento economico inferiore alla classica cartellonistica o alla pubblicità televisiva e alla promessa di raggiungere in modo preciso un target molto più specifico». E non si tratta solo di ipotesi. La sede italiana di Neo Advertising ha infatti già lanciato "InfoFlash TV", la Rete delle tangenziali milanesi: 40 schermi Lcd distribuiti fra le aree di servizio delle tangenziali milanesi e la tratta dell'Autostrada A7 fino a Serravalle Scrivia. Tecnicamente la piattaforma gira su dei server farm e i Pc locali sono collegati via banda larga al server centrale. «Non poteva esserci miglior debutto per Neo Advertising in Italia che creare un network su uno dei tratti più trafficati del paese, dove ruota gran parte della sua economia», ne è convinto Fabrizio Bonazza. «Il progetto, nato in collaborazione con Milano Seravalle Servizi, mette a disposizione un palinsesto informativo e pubblicitario studiato per essere completamente visibile da tutti gli utilizzatori degli spazi autogrill. Grazie alla grafica dedicata, dinamica e creativa e all'utilizzo delle più moderne tecnologie, il nuovo media offrirà agli utenti notizie utili sia per il viaggio che per il momento del ristoro tramite una comunicazione mirata, efficace, di elevata qualità e impatto».
Intanto Neo Advertising continua a guardare lontano e adesso punta al mercato asiatico con la recente apertura di una nuova filiale a Pechino e forse, digerita la prima fase del digital signage, il prossimo passo potrebbe essere quello dell'integrazione multicanale e, magari, lo "sbarco" sulla piattaforma mobile.
di Claudia La Via su ILSOLE24ORE.COM
Chi lo ha detto che per organizzare un viaggio bisogna affidarsi a un tour operator oppure ad un’agenzia? Da tempo la Rete offre una serie di opportunità a chi non vuole sentirsi ingabbiato nei pacchetti offerti dagli operatori specializzati.
L’ultima tendenza, manco a dirlo, è affidarsi a blog e socialnetwork per progettare le proprie vacanze. Chi vuole godersi l’essenza di una città, mimetizzandosi tra i suoi abitanti e assaporandone l’atmosfera quotidiana, evitando di farsi travolgere dal flusso scontato del turismo di massa, non deve che affidarsi al web. Un vero e proprio punto di riferimento in questo campo è Couchsurfing (Couchsurfing.com) che può essere definito il socialnetwork dei “ciceroni”.
Coachsurfing consente a chi vuole visitare una città di mettersi in contatto con un membro del network che in quella città vive e lavora, e che si offre per fare da guida ma anche, se c’è la possibilità, per dare ospitalità a casa propria, “mettendo a disposizione il proprio divano o la propria cucina anche solo per bere un caffe’ ”, come si legge nel sito. Un modo per vivere le città non come mete turistiche ma conoscendole attraverso gli occhi di chi ci vive ogni giorno e a costi molto bassi. Ovviamente, il resoconto del viaggio viene poi condiviso con gli altri utenti, come vuole la logica dei socialnetwork. E viene valutata anche la qualità dell’ ospitalità.
I numeri di Couchsurfing sono impressionanti: oltre 853mila iscritti e 810mila viaggi andati a buon fine. Sono rappresentati 230 paesi e oltre 51mila città, tra cui molte italiane. Roma al momento conta oltre 2mila divani disponibili, Milano poco meno di 1700. Ben rappresentate anche Firenze, Napoli, Torino e Palermo.
Se pensate che Couchsurfing sia troppo per voi ma non volete rinunciare ad assaporare l’atmosfera autentica dei posti che volete visitare, allora potete affidarvi ai blogger di Spotted by Locals. (Spottedbylocals.com). Saranno loro che in quelle città ci vivono a guidarvi e a consigliarvi la trattoria dove si mangia bene spendendo poco, oppure il locale più adatto per trascorrere la vostra serata. I blogger scrivono da una ventina di grandi città europee, tra cui Milano. Ancora più ricca è l’offerta di Tipi Metropolitani (Tipimetropolitani.it) , e-magazine che comprende anche un network di blog dedicati ad una trentina di città sparse per il mondo. Anche qui chi scrive vive la città dal di dentro, offrendo spunti e consigli a chiunque voglia saperne di più su tendenze ed eventi in programma ad Amsterdam, Bangkok, Madrid, Roma, Barcellona o New York, giusto per fare qualche esempio. Non resta che fare le valigie e salire sul primo volo. Low cost, naturalmente.
Elvira Pollina su affaritaliani.it
Durante la lettura del recentissimo libro “Io, società a responsabilità illimitata” di Sebastiano Zanolli ho trovato degli spunti interessanti sul tema del personal branding, su cui anche io stavo riflettendo, seppure da un altro punto di vista.
Nella definizione di Zanolli si tratta di “l’insieme di valori, competenze, visioni, passioni, caratteristiche e ricordi in genere che immediatamente chi ci sta attorno collega alla nostra comparsa fisica o anche solo virtuale”.
Il collegamento che subito mi è venuto alla mente è quello con il mondo del web 2.0 ed in particolare dei social network. Infatti la rivoluzione di tali sistemi è che il protagonista della comunicazione è l’individuo, i suoi pensieri, le sue foto, le sue skills professionali e così via. Allo stesso modo in questi siti noi cerchiamo persone, le valutiamo, decidiamo di entrare in relazione con loro sulla base di come si presentano e per le stesse ragioni, magari, li assumiamo nella nostra azienda.
Ecco che emerge in tutta la sua importanza il valore della presentazione che ciascuno sa dare di se stesso, con il medesimo criterio e la grande attenzione con cui un bravo marketing manager gestirebbe il proprio prodotto. Non più nickname nei forum o identità parallele su Second Life: qui si mette la faccia, e non in senso metaforico visto che moltissimi siti richiedono obbligatoriamente l’inserimento di un’immagine del profilo.
Per questo trovo ancora una volta che il web sta diventando sempre di più fatto di persone che come mai prima nella storia possono valorizzare se stesse davanti ad un pubblico potenzialmente illimitato. Ecco perché ai loghi dell’industria si affianca un nuovo protagonista, la persona come brand, che interagisce e crea relazioni attraverso le quali cresce e si fa conoscere.
Buon networking dunque e siate attenti e consapevoli mentre curate il vostro marchio di maggior successo: voi stessi.
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com
Per una volta una pubblica istituzione locale del Belpaese può vantarsi di essere arrivata prima nei confronti delle pari entità europee. Il riconoscimento va al Comune di Genova, che proprio oggi ha annunciato la nascita di un progetto on line per dialogare con i cittadini e promuovere il proprio patrimonio artistico e culturale a livello internazionale sfruttando in toto la vetrina di uno dei più noti attori del social networking.
Il sito www.myspace.com/genova è stato infatti strutturato grazie alla collaborazione di MySpace.com e si configura come vero e proprio "hub" urbano per rendere più funzionale il dialogo fra la popolazione e l'amministrazione del capoluogo ligure. I diretti interessati l'hanno addirittura battezzato un esperimento di "e-democracy", in quanto fra le sezioni del "social portal" dedicato alla città vi sono non solo notizie istituzionali ma anche informazioni inerenti mostre, appuntamenti, approfondimenti e consigli per il tempo libero. Oltre naturalmente a un'ampia galleria di foto e video.
L'interattività, propria di un progetto digitale come quello del Comune di Genova, è invece garantita dal fatto che tutti gli ospiti del profilo aperto su MySpace - cittadini, associazioni, centri culturali e artisti locali e anche turisti – potranno dare il loro contributo attivo sottoforma di contenuti a questa nuova comunità globale. Stupisce il fatto che a Genova non abbiano pensato a Facebook? No, e per il semplice motivo che MySpace (più di Facebook) ha forse maggiori "capacità" di mettere in contatto realtà on line e off line e di creare una comunità partendo da un progetto di dialogo sociale e non da una collaudata comunità di amici. Di sicuro è un esempio di matrimonio fra tecnologie 2.0 e pubblica amministrazione: se durerà e se sarà solo il primo di una lunga lista lo vedremo prossimamente.
di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM
Solo nell’ultimo anno sono stati venduti nel mondo 1,2 miliardi di telefoni, di cui 22 milioni solo in Italia. Esordisce così il report della School of Management del Politecnico di Milano che ha fotografato l’utilizzo del mobile marketing da parte delle aziende del nostro paese, sottolineando le potenzialità della soluzione. Secondo l’analisi, il 2008 si chiuderà con quasi un miliardo di sms diretto ai consumatori per veicolare una comunicazione di tipo commerciale.
L'indagine ha evidenziato che circa il 64% dei direttori marketing d’impresa non ha mai utilizzato il canale mobile per promuovere campagne pubblicitarie. Per quel che riguarda le previsioni, di questa percentuale il 58% non sa se utilizzerà tale canale di promozione in futuro, il 22% è sicuro che non lo utilizzerà e il 20% pensa che lo utilizzerà.
Tra il 36% di direttori marketing che ha invece già fatto uso del canale mobile per scopi pubblicitari, afferma di essere molto o abbastanza soddisfatto il 77% di coloro che hanno promosso iniziative attraverso l’invio di sms/mms, il 63% di coloro che hanno fatto uso del display advertising su mobile e il 100% di coloro che hanno effettuato Keyword advertising. Il settore sembra dunque essere in una fase embrionale e le potenzialità inespresse sono molte.
Via Quo Media
La grande distribuzione organizzata può scegliere tra due modelli: uno è incentrato sul ruolo del consumatore, l’altro sulla relazione. Il dilemma della business community sembra questo: è bene moltiplicare i format a seconda dei segmenti di popolazione da servire? Addirittura ibridarli?
La domanda non è raminga, soprattutto con la crisi dell’ipermercato. Carrefour con la strategia del “mass del marge” ha tentato di dare una risposta cercando la giusta efficienza e declinando una parte di assortimento comune ai diversi formati-canali.
Nell’alimentare siamo arrivati a una diversificazione verticale (dalla grande alla piccola superficie: ipermercato, superstore, supermercato, superette, discount) e orizzontale (a seconda della location e del bacino di utenza) esaustiva. C’è un altro canale che ha lavorato a una così forte segmentazione: è quello delle librerie con Feltrinelli.
Questo il suo portafoglio: Tradizionale, Multistore (con musica), Village (per i centri commerciali), Express (tipologia adatta ai luoghi di scambio). Avrà anche un’insegna di cartoleria e design e il negozio virtuale. Saranno sufficienti ad affrontare il futuro e le ricerche intellettuali dei suoi clienti? Ma sì che lo sono, perché il Multistore ha il caffè, la toilette in store e soprattutto un visual di servizio adeguato (da vedere l’ultimo negozio di Bergamo città) per guidare il cliente dalle directory allo scaffale, al ripiano, al libro, al prezzo.
Costruisce in questo modo un’identità di formato che si basa sullo sviluppo dei particolari. Per esempio con la recensione scritta a mano dei principali libri in graduatoria. È quello che ha sempre fatto nel food Marco Brunelli nei suoi ipermercati, che, adesso, sta cercando di riproporre nel non-food: la cura dei profumi, il modo di scrivere il prezzo, l’accostamento dei prodotti e dei colori (insomma: il micromarketing).
Però l’innovazione del formato è meglio che parta dal miglioramento del formato attuale piuttosto che da un nuovo formato tout court. Per spiegarlo con la matita e un disegno, come ha detto Giuseppe Brambilla di Civesio, ad di Carrefour: «Noi crediamo nella multicanalità: il cliente al centro e noi intorno».
Il format basato sulla relazione Il moltiplicarsi dei luoghi di acquisto (fisici e online) 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, 365 giorni all’anno complica il futuro e la lunghezza del ciclo di vita del format. L’obsolescenza del punto di vendita è ormai da scatoletta di tonno. I negozi si somigliano sempre più, soprattutto se, sbagliando, scelgono di inserire corner di marche di fornitori vieppiù esigenti e onnivori. C’è una sola tipologia di vendita che può lavorare come un contenitore multimarca: il department store (banalizzando, la Rinascente e Coin). Come si affronta questo problema per tutte le altre tipologie? A giudizio di Mark Up costruendo una relazione con la R maiuscola con il consumatore, il cliente e il cittadino, dando una risposta di efficienza, prezzo, risparmio di tempo e soddisfazione in termini merceologici dell’acquisto.
L’efficienza è un insieme di comportamenti e tecnologie per portare il prodotto giusto, al momento giusto, nel luogo giusto, al prezzo giusto all’acquirente. Di prezzo oggi si può anche morire: inflazione e pressione promozionale stanno imballando il sistema del largo consumo e il prezzo è diventato un rebus e un momento tattico più che strategico. Il tempo è un’altra cosa: il vicinato e il discount sono scelti dagli acquirenti di ipermercati e supermercati anche perché fanno risparmiare tempo (per il trasferimento in auto, per la complessità dell’assortimento, per la difficoltà di leggere la scala prezzi, per il numero di passi fare, per la coda alle casse). Risparmiare tempo è un dovere.
La soddisfazione dell’atto di acquisto è la parte più difficile: bisogna lavorare sul contenitore (l’ambiente, il layout fisico e quello merceologico), sui mix assortimentali, sul personale. Sintetizzando: la relazione dovrà mettere al centro il consumatore e non il negozio o tanto peggio i fornitori: si baserà su ascolto del cliente (con diverse leve), Crm non invasivo, consiglio-informazione da dispensare nel negozio fisico e in quello virtuale.
Via Marketing Journal
Torniamo, dopo un bel po' di tempo, a parlare di product placement, di product integration e di comunicazione.
Il Product Placement è da anni uno strumento importante per la promozione di marche e prodotti, attraverso l'inserimento dei "simboli" appropriati all'interno di fim o serial TV.
Ha raggiunto apici di importanza tali che alcune grandi marche avevano (o hanno ancora?) un ufficio permanente ad Hollywood, con l'esclusivo compito di negoziare accordi con le major per l'inclusione dei propri prodotti nelle più importanti produzioni.
In tempi di vacche magre e di advertising classico nel mirino, il placement si ritrova sotto i riflettori, nella speranza sia un modo per aggirare la disattenzione, il disinteresse o semplicemente il fatto che l'adv spesso non raggiunge nemmeno più il target.
In questo scenario potenzialmente favorevole al placement è entrato a gamba tesa Martin Lindstrom, noto esperto di branding e comunicazione (una vera star, nel suo piccolo) che nel suo recente libro "Buyology" riporta i risultati di esperimenti sull'efficacia del placement sui neuroni della gente (vedi alla voce neuromarketing).
Attaccando (in estrema sintesi) dei volontari ad un elettroencefalografo è stato dimostrato (su un campione di 2000 casi) che il placement non funziona (più) nella maggior parte dei casi, non portando ad un aumento del ricordo della marca (resta poi davero da vedere se a livello ultra sub-conscio/sotterraneo un qualche effetto subliminale ci posa essere anche in assenza di ricordo, ma appare una teoria un tantinello improbabile).
L'eccezione sarebbe rappresentata da quei casi in cui la marca è funzionale alla storia, è fortemente integrata nel plot narrativo... quello che si chiama product integration - dove marca o prodotto non sono una presenza più o meno casuale, ma sono un componente di fondo della storia (pensate ad es. se gli amici di "Friends" si fossero ritrovati in uno Starbucks invece che al "Central Perk"....).
Buongiorno a tutti, segnalo che il giorno 13 dicembre a Bassano del Grappa verrà presentato il nuovo libro di Sebastiano Zanolli, dal titolo Io, società a responsabilità illimitata. Strumenti per fare la grande differenza
Dal momento che ho avuto il piacere di leggerlo in anteprima, trovandolo molto interessante ed in linea con i contenuti che animano questo blog, vi segnalo questo appuntamento (per i dettagli cliccare qui).
Per chi non è in zona c'è una recensione del libro sul mio blog.
A presto
Gianluigi
‘Ragazzi connessi: i preadolescenti italiani e i nuovi media’ è lo studio che ha analizzato il rapporto che i giovanissimi italiani instaurano con cellulari e internet, compiuto dall’associazione ‘Save the Children’ con la collaborazione del Cremit (Centro di ricerca per l’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia) dell’Università Cattolica di Roma Sacro Cuore.
Tra i giovani intervistati nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni il 95% dichiara di utilizzare il cellulare, percentuale ‘normale’ dal momento in cui tutti ne possediamo uno. Ma qual è l’uso che i giovanissimi ne fanno? Inviano sms (92%), giocano (76%), si scambiano immagini (74%), foto (54%) e navigano in internet (33%). “La funzione del ricordare, che i ragazzi assegnano al cellulare, è molto importante e sempre più rilevante nell’uso di questo strumento”, ha così commentato i dati Valerio Neri, direttore generale di Save the Children. Sembra infatti che memorizzare un messaggio considerato importante valga più di una reale chiacchierata con un amico.
E la navigazione in rete? L’86% dei ragazzi utilizza internet, nello specifico lo fa per cercare video e musica (70%), per parlare su msn (59%), chiacchierare in chat (53%), uploadare (49%), inviare e-mail (47%), giocare con videogiochi (33%), partecipare a forum, blog e socia network (28%), Skype (16%), acquistare prodotti (15%) e partecipare a sondaggi e concorsi (11%).
Se procediamo nell’analisi scopriamo che il 32% dei giovanissimi possiede un blog, dato che fa riflette riguardo al bisogno di apparire, di esserci in quanto visibili da tutti. “…E’ molto importante capire che il web è ormai un’estensione della rete abituale di amicizie e non un mondo alternativo a quello delle relazioni fisiche. Gli amici in rete sono importanti tanto quanto quelli che si incontrano di persona e spesso sono gli stessi” ha dichiarato Pier Cesare Rivoltella, direttore del Cremit.
Qual è la percezione che i giovani hanno di internet? E’ utile (58%) e di facile utilizzo (37%), ma non pericoloso (solo il 6% ritiene possa essere molto pericoloso ed il 33% abbastanza pericoloso). I giovani dichiarano inoltre di non subire particolari limitazioni da parte dei genitori: il 68% non riceve alcuna limitazione. Dunque non è pericoloso per il proprio utilizzo, ma lo è per gli altri: il 52% ritiene possa portare a comportamenti trasgressivi e pericolosi arrivando a fingere di essere un’altra persona, il 51% pensa che porti facilmente a mentire, il 46% che induca a pubblicare foto senza autorizzazione, il 41% a ricevere inviti di persone estranee, il 35% a cercare materiale pornografico ed il 34% a chattare con persone adulte. Quindi i giovani ne riconoscono in larga misura la pericolosità, ma mai per se stessi. Questa percezione che hanno nei propri confronti, questo senso di immunità, sembra essere il vero pericolo rappresentato da internet, ossia tutti possono ingannare o farsi raggirare, ma io sottoscritto no.
Via Quo Media
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