Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La produzione e distribuzione dei buoni sconto cartacei è un problema logistico ed un grande costo. Per di più, vanno a persone che non sono necesariamente interessate.
Un approccio che ribalta il problema è quello di ChaCha: non solo il buono sconto arriva sul mobile, ma arriva "on demand": le persone accedono al sito cercando se esistano specifici buoni sconto per marche/prodotti cui sono interessati. Il coupon si può stampare o ricevere sul cellulare.
Da un lato si rischia di pregare ai convertiti, ovvero dare sconti a persone che comunque comprerebbero la marca... d'altra parte esiste la possibilità, giocando sullo sconto, di portare via clienti ad un competitor diretto (pensiamo al caso di una pizza a domicilio, o di un fast food...), facendo fare uno switch e intercettando consumatori coi soldi in mano, quindi prospect caldissimi che si autoqualificano come tali.
E' interessante anche perché grazie al mezzo tecnologico può avvicinare ai coupon target più giovani che sono lontani, anche solo culturalmente, dal concetto del ritaglio o della conservazione del buono sconto classico - negli States spesso molto "cheap" o da pensionati.
Come tutte le promozioni, comunque, gli effetti sul brand vanno sempre valutati con cura... pur sapendo che possono essere azioni che attivano rapidamente, drogandole, le vendite.
In realtà ChaCha nasce primariamente come una sorta di motore di ricerca che usa il potere della community per dare risposta a domande concrete... ma questa è un'altra storia, guardatevi il loro sito per saperne di più.
Il 70% dei cittadini britannici comprerà almeno uno dei propri regali di Natale online, dice una ricerca di Deloitte su mille consumatori.
L’e-commerce si diffonde a macchia d’olio e può ormai contare su un giro d’affari imponente e in costante crescita.
Nel Regno Unito, il settore frutta 25 miliardi di sterline annue, contro i 9 miliardi del 2005.
Via Quo Media
Le storie di piccoli imprenditori americani che hanno scoperto le enormi potenzialità del social network.
Imprenditori, fareste bene a prendere dimestichezza con Facebook. E’ questo l’incipit dell’articolo che il Sole 24 ore ha ripreso dal New York Times che spiega come il popolare social network può essere utile agli imprenditori. Anche piccoli. Dopo avere spiegato come funziona il social network che in Italia ha superato i 12 milioni di iscritti, l’articolo distilla alcune regole di base per non sprecare tempo e denaro.
La prima cosa da fare consiste nel compilare un breve elenco degli obiettivi che ci si prefigge. Poi bisogna curare la pagina dando prova di avere una personalità ben definita. Non bisogna essere ingannevoli. Utilizzate la vostra pagina per dare un’immagine di serietà e garantite che anche le vendite lo saranno. Infine, concentratevi sui possibili clienti e utilizzate Facebook per analizzare le caratteristiche della potenziale clientela.
Fondamentale è però tenere a mente che “I messaggi con i quali s’invita soltanto a comperare non funzionano. Gli iscritti che ne fanno l’uso migliore utilizzano poco Facebook per vendere e molto per comunicare e interagire. Rispondete sempre ai fan e a chi vi critica. Date ascolto a ciò che vi si dice, a prescindere che sia qualcosa di positivo o di negativo: potreste perfino individuare qualche utile idea per migliorare la vostra attività. Aggiornate sempre i contenuti delle pagine. Utilizzate sempre gli status update e i newsfeed per informare i fan di avvenimenti speciali, concorsi, occasioni particolari e qualsiasi altra cosa interessante”.
Tutto questo presuppone una certa conoscenza dei meccanismi del social network (che potete approfondire in questi articoli) che offre buone possibilità di business come ha scoperto Chris Meyer che lo ha utilizzato per trovare donne già impegnate. Non pensate male, Meyer è un fotografo di Woodbury in Minnesota specializzato in matrimoni, fino a quel momento sfortunato nel procurarsi clienti con la pubblicità tradizionale.
Un’inserzione di una pagina intera su una rivista per promessi sposi non aveva dato frutto alcuno e la sua presenza a una fiera commerciale soltanto quattro prenotazioni, sufficienti a malapena a coprire le spese sostenute per il suo stand. Facebook, invece, si è rivelato una fonte digitale di ricchezza. Meyer si è rivolto alle giovani donne nella fascia di età 22-28 anni della zona metropolitana di St. Paul a Minneapolis che avevano indicato di essere fidanzate nell’apposita casella dei loro profili personali.
Meyer ritiene di aver speso circa 300 dollari negli ultimi due anni per postare pubblicità su Facebook e di essersi procurato incarichi di lavoro per oltre 60mila dollari di guadagno. Adesso i tre quarti dei suoi clienti gli arrivano da Facebook, o tramite le pubblicità o grazie alle raccomandazioni da amico ad amico. “Se Facebook non esistesse, sarei senza lavoro”, afferma il fotografo.
Facebook, prosegue l’articolo, consente alle piccole imprese di dedicare le loro energie in esclusiva a quel tipo di marketing che fino a pochi anni fa potevano soltanto sognare.
Gli utenti di Facebook compilano i loro profili fornendo informazioni quali la città di residenza, il datore di lavoro, la religione alla quale appartengono, e ancora gli interessi, il livello d’istruzione, i libri, i film e i programmi televisivi preferiti, tutti elementi che permettono agli inserzionisti di far arrivare messaggi pubblicitari mirati a specifiche fasce della popolazione.
Quando si crea un’inserzione, infatti, è possibile aggiungere alcuni parametri demografici o parole chiave e scoprire in che modo i vari utenti di Facebook ricadano in un determinato target, per poi modificarlo in modo tale da ottenere il massimo con il minor investimento possibile.
Inoltre gli inserzionisti possono scegliere di pagare per “impression” o per “click”, fissare budget massimi e programmare le inserzioni affinché compaiano in date particolari.
Così, per esempio, un bar di San Francisco può far comparire le proprie pubblicità soltanto nelle pagine di quegli utenti dal cui profilo o dalla cui affiliazione ai vari gruppi emerge che amano il caffè.
Secondo Kendall, direttore marketing di Facebook, le inserzioni possono essere dirette ai potenziali clienti anche sulla base delle interazioni sociali di cui danno notizia agli amici, per esempio scrivendo: “Troviamoci per un caffè”, o che postano update del tipo: “Mi sono appena svegliato e ora mi serve un buon caffè”.
Il sistema di pubblicità su Facebook fornisce un feedback istantaneo, con parametri come il numero delle impression che ha sollecitato un post e il numero di tutte le cliccate. Questi dati consentono a Meyer di migliorare ancor più le sue inserzioni. Se un’inserzione non produce sufficienti risposte e reazioni entro 24 ore, la cambia e cerca qualcosa di completamente diverso.
Charles Nelson con la moglie possiede Sprinkles, una pasticceria che produce cupcake, tortine monoporzione. Alle spalle ha un Mba e il lavoro in una banca d’investimenti e Facebook lo controlla una quarantina di volte al giorno. “La gente parla del tuo lavoro tutti i giorni, che tu te ne accorga o meno. E questo consente alla gente di scambiarsi opinioni e di parlarne direttamente a noi”. Sprinkles usa Facebook per offrire ai clienti un assaggio di quello che fa: tutti i giorni posta una password su Facebook che consente di ottenere una cupcake gratuita. Da aprile la base dei suoi fan si è decuplicata, arrivando a 70mila.
Il suo consiglio è di mettersi in vista presso i clienti, aggiornare i contenuti e ricordare che il guadagno di un investimento può arrivare lentamente. “Sappiate aspettare – consiglia Nelson –: gli utenti non si precipiteranno subito in massa sul vostro sito di social media. Tecnologia significa creare un effetto network, ma perché s’instaurino le necessarie connessioni occorre tempo”.
Via Marketing Journal
Eccomi qui a scrivere sul blog dopo un periodo di assenza dovuto all’ultimazione della nuova versione del sito istituzionale dell’azienda per cui lavoro.
Un dubbio amletico: quale la scelta strategica più giusta?
In questo periodo ho avuto modo di accumulare diverse riflessioni, oggi ve ne propongo una che credo sia di una certa valenza strategica per un’azienda che vuole essere presente sul web: meglio creare propri servizi innovativi o usare gli strumenti offerti già fatti dai big della rete?
Nessuna delle due strade è giusta a priori e occorre fare una breve panoramica sulle due scelte. Non è necessario inventare ogni volta la ruota: sicuramente questa è l’argomentazione chiave per dire che, ad esempio, sviluppare uno strumento di video sharing aziendale o un social network proprio (con tutte le difficoltà del caso) è una fatica notevole e in molti casi inutile quando ci sono già servizi simili sulla rete, come YouTube e Facebook. Loro hanno risorse e know how per migliorare i servizi (che sono il loro core business) nonché milioni di utenti già iscritti che frequentano i loro siti. Non è logico consegnare ad altri il bene più prezioso di un sito, i suoi utenti registrati: questo è invece l’argomento più significativo per dire che basare tutta la propria strategia su social media di terzi dove abbiamo una nostra pagina equivale a regalare a questi servizi le email e i lead in genere degli utenti. Ossia state lavorando per loro e non per voi stessi. Trovo entrambe le cose vere e dunque la mia opinione è che ci vuole una scelta di equilibrio: la vostra fan page su Facebook o i vostri Tweets nella maggior parte dei casi sono troppo difficili da replicare su piattaforme proprie ma devono invece essere un punto di contatto che vi consente di portare alla registrazione sul vostro sito degli utenti. E’ inutile ambire a creare una vostra piattaforma dove potete sfruttare l’esistente ma dovete avere la lungimiranza di usare tutti questi strumenti come leve di marketing e fonti di contatti per sviluppare la vostra propria strategia sui vostri propri media.
Questo non esclude nemmeno l’adozione di piattaforme di social media marketing white label per creare circuiti propri dove convogliare chi avete ingaggiato sugli altri media ma credo che tale strategia, senza un’ampia distribuzione della propria azienda sul web, rischi di essere poco visibile e di attirare troppo pochi contatti.
In conclusione dunque il mio consiglio è di usare con intelligenza gli strumenti free esistenti per favorire i vostri siti proprietari e di non avventurarvi da zero nello sviluppo preferendo piuttosto soluzioni customizzabili e brandizzabili fatte da esperti del settore.
Voi che cosa ne dite?
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com
Crisi o non crisi, le vendite di Amazon sono cresciute del 28% rispetto all'anno scorso, trainate dal settore internazionale, sfiorando un fatturato di 5,5 miliardi di dollari (5,45 per l'esattezza).
Gli utili salgono quasi del 70% e la crescita attesa per questo ultimo trimestre 2009 dovrebbe superare il 25% rispetto all'anno scorso.
Le vendite all'estero stanno raggiungendo in valore le vendite in US+Canada: UK, Francia, Giappone, Germania e Cina fanno registrare un incremento del 33%.
Interessante anche guardare cosa vendono di più: lo storico settore dei media cresce "solo" del 17% e vale quasi 3 miliardi di dollari. Un mercato duro, anche perché Walmart ha deciso di entrare pesantemente anche lì, facendo una guerra dei prezzi ad Amazon su walmart.com.
Salgono invece del 44% i prodotti elettronici e gli altri prodotti.
Deve far riflettere che il prodotto più venduto di Amazon sia il suo Kindle, l'e-book reader.
Ci sarebbe poi da fare dei pensieri sul fatto che se Amazon apre la strada con un prodotto relativamente costoso come il Kindle, altri come Asus, stanno per lanciare (inizio 2010) ebook reader molto meno costosi e modelli molto più "belli" con doppio schermo a colori etc.
La comunicazione via cellulare ora non passa più solo dalle telefonate. Sarà l'avvento dei supertelefonini intelligenti e dotati di funzionalità e applicazioni 2.0, ma oggi cresce sempre più l'utilizzo di mail, instant messaging e social network.
Sono 5,6 milioni gli utenti che, negli ultimi tre mesi, hanno usato almeno una delle nuove forme di comunicazione, con un incremento dell'8% rispetto a luglio scorso. A dirlo sono i dati dell'ultimo "Osservatorio mobile" realizzato da Microsoft Italia in collaborazione con Nextplora da cui si evince che l'instant messaging è addirittura preferito agli sms per la comunicazione diretta via cellulare con i propri contatti, perché più immediato e consente di vedere subito chi è online.
Successo incredibile anche per i social network sul telefonino: nonostante la visualizzazione sacrificata da schermi più ridotti – rispetto a quelli del Pc – addirittura 58 utenti su 100 utilizzano il cellulare principalmente per aggiornare il proprio status e visitare la pagina degli amici sui social network. Il 53% lo utilizza invece per vedere foto, video e contenuti postati e il 48% per inviare comunicazioni ai propri contatti.
Conseguenza anche del fatto che il cellulare è sempre costantemente con noi, il mezzo di comunicazione più "intimo" che abbiamo e che spesso ci fa compagnia anche per occupare i tempi morti, quando siamo in coda o sui mezzi pubblici. Tutte nuove forme di comunicazione che, però, non sostituiscono o compromettono l'uso "classico" del cellulare, per telefonare o mandare messaggi.
Secondo l'indagine Microsoft-Nextplora infatti, in un giorno medio, chi utilizza e-mail, instant messaging o visita social network dal cellulare effettua e riceve regolarmente telefonate (43%) e invia o riceve sms (35%). Il cellulare e i nuovi servizi di mobilità (instant messaging, e-mail e social network) diventano però oggi catalizzatori e facilitatori delle relazioni sociali, grazie ai quali si può decidere e programmare iniziative e incontri all'ultimo momento, chiedere aiuto e conforto ed essere sempre in contatto con gli amici e la famiglia, permettendo anche di gestire rapporti con chi non si frequenta di persona. Tutto sempre a portata di mano e di tasto e rigorosamente on-demand. Garantendo così all'utente la possibilità di scegliere, se e quando, essere disponibile.
Certo ci sono ancora degli ostacoli che frenano, in alcuni casi, l'utilizzo del cellulare come vero e proprio strumento di comunicazione 2.0. Primo fra tutti la ancora scarsa presenza sul mercato di tariffe flat competitive e trasparenti, ma anche la velocità di connessione e, in alcuni casi, le caratteristiche tecniche "limitanti" dei telefoni cellulari: dalla dimensione ridotta dello schermo fino alla scarsa durata della batteria.
di Claudia La Via su ILSOLE24ORE.COM
I cinguettii su Twitter, piattaforma di micro-blogging, hanno una loro importanza. E a misurarla ci pensa TweetLevel, strumento che calcola gratuitamente l’influenza di un utente sul microblog a 140 caratteri, tramite un algoritmo che considera la qualità e la quantità dei tweets.
Quattro sono le voci con cui si assegnano punti all’utente, ciascuna con un punteggio in centesimi. A guidare la classifica dei Twitter più carismatici il social blog Mashable e lo scrittore Neil Gaiman. Via Quo Media
Nel bene e nel male Apple è sempre protagonista. Stavolta non c'è di mezzo una nuova creatura tecnologica ma una presa di posizione "commerciale" della società della Mela morsicata. A far discutere molti addetti ai lavori e opinione pubblica americana, dopo che il New York Times ha pubblicato la notizia nei giorni scorsi, è una richiesta di brevetto depositata dalla compagnia di Cupertino presso il ben noto Us Patent & Trademark Office. Oggetto della richiesta una tecnologia che consente di mostrare messaggi commerciali su qualsiasi tipo di schermo, da quello del telefonino a quello del pc senza ovviamente trascurare televisore e console per videogiochi e dispositivi multimediali di vario genere.
Fin qui nulla di particolarmente trascendentale, visto e considerato l'importanza dell'advertising nei bilanci delle società hi-tech e l'appeal del marchio Apple, sebbene fra i firmatari vi sia anche Steve Jobs: la presenza del Ceo in veste di inventore in questi casi è infatti una rarità e si è materializzata solo quattro volte su 30 negli ultimi 18 mesi. Il problema, grosso per ciò che concerne il profilo etico di un'azienda storicamente ammirata per una cultura dell'innovazione che ha fatto moda e proseliti su scala globale, risiede nel fatto che il sistema in questione, denominato "enforcement routine", costringerà di fatto gli utenti a visualizzare spot, banner e compagnia e a rispondere o interagire in qualche modo con questi tramite appositi menu. Pena l'impossibilità di utilizzare lo schermo, che verrebbe "congelato", per altre applicazioni. Chiudere tali messaggi nelle stesse modalità in cui si chiudono – con un click del mouse - quelli che tecnicamente vengono definiti "splash screen" pubblicitari e che appaiono su vari siti Web non sarà cioè possibile. In altre parole, negli iPhone, negli iPod o nei computer Mac potrebbe trovare presto posto un software in grado di far apparire, in qualsiasi momento e sottoforma di test, inserzioni commerciali (hypertesti, immagini ma anche messaggi audio e filmati video) e di obbligare il "malcapitato" utente a sorbirsele per intero anche se queste non gradite. Una vera e propria vetrina per ospitare spot di vario genere (di soli prodotti Apple o, come sembra intuibile, anche di altre aziende?) insomma, che premierebbe i consumatori oggetto di questo "spamming autorizzato" con sconti elevati sui prezzi di acquisto o addirittura con la possibilità di entrarne in possesso gratuitamente. Il punto però è proprio questo: come reagirà l'utente Apple, di norma dai palati fini e all'apparenza virtuosi, di fronte all'obbligo di scaricare pubblicità "indesiderata" con una frequenza che rischia di essere assai fastidiosa? E solo per una mera convenienza di portafoglio di qualche centinaio di euro o di dollari?
Quella di Apple sembra quindi un'azione di marketing eccessiva, che sì ricorda quanto sta mettendo in pista Microsoft ma ha connotati diversi agli occhi dell'utente. A Redmond hanno infatti deciso di mettere in commercio l'anno prossimo una versione gratuita di Office (la Starter 2010) preinstallata sui pc che conterrà un piccolo display per la pubblicità che apparirà nell'angolo destro in basso dello schermo per visualizzare messaggi promozionali targati Microsoft volti a convincere l'utente ad acquistare il pacchetto contenente Word, Excel e via dicendo in versione completa. Non uno spazio per vendere spot pubblicitari, almeno per il momento, ma una trovata tecnologica, battezzata da qualcuno "compulsory advertising", per tastare (gratuitamente) il polso dei consumatori, per "educarli" – dicono i portavoce di Microsoft - al prodotto".
Perché Apple, e Steve Jobs in prima persona, rischiano di fare quello che a molti sembra un clamoroso autogol? È un'altra mossa per rendere il mondo Apple ancora più esclusivo e protetto o un tentativo molto serio (e audace) di mettersi in prima fila per catturare la spesa pubblicitaria in formato digitale? Quanti milioni di persone nel mondo hanno in tasca un iPod o un iPhone e usano un computer Mac? Decine e decine. A cui poter inviare simultaneamente uno spot senza far fatica alcuna.
di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM
Qualche settimana fa sono stato al Venezia Camp 2009 e come sempre quando si parla e ci si confronta con altre persone sono tornato a casa con degli spunti interessanti.
Immagine tratta da http://geekandpoke.typepad.com/geekandpoke/
Uno in particolare mi ha fatto venire voglia di scrivere questo post: se il web è un luogo relazionale dove ci si incontra fra persone che cosa ci fa lì un’azienda e che senso ha per me iniziare un dialogo con un prodotto, come il frullatore di cui sopra?
Non è sicuramente un’osservazione priva di logica, e spesso la realtà dei fatti, specie in Italia, dà ragione agli scettici.
Dal mio punto di vista però è prima di tutto necessario distinguere fra presenze intelligenti e presenze sbagliate sul web 2.0 (termine che mi piace sempre meno, e ho già spiegato perché): che cosa vuole ottenere la nostra fabbrica di frullatori? E la strategia che ha messo in pista per farlo è quella giusta? E mi pongo in modo adatto ai miei interlocutori?
Non è un discrimine da poco: non è detto che i miei clienti vogliano parlare con me di quello che decido unilateralmente e in ogni caso non lo faranno per forza negli spazi che ho creato io.
L’approccio post in effetti prevede diversi livello di coinvolgimento dei pubblici, dal puro ascolto fino alla collaborazione attiva che porta alla trasformazione dell’azienda stessa.
C’è poi un punto tanto banale quanto chiave: le aziende sono fatte di persone e se entriamo in contatto con queste ultime sicuramente svilupperemo delle relazione, ammesso esse che ci parlino con voce personale e umana, come chiesto dal Clue Train Manifesto (tesi n°3).
In questo caso potremo valutare se lo scopo per cui l’azienda ci ingaggia in questo rapporto è realmente utile per noi, come quando questo porta a soddisfare i nostri bisogni di cambiamento, evoluzione e diversa fruizione di un prodotto o servizio.
Non tutte queste relazioni sono davvero personali ma vi viene da chiedere se altrettanto possono essere definite quelle con tante connessioni ignote di un social network di cui abbiamo accettato l’amicizia in modo automatico.
Sono punti di contatto, occasioni, che partendo dal piccolo possono però smuovere grandi cose.
Non mitizziamo dunque troppo i rapporti di relazione sulla rete (quasi tutti per diventare qualcosa di più passano per un incontro personale) e cerchiamo di avere non pregiudizi verso le aziende, nemmeno quando facciamo due chiacchiere con un frullatore (molto meglio, con una pr di frullatori).
In fondo l’unico web relazionale cattivo è quello fatto male e con obiettivi sbagliati, per cui idee chiare e mente aperta, mi raccomando (aziende o privati che siate)!
P.S. attendo con ansia i pareri di eventuali produttori di frullatori 2.0…come loro!
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com
Tweetup = vedere di persona le persone con cui interagisci su Twitter.
Idea banale ma ricca di potenziale (viste le sceneggiate cui assistiamo a barcamp o GGD quando persone che si conoscono bene virtualmente finalmente riescono a toccarsi fisicamente).
In Italia non ne ho ancora vista traccia (o almeno nulla che sia comparso sul mio limitato schermo radar) e la mappa mondiale dei Twitter Meetups ha un bianchissimo buco in corrispondenza dell'Europa Meridionale (detta anche "Garlic Belt").
Negli USA invece si usa - tanto che si stanno già adoperando a scopi promo-comunicazionalli, come nel caso dei Tweetups organizzati dalla NHL (National Hockey League, il campionato di hockey, via) che ad aprile, in occasione di partite importanti ha organizzato una miriade di questi incontri per i tifosi dello sport... un interessante modo di fare marketing sul proprio twarget (il target su twitter ).
Per approfondire, leggete questo post su Mashable.
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